Codice Civile art. 2622 - False comunicazioni sociali delle società quotate (1) (2).

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

False comunicazioni sociali delle società quotate (1) (2).

[I]. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.

[II]. Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:

1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;

2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;

3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;

4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.

[III]. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

(1) V. nota al Titolo XI.

(2) Articolo sostituito dall'art. 11 l. 27 maggio 2015, n. 69. Il testo recitava: «False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori [I]. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. [III]. Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio. [IV]. La pena è da due a sei anni se, nelle ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave nocumento ai risparmiatori. [V]. Il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella distruzione o riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo. [VI]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. [VII]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento. [VIII]. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.[IX]. Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell'impresa». L'articolo era già stato sostituito dall'art. 30, comma 2, l. 28 dicembre 2005, n. 262. Il testo era il seguente: «False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori. [I]. Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. - Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio. [III]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. [IV]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.[V]. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta».

Inquadramento

L'art. 2622 ha mutato profondamente, per effetto della riforma in esame, la sua funzione incriminatrice in rapporto con la fattispecie di cui all'art. 2621, mantenendo rispetto a quest'ultima la sua posizione specializzante, fornita dall'innesto di elementi aggiuntivi sulla condotta base (Zaza, 16). Tuttavia, gli elementi aggiuntivi non si identificano più, come in precedenza, in eventi costituiti da danni patrimoniali nei confronti della società, dei soci o dei creditori, degli stessi soggetti in relazione a società quotate, ovvero dei risparmiatori per le condotte commesse nella gestione di queste ultime società, eventi qualificanti di specifici e distinti reati di falso dannoso (Zaza, ibidem).

Ora l'elemento specializzante è solo la natura della società a cui afferiscono le false comunicazioni sociali (Zaza, ibidem).

Tali società sono in primo luogo individuate, al primo comma dell'articolo, in quelle emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato italiano o di altro paese dell'Unione europea. Il secondo comma assimila alle stesse le società che controllano quelle appena richiamate, le società emittenti strumenti finanziari per i quali sia stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione nel mercato di cui sopra o in un sistema multilaterale di negoziazione italiano e le società che fanno appello al pubblico risparmio o comunque lo gestiscono.

Quest'ultima indicazione assume chiaramente, nella struttura della norma, il ruolo di una disposizione di chiusura, che come tale individua l'ambito di tutela della norma stessa (Zaza, ibidem). Il contesto dell'incriminazione è quello di tutte le società che raccolgono pubblico risparmio, con una conseguente diffusione dell'offesa di pericolo, propria dell'ipotesi generale del reato, in una più ampia estensione di soggetti passivi, comprendente per l'appunto i risparmiatori (Mucciarelli, 32).

Profili generali

Il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è integrato, rispetto a quello oggetto della previsione dell'art. 2621, dall'interesse alla protezione del risparmio, alla quale diviene funzionale la tutela dell'affidamento della trasparenza dell'informazione societaria (Zaza, ibidem). Ne discende che l'oggetto giuridico del reato previsto dalla norma in esame assume una fisionomia sostanzialmente diversa da quella del bene giuridico tutelato dall'art. 2621, dando di conseguenza luogo l'art. 2622 all'incriminazione di quella che costituisce senz'altro un'autonoma ipotesi criminosa (Zaza, ibidem).

