Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare
21 Maggio 2016
Inquadramento
Il d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto nel codice di procedura civile una disposizione generale dedicata alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (art. 492-bis), in modo tale da rafforzare la tutela del creditore in sede esecutiva (e non solo) rispetto a quanto già aveva fatto la l. n. 80 del 2005. La nuova norma contribuisce, insieme ad altre (come, ad esempio, il nuovo art. 1284 c.c. sul saggio degli interessi nonché l'art. 2929-bis c.c. sulla c.d. revocatoria eventuale e differita), a fornire al creditore strumenti idonei a porre rimedio alle situazioni patologiche che consentono al debitore di avvantaggiarsi delle inefficienze dell'ordinamento giuridico e del processo in particolare. Ed infatti, se il nuovo art. 1284 c.c. mira a fronteggiare il basso costo della resistenza in giudizio e l'art. 2929-bis mira a consentire di poter agire direttamente in via esecutiva su un bene oggetto di atto di disposizione a titolo gratuito senza dover attendere i tempi (lunghi) dell'azione revocatoria (e del passaggio in giudicato della relativa sentenza), l'art. 492-bis mira a ridurre l'asimmetria informativa tra creditore e debitore circa la consistenza patrimoniale del secondo. Analizzeremo, quindi, i presupposti di operatività della nuova disposizione, le modalità di accesso alle banche dati (ivi compresa la richiesta di autorizzazione al presidente del Tribunale e le forme del pignoramento a seguito dell'accesso alle banche dati), nonché l'utilizzabilità dello strumento in ambiti diversi dall'espropriazione forzata. Come accennato, l'introduzione dell'art. 492-bis c.p.c. risponde all'avvertita esigenza di mettere a disposizione del creditore, prima dell'inizio dell'espropriazione forzata, uno strumento potenzialmente in grado di rendere effettiva la previsione dell'art. 2740 c.c. secondo cui «il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri». Ed infatti, nonostante il vincolo del patrimonio del debitore all'adempimento (anche coattivo) delle proprie obbligazioni ed il fatto che il codice di rito presupponga una conoscenza in capo al creditore dei beni del debitore (come, ad esempio, nel caso del pignoramento presso terzi), mancava una norma generale che consentisse al creditore di avere un quadro informativo tale da poter assumere scelte consapevoli in sede di espropriazione forzata (evitando, ad esempio, i c.d. “pignoramenti a pioggia”). Gli unici strumenti a disposizione del creditore erano rappresentati dall'accesso alle banche dati liberamente consultabili «da chiunque» (ad esempio, i registri immobiliari e il pubblico registro automobilistico), dall'accesso ai documenti amministrativi previsto dell'art. 22 l. n. 241 del 1990 ed anche dall'art. 21 disp. Att. c.p.p. La legge n. 80 del 2005
La prima modifica di un certo rilievo del codice di procedura civile volta a realizzare l'interesse del creditore alla conoscibilità del patrimonio del debitore, avvenne ad opera della l. n. 80 del 2005, che introdusse nell'art. 492 c.p.c., tre importanti disposizioni per la ricerca delle cose da pignorare.
Tuttavia, queste nuove modalità di ricerca dei beni erano subordinate alla constatazione che «beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti ovvero per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione». Erano, quindi, necessari sia la previa attivazione di un pignoramento, sia un verbale di pignoramento negativo con la precisazione che «la redazione di un verbale di pignoramento che si qualifichi semplicemente come «mancato», in quanto rinvenuto domicilio chiuso (c.d. porta chiusa) da parte dell'ufficiale giudiziario al momento dell'accesso, non appare presupposto sufficiente per l'espletamento dell'indagine patrimoniale sul debitore, in quanto è mancata una ricerca effettiva dei beni e delle cose appartenenti a quest'ultimo nell'ambito del suo domicilio». In ogni caso, poi, l'Ufficiale giudiziario, all'esito dell'accesso, avrebbe potuto (rectius: dovuto) riferire al creditore procedente i risultanti dell'accesso soltanto nei limiti di quanto necessario «in proporzione al valore del credito azionato aumentato della metà». Il quadro normativo e (soprattutto) applicativo appena delineato, ha indotto il legislatore nel 2014 (e poi nel 2015) a modificare profondamente le modalità di ricerca telematica dei beni da pignorare introducendo una norma ad hoc nel c.p.c., l'art. 492-bis, rubricata "Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare" e precisando che la legittimazione alla richiesta spetta, oggi, al «creditore» (non più necessariamente «procedente»). Ciò significa che il creditore legittimato alla richiesta ex art. 492-bis c.p.c. è il creditore munito di titolo esecutivo, che abbia già provveduto a notificare il precetto (che non dovrà essere perento per decorrenza del termine di 90 giorni alla data del provvedimento autorizzatorio). Il creditore, per avvalersi dello strumento dell'art. 492-bis c.p.c., dovrà ottenere l'autorizzazione del presidente del Tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Quell'istanza potrà essere presentata sia in forma cartacea che telematica al Presidente del Tribunale che agirà in sede di volontaria giurisdizione.
