Codice Civile art. 2702 - Efficacia della scrittura privata.Efficacia della scrittura privata. [I]. La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso [221 ss. c.p.c.], della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta [2703; 214, 215 c.p.c.; 178, 775 c. nav.]. InquadramentoLa norma in commento assume rilievo centrale in materia di prova documentale, in quanto definisce la scrittura privata, seconda categoria di documenti, cui la legge riconosce efficacia probatoria semplice. La disposizione indica l'efficacia probatoria della scrittura privata, equiparandola, in presenza di determinate condizioni, all'atto pubblico. Tali condizioni consistono nel riconoscimento processuale da parte di colui nei confronti del quale la scrittura è prodotta o di un riconoscimento legale; in tali casi, la scrittura è equiparata in tutto e per tutto all'atto pubblico attaccabile, quindi, solo con lo strumento della querela di falso. Occorre precisare che secondo un orientamento giurisprudenziale univoco (Cass. II, n. 12695/2007) la scrittura privata riconosciuta fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal soggetto che l'ha formato ma non certo in ordine alla veridicità del contenuto dell'atto stesso. Nozione di scrittura privata ed elementi costitutiviPer esaminare il concetto di scrittura privata occorre partire dal dato normativo. Ma la legge non definisce la scrittura privata lasciando tale privilegio soltanto all'atto pubblico. Argomentando a contrario dall'art. 2699 si può desumere che la scrittura privata è quel documento redatto da un soggetto diverso dal notaio o dal pubblico ufficiale indicati dalla norma (Conte, 83), sicché la sua nozione si ricava: in positivo, identificandola con un documento scritto e sottoscritto; in negativo, in base all'assenza dell'esercizio di una pubblica funzione certificativa (Comoglio, 320). Elementi della scrittura privata sono: (i) il supporto materiale o cartaceo sul quale viene redatto i.e. il documento (che oggi deve confrontarsi anche con la nozione di documento informatico di cui al d.lgs. n. 82/2005); (ii) il contenuto, cioè l'insieme dei segni riportati sul medesimo; (iii) la data che non deve essere intesa in senso stretto come indicazione di giorno, mese ed anno del documento, ma anche solo come indicazione di atti o fatti che ne permettano la collocazione cronologica (c.d. computabilità del documento) —a tal riguardo si rammenta il disposto dell'art. 2704 il quale detta specifiche regole per le scritture prive di sottoscrizione-; (iiii) la sottoscrizione ovvero la scrittura del proprio nome che una persona fa in calce al documento e che, secondo la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie è elemento indefettibile per l'uso giudiziale della scrittura privata (in effetti le scritture non sottoscritte non devono essere formalmente disconosciute da colui contro il quale vengono prodotte così come per le stesse non è ammissibile la procedura di verificazione). Per ciò che nello specifico attiene alla sottoscrizione si soggiunge come la stessa debba essere autografa, cioè apposta di proprio pugno dalla persona cui risultano provenire le dichiarazioni. La sottoscrizione deve risultare chiara e decifrabile, così da poter risalire con certezza al suo autore. Secondo la giurisprudenza di legittimità la produzione in giudizio di una scrittura privata non firmata da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, ma non può determinare identico effetto nei confronti della controparte, neppure quando quest'ultima non ne abbia impugnato la provenienza, poiché le scritture non firmate non rientrano nel novero di quelle aventi valore giuridico formale e non producono, quindi, effetti sostanziali e probatori. Ne consegue che la parte contro la quale esse siano state prodotte, non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ex art. 215 c.p.c., norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell'art. 2702, l'unico elemento grafico in virtù del quale - salvi i casi diversamente regolati (artt. 2705, 2707, 2708 e 2709) - la scrittura diviene riferibile al soggetto da cui proviene e può produrre effetti a suo carico (Cass. II, n. 30948/2018). Efficacia probatoria della scrittura privataL'esame dell'efficacia probatoria della scrittura privata non può che prendere le mosse dal dato normativo, secondo cui la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta. Da ciò si ricava che il sistema normativo non contempla un'efficacia probatoria tipica della scrittura privata in sé e per sé, stabilendo, invece, un'equiparazione in presenza di determinati elementi. Nel caso in cui la scrittura privata venga riconosciuta la stessa assume quell'efficacia probatoria privilegiata tipica dell'atto pubblico (“Fa piena prova fino a querela di falso”); al contrario, se il riconoscimento non avviene, la scrittura è tamquam non esset, cioè priva di qualsiasi rilievo processuale (può assumere valore indiziario). Invero, ci sono delle ipotesi in cui la scrittura privata rileva come prova semplice, come quelle previste dagli artt. 474 e 634, comma 1, c.p.c., ma in realtà tali eccezioni sono giustificate dalla peculiarità dei procedimenti in cui si inseriscono (Conte, 87). In ogni caso, come anticipato, l'efficacia probatoria della scrittura privata, come prevista dall'art. 2709 è espressamente limitata alla provenienza del documento, prescindendo dal suo contributo intrinseco (Cass. II, n. 12695/2007). A riprova di ciò il giudice di legittimità (Cass. II n. 12683/2017) ha affermato che non costituisce illecito disciplinare del notaio la autenticazione di una scrittura di contenuto confessorio considerato che l’autenticazione , pur se il documento fosse destinato ad un’inammissibile utilizzazione processuale quale prova legale, si limita ai profili estrinseci del documento. Riconoscimento e disconoscimentoLa circostanza che un documento risulti sottoscritto non è sufficiente ad attribuirgli l'efficacia di prova legale. Il primo strumento previsto dal codice di rito per ottenere tale efficacia è costituito dal riconoscimento della scrittura privata da parte di colui che l'ha realizzata e sottoscritta. Il riconoscimento giudiziale viene disciplinato dal codice di rito attraverso due norme che disciplinano da un lato il riconoscimento espresso e dall'altro il riconoscimento tacito. Il primo è previsto dall'art. 214, comma 1, c.p.c. e statuisce che colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o sottoscrizione; il secondo è contemplato nell'art. 215, comma 1, c.p.c. il quale dispone che “ La scrittura privata si ha per riconosciuta: 1) se la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace, salva la disposizione dell'articolo 293 terzo comma; 2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”. Il disconoscimento della sottoscrizione va effettuato tempestivamente, ossia nella prima udienza o nella prima difesa successiva alla sua produzione, ovvero nel termine fissato dal giudice su istanza della parte in caso di produzione in copia autentica. Secondo la giurisprudenza, il termine per il disconoscimento (Cass. II, n 8920/2001) è perentorio e non prorogabile (Cass. III, n. 9159/2002), ma la sua violazione non è rilevabile d'ufficio (Cass. III, n. 1300/2002). Il contumace può disconoscere l'efficacia delle scritture prodotte contro di lui anche in sede di costituzione tardiva (art. 293 c.p.c.). Il disconoscimento deve essere formale (art. 214 c.p.c.): ciò non implica formule sacramentali, ma richiede una formulazione inequivoca (Cass. lav., n. 11911/2003). Esso non può compiersi in sede stragiudiziale (Cass. I, 4121/1985). Può essere compiuto dal difensore (Cass. III, n. 15502/2000), poiché non comporta disposizione del diritto in contesa (Cass. I, n. 9829/1990), e non può contenere riserve o condizioni (Cass. lav., n. 4115/1979). In posizione intermedia (Cass. II, n. 22460/2017) secondo la quale il riconoscimento della scrittura privata può essere anche implicito e in sede extragiudiziaria impedendo il disconoscimento in sede giudiziaria, come nel caso di contratto agrario prodotto ai fini del tentativo preventivo di conciliazione, senza disconoscimento di firma venga poi disconosciuto in giudizio. Verificazione e querela di falsoSe la sottoscrizione non autenticata viene disconosciuta