Conciliazione giudiziale e revocatoria fallimentare
16 Febbraio 2017
Può essere oggetto di revocatoria ex art. 67 l. fall., primo o secondo comma, il contenuto di una conciliazione giudiziale in cui l'appaltatore poi fallito abbia rinunziato all'azione di pagamento di una parte del corrispettivo dell'appalto spiegata e, con essa, al relativo credito, a fronte della rinunzia da parte della committenza della domanda risarcitoria a propria volta spiegata in uno con quella di risoluzione del contratto? Quanto sopra, in particolare, per l'ipotesi in cui non si sia dato, previamente, corso ad una CTU volta a determinare le contrapposte pretese.
Revocatoria fallimentare - Come noto, l'azione revocatoria fallimentare è uno strumento a disposizione del curatore volto a privare di efficacia giuridica eventuali atti compiuti dal fallito nel periodo c.d. sospetto che hanno inciso sul suo patrimonio in violazione del principio della par condicio creditorum. In particolare, tale azione ha quale fine sia quello di ripristinare il patrimonio del debitore alterato da atti pregiudizievoli per i creditori, sia di ridistribuire la perdita da insolvenza tra tutti i creditori per la lesione della par condicio tra i medesimi. Affinché, tuttavia, la revocatoria possa essere accolta, è necessario - per le operazioni elencate nell'art. 67, comma 1, l. fall. - che il terzo, sul quale incombe la prova contraria, al momento dell'atto fosse a conoscenza dell'insolvenza della sua controparte. Per gli atti previsti al secondo comma di tale articolo, invece, incombe sul curatore l'onere di dimostrare che la controparte era a conoscenza dello stato d'insolvenza del soggetto poi fallito. Tra le fattispecie revocabili indicate dal primo comma dell'art. 67 rientrano i c.d. “atti sproporzionati” compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, intendendosi con tale termine gli atti aventi ad oggetto prestazioni eseguite, o obbligazioni assunte dal fallito, il cui valore sia superiore di oltre un quarto a quanto conseguito dallo stesso o promesso, comprese le rinunzie ai diritti, quando hanno un contenuto economico. La revocatoria per sproporzione è ammessa anche ai fini dell'impugnazione di un atto transattivo. Al riguardo, i giudici di legittimità (Cass. 21 novembre 2013, n. 26124) hanno evidenziato che il divieto d'impugnazione della transazione per causa di lesione di cui all'art. 1970 c.c., si riferisce alle parti transigenti e non ai creditori di esse, che sono estranei all'atto; con la conseguenza che questi ultimi, e, successivamente al fallimento del debitore, il curatore ben possono esercitare l'azione revocatoria contro un atto di transazione posto in essere in danno delle ragioni del ceto creditorio. Per ciò che attiene, poi, alla valutazione delle rinuncia fatta da una delle parti e quella di controparte, a parere dei giudici di legittimità la misura della sproporzione va valutata al momento della conclusione del contratto (Cass. 10 ottobre 2003, n. 15142)
Conclusioni – Alla luce di quanto sopra e tenendo altresì in considerazione che, nel caso di specie, l'accordo raggiunto antecedentemente alla procedura fallimentare ha comportato la rinuncia ad un credito che, in conseguenza della dichiarazione di fallimento, avrebbe concorso alla massa attiva fallimentare, a fronte della rinuncia della controparte alla richiesta di risarcimento danni che, se accertato giudizialmente, avrebbe comunque originato un credito del committente di natura chirografaria, deve concludersi che la conciliazione giudiziale sia un atto revocabile ai sensi dell'art. 67, comma 1, l. fall., in presenza ovviamente dei presupposti previsti da tale disposizione. |