L'istanza è soggetta al versamento del contributo unificato di € 43, senza però la necessità di versare anche gli € 27 previsti come anticipazione delle spese ai sensi dell'art. 30 d.P.R. 115/2002. L'istanza, che secondo la maggior parte degli autori rappresenta una domanda giudiziale, è atto che deve essere compiuto attraverso il ministero di un avvocato del quale deve contenere l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ordinaria, il numero di fax nonché, ai fini dell'articolo 547, dell'indirizzo di posta elettronica certificata, e alla quale deve essere allegato il titolo esecutivo e il precetto notificato rispetto al quale sia decorso il termine dilatorio di dieci giorni, ma non sia perento per il decorso del termine di novanta giorni.
A seguito della presentazione dell'istanza il presidente del Tribunale, ovvero un giudice da lui delegato, dovrà verificare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata ed, in caso positivo, autorizzare la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. Il provvedimento di autorizzazione del presidente del Tribunale, privo di qualsiasi discrezionalità, avrà ad oggetto la mera verifica del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (id est la presenza di un titolo esecutivo nei confronti del debitore esecutando e del precetto notificato) e non potrà mai interferire con l'eventuale successivo giudizio di opposizione all'esecuzione promosso dal debitore esecutato che eventualmente contesti quel diritto. E ciò perché, il provvedimento di autorizzazione, emesso all'esito di un procedimento inaudita altera parte, non è un provvedimento idoneo al giudicato sostanziale risolvendosi in una mera autorizzazione procedimentale in sede di volontaria giurisdizione. Si potrebbe però porre il problema, già sollevato in dottrina, dell'individuazione dei mezzi a disposizione del creditore avverso il provvedimento negativo; in linea teorica, potrebbero consistere in:
Una volta conclusa positivamente la verifica del diritto di procedere ad esecuzione forzata, e senza alcuna necessità che il creditore procedente abbia previamente tentato un pignoramento negativo, ovvero abbia dato luogo ad un pignoramento insufficiente o infruttuoso, il presidente del Tribunale autorizzerà l'ufficiale giudiziario all'accesso. Peraltro, sebbene la regola appaia quella secondo cui l'accesso alle banche dati debba avvenire ad opera dell'ufficiale giudiziario (che procederà al pignoramento e avrà anche diritto ad un maggiore compenso per l'attività prestata), occorre dire che, ad oggi, la prassi dimostra come la regola sia quella secondo cui l'accesso alle banche dati avvenga ad opera del creditore, poiché gli uffici degli ufficiali giudiziari non sembrerebbero attrezzati per potervi provvedere. In ogni caso, l'art. 155-quinquies disp. att. c.p.c. (Accesso alle banche dati tramite i gestori) prevede espressamente questa ipotesi, stabilendo che «quando le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l'accesso diretto da parte dell'ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all'art. 492-bis del codice e a quelle individuate con il decreto di cui all'art. 155-quater, comma 1, non sono funzionanti, il creditore, previa autorizzazione a norma dell'art. 492-bis, comma 1, c.p.c., puo' ottenere dai gestori delle banche dati previste dal predetto articolo e dall'art. 155-quater di queste disposizioni le informazioni nelle stesse contenute». Nel caso in cui il presidente del Tribunale abbia autorizzato il creditore ad accedere alle banche dati, sarà onere del creditore interrogarle. A tal proposito la prassi ha fatto emergere alcuni aspetti che meritano di essere esaminati.
