Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore sono prove valide ai fini giuridici

La Redazione
06 Ottobre 2016

Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore fallimentare possono essere utilizzate a fini probatori non essendo soggette alla disciplina ex art. 63, comma 2, c.p.p., in quanto il curatore non appartiene alle categorie indicate da detta norma, e la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti dell'art. 220 disp. coord. c.p.p. Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 41429 pubblicata il 3 ottobre 2016.

Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore fallimentare possono essere utilizzate a fini probatori non essendo soggette alla disciplina ex art. 63, comma 2, c.p.p., in quanto il curatore non appartiene alle categorie indicate da detta norma, e la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti dell'art. 220 disp. coord. c.p.p. Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 41429 pubblicata il 3 ottobre 2016.

La vicenda. La Corte d'appello confermava la condanna disposta dal giudice di primo grado in capo all'amministratore unico di una società per i delitti di bancarotta patrimoniale e preferenziale. L'imputata ricorreva in Cassazione deducendo la violazione dell'art. 606, lett e), c.p.p., per contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione a tutte le distrazioni del fondo cassa che le erano state attribuite, perché fondate esclusivamente sulle dichiarazioni che la stessa aveva rilasciato al curatore fallimentare, senza la presenza di un difensore e in assenza di altri elementi di prova che ne confermassero l'attendibilità, come invece richiesto dalla sentenza della Cassazione Penale n. 20090/2015.

Possono essere prova le dichiarazioni rese al curatore. Il ricorso è dichiarato inammissibile. La S.C., con riferimento alla contestata utilizzabilità come prova in giudizio di quanto dichiarato dall'imputata al curatore, richiama e conferma l'orientamento già espresso in passate occasioni (tra cui Cass. Pen.- Sez. 5, 25 settembre 2013, n. 46422). Tali dichiarazioni non sono soggette alla disciplina prevista dall'art. 63, comma 2, c.p.p. perché il curatore non è un soggetto che può ritenersi appartenente alle categorie indicate dalla citata norma, né la sua attività può essere considerata alla stregua di un'attività di amministrazione e vigilanza ex art. 220 disp. coord. c.p.p.

Ambito di applicazione del principio della corroboration. Inoltre, il principio della necessaria corroboration delle dichiarazioni rese al curatore, espresso nella sentenza n. 20090/2015 e richiamato dalla ricorrente, non può trovare applicazione nel caso di specie, perché si riferisce esclusivamente all'ipotesi in cui le persone esaminate dal curatore rivestano il ruolo d'indagati o imputati nel medesimo procedimento o in procedimento connesso o collegato.

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