Codice Civile art. 2635 - Corruzione tra privati 1 2

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Corruzione tra privati12

[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli  amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra  utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell'ambito organizzativo della società o dell'ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo.3

[II]. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

[III]. Chi,  anche per interposta persona, offre, promette o dà denaro o altra utilità non dovuti alle persone indicate nel primo e nel secondo comma, è punito con le pene ivi previste4.

[IV]. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.5

[V]. Fermo quanto previsto dall'articolo 2641, la misura della confisca per valore equivalente non può essere inferiore al valore delle utilità date, promesse o offerte6.

[1] V. nota al Titolo XI.

[2] Articolo sostituito dall' art. 1, comma 76, l. 6 novembre 2012, n. 190 . Il testo, che era stato modificato dall'art. 15, comma 1, lett. b), l. 28 dicembre 2005, n. 262 e dall'art. 37, comma 36, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39, ed il cui terzo comma era stato inserito dall'art. 39, l. n. 262, cit., recitava: «Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità - [Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni.  La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità.  La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Si procede a querela della persona offesa».

[3] Comma sostituito dall'art. 3, comma 1, lett. a), d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38. Il testo precedente era il seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.».

[4] Comma sostituito dall'art. 3, comma 1, lett. b), d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38. Il testo precedente era il seguente: «Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.».   

[5] Seguiva un originario quinto comma abrogato dall'art. 1, comma 5, lett. a), l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019. Il testo del comma era il seguente: «Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi».

[6] Comma aggiunto dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202.  Successivamente l'art. 3, comma 1, lett. c), d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38 ha sostituito le parole «utilità date o promesse» con le parole «utilità date, promesse e offerte».

Inquadramento

In tema di infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, il nocumento per la società da cui dipende la sussistenza del reato consiste nella lesione di qualsiasi interesse della medesima suscettibile di valutazione economica e non si risolve pertanto nella causazione di un immediato danno patrimoniale. (fattispecie in cui è stata riconosciuta la determinazione di un nocumento nella lesione dell'immagine e della reputazione di un istituto bancario) (Cass. n. 5848/2012). L'atto il cui compimento o la cui omissione integra il delitto di infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità (art. 2635) può essere costituito anche da un parere ovvero dal voto espresso ai fini della formazione della delibera di un organo collegiale della società (Cass. n. 5848/2012).

Il d.lgs.29 ottobre 2016, n. 202, rubricato « Attuazione della direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'unione europea » ha introdotto il sesto comma della norma in commento, stabilendo che la misura della confisca per equivalente non possa in ogni caso essere inferiore al valore delle utilità date o promesse. Successivamente è intervenuto il D.lgs. 15 marzo 2017, n. 38, « Attuazione alla decisione quadro/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa alla lotta alla corruzione nel settore privato », che, sostituendo il primo e terzo comma e modificando il sesto comma dell'art. 2635, ha previsto in primo luogo, la possibilità che le condotte di corruzione tra privati siano realizzate anche per interposta persona; in secondo luogo, si è disposto un ampliamento della categoria dei soggetti punibili per il reato di corruzione passiva tra privati, ricomprendendo anche coloro che nell'ambito organizzativo della società o dell'ente privato esercitano funzioni direttive diverse da quelle esercitate dai soggetti espressamente indicati nella prima parte del primo comma  (amministratori, direttori generali,dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori); si ampliano, inoltre, le condotte sanzionabili, inserendo, nel primo comma, la sollecitazione, accanto alla ricezione e all'accettazione della promessa e, nei commi terzo e sesto, l'offerta; infine, dalla fattispecie, nel primo comma, è stato espunto il riferimento al « nocumento alla società », non essendo più necessario, altresì, l'effettivo compimento o l'omissione di atti.

E' soggetto alla confisca obbligatoria di cui all'art. 2641 e, pertanto, al sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p., il bene utilizzato per commettere il reato di corruzione fra privati, dovendo attribuirsi tale qualifica con riferimento al momento storico del perfezionamento dell'accordo criminoso (e verificando che tale caratteristica sia stata mantenuta nel momento successivo dell'esecuzione dell'accordo) quale mezzo concretamente utilizzato dalle parti per far conseguire ad uno dei soggetti indicati dall'art. 2635 l'utilità illecita, indipendentemente dal fatto che il bene stesso non sia strutturalmente funzionale alla commissione del reato e che successivamente ad essa non abbia conservato una destinazione illecita (Cass. n. 33027/2017).  