La descrizione della fattispecie prevista dall'art. 2622 ricalca quella di cui al precedente art. 2621 con due differenze testuali. La condotta incriminata, in primo luogo, è riferita a fatti materiali rilevanti solo nella forma omissiva. Con riguardo alla forma attiva, l'attributo della rilevanza dei fatti non è invece riproposto (Zaza, ibidem). In dottrina, sono state avanzate due possibili spiegazioni per questa apparente incongruenza: l'essere la stessa dovuta ad una svista, ovvero l'intento del legislatore di apprestare una tutela più pregnante per i fatti di false comunicazioni sociali commessi in danno dei risparmiatori. Tuttavia, la seconda ipotesi non spiegherebbe perché tale intento non abbia trovato attuazione anche per le condotte omissive ed a voler ritenere che per queste ultime il legislatore abbia inteso adottare un trattamento più favorevole, stimandole di minor gravità, di nuovo non si individuerebbe la ragione per la quale un'analoga differenziazione, fra le condotte attive e quelle omissive, non sia stata stabilita nella previsione di cui all'art. 2621 (Mucciarelli, 6). È stato anche acutamente osservato in dottrina che vi è un elemento che indica come il legislatore avesse effettivamente, nelle intenzioni iniziali, lo scopo di escludere per il reato in esame il requisito della rilevanza dei fatti esposti ovvero omessi nelle comunicazioni sociali, e ciò lo si rinviene nel testo del disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica l'1 aprile 2015, dal quale risulta che l'indicazione di tale requisito non compariva per nessuna della condotte previste dall'art. 2622 riformato (Perini, 2). Tenuto conto di questo, è possibile che la testuale formulazione della norma definitivamente emanata, nel senso della limitazione della previsione del requisito della rilevanza dei fatti alle condotte omissive, sia il risultato di una mera svista (Zaza, ibidem). Tuttavia, il dubbio sul carattere voluto ovvero erroneo della redazione della norma potrebbe essere posto anche per la seconda particolarità che differenzia la fattispecie del reato di cui all'art. 2622 da quella prevista dall'art. 2621 e cioè la mancanza, per le comunicazioni sociali diversi dai bilanci e dalle relazioni, della condizione che le stesse siano previste dalla legge (Zaza, ibidem). In realtà, il legislatore potrebbe essere in effetti incorso in un errore nella mancata riproduzione di questa parte del testo dell'art. 2621 Ma non sarebbe, d'altra parte, priva di logica una precisa scelta di estensione dell'incriminazione a tutte le comunicazioni sociali, siano o meno le stesse previste dalla legge, idonee ad incidere sull'affidamento dei risparmiatori, scelta coerente con quella, più generale, di valutazione di maggiore gravità dei fatti lesivi di tale bene giuridico (così, Zaza, ibidem). Ebbene, questa volontà legislativa si riflette altresì nel trattamento sanzionatorio, notevolmente più afflittivo di quello contemplato dall'art. 2621, previsto per il reato in esame nella misura edittale variante dai tre agli otto anni di reclusione.

Il delitto di false comunicazioni sociali è configurabile nei confronti dei componenti del collegio sindacale di una società quotata in borsa, allorché non provvedano a segnalare la non veritiera rappresentazione in bilancio di elementi informativi sulle operazioni di maggior rilievo economico dell'ente, riscontrati nell'esercizio della propria attività di controllo sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sulla adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili. (Cass. n. 19091/2020, fattispecie relativa alla omessa segnalazione di false iscrizioni in bilancio di informazioni inerenti operazioni infragruppo di cessione di licenze, a società controllate o collegate, non coerenti con la natura del controllo o della partecipazione prevalente).  

Bibliografia

Alessandri, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, 280; Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, Milano, 2013; 248; Bianconi, Leggi penali complementari, a cura di Padovani, Milano, 2007, 2454; Bricchetti-Pistorelli, La lenta “scomparsa” del diritto penale societario italiano, in Guida dir. 2015, f. 26, 53 ss.; Conti, Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, Bologna-Roma, 2004, 73 s; Foffani, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622), in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A. Giarda e S. Seminara, Padova, 2002, 265; Foffani, Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo - Paliero, Padova, 2003, 1923; Gambardella, Il “ritorno” del falso in bilancio, tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen. 2015, 1722; Lanzi, Quello strano scoop del falso in bilancio che torna reato, in Guida dir. 2015, f. 26, 10 ss.; Micheletti, I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, a cura di Giunta, Torino, 2002, 109; Mucciarelli, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in dirittopenalecontemporaneo.it 2015, 4; Musco, I nuovi reati societari, con la collaborazione di M.N. Masullo, Milano, 2004, 64; Pedrazzi, (voce) Società commerciali (disciplina penale), in Dig. disc. pen., XIII, Torino, 1998, 347 ss.; Perini, I “fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?, in dirittopenalecontemporaneo.it, 27 aprile 2015, 11; Ricci, Il nuovo reato di false comunicazioni sociali, Torino, 2015, 8 ss.; Seminara, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. proc. 2015, 7, 813; Seminara, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni di vigilanza, in Dir. pen. proc. 2002, 677; Zaza, I reati societari. False comunicazioni e tutela del capitale sociale, in Diritto penale dell'impresa (collana diretta da G. Reynaud), Frosinone, 2015, 5 e ss.

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