Codice Civile art. 2634 - Infedeltà patrimoniale (1).

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Infedeltà patrimoniale (1).

[I]. Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.

[II]. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.

[III]. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo.

[IV]. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.

(1) V. nota al Titolo XI.

Inquadramento

Il delitto di infedeltà patrimoniale è configurabile anche nei confronti degli amministratori delle società cooperative (Cass. n. 6189/2012). La legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell'amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso ma anche — e disgiuntamente — al singolo socio (nel caso di specie la Cassazione ha escluso la qualifica di persona offesa dal reato ai creditori sociali) (Cass. n. 39506/2015). È legittima la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente qualora il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634), originariamente contestato all'imputato, sia assorbito dal delitto di bancarotta fraudolenta impropria c.d. societaria, per il quale non è prevista la confisca per equivalente, né può essergli, comunque, estesa in via interpretativa, in ragione del principio di tassatività e del divieto di analogia in malam partem (Cass. n. 18775/2014). In tema di reati societari, non sussiste continuità normativa tra il reato di indebita concessione di prestiti e garanzie ad amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società commerciali (art. 2624) e il reato di infedeltà patrimoniale (art.  2634, introdotto con il d.lgs. n. 61/ 2002), in quanto, dall'esame delle fattispecie incriminatrici, emerge un'irriducibile divergenza degli elementi strutturali. Infatti, mentre il delitto di cui al previgente art. 2624 è reato di mera condotta e di pericolo presunto, quello di cui al vigente art.  2634 è reato di evento, richiedendo la sussistenza di un danno patrimoniale, intenzionalmente arrecato alla società, che deve essere, pertanto, previsto e legato alla condotta da un rapporto di diretta ed immediata causalità. Diverso è, inoltre, l'elemento soggettivo richiesto dalle due fattispecie, dolo specifico per il reato di cui all'art. 2634 e dolo generico per il previgente art. 2624. Ne deriva che, stante la radicale novità introdotta dall'art.  26,34 è applicabile l'art. 2, comma 2, c.p., in forza della sopravvenuta, integrale abrogazione della previgente norma incriminatrice (Cass. n. 29268/2007).

Ai fini della configurabilità del concorso dell' extraneus nel reato "proprio" di cui all'art. 2634, non è sufficiente che la condotta di questi sia stata anche solo lato sensu ausiliatrice rispetto all'azione dell'autore qualificato, ma occorre che in essa sia ravvisabile un quid pluris, ricavabile dalle modalità e circostanze del fatto, ovvero dai rapporti personali intercorsi con le parti, che dimostri concretamente il raggiungimento di un'intesa con il concorrente qualificato o, quanto meno, una pressione diretta a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illecito (Cass. n. 35767/2017).

Integra il delitto di infedeltà patrimoniale la condotta dell'amministratore unico di una società, il quale venda un bene di proprietà di quest'ultima ad un soggetto in relazione al quale sussiste conflitto di interessi (nella specie, il padre) rispetto al reale valore di mercato del bene (Cass. n. 22495/2015 ).  

Ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale ex art. 2634, è necessario un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra l'amministratore agente e la società, a causa del quale il primo, nell'operazione economica che deve essere deliberata, si trova in una posizione antitetica rispetto a quella dell'ente, tale da pregiudicare gli interessi patrimoniali di quest'ultimo, non essendo sufficienti situazioni di mera sovrapposizione o commistione di interessi scaturenti dalla considerazione di rapporti diversi ed estranei all'operazione deliberata per conto della società (Cass. n. 55412 /2018).

Rapporti con il reato di appropriazione indebita

Integra il delitto di appropriazione indebita, e non quello di infedeltà patrimoniale previsto dall'art. 2634, l'erogazione di denaro compiuta dall'amministratore di una società di capitali in violazione delle norme organizzative di questa e per realizzare un interesse esclusivamente personale, in assenza di una preesistente situazione di conflitto d'interessi con l'ente, senza che possa rilevare l'assenza di danno per i soci (Fattispecie in cui è stato rigettato il ricorso avverso ordinanza che aveva confermato il sequestro preventivo di somme formalmente appostate in bilancio, riconducibili ad operazioni inesistenti giustificate da false fatturazione, o comunque provento di evasione fiscale, e sottratte alla società senza valida giustificazione economica) (Cass. n. 3397/2012). Le norme incriminatrici dell'infedeltà patrimoniale (art. 2634) e dell'appropriazione indebita (art. 646 c.p.) sono in rapporto di specialità reciproca. L'infedeltà patrimoniale tipizza la necessaria relazione tra un preesistente conflitto di interessi, con i caratteri dell'attualità e dell'obiettiva valutabilità, e le finalità di profitto o altro vantaggio dell'atto di disposizione, finalità che si qualificano in termini di ingiustizia per la proiezione soggettiva del preesistente conflitto. L'appropriazione indebita presenta caratteri di specialità per la natura del bene (denaro o cosa mobile), che solo ne può essere oggetto, e per l'irrilevanza del perseguimento di un semplice vantaggio in luogo del profitto. L'ambito di interferenza tra le due fattispecie è dato dalla comunanza dell'elemento costitutivo della «deminutio patrimonii» e dell'ingiusto profitto, ma esse differiscono per l'assenza nell'appropriazione indebita di un preesistente ed autonomo conflitto di interessi, che invece connota l'infedeltà patrimoniale (Cass. n. 15879/2008). È soggetto alla confisca di cui all'art. 2641 e, pertanto, al sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321, comma 2 c.p.p., ove sussista il fumus commissi delicti della fattispecie criminosa di cui all'art. 2634 c.c. (infedeltà patrimoniale), il bene, oggetto della appropriazione-distrazione che costituisce il prodotto del reato e quindi, il risultato della condotta criminosa, fatta salva la previsione dell'art. 240, comma 3, c.p. (Cass. n. 21458/2005).