In primo luogo l'accesso alle banche dati deve essere gratuito, sia che avvenga ad opera dell'ufficiale giudiziario, sia che avvenga ad opera del creditore. Da ciò deriva l'assoluta illegittimità della prassi dell'Agenzia delle Entrate, che richiede al creditore il versamento dei tributi speciali previsti dalla tabella A del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648. Per l'Agenzia delle Entrate, infatti, «l'art. 155-quater disp. att. c.p.c. prevede la gratuità del servizio di accesso, senza operare alcun riferimento alla debenza dei tributi speciali, il cui pagamento è escluso solo nei casi in cui vi sia una specifica disposizione di legge». Tale interpretazione è confermata dall'art. 6, comma 5-quater del d.l n. 16/2012 (come modificato dalla Legge di conversione) che prevede espressamente, in altra fattispecie, l'accesso «gratuito e in esenzione da tributi». Senonché, il creditore ha già versato il contributo unificato dovuto che deve intendersi – per espressa previsione normativa (come riconosciuto del resto, in altra fattispecie quale quella delle certificazioni anagrafiche) del d.P.R. n. 115/2002 – come idoneo ad assorbire ogni altro tributo per atti connessi (come questo) al processo.
In secondo luogo, si è posto il problema di sapere quale sia il termine entro il quale il responsabile della banca dati interpellata deve fornire il riscontro all'istanza di accesso ex art. 492-bis c.p.c. L'evasione della richiesta non può essere soggetta al termine generale previsto dalla normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi ,ovvero di conclusione del procedimento amministrativo a norma della legge n. 241 del 1990. Non vi può essere infatti alcun dubbio che la richiesta rivesta un carattere di urgenza: il termine di efficacia del precetto è soggetto a scadenza ed entro quel termine il creditore deve aver provveduto alla notificazione del pignoramento. In ogni caso, quella richiesta dovrà essere evasa per ragioni di giustizia ai sensi del combinato disposto degli artt. 492-bis c.p.c. (Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare), 155-quater (Modalità di accesso alle banche dati), 155-quinquies disp. Att. c.p.c. (Accesso alle banche dati tramite i gestori) e 328 c.p. (Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione) nel tempo più celere possibile senza, peraltro, che il responsabile possa in qualche modo sindacare il provvedimento autorizzatorio del presidente del Tribunale. Ne deriva che, laddove la richiesta non sia evasa tempestivamente, si potrebbe ipotizzare l'astratta configurabilità di responsabilità civili e penali in capo al Gestore della Banca dati (o chi per esso) quando, per esempio, non avendo dato tempestivo ed efficace seguito alla richiesta ha causato la perenzione del precetto (e quindi la necessità di nuova notifica del titolo esecutivo), ovvero ha ritardato la notificazione del pignoramento e, quindi, il differimento degli effetti protettivi del pignoramento previsti dall'art. 2912 e segg. c.c. La gestione delle informazioni ad opera del creditore
Una volta ottenute le informazioni per effetto dell'interrogazione delle banche dati il creditore potrà acquisire, conservare e, soprattutto, utilizzare quelle informazioni. A tal proposito, il Tribunale di Mantova, con il provvedimento del 3 febbraio 2015, ha avuto modo di precisare che «i dati ottenuti dovranno essere gestiti dal procuratore che li riceve nel rispetto delle cautele a tutela della riservatezza già previste per tutti i dati sensibili delle parti in suo possesso». Ecco allora che al debitore saranno riconosciuti nei confronti del creditore (ma anche nei confronti del procuratore) i diritti riconosciuti dal d.lgs. n. 196/2003 ivi compresa, ad esempio, la possibilità di chiedere l'inibizione del trattamento dei dati ottenuti o conservati in violazione delle disposizioni di legge. Il provvedimento del presidente del Tribunale autorizzerà l'Ufficiale giudiziario ad accedere «mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti».