non può prodursi l'effetto previsto dalla norma in commento, a meno che la controparte ne chieda ed ottenga la verificazione giudiziale. La verificazione può proporsi in via principale o in via incidentale (artt. 216 ss. c.p.c.). Più frequente è quest'ultima ipotesi che si ha quando la parte che, nel corso di un processo, ha prodotto, a fini probatori, una scrittura privata, intende valersene, pur di fronte al disconoscimento della controparte. Perciò dovrà a tal fine proporre un'azione incidentale di accertamento nello stesso processo in cui la scrittura è stata prodotta. Per proporre tale domanda sarà sempre necessario il requisito dell'interesse ad agire, nella specie dato dalla rilevanza della scrittura come prova nel processo principale e dall'insufficienza delle altre prove esistenti. La domanda di verificazione può proporsi anche in via principale, cioè in un processo ad hoc. L'interesse ad agire consisterà in tal caso nella possibilità di dover utilizzare la scrittura a fini probatori in un futuro processo oppure in via stragiudiziale (ad es. per trascrizioni, iscrizioni etc.). Sull'istanza di verificazione, in qualsiasi modo sia proposta, pronuncia sempre il Collegio con sentenza; se riconosce che la sottoscrizione o la scrittura provengono dalla parte che le ha negate, nella stessa sentenza può condannare quest'ultima al pagamento di una pena pecuniaria. Il giudizio di verificazione si differenzia dal processo per querela di falso perché può avere ad oggetto solo una scrittura privata non riconosciuta ed accerta solo la provenienza dell'atto (ossia l'autenticità della sua sottoscrizione), mentre la querela di falso accerta la genuinità di un documento, la sua effettiva provenienza o attribuzione alla persona che se ne dichiara autore, al fine di predisporre uno strumento probatorio irrefutabile. Nel procedimento di verificazione è ammesso ogni tipo di prova, anche se per lo più si ricorre alla consulenza tecnica, mediante la comparazione grafica tra la sottoscrizione da verificare ed altre scritture sicuramente provenienti dalla parte che ha disconosciuto il documento. Secondo la giurisprudenza la proposizione in via incidentale dell'istanza di verificazione di una scrittura disconosciuta non richiede formule particolari e non esige la formale apertura di un procedimento incidentale quando gli elementi già acquisiti siano sufficienti per la pronuncia (Cass. II, n. 890/2003). Ovviamente grava su chi chiede la verificazione l'onere di provare l'autenticità della sottoscrizione (Cass. trib, n. 1572/2007). Se invece in seguito al disconoscimento la controparte non richiede la verificazione, la giurisprudenza costante ritiene che si formi una presunzione assoluta di non volersi valere del documento (Cass. III, n. 17454/2006). In questo senso, la più recente giurisprudenza conferma che la mancata istanza di verificazione di un documento disconosciuto – alla cui proposizione l’art. 216 c.p.c. subordina l’efficacia probatoria dello stesso - produce l’effetto di precludere al giudice ogni valutazione utile per la formazione del proprio convincimento in ordine all’autenticità del documento. Altresì, si chiarisce la sostanziale equivalenza, a tali fini, tra mancata richiesta di verificazione e rinuncia alla stessa, con la conseguenza che il documento sarà in entrambi i casi inutilizzabile e privo di alcuna valenza probatoria tanto nei confronti della parte che lo ha disconosciuto, quanto di quella che lo ha prodotto (Cass. S.U., n. 3086/2022) In dottrina si è affermato che di tale presunzione non si trova esplicita traccia nella legge (Patti 84), ma si trascura la dizione dell'art. 216 c.p.c. Tuttavia tale norma non porta necessariamente a concludere che la scrittura privata disconosciuta e non verificata, oltre a non poter essere fatta valere come scrittura privata nei confronti di chi l'abbia disconosciuta, e quindi a non poter produrre gli effetti previsti dalla norma in commento nei confronti di colui contro il quale è stata prodotta, diventi addirittura priva di ogni valore probatorio. Secondo Cass. III, n. 17810/2020 la conformità della riproduzione cartacea delle risultanze