Le premesse della riforma

Il d.lgs. n. 38/2017 ha dato attuazione alla delega prevista dall’art. 19 l. n. 170/2016 (legge di delegazione europea 2015), recependo la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio dell’Unione Europea relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato.

L’intervento si innesta nel quadro di un più ampio processo di adeguamento dell’ordinamento interno a fonti internazionali: la Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione internazionale, elaborata a Merida il 31 ottobre 2003 (ratificata dall’Italia con l. n. 116/2009, senza introdurre l’incriminazione della corruzione privata prevista dall’art. 21 della ricordata Convenzione) e le Convenzioni di Strasburgo del 1999, promosse dal Consiglio d'Europa e relative alle conseguenze penali e civili della corruzione (ratificate, rispettivamente, con le l. n. 110/2012 e l. n. 112/2012). Un complesso di energici stimoli sovranazionali volti a favorire l’introduzione nel nostro sistema di nuove fattispecie di reato (cfr. artt. 7 e 8 Convenzione penale di Strasburgo sulla corruzione del 1999), ad inasprire le pene per i reati già previsti ed a disciplinare modelli organizzativi per prevenire il fenomeno corruttivo ( cfr. Di Vizio ).

La corruzione tra privati prima della riforma del d.lgs. n. 38/2017

 

Prima della riforma in commento, l' art. 2635 , nella versione conseguente alle novelle successive al d.lgs. n. 61/2002 ( l. n. 262/2005;   d.lgs. n. 39/2010 , l. n. 190/2012 e d.lgs. n. 202/2016 ), sotto la rubrica “Corruzione tra privati”, sanzionava, ove la condotta non costituisse un più grave reato, due peculiari  forme di corruzione passiva  (per  intranei ): la prima era prevista per gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compivano od omettevano atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società (fattispecie punita con la reclusione da uno a tre anni ex art. 2635, comma 1 ); la seconda era connotata dalla commissione della ricordata condotta da parte di soggetto sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei dirigenti indicati al primo comma (dall'art. 2635, comma 2, sanzionata con la reclusione fino a un anno e sei mesi) (Di Vizio).

Il delitto di corruzione attiva (art. 2635, comma 3) era integrato dalla condotta di chiunque (extraneus) dava o prometteva denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma (punita con le medesime sanzioni della corruzione passiva); forma di corruzione che, in base all'art. 25 ter, comma 1, lett. s-bis, d.lgs. n. 231/2001 importava la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote. In base all'art. 3, d.lgs.  n. 202/2016 veniva aggiunto il comma 6 all'art. 2635 prevedendo che la misura della confisca per equivalente non potesse essere inferiore al valore delle utilità date o promesse.

In esito alla l. n. 190/2012 ed al d.lgs. n. 202/2016, emergeva l'estraneità alla fattispecie penale tipizzata con il nomen iuris di corruzione tra privati : (i) dei soggetti apicali con funzioni di amministrazione e controllo (o sottoposti alla loro direzione o vigilanza) di enti collettivi privati diversi dalle società commerciali; (ii) di coloro che svolgevano attività lavorativa con esercizio di funzioni direttive (non apicali) presso società commerciali, al di fuori di contributi concorsuali nella veste di extranei; (iii) degli intermediari dei soggetti apicali quali soggetti intranei, fatta salva la possibilità di riconnettere ai primi contributi concorsuali quali extranei; (iv) dell'offerta (sul versante della corruzione attiva) e della sollecitazione (sul versante della corruzione passiva) di un indebito vantaggio, se non in quanto poi accolte e dunque elementi dell'accordo corruttivo (rivelato dalla promessa o dazione di denaro o altra utilità) concretamente eseguito; (vi) delle violazioni degli obblighi inerenti all'ufficio o degli obblighi di fedeltà degli apicali nelle funzioni di amministrazione e controllo che non avevano cagionato nocumento alla società; (ivi) dell'istigazione alla corruzione tra privati, sia dal lato attivo (qualora l'offerta o la promessa all'intraneo non sia da questi accettata), che dal lato passivo (qualora la sollecitazione dell'intraneo non sia accolta) (Di Vizio).