Una volta terminate le operazioni di accesso, l'ufficiale giudiziario redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze (art. 492-bis, comma 2, ultimo periodo) a mezzo telefax o posta elettronica anche non certificata, dandone atto a verbale (art. 155-ter, comma 2, primo periodo disp. att. c.p.c.). All'esito dell'accesso alle banche dati, se le cose si trovano in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell'ufficiale giudiziario, questo procede d'ufficio alle formalità del pignoramento ad eccezione delle ipotesi previste dal sesto e dal settimo comma dell'art. 492-bis c.p.c. E ciò perché, nelle ipotesi da ultimo richiamate, l'accesso ha consentito di individuare «più crediti del debitore o più cose di quest'ultimo che sono nella disponibilità di terzi» (comma 6) ovvero «sia cose di cui al terzo comma che crediti o cose di cui al quinto comma» (comma 7).
In quei casi, quindi, vi è necessità di chiedere al creditore l'indicazione dei beni che l'ufficiale giudiziario dovrà sottoporre ad esecuzione che, ai sensi del nuovo art. 155- quinquies disp. att. c.p.c., dovrà avvenire entro un termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione, pena l'inefficacia del pignoramento. Diversamente, e cioè, quando i luoghi non sono compresi nel territorio di competenza dell'ufficiale giudiziario, questo rilascerà al creditore una copia autentica del verbale che, entro i successivi quindici giorni, dovrà presentarla all'ufficiale giudiziario territorialmente competente. Il legislatore ha poi previsto una sorta di incentivo per l'ufficiale giudiziario, nel caso in cui proceda al pignoramento presso terzi ovvero mobiliare a seguito dell'istanza di cui all'art. 492-bis c.p.c. Ed infatti, è ora riconosciuto all'ufficiale giudiziario un ulteriore compenso che rientra nelle spese di esecuzione stabilite dal giudice dell'esecuzione che verrà però dimezzato nel caso in cui le operazioni non vengano effettuate entro quindici giorni dalla richiesta.
In caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo il compenso è posto a carico del creditore procedente, ed è liquidato dal giudice dell'esecuzione nella stessa percentuale di cui al comma precedente calcolata sul valore dei beni pignorati o, se maggiore, sul valore del credito per cui si procede. Il legislatore ha previsto che lo strumento della ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare possa essere utilizzata anche in ambiti diversi da quelli dell'espropriazione forzata.
La giurisprudenza aveva già rilevato ciò che oggi risulta diritto positivo e, cioè, che le medesime esigenze informative tipiche dell'espropriazione ricorrono anche nel caso in cui il creditore debba procedere all'attuazione del sequestro conservativo (in questo senso Trib. Milano 7 gennaio 2008, con riferimento al previgente art. 492 c.p.c.).
Inoltre, il comma 5 dell'art. 19 modifica l'art. 7, comma 9 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 603, inserendo il seguente periodo: «le informazioni comunicate sono altresì utilizzabili dall'autorità giudiziaria ai fini della ricostruzione dell'attivo e del passivo nell'ambito di procedure concorsuali, di procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui. Nei casi di cui al periodo precedente l'autorità giudiziaria si avvale per l'accesso dell'ufficiale giudiziario secondo le disposizioni relative alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare». Ed ancora, l'art. 155-sexies, rubricato «Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare», prevede che «le disposizioni in materia di ricerca con modalità telematiche dei beni pignorare si applicano anche per l'esecuzione del sequestro conservativo e per la ricostruzione dell'attivo e del passivo nell'ambito di procedure concorsuali di procedimenti in materia di famiglia e quelli relativi ala gestione di patrimonio altrui», ove l'autorizzazione spetta al «giudice del procedimento».
L'utilizzabilità dello strumento è stata prevista, in capo agli organismi di composizione della crisi, anche nell'ambito dei procedimenti di composizione della crisi da sovra indebitamento ex l. n. 3 del 2012, nonché in capo al curatore, al commissario e liquidatore giudiziale per le finalità di recupero del credito o della cessione di crediti «anche in mancanza di titolo esecutivo» (cfr. art. 155-sexies disp.att. c.p.c., come modificato dal d.l. n. 59/2016). Riferimenti
Normativi
Giurisprudenza
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