Accesso al Fondo di garanzia INPS anche a favore del cessionario del credito del lavoratore

Alessandro Corrado
07 Giugno 2017

Può una società finanziaria, alla quale il dipendente abbia ceduto il quinto dello stipendio, essere ammessa al passivo del datore di lavoro fallito anche in assenza di insinuazione da parte del debitore principale, ossia del dipendente stesso?

Può una società finanziaria, alla quale il dipendente abbia ceduto il quinto dello stipendio, essere ammessa al passivo del datore di lavoro fallito anche in assenza di insinuazione da parte del debitore principale, ossia del dipendente stesso?

Il credito verso il Fondo di garanzia dell'INPS per il trattamento di fine rapporto ha natura retributiva e pertanto – nonostante il diritto alla relativa prestazione tragga origine, anziché dal rapporto di lavoro, dal diverso rapporto assicurativo - previdenziale – può essere validamente ceduto dal lavoratore ad una società finanziaria che, in base all'art. 2 L. n. 297/1982, ha diritto al pagamento, anche in assenza di insinuazione al passivo del lavoratore cedente.

Riferimenti normativi

Per rispondere al quesito, occorre esaminare l'art. 2, comma 1, della L. n. 297/1982 con la quale – in attuazione della Direttiva 20 ottobre 1980, n. 80/987 – è stato istituito il Fondo di garanzia presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, “con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto (…) spettante ai lavoratori o loro aventi diritto”. Tale norma dev'essere letta in coordinamento con l'art. 2122 c.c., che attribuisce al coniuge, ai figli e, a condizione che vivano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado, le indennità di fine rapporto del lavoratore nel caso di sua morte.

L'interpretazione di dottrina e giurisprudenza sulla natura dell'intervento del fondo di garanzia

In dottrina è stato correttamente evidenziato che la tutela apprestata dal Fondo di garanzia costituisce un'assicurazione collettiva di natura previdenziale (sul punto, cfr. in particolare M. Cinelli, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2001). Ma se non può essere dubbia la finalità solidaristica cui risponde il funzionamento dell'organismo di garanzia, controversa è stata, nella giurisprudenza nazionale, la natura delle prestazioni erogate, natura qualificata ora previdenziale (cfr. Cass. n. 5489/2000; Cass. n. 5663/2001; cfr. anche Cass. n. 2877/2001), ora retributiva.

La natura retributiva della prestazione del fondo

Dubbi sul punto non hanno però più ragion d'essere, dopo che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno composto il contrasto: la sentenza 3 ottobre 2002, n. 14220 ha infatti riconosciuto la natura retributiva della prestazione del Fondo e conseguentemente il diritto dei lavoratori ad ottenere il pagamento degli interessi nella misura legale e del risarcimento del maggior danno con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto fino al giorno dell'effettivo pagamento. I giudici di legittimità hanno posto a base di tale secondo orientamento la sostituzione del Fondo nel pagamento del t.f.r., indicativa di un accollo ex lege in ordine allo stesso debito del datore di lavoro, che non può avere altra natura se non quella retributiva, come tale comprensivo, oltre che della somma capitale, di rivalutazione monetaria ed interessi dalla data di maturazione del diritto sino al pagamento effettivo (cfr. anche Cass. SS.UU. n. 13991/2002; Cass. n. 5658/2001; Cass. n. 14761/1999).

Proprio applicando tale principio, la Suprema Corte, con la sentenza 5 maggio 2008, n. 11010, ha accolto le ragioni di una società cessionaria del credito ceduto da un lavoratore circa la compatibilità della cessione del t.f.r. con la disciplina dell'accollo da parte del Fondo delle obbligazioni del datore di lavoro insolvente, riconoscendole il diritto al pagamento del relativo credito.

I giudici di legittimità hanno affermato che il pagamento del credito per t.f.r. al cessionario non è in contrasto con la “finalità istituzionale” del Fondo di garanzia espressa dall'art. 2, comma 8, L. n. 297/82: con tale locuzione, il legislatore ha solamente voluto indicare un vincolo di destinazione del patrimonio a favore dei crediti retributivi garantiti, senza per questo voler in alcun modo individuare chi può pretenderne l'erogazione dal Fondo.

Ed è proprio verificando quali siano i soggetti legittimati per legge alle prestazioni del Fondo stesso che la Corte di Cassazione, con la citata sentenza, ha chiarito definitivamente il diritto al pagamento a favore della società cessionaria: il riferimento contenuto nel comma 1 dell'art. 2 L. n. 297/1982 ai “lavoratori o loro aventi diritto” non deve essere interpretato, come erroneamente preteso dall'Inps, in sintonia con l'art. 2122 c.c., norma che attribuisce al coniuge, ai figli e, a condizione che vivano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado, le indennità di fine rