Il nuovo testo dell'art. 94 l. fall. stabilisce che “la domanda di cui all'articolo 93 produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”, con ciò ribadendo il pacifico principio secondo il quale la domanda di ammissione produce gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale (Cass. 26 giugno 1966, n. 1597).
Effetti della domanda di ammissione
Avvertenza - Bussola in aggiornamento.
Il nuovo testo dell'art. 94 l. fall. stabilisce che la domanda di cui all'articolo 93 (su cui si veda la Scheda d'autore: Ammissione al passivo: forma e contenuto della domanda) "produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”, con ciò ribadendo il pacifico principio secondo il quale la domanda di ammissione produce gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale (Cass. 26 giugno 1966, n. 1597).
Sotto il profilo sostanziale, sebbene l'attuale art. 94 l. fall. non ripeta più la previsione che la domanda “impedisce la decadenza dei termini per gli atti che non possono compiersi durante il fallimento”, l'ampiezza della formula utilizzata dal legislatore implica che la domanda di ammissione al passivo precluda anche il prodursi della decadenza (Campese, op. cit., 11-12; Trisorio Liuzzi, La domanda di ammissione, cit. 1036). Si è in ogni caso correttamente rimarcato, a tale riguardo, che concrete ipotesi di perdita del diritto, a causa del fallimento, diverse dalla prescrizione hanno fatto rarissimamente ingresso nelle aule giudiziarie, come nel caso del creditore che, intrapresa l'esecuzione singolare, abbia visto il suo debitore fallire, ed alla data del fallimento penda per il creditore il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c. (Bruschetta, L'accertamento dello stato passivo fallimentare, in La riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di Bonfatti e Panzani, Milano, 2008, 347-348).
La domanda di ammissione (rectius, il suo deposito o la ricezione della stessa in cancelleria, e, dopo la l. n. 221/2012, la sua trasmissione telematica al curatore) è altresì idonea ad evitare la decadenza nei confronti del fidejussore prevista dall'art. 1957 c.c., e produce la valida interruzione della prescrizione del credito con effetti permanenti fino alla chiusura del fallimento, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2945, comma 2, c.c. (Cass. 25 settembre 2009, n. 20656; Cass. 10 aprile 2013, n. 8686), ovvero sino alla revoca della dichiarazione di fallimento, ossia sino al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell'opposizione proposta dal fallito (Cass. 30 gennaio 1985, n. 585; Trib. Milano 2 aprile 2001; Trib. Lecco 21 gennaio 2000, in Giur. milanese, 2000, 443).
Anzi, la presentazione della domanda di ammissione costituisce l'unico atto idoneo a determinare l'effetto interruttivo, non valendo a tal fine l'atto di costituzione in mora stragiudiziale che venga rivolto verso il fallito e/o verso il curatore, posto che il primo è incapace, a norma degli artt. 42 e ss. l. fall., di compiere pagamenti o adempimenti opponibili alla massa, mentre il secondo non ha la libera disponibilità dei diritti e degli obblighi del fallito, e non è quindi il “debitore” che può essere costituito in mora ex art. 1219, comma 1, c.c. (Cass. 20 novembre 2002, n. 16380; Cass. 6 febbraio 2002, n. 1586; Trib. Napoli 11 aprile 2011, in Corr. mer., 2012, 368, e Trib. Milano, 18 dicembre 2008, inedita; in senso contrario Fabiani, La formazione dello stato passivo: i principi e la domanda, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma. Commentario sist. dir. da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, 472).
L'interruzione della prescrizione determinata dalla presentazione della domanda di insinuazione opera anche nei confronti del condebitore solidale del fallito ai sensi dell'art. 1310, comma 1, c.c., il quale riguarda ogni atto interruttivo, tanto ad effetti istantanei, quanto ad effetti permanenti (Trib. Perugia 19 ottobre 2009; Trib. Nola 15 gennaio 2009; in dottrina Trisorio Liuzzi, La domanda di ammissione, cit., 1036).
Sul piano delle conseguenze di ordine processuale, la domanda di insinuazione:
- produce l'effetto della litispendenza (art. 39 c.p.c.), e quindi preclude la possibilità per il medesimo creditore istante di presentare domanda avente il medesimo oggetto;
- fa sorgere in capo al Giudice Delegato il potere-dovere di decidere su di essa, determinandone altresì i poteri e l'oggetto del suo accertamento, posto che – in virtù del principio generale dell'art. 112 c.p.c. – il Giudice Delegato è vincolato all'oggetto della domanda, non potendo andare ultra o extra petita;
- determina l'applicabilità dell'art. 111 c.p.c. per l'eventualità di successione a titolo particolare nel diritto controverso.
Inammissibilità della domanda di ammissione
Sul terreno della disciplina della domanda di insinuazione una delle novità di più spiccato rilievo introdotte dalla novella del 2006 riguarda le sanzioni processuali conseguenti alla mancanza degli elementi contenutistici del ricorso ex art. 93, l. fall., sanzioni che riflettono il riconosciuto parallelismo tra quest'ultimo e l'atto introduttivo del giudizio di cognizione ed il ricorso introduttivo nel rito del lavoro, ma che – secondo taluni – risultano scarsamente compatibili con i principi di concentrazione e speditezza (nella misura in cui costringono il creditore a presentare una nuova domanda di insinuazione in via tardiva), e soprattutto con la tutela sostanziale dei creditori, ponendosi in contrasto con il principio generale del sistema processuale, secondo cui i vizi formali della domanda non devono pregiudicare le ragioni sostanziali delle parti, alle quali deve essere consentito, per quanto possibile, rimediare all'eventuale errore commesso (Scarselli, L'accertamento del passivo, in E. Bertacchini, L. Gualandi, S. Pacchi, G. Pacchi, G. Scarselli, in Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2011, 302).
Il nuovo art. 93 l. fall. stabilisce infatti, al quarto comma, che “il ricorso è inammissibile se è omesso o assolutamente incerto uno dei requisiti di cui ai nn. 1), 2) o 3) del precedente comma. Se è omesso o assolutamente incerto il requisito di cui al n. 4), il credito è considerato chirografario”; mentre il comma successivo dispone che “se è omessa l'indicazione di cui al n. 5), tutte le comunicazioni successive a quella con la quale il curatore dà notizia della esecutività dello stato passivo, si effettuano presso la cancelleria”.
Le ipotesi di inammissibilità sopra indicate devono ritenersi rilevabili anche d'ufficio dal Giudice, venendo in considerazione vizi formali della domanda la cui regolarità non è nella disponibilità delle parti (Bozza Il contraddittorio incrociato e l'attività del G.D., in Fall., 2011, 1089; Filocamo, op. cit., 2011, 59 e 83; Trisorio Liuzzi, La domanda di ammissione del credito, in Fall., 2011, 1040).
Con riferimento alla inammissibilità conseguente all'omissione o incertezza del requisito di cui al n. 4, si è notato che la norma parla di “requisito” al singolare, mentre il n. 4 si riferisce sia all'indicazione dell'eventuale titolo di prelazione, sia alla descrizione del bene sul quale si esercita l'eventuale privilegio speciale, concludendosi che ciò rappresenta però il frutto di una semplice improprietà redazionale della norma, che non impedisce comunque di ritenere che l'ammissione in chirografo segua alla carenza di ciascuno dei due menzionati requisiti (così Bozza, Sub artt. 92/97, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario dir. da A. Jorio, Bologna, 2006, 1413; in termini dubitativi v. Bruschetta, op. cit., 2008, 356). Opinione, questa, cui ha prestato adesione anche il giudice di legittimità, laddove ha rimarcato la “chiara formulazione letterale” della norma de qua, “che individua il ‘requisito' nel duplice riferimento al ‘titolo' ed ‘alla descrizione del bene' sul quale si esercita la prelazione”, precisando che “tale indicazione assolve al fine di consentire la celerità e la operatività della verifica, con la prescrizione dell'autosufficienza della domanda di ammissione, in modo da rendere percepibile da subito l'effetto che produrrà sul riparto ogni singola ammissione” (Cass. 22 marzo 2013, n. 7287).
In relazione alla mancata o incerta indicazione del privilegio in sede di domanda di insinuazione la Corte regolatrice ha recentemente (e condivisibilmente) chiarito che tale carenza non può in alcun modo essere colmata successivamente, dopo il deposito del progetto di stato passivo e prima dell'udienza di verifica, mediante il deposito di una istanza integrativa. Il fatto che la legge preveda, come conseguenza di tali carenze, non l'impedimento alla pronuncia nel merito (l'inammissibilità), salvo riproposizione della domanda, ma la degradazione del credito a rango chirografario, rende infatti preclusa tale integrazione (Cass. 15 luglio 2011, n. 15702; in termini Cass. 19 marzo 2012, n. 4306; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Cagliari 24 dicembre 2012, il quale ha ritenuto il principio enunciato dalla Suprema Corte applicabile anche al caso di domanda ultratardiva in relazione alla quale l'istante non ha indicato le ragioni di non imputabilità del ritardo; per la possibilità di integrare la domanda, e di chiedere per tale via eventuali ragioni di prelazione, fintanto che il Giudice Delegato non abbia emesso il decreto di esecutività dello stato passivo, v. invece Cavalli, L'accertamento del passivo, in Ambrosini, Jorio, Cavalli, Il fallimento, in Tratt. di dir. commerciale, dir. da Cottino, 2009, 558, e Campese, op. cit., 12, ed in giurisprudenza Trib. Pescara 23 dicembre 2010, il quale ritiene possibile, per il ricorrente, integrare dinanzi al Giudice Delegato la domanda priva di descrizione del bene sul quale la prelazione stessa dovrebbe esercitarsi).
Il principio enunciato dalla Suprema Corte non trova invece spazio nella diversa ipotesi in cui il ricorrente modifichi la domanda in epoca anteriore allo spirare del termine di 30 giorni per procedere alla relativa presentazione in via tempestiva, previsto dal primo comma dell'art. 93 l. fall. (e quindi necessariamente prima del deposito del progetto di stato passivo): in tal caso non matura infatti alcuna preclusione alla modifica della domanda, in quanto anteriore agli adempimenti di cui all'art. 95, comma 2, l. fall. (in questo senso Trib. Milano 17 luglio 2013, inedit.). Parimenti, l'integrazione e modifica della domanda di insinuazione tardiva sono consentite laddove esse siano state effettuate dal ricorrente prima che il Giudice Delegato abbia fissato l'udienza di verifica di tale domanda, posto che al momento dell'integrazione non si è ancora verificata alcuna preclusione per il creditore istante (in questo senso, richiamando le pronunce della Cassazione in precedenza citate, Trib. Marsala 6 dicembre 2013, in www.expartecreditoris.it).
Analoga soluzione si registra con riferimento alla descrizione del bene sul quale si esercita il privilegio, avendo la giurisprudenza escluso che tale indicazione possa essere effettuata dal creditore, per la prima volta, in sede di giudizio di opposizione avverso il provvedimento di ammissione in via chirografaria(così Trib. Roma 9 maggio 2013); e chiarito che sull'individuazione, anche solo sommaria, dei beni gravati da privilegio, non può influire la circostanza che l'inventario sia stato formato dal curatore dopo lo scadere del termine per l'insinuazione in via tempestiva: venendo infatti in rilievo “un requisito essenziale e non derogabile della domanda ex art. 93 l. fall., al creditore compete l'assunzione di tutte le eventuali iniziative strumentalmente utili all'assolvimento dei propri oneri di allegazione, ivi inclusa la richiesta agli organi della procedura – preliminarmente al deposito della domanda di ammissione al passivo – di poter accedere vuoi ai dati ricognitivi dei beni già in possesso della curatela, vuoi ai locali ove i beni siano collocati, per l'ipotesi in cui l'indicazione dei beni sui quali insiste il privilegio non sia possibile sulla base di elementi fattuali già noti al creditore” (così Trib. Milano 25 novembre 2013, inedit.).
Si è anche precisato, di recente, che la mancata indicazione, nella domanda di insinuazione, dei nuovi mappali, o dei subalterni riferiti ai mappali originari su cui grava l'ipoteca, derivanti da frazionamento successivo all'iscrizione ipotecaria, non determina l'ammissione del credito in via chirografaria, “in quanto l'indicazione dei mappali originari così come contenuti nella nota di iscrizione ipotecaria non ha generato una assoluta incertezza nella descrizione del bene sul quale la prelazione ipotecaria é stata richiesta” (così Trib. Milano 18 aprile 2011, inedit.).
In evidenza
Cass. 22 marzo 2013, n. 7287, ha affermato che il requisito della domanda di ammissione al passivo della indicazione del titolo della prelazione e della descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita (art. 93, comma 3, n. 4, l. fall.) “va verificato dal Giudice tenuto conto del principio di carattere generale, secondo il quale l'oggetto della domanda va identificato avuto riguardo alle complessive indicazioni contenute nella domanda ed ai documenti a questa allegati”.
Quanto all'inammissibilitàderivante dalla carenza o incertezza dei requisiti di cui ai nn. 1, 2 e 3 dell'art. 93 l. fall., è sorto invece il problema se al ricorrente sia consentito o meno emendare ex post il vizio della domanda.
Per la soluzione negativa sono state da più parti valorizzate l'esplicita opzione per la sanzione dell'inammissibilità in luogo di quella della nullità del ricorso (la prima attinente al rapporto processuale nella sua interezza e la seconda riguardante per contro i soli vizi di forma di un atto), e la contemporanea assenza di una norma eccezionale (quale ad es. l'art. 1, comma 5, del D. Lgs. 5/2003) che consenta di rimediarvi, quali indici sintomatici di una precisa volontà del legislatore di esigere la presentazione di una domanda di insinuazione corretta, e di evitare nelle more una convalidazione dell'atto incompatibile con le esigenze di celerità e la sommarietà proprie della verifica dello stato passivo, la quale si presenta caratterizzata dalla presenza di termini che, per quanto riguarda la presentazione delle domande tempestive, tardive e ultratardive, hanno natura perentoria (v. in questo ordine di idee, fra gli altri, Fabiani, op. cit., 2011, 398). A sostegno della possibilità di correggere o emendare la domanda di insinuazione carente dei requisiti previsti a pena di ammissibilità non varrebbe nemmeno – si è aggiunto – invocare il disposto degli artt. 183 e 184 c.p.c., trattandosi di regole concepite per un giudizio a contraddittorio individualizzato, in cui la domanda ha un interlocutore determinato, la cui condotta è produttiva di effetti in qualche caso sananti ex tunc, e, più frequentemente, ex nunc, nel senso che restano ferme le decadenze già maturate (così Plenteda, Profili processuali del fallimento dopo la riforma, Milano, 2008, 159).
La soluzione restrittiva è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha dichiarato di voler condividere “la dottrina più attenta”, laddove questa “ha evidenziato che la previsione dell'inammissibilità, in luogo della nullità prevista per il giudizio ordinario di cognizione, fa sì che non si possa aderire alla tesi prospettata da altra parte della dottrina dell'applicazione del regime di sanatoria e di integrazione dettata dall'art. 164 c.p.c. nelle ipotesi di omessa o assolutamente incerta indicazione dei requisiti di cui alla l. fall., art. 93, nn. 2 e 3 essendo, peraltro, prevista espressamente la riproponibilità (ovviamente in via tardiva) della domanda dichiarata inammissibile” (Cass. 15 luglio 2011, n. 15702, cit.).
Sembra peraltro preferibile la diversa tesi – prevalente tra i Giudici Delegati ai fallimenti (Filocamo, op. cit., 83) - che, argomentando dalla indubbia derivazione dell'art. 93, comma 4, l. fall. dall'analoga disciplina dettata dall'art. 164 c.p.c. per l'atto di citazione, riconosce al creditore ricorrente la possibilità di sanare le carenze della sua domanda di ammissione al passivo anche dopo la scadenza del termine per la relativa presentazione, ed anzi fino all'udienza di verifica dei crediti, “per la peculiarità del contraddittorio collettivo fallimentare che” - dopo la riforma del 2006 (ed ancor più dopo il correttivo del 2007) – “in quella sede si attua” (Bozza, Sub artt. 92/97, cit., 1415; nello stesso senso Pajardi, Paluchowski, op. cit., 530). In ogni caso, poiché la sanzione dell'inammissibilità riguarda solo alcuni vizi dell'atto specificamente previsti, per altre irregolarità (ad es. un vizio della procura conferita al difensore) sembra consentita l'applicazione dell'art. 182 c.p.c., con conseguente assegnazione da parte del giudice di un termine per la regolarizzazione con effetti sostanziali e processuali decorrenti dalla domanda originaria (in questi termini De Simone, op. cit., 9, e Fabiani, op. cit., 398).
Il primo comma del novellato art. 96 l. fall. precisava comunque, nella parte finale, che “la dichiarazione di inammissibilità della domanda non ne preclude la successiva riproposizione”, chiaramente in via tardiva ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 101 l. fall. Inciso, questo, che il decreto correttivo del 2007 ha poi soppresso, senza dare spiegazione alcuna. Ma ciò non impedisce comunque, anche in assenza di previsione espressa in tal senso, di continuare a considerare nuovamente proponibile la domanda dichiarata inammissibile (Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2009, 360).
Secondo taluno la riproponibilità in via tardiva della domanda sarebbe preclusa nel (solo) caso in cui l'inammissibilità di quest'ultima sia derivata dalla mancata indicazione del titolo di prelazione (con conseguente degradazione del credito al rango chirografario): e ciò perché la domanda tempestiva copre il dedotto ed il deducibile, sicché il creditore prelatizio verrebbe definitivamente svanire la causa della preferenza ed è destinato a concorrere con i creditori chirografari nei riparti (Cavalaglio, Le dichiarazioni tardive di crediti, in Dir. fall., 2009, I, 320; per analoga considerazione v. Impagnatiello, L'accertamento del passivo, in Diritto delle procedure concorsuali, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Milano, 2013, 218).
Evidenti ragioni di parità di trattamento inducono a ritenere, con la più qualificata dottrina (Saletti, op. cit., 434), che la regola sancita dall'art. 96 ultimo comma l. fall., possa essere estesa anche alle fattispecie di inammissibilità che, pur non espressamente contemplate dall'art. 93 l. fall., possono comunque affettare la domanda di insinuazione in base alle comuni regole processuali, quali ad es. il vizio della procura del sottoscrittore del ricorso o, nel caso di assenza di difesa tecnica, l'omessa sottoscrizione della domanda da parte del creditore. Si tratterà peraltro, anche in questi casi, di inammissibilità sanabile o per iniziativa dello stesso istante (mediante costituzione della parte alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, il rilascio delle necessarie autorizzazioni o il rilascio o rinnovo della procura alle liti), ovvero per ordine del giudice in applicazione analogica di quanto previsto dall'art. 182 c.p.c. (Fabiani, La formazione dello stato passivo: i principi e la domanda, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma. Commentario sist. dir. da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, 340).
D'altro canto, l'inammissibilità della domanda, quale che ne sia la causa, si traduce pur sempre nella mancata ammissione – per motivi processuali - della pretesa, ed il creditore pretermesso potrebbe comunque avere interesse a non subire gli effetti negativi che conseguono alla insinuazione colpevolmente tardiva della pretesa (non potendosi dubitare che debba considerarsi imputabile all'istante la ritardata presentazione della domanda di insinuazione dovuta all'inosservanza dei requisiti contenutistici di quest'ultima). Sotto questo profilo deve quindi ammettersi che, in alternativa a tale rimedio, l'interessato possa avvalersi dell'opposizione allo stato passivo ai sensi dell'art. 98 l. fall. (conf. Montanari, Le impugnazioni dello stato passivo, in Trattato di dir. fallimentare, dir. da V. Buonocore e A. Bassi, III, Padova, 2011, 107; Sassani, Tiscini, L'accertamento del passivo, in www.judicium.it, 2006, 8).
