Codice Civile art. 2933 - Esecuzione forzata degli obblighi di non fare.

Donatella Salari

Esecuzione forzata degli obblighi di non fare.

[I]. Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo [612 ss. c.p.c.].

[II]. Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale.

Inquadramento

La disposizione in esame, come la precedente, offre tutela alla parte che ha correttamente adempiuto e le assicura una concreta soddisfazione nell'ipotesi di obblighi di non facere. La norma in esame, prevedendo la distruzione, a spese dell'obbligato, di quanto è stato fatto in violazione dell'obbligo negativo di non fare, sembra essere esattamente simmetrica all'art. 2931, ai sensi del quale, al fine di adempiere all'obbligo positivo di fare, deve essere compiuto, a spese dell'obbligato, quanto non è stato fatto (Denti, 207): la violazione dell'obbligo di non fare importa l'imposizione di un obbligo di fare, atteso che il distruggere si risolve comunque in un'attività positiva. L'esecuzione forzata degli obblighi sia di fare sia di non fare si realizza attraverso il compimento di operazioni di tipo positivo le quali ricevono unitaria disciplina processuale negli artt. 612-614 c.p.c. Da ciò non discende la perfetta identità tra la disposizione in esame e l'art. 2931, atteso che, contrariamente a quanto previsto per gli obblighi di fare, ogni fatto compiuto in violazione di un obbligo di non fare costituisce di per sé inadempimento (come si ricava dalla disciplina dell'inadempimento di obbligazioni negative ex art. 1222) inoltre, non opera il limite dell'infungibilità della prestazione posto che la distruzione di quanto è stato fatto è operazione per sua natura fungibile (Busnelli, 382). Per ciò che attiene alla natura dell'esecuzione forzata degli obblighi di non fare valgono le medesime considerazioni svolte sub art. 2931.

Il pregiudizio all'economia nazionale

L'esecuzione forzata degli obblighi di non fare incontra due diversi limiti: il primo di questi deriva, per la dottrina, dalla necessità che quanto è stato fatto in violazione a un obbligo di non fare sia suscettibile, per sua natura, di essere distrutto (Busnelli, 382; Mandrioli, 533); il secondo limite è, invece, espressamente previsto dalla legge, precisamente dal comma 2 della norma in commento, e consiste nel divieto di ricorrere alla distruzione, quando sia di pregiudizio all'economia nazionale. Qualora ricorra questa ipotesi, l'interesse privato dell'avente diritto all'esecuzione specifica viene sacrificato a favore dell'interesse pubblico, degradandosi la tutela specifica in un mero risarcimento pecuniario quantificato in relazione al danno subito. Tale limite di tutela, in quanto eccezionale, non è suscettibile di applicazione analogica, con la conseguenza che sussiste esclusivamente in presenza di obblighi di non fare in senso stretto. L'accertamento del pregiudizio all'economia nazionale costituisce valutazione di fatto, legata al contingente momento storico e socio-economico, e, come tale, discrezionale e riservata all'autorità giudiziaria, che deve orientarsi in base ai criteri costituzionali e alle programmazioni pubbliche di settore (Busnelli, 382; Mazzamuto, 293; Mandrioli, 553).

Ambito di applicabilità

Rientrano nell'ambito applicativo della disposizione in esame gli obblighi di non fare: 1) espressamente previsti dalla legge, in tema di rapporti di vicinato e di servitù (artt. 1067 e 1079); 2) derivanti da un generico dovere di astensione; 3) nascenti da un rapporto concorrenziale, posto che la sentenza che accerti il compimento di atti di concorrenza sleali, inibendone la continuazione, impartisce gli opportuni provvedimenti affinché ne siano eliminati gli effetti, anche ordinando la distruzione di cose o prodotti ai sensi della norma in esame (art. 2599) (Mandrioli, 553; Mazzamuto, 289); 4) nascenti da un rapporto personale di carattere negoziale, anche di contenuto atipico (art. 1322; Mazzamuto, 290).

La legittimazione attiva a chiedere l'esecuzione forzata di cui alla norma in esame non compete solo al singolo o gruppo avente diritto all'obbligo di non fare, ma anche, in presenza di una disposizione espressa, ai portatori di un interesse proprio che corrisponde a un altrui diritto, come nel caso — previsto dall'art. 28 st. lav. — degli organismi locali di associazioni sindacali nazionali che possono chiedere la cessazione del comportamento illegittimo, anche se lesivo non delle loro prerogative ma dei diritti sindacali di alcuni lavoratori, e la rimozione degli effetti (suscettibile di esecuzione ex art. 2933) (Mazzamuto, 292).

Si segnala la casistica giurisprudenziale in ordine: alla legittimazione alla confessoria servitutis (Cass. II, n. 1383/1994); all'ipotesi di violazione del generale dovere di astensione del neminem laedere (Cass. II, n. 11744/2003); obbligo di non fare discendente da un rapporto contrattuale, in tema di locazione (Cass. III, n. 18/1988); dell'esecuzione forzata degli obblighi di non fare nel condominio di edifici (Cass. II, n. 10314/1991).

Un'ipotesi particolare di obbligo di non fare suscettibile di esecuzione forzata ai sensi dell'art. 2933 è costituita per giurisprudenza costante dalla violazione delle norme del codice civile sulle distanze fra gli edifici e quelle, ivi richiamate, dei regolamenti edilizi locali, che disciplinano, eventualmente, la materia in modo diverso (art. 872), atteso che le stesse fondano, nelle controversie fra privati, il diritto soggettivo di colui che si ritenga danneggiato dalla violazione al risarcimento del danno ed alla riduzione in pristino ovvero allo spostamento della costruzione alla distanza prescritta da tali fonti normative (Cass. S.U., n. 6582/1994).

Profili processuali e i rapporti con le procedure esecutive in forma generica

Per ciò che concerne la disciplina processuale si rimanda al commento di cui all'art 2931.

Bibliografia

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