Vantaggi compensativi

In tema di reati fallimentari, la previsione di cui all'art. 2634 — che esclude, relativamente alla fattispecie incriminatrice dell'infedeltà patrimoniale degli amministratori, la rilevanza penale dell'atto depauperatorio in presenza dei c.d. vantaggi compensativi dei quali la società apparentemente danneggiata abbia fruito o sia in grado di fruire in ragione della sua appartenenza a un più ampio gruppo di società — conferisce valenza normativa a principi — già desumibili dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensività — applicabili anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente, a fatti di disposizione patrimoniale contestati come distrattivi o dissipativi. Pertanto, ove si accerti che l'atto compiuto dall'amministratore non risponda all'interesse della società ed abbia determinato un danno al patrimonio sociale, è onere dello stesso amministratore dimostrare l'esistenza di una realtà di gruppo, alla luce della quale quell'atto assuma un significato diverso, si che i benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediati negativi dell'operazione compiuta, di guisa che nella ragionevole previsione dell'agente non sia capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società (Cass. n. 49787/2013). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo non è sufficiente allegare tale natura intrinseca, dovendo invece l'interessato fornire l'ulteriore dimostrazione del vantaggio compensativo ritratto dalla società che subisce il depauperamento in favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui essa appartiene (Cass. n. 48518/2011). La diversità degli interessi tutelati dalla legge penale fallimentare e dalla nuova disciplina dei reati societari, introdotta dal d.lgs. n. 61/2002, impedisce che alla materia fallimentare possa applicarsi la norma prevista dall'art. 2634, comma 3, secondo cui non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza allo stesso gruppo societario (Cass. n. 36629/2003).

In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, per escludere la natura distrattiva di un'operazione tra società appartenenti a un gruppo, non è sufficiente allegare tale natura intrinseca, dovendo invece l'interessato fornire l'ulteriore dimostrazione del vantaggio compensativo ritratto dalla società che subisce il depauperamento in favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui essa appartiene. In altri termini, deve essere allegata dall'imputato, a fronte della natura oggettivamente distrattiva dell'operazione, l'esistenza di uno specifico vantaggio derivante dall'atto di disposizione patrimoniale, complessivamente riferibile al gruppo ma altresì produttivo per la fallita di benefici, sia pure indiretti, i quali si rivelino concretamente idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione stessa che derivino anche in favore della fallita (Cass. n. 12198/2022).

Si è altresì precisato che in materia di bancarotta patrimoniale, la mera circostanza della collocazione della società fallita all'interno di un gruppo non esclude la penale rilevanza del fatto, essendo necessaria a tale fine la sussistenza di uno specifico vantaggio, anche indiretto, che si dimostri idoneo a compensare gli effetti immediatamente negativi della operazione per la stessa società, trasferendo su quest'ultima il risultato positivo riferibile al gruppo (Cass. pen. n. 225/2022).

Bibliografia

Alessandri, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, 280; Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, Milano, 2013; 248; Bianconi, Leggi penali complementari, a cura di Padovani, Milano, 2007, 2454; Bricchetti-Pistorelli, La lenta “scomparsa” del diritto penale societario italiano, in Guida dir. 2015, f. 26, 53 ss.; Conti, Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, Bologna-Roma, 2004, 73 s; Foffani, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622), in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A. Giarda e S. Seminara, Padova, 2002, 265; Foffani, Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo - Paliero, Padova, 2003, 1923; Gambardella, Il “ritorno” del falso in bilancio, tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen. 2015, 1722; Lanzi, Quello strano scoop del falso in bilancio che torna reato, in Guida dir. 2015, f. 26, 10 ss.; Micheletti, I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, a cura di Giunta, Torino, 2002, 109; Mucciarelli, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in dirittopenalecontemporaneo.it 2015, 4; Musco, I nuovi reati societari, con la collaborazione di M.N. Masullo, Milano, 2004, 64; Pedrazzi, (voce) Società commerciali (disciplina penale), in Dig. disc. pen., XIII, Torino, 1998, 347 ss.; Perini, I “fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?, in dirittopenalecontemporaneo.it, 27 aprile 2015, 11; Ricci, Il nuovo reato di false comunicazioni sociali, Torino, 2015, 8 ss.; Seminara, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. proc. 2015, 7, 813; Seminara, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni di vigilanza, in Dir. pen. proc. 2002, 677; Zaza, I reati societari. False comunicazioni e tutela del capitale sociale, in Diritto penale dell'impresa (collana diretta da G. Reynaud), Frosinone, 2015, 5 e ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario