Bancarotta, riassunzione e litispendenza (Tempus regit actum)

12 Dicembre 2016

Procedimento per bancarotta fraudolenta (anno 2010) col Fallimento costituito parte civile. Condanna in primo e secondo grado, prescritto in Cassazione che il 30 marzo 2016 rinvia alla Corte d'appello civile per la determinazione del danno. Qual è il termine di riassunzione applicabile?

Procedimento per bancarotta fraudolenta ( anno 2010 ) col Fallimento costituito parte civile. Condanna in primo e secondo grado, prescritto in Cassazione che il 30 marzo 2016 rinvia alla Corte d'appello civile per la determinazione del danno. Qual è il termine di riassunzione applicabile? I tre mesi di cui all'art 392 c.p.c., riformato con L. n. 69/2009, oppure il termine annuale previgente, ritenendo che, ai sensi dell'art. 58 sulle disposizioni transitorie, il "giudizio fosse già instaurato" al momento dell'entrata in vigore di questa riforma? C'è litispendenza tra penale e civile? Si potrebbe rispondere affermativamente secondo il principio per cui con la costituzione di parte civile attiviamo le pretese civilistiche in sede penale, oppure in senso negativo perché lì non si è compiuta istruttoria sulle voci di danno ma solo sulla penale responsabilità.

Riferimenti normativi. L'art. 392 c.p.c., rubricato “Riassunzione della causa”, enuncia che “La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione. La riassunzione si fa con citazione, la quale è notificata personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti”.

L'art. 58 delle disposizione transitorie della L. n. 69/2009 dispone che “Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli articoli 132, 345 e 616 del codice di procedura civile e l'art. 118 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge.

Le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto dell'art. 155 del codice di procedura civile si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1° marzo 2006.

La trascrizione della domanda giudiziale, del pignoramento immobiliare e del sequestro conservativo sugli immobili eseguita venti anni prima dell'entrata in vigore della presente legge o in un momento ancora anteriore conserva il suo effetto se rinnovata ai sensi degli artt. 2668-bis e 2668-ter del codice civile entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Le disposizioni di cui all'art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Osservazioni. Il primo quesito concerne, in sostanza, la possibilità di applicare il termine trimestrale per la riassunzione di cui all'art. 392 c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69/2009, ovvero la previgente normativa e, dunque, il termine annuale.

Occorre, anzitutto, esaminare la disciplina giuridica applicabile al caso di specie e, in particolare, il riferito art. 392 c.p.c.

La norma in esame regolamenta il cd. rinvio proprio (o prosecutorio) con cui, a seguito della cassazione del provvedimento impugnato, la Suprema Corte rinvia al giudice di merito per l'adozione di una nuova sentenza. Il giudizio di rinvio è finalizzato al compimento della c.d. fase rescissoria: infatti, di regola, la Cassazione effettua il solo giudizio rescindente, consistente nell'annullare la sentenza viziata, mentre l'adozione di una nuova sentenza al posto di quella cassata è di competenza del giudice di merito.

La disposizione in parola è stata profondamente incisa dal legislatore del 2009 che, operando con la tecnica della novellazione, ha modificato l'originario termine annuale per la riassunzione, riducendolo a tre mesi. La ratio della riforma è di accelerare i meccanismi del processo civile e renderlo più snello al fine di raggiungere più celermente la sua naturale conclusione.

L'art. 58 delle disposizioni transitorie della L. n. 69/2009 regolamenta le questioni di diritto intertemporale, specificando che, salve le ipotesi tassativamente previste dalla legge, la nuova disciplina trova applicazione per i “giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore” (id est 4 luglio 2009).

Essendo questa la disciplina generale, occorre comunque dare atto che, con particolare riguardo al giudizio di rinvio della Suprema Corte, si registrano due distinti orientamenti.

Un primo filone di pensiero, prettamente dottrinale e assolutamente minoritario, sottolinea la natura del giudizio di rinvio come procedimento finalizzato al completamento della fase rescindente; in tale ottica, per l'individuazione del termine applicabile, occorrerebbe far riferimento alla data di instaurazione del giudizio di cassazione e, dunque, alla notifica del ricorso, ex artt. 366 e ss c.p.c.

La tesi innanzi esposta, tuttavia, viene contraddetta dalla pressoché unanime giurisprudenza di legittimità, giusta quanto segue.

Ai sensi dell'art. 39 c.p.c., il giudizio si ritiene instaurato con la notifica dell'atto di citazione di primo grado (ovvero con il deposito, se il procedimento si instaura con ricorso), mentre le successive impugnazioni sono da ritenersi come nuove e diverse fasi del medesimo giudizio.

In tale ordine di idee, dunque, per verificare l'applicabilità o meno del termine trimestrale, occorre far riferimento all'originaria instaurazione del procedimento, “restando irrilevante l'instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio” (tra le più recenti, Cass. 23 febbraio 2016, n. 3549).

Venendo al caso di specie, dal momento che – sulla base della lettera del quesito formulato – il procedimento ha avuto inizio nel 2010, deve concludersi che alla fattispecie trova applicazione il ridotto termine trimestrale previsto dall'attuale configurazione della norma.

Quanto al secondo quesito, ovvero alla sussistenza di litispendenza tra giudizio penale e civile, di primaria rilevanza è l'analisi dell'istituto di cui all'art. 76 c.p.p., rubricato “costituzione di parte civile”.

Con l'istituto in parola, la persona offesa (rectius danneggiata) esercita l'azione civile nel processo penale al fine di ottenere, in tale sede, il risarcimento dei danni, sia morali che materiali, subiti in conseguenza del reato.

In considerazione di ciò, nell'ipotesi in cui il danneggiato, dopo la costituzione di parte civile nel procedimento penale, proponga azione di risarcimento danni innanzi al giudice civile – avente identità di soggetti (parti), oggetto (petitum) e titolo (causa petendi) – si verifica un'ipotesi di litispendenza, “con la conseguenza dell'improcedibilità della domanda risarcitoria in sede civile” (cfr., su tutte, Cass. 16 maggio 2012, n. 7633; nonché, per chiarezza espositiva, Cass. 10 ottobre 1991).

Nel caso concreto, tuttavia, il problema della “litispendenza” non si pone, in quanto i rapporti tra l'accertamento del reato in sede penale e l'accertamento del diritto al risarcimento del danno in sede civile sono espressamente regolati dall'art. 578 c.p.p., il quale così recita “Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.

Essendosi concluso il procedimento penale a fronte dell'intervenuta causa estintiva del reato, il giudizio prosegue solamente per ciò che attiene il credito determinato dall'obbligo di ristoro del danno cagionato al patrimonio del soggetto fallito.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto e con il conforto della Suprema Corte è possibile sostenere che:

  • nel caso di specie trova applicazione il termine trimestrale di cui all'art. 392 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69/2006;
  • nel caso di specie non sussiste litispendenza tra giudizio civile e penale.

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