La rinuncia alla domanda di ammissione
La domanda di insinuazione può essere ritirata, cioè rinunziata dal ricorrente, fino alla pronunzia del decreto di cui all'art. 97 l. fall. Con la rinuncia cessa la qualità di creditore concorrente dell'insinuante. A tale riguardo si suole distinguere:
(a) se la rinuncia interviene dopo il deposito del progetto di stato passivo, è necessaria l'accettazione del curatore, in applicazione di quanto dispone l'art. 306 c.p.c., posto che tale progetto equivale in buona sostanza alla comparsa di costituzione del curatore, con la quale egli chiede, essendone interessato, una decisione sul merito della domanda (Fabiani, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 397-398). Secondo altra parte della dottrina, e la quasi unanimità dei pareri espressi sul punto dai Giudici Delegati (cfr. in argomento Filocamo, op. cit., 63 e 85), non occorrerebbe nemmeno l'accettazione della rinuncia da parte del curatore, perché pretendere tale accettazione significherebbe equiparare il contraddittorio incrociato proprio della verifica del passivo ad un vero e proprio giudizio contenzioso ordinario, ed esigere quindi una sorta di provvedimento equiparabile a quello previsto dall'art. 306 c.p.c. In ogni caso, a seguito della rinunzia il Giudice Delegato pronuncerà un decreto di non luogo a provvedere sulla domanda, che potrà comunque essere sempre riproposta in via tempestiva o, più probabilmente, tardiva;
(b) se la rinuncia ha luogo dopo il decreto di esecutività dello stato passivo, essa comporta l'esclusione definitiva dal concorso fallimentare, e quindi la domanda non può essere più riproposta (v. in argomento Trib. Milano, 11 febbraio 1986, in Fall., 1986, 1013, per il quale la dichiarazione di desistenza dalla domanda di insinuazione, effettuata dal creditore dopo l'esecutività dello stato passivo, determina una rinuncia alla partecipazione al concorso, ma non alla qualità di credito; tale rinuncia, anche nell'ipotesi in cui non sia intervenuta accettazione da parte del curatore, o non sia stato emesso alcun provvedimento da parte del giudice delegato, non è più revocabile).
La legittimazione
La legge fallimentare del 1942 non dedicava alcuna specifica previsione in merito ai soggetti attivamente legittimati a presentare domanda di ammissione al passivo fallimentare, ed alcun progresso ha fatto registrare, sotto questo profilo, la riforma del 2006, che ha mantenuto inalterato il silenzio legislativo sul tema, limitandosi ad aggiungere – nel corpo del novellato art. 93 l. fall. - una regola particolare sulla legittimazione processuale del rappresentante comune degli obbligazionisti.
In assenza di puntuali indicazioni normative tornano quindi applicabili, per la domanda di insinuazione, le regole ed i principi generali in materia di legittimazione ad agire (legittimazione ad causam), ed in particolare il disposto dell'art. 81 c.p.c., in forza del quale la legittimazione ad agire spetta a chiunque si affermi titolare di un diritto di credito da soddisfare mediante la partecipazione al riparto fallimentare, ovvero di un diritto reale o personale su beni mobili o immobili di cui venga richiesta la rivendicazione o la restituzione (Lamanna, op. cit., 205; Aprile, Vella, Sub artt. 89, 92, 93, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2011, 1025).
Nella medesima prospettiva dottrina e giurisprudenza sono sostanzialmente concordi nel riconoscere l'operatività, in sede di accertamento del passivo, dei casi di legittimazione straordinaria, ed in particolare nell'ammettere la possibilità che il creditore, in quanto svolga nei limiti del proprio interesse le stesse pretese del debitore surrogato, eserciti in via surrogatoria, ai sensi dell'art. 2900 c.c., le azioni spettanti al proprio debitore mediante domanda di ammissione al passivo del fallimento del terzo debitor debitoris.
Riferimenti
Normativi:
Art. 16, l. fall.
Art. 92, l. fall.
Art. 93, l. fall.
Art. 94, l. fall.
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