Le novità

Il decreto legislativo n. 38/2017 va ad incidere sui vuoti ora evidenziati.

Significative sono le modifiche apportate alla corruzione passiva tra privati, descritta dai primi due commi dell'art. 2635.

In particolare, l'art. 3 del d.lgs. 38/2017 interviene sull'art. 2635  includendo tra gli autori del reato, non solo coloro che rivestono posizioni apicali di amministrazione e di controllo, ma anche coloro che svolgono attività lavorativa mediante l'esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati.

La norma, in particolare, ha inteso individuare un punto di equilibrio tra effettività della tutela e garanzia di tassatività e determinatezza, assumendo compatibile con l'una e con le altre l'estensione dell'applicazione dei reati societari, oltre che a coloro che risultino formalmente investiti della qualifica o titolari della funzione prevista dalla legge civile, tra l'altro, anche chi esercita «in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione». Tale definizione, di stampo funzionale, richiama distinte situazioni soggettive, ovvero: (i) colui che è sprovvisto completamente della qualifica organica, non essendo mai stato nominato e/o designato; (ii) colui che ha ricevuto una nomina nulla o revocata; (iii) colui che è decaduto dalla nomina per differenti ragioni (decorso del termine, sopravvenuta incapacità, etc.) ( Di Vizio).

L'estensione operata con il d.lgs. n. 38/2017, per contro, si connota per più intensa originalità, espandendo le formali figure soggettive primarie delle fattispecie penali in analisi a coloro che svolgono attività lavorativa mediante l'esercizio di funzioni direttive (di gestione e di controllo) non apicali, in quanto sprovvisti di poteri esterni di rappresentanza o direzione. Il riferimento pare inteso a figure impiegatizie direttive “non di prima fascia”, diverse da amministratori, direttori generali, dirigenti prepositi alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori, nonché estranee a dipendenti o collaboratori, direttamente o indirettamente sottoposti, in via legale o contrattuale, a poteri di direzione o vigilanza dei ricordati apicali (Di Vizio).

Persistono dubbi sulla possibilità di ritenere operante l'estensione nel caso degli organi della giustizia arbitrale e dei soggetti che li assistono(come i consulenti tecnici). Secondo l'insegnamento della Corte di Cassazione, infatti, l'arbitrato ha natura privatistica (Cass. pen. VI, n. 5901/2013), costituendo rinuncia all'azione giudiziaria e alla giurisdizione dello Stato nonché opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico (Cass. I, n. 14182/2002). Il lodo arbitrale, quindi, quale decisione per la soluzione sul piano privatistico non è assimilabile ad una pronuncia giurisdizionale, distinzione approfondita dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25 e non incisa dall'art. 819-ter c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 40/2006 (Cass. I,  n. 13246/2011). Gli arbitri sottoscrittori del dispositivo del lodo arbitrale non hanno la veste di pubblici ufficiali autorizzati dalla legge ad attribuire pubblica fede a quella dichiarazioni (Cass. I,  n. 1409/2004). Nondimeno, la relazione tra arbitri e collegi arbitrali presenta delle peculiarità che non la rendono comodamente riferibile alle figure soggettive tipizzate dalla recente novella, con estensione che non è giunta a riconnettervi lo svolgimento di funzioni lavorative "di qualsiasi tipo" ( Di Vizio).

È introdotto il riferimento all'indebito vantaggio per sé o per altri (denaro o altra utilità "non dovuti") in cambio («per compiere o per omettere un atto») della violazione degli obblighi di ufficio e di fedeltà, secondo lo schema della corruzione passiva propria antecedente di stampo pubblicistico. Non è presidiata da sanzione penale la corruzione passiva impropria (soluzione non scontata nel momento in cui il fatto si incentra sul modello lealistico) né quella passiva propria susseguente ( Di Vizio).

