Codice Civile art. 2621 bis - Fatti di lieve entità (1).

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Fatti di lieve entità (1).

[I]. Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all'articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.

[II]. Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all'articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.

(1) Articolo inserito dall'art. 10 l. 27 maggio 2015, n. 69.

Inquadramento

L'art. 2621-bis, di nuova introduzione, prevede al primo comma la minor pena edittale della reclusione da sei mesi a tre anni ove i fatti di false comunicazioni siano di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità e degli effetti della condotta. Al secondo comma sono previsti lo stesso trattamento sanzionatorio, e la punibilità a querela della società, dei soci e degli altri destinatari della comunicazione sociale, per i fatti commessi nell'ambito della gestione di società non fallibili ai sensi dell'art. 1 r.d. n. 267/1942.

Va sottolineato che dette ipotesi, atteso l'esplicito richiamo della norma al precedente art. 2621, sono ravvisabili unicamente per i fatti previsti da tale norma, e non anche per quelli di cui al successivo art. 2622 (Ricci 75; Zaza, 15 e ss.).

Profili generali

Si è posto il problema, in dottrina (cfr. Zaza, ibidem), della loro qualificazione come circostanze attenuanti o come figure criminose a sé stanti. Ebbene, la natura dell'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 2621-bis è discussa. Da una parte è stata ritenuta alla stregua di una circostanza attenuante (Ricci, 76), mentre altrove è stata sostenuta la riconducibilità ad una distinta fattispecie di reato in considerazione dell'autonoma determinazione del trattamento sanzionatorio rispetto a quello stabilito dall'art. 2621, che accomunerebbe la fattispecie a quella incriminata dall'art. 2622 (Mucciarelli, 28). Con riguardo all'ipotesi di cui al secondo comma, i primi commenti invece sono concordi sulla qualificazione della stessa come autonoma fattispecie di reato (Mucciarelli 28; Ricci, 77). In realtà, l'individuazione di un reato autonomo nell'ipotesi di cui al primo comma trova sostegno unicamente nell'elemento non univoco della previsione di una distinta pena edittale (Zaza, ibid.). Per la fattispecie prevista dal secondo comma, viceversa, vengono richiamati gli ulteriori profili della punibilità a querela e della clausola di riserva per il caso in cui il fatto costituisca «un più grave reato», espressione che presupporrebbe un'implicita qualificazione come reato della specifica fattispecie in esame. In ordine ad entrambe le ipotesi occorre peraltro aggiungere che il successivo art. 2621-ter, a proposito della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, ne regola l'applicabilità ai «fatti di cui agli artt. 2621 e 2621-bis», espressione che, in quanto specificamente riferita anche al secondo articolo, sembra implicitamente presupporre che quest'ultimo preveda distinte fattispecie criminose (Zaza ibid.). D'altra parte, non può essere dimenticato che la descrizione complessiva delle fattispecie in esame è orientata nel senso di una mera variazione quantitativa dell'offesa al bene giuridico tutelato dall'art. 2621, tipica di un'ipotesi attenuata del reato ivi previsto, circostanza, quest'ultima, emergente anche per l'ipotesi di cui al secondo comma, laddove si ammette che tale norma trova la sua ratio nella presunzione di lieve entità dei fatti commessi nell'ambito di società aventi caratteristiche tali da sottrarle alla fallibilità (Mucciarelli, 28). Tuttavia, ad evidenziare come la discussione sul punto qui in discussione rimanga ancora aperta, il dato costituito dalla clausola di riserva contenuta nel secondo comma non esclude la possibilità che detta clausola intenda il reato più grave come «altro» rispetto al delitto di false comunicazioni sociali nella sua interezza, e non alla particolare ipotesi in esame (Zaza, ibid.). Né può escludersi che l'art. 2621-ter, utilizzando nel richiamo all'art. 2621-bis il termine «fatti» e non quello altrimenti decisivo di «reati», “si risolva in un'espressione normativa anche in questo caso genericamente riferibile al reato di false comunicazioni sociali” (così, Zaza, ibid.).Per quanto concerne in particolare la fattispecie prevista dal primo comma, gli elementi, in base ai quali la minore entità dell'offesa deve essere valutata, sono specificamente indicati dalla norma nella natura della società, nelle dimensioni della stessa, nelle modalità della condotta e negli effetti cagionati. È dubbio se tali elementi debbano essere valutati cumulativamente o meno (Zaza, ibid.). Così, sé è stato affermato che la presenza fra i relativi termini testuali della congiunzione «e» può essere valorizzata a sostegno di questa conclusione (Mucciarelli, 27), da altri è stato evidenziato che non sembra potersi assolutamente escludere che tale particella esprima unicamente una generica pluralità di dati astrattamente valutabili, a taluni soli dei quali possa essere data rilevanza determinante (Zaza, ibid.). Quanto alle dimensioni della società, non vi è invece dubbio sulla valutabilità a questi fini della misura del capitale sociale, del fatturato, del patrimonio, del numero dei dipendenti, dei ricavi e dell'indebitamento della società (Mucciarelli, 28; Zaza, ibidem).

Bibliografia

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