di un sito internet può essere oggetto di contestazione ai sensi dell'art. 2712 c.c. e delle norme del codice dell'amministrazione digitale, ma al giudice è sempre consentito - anche d'ufficio ai sensi dell'art. 447-bis, comma 3, c.p.c., se applicabile - l'accertamento della contestata conformità con qualunque mezzo di prova, inclusa la richiesta di informazioni al gestore del servizio ai sensi dell'art. 213 c.p.c. ovvero, come nella specie, mediante verifica diretta del sito. Sul fronte processuale il giudice di legittimità con Cass. II, n. 4946/2016 chiarisce che il mutamento della scrittura da sottoporre a verificazione rispetto alla richiesta di accertamento dell'autenticità di altro documento, già prodotto, ma diverso da quello oggetto della originaria istanza di verificazione costituisce domanda nuova e pertanto non spendibile per la preclusione di cui all'art. 184 c.p.c. (vigente ratione temporis) ed inammissibile ove formulata in appello, ex art. 345 c.p.c. Nel caso, invece, di riconoscimento tacito della scrittura privata, secondo il modello previsto dall'art. 215 c.p.c., il giudice di legittimità con Cass. III, n. 7634/2016 ha chiarito che essa opera solo nell'ambito del singolo giudizio dovendosi escludere l'efficacia ultrattiva di quel riconoscimento e le conseguenze che ne derivano-. Ne deriva che ove la scrittura sia prodotta in altro giudizio onde farne derivare effetti diversi, la parte può disconoscerla senza preclusioni. Ipotesi ben diversa da quello dell'accertamento specifico con valore di giudicato dell'autenticità della scrittura privata prodotta in precedente giudizio. Secondo Cass. II, n. 17713/2019 nel caso di scrittura privata autenticata all'estero da notaio straniero, l'autenticazione della firma avvenuta tramite il procedimento previsto dalla Convenzione dell'Aja (ratificata e resa esecutiva con l. n. 1253 del 1966) non esime il notaio dall'obbligo di accertare l'identità della persona che sottoscrive l'atto, atteso che il rispetto della "lex fori" italiana richiede che dall'autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione è stata apposta alla presenza del notaio e che questi ha accertato l'identità del sottoscrittore. Scritture provenienti da terziL'efficacia di prova legale prevista dalla norma in commento opera solo nei confronti della controparte, sicché le scritture private provenienti da terzi costituiscono in generale prove liberamente valutabili (salvi ovviamente gli effetti di prova legale derivanti da altre disposizioni: ad es., in caso di autenticazione, quelli di cui all'art. 2703). In particolare ricade su chi le produce, sia in presenza di contestazione sia in mancanza di ammissione della parte contro cui sono prodotte o acquisite, l'onere della prova della loro provenienza eventualmente anche con la testimonianza del sottoscrittore stesso. L'autenticità della scrittura privata proveniente da terzi, ove venga contestata, può essere accertata con qualsiasi mezzo e rimane affidata al libero apprezzamento del giudice, senza necessità per la parte che l'abbia prodotta di ricorrere al procedimento di verificazione, concernente soltanto le scritture disconosciute dalla parte alla quale sono attribuite (Cass. I, n. 6134/1991). Secondo Cass.. I, n. 27362/2022 qualora una scrittura privata sia prodotta in giudizio dalla medesima parte che deduce la non autenticità della propria apparente sottoscrizione non trovano applicazione gli articoli 214 e 215 c.p.c., i quali esigono al pari dell'art. 2702 c.c., che il documento del quale si alleghi la falsità della firma sia stato prodotto in giudizio dall'altra parte, e non dall'apparente sottoscrittore. BibliografiaCendon, artt. 2697-2739. Prove, in Commentario al codice civile, Milano, 2009; Comoglio, Le prove civili, Torino, 2004; Conte, artt. 2697- 2730. Prove, Commentario al cod. civ., a cura di Cendon, Milano, 2008; Denti, La verificazione delle prove documentali, Torino, 1957; Patti, Della prova documentale, Bologna-Roma, 1996; Rizzo, Data, data certa, in Dig. civ., V, Torino, 1989; Tommaseo, in Comm. Cendon, VI, Torino, 1991; Verde, Prova documentale, in Enc. giur., XXV, Roma, 1991. |