Al comma 3 dell'art. 2635 viene riscritta la corruzione attiva tra privati. È prevista la punibilità allo stesso titolo del soggetto "estraneo", ovvero, di colui che, anche perinterposta persona, offre, promette o dà denaro o altre utilità non dovuti a persone indicate nel primo e secondo comma (quest'ultimo, relativo all'ipotesi in cui il fatto sia commesso da chi è soggetto alla direzione o alla vigilanza di un soggetto di cui al primo comma). Anche tale fattispecie incriminatrice (con la correlata ipotesi sanzionatoria) viene estesa alle condotte realizzate nei confronti di coloro che nell'ambito organizzativo dell'ente o della società esercitano a qualsiasi titolo funzioni di direzione non apicali già menzionate al primo comma dell'articolo in esame (Di Vizio). Compare il riferimento all'indebito vantaggio (denaro o altra utilità "non dovuti") per gli intranei, in rapporto sinallagmatico - antecedente o concomitante (come rivelato dalle espressioni «offre, promette o dà») - rispetto alla violazione degli obblighi di ufficio e di fedeltà, secondo lo schema pubblicistico della corruzione attiva propria antecedente e concomitante. 

Le nuove fattispecie registrano un ampliamento delle condotte attraverso le quali si perviene all'accordo corruttivo, individuate, ora, anche nella sollecitazione (per la corruzione passiva, in linea con l'art. 2, par. 1, lett. b, della decisione quadro e con l'art. 322, commi 3 e 4, c.p. dedicato all'istigazione alla corruzione pubblica) e nell'offerta (per la corruzione attiva) di denaro o altra utilità qualora non dovuti da parte, rispettivamente, del soggetto intraneo e dell'estraneo, quali premesse dell'accordo corruttivo, fulcro del disvalore della nuova fattispecie, Di Vizio).

Ancora, viene modificato il sesto comma dell'art. 2635 del codice civile, relativo alla confisca, mediante l'aggiunta delle parole «o offerte» all'espressione «utilità date o promesse», anche al fine di raccordare la previsione alla nuova configurazione della fattispecie incriminatrice.

Indubitabile, infine, che la principale novità della riforma sia rappresentata dall'eliminazione della relazione causale tra la condotta di trasgressione degli obblighi di ufficio e di fedeltà ed il «nocumento alla società»; quest'ultimo elemento viene radicalmente espunto dalla struttura delle fattispecie mentre le condotte trasgressive vengono dislocate dall'elemento oggettivo della fattispecie a quello soggettivo.

Inoltre, è soggetto alla confisca obbligatoria di cui all'art. 2641 c.c. e, pertanto, al sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p., il bene utilizzato per commettere il reato di corruzione fra privati, dovendo attribuirsi tale qualifica con riferimento al momento storico del perfezionamento dell'accordo criminoso (e verificando che tale caratteristica sia stata mantenuta nel momento successivo dell'esecuzione dell'accordo) quale mezzo concretamente utilizzato dalle parti per far conseguire ad uno dei soggetti indicati dall'art. 2635 c.c. l'utilità illecita, indipendentemente dal fatto che il bene stesso non sia strutturalmente funzionale alla commissione del reato e che successivamente ad essa non abbia conservato una destinazione illecita. (Cass. n. 33027/2017, fattispecie di sequestro finalizzato alla confisca di immobile acquistato dal corrotto con mutuo proprio, allo scopo di farne oggetto di un contratto di locazione stipulato con il corruttore che prevedeva la corresponsione di canoni superiore ai ratei mensili di mutuo, consistendo proprio in tale differenza il prezzo del reato di cui all'art. 2635 c.c.; nella circostanza, la S.C. ha ritenuto legittimo il diniego di restituzione dell'immobile anche dopo il venir meno del contratto di locazione, osservando che tale tipo di sequestro richiede solo l'esistenza del nesso strumentale, anche occasionale, fra la res e la perpetrazione del reato, e non esige invece alcun rapporto di stabile asservimento della cosa alla commissione del reato che si traduca in una prognosi di pericolosità connessa alla sua libera disponibilità).

 

Le modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019

L'articolo 1, comma 5, l. n. 3/2019 ha modificato gli artt. 2635 e 2635-bis abrogando, rispettivamente, il comma 5 e il comma 3, con la conseguenza che i reati di  corruzione tra privati  (art. 2635) e istigazione alla corruzione tra privati (art. 2635-bis) diventano perseguibili d'ufficio.

Bibliografia

Bricchetti, La corruzione tra privati, in Diritto pen. soc.  2016, 527; Di VizioLa riforma della corruzione tra privati, Il quotidiano giuridico, in Quot. giur. 2017;  Seminara, Il reato di corruzione tra privati, in Soc.  2013, 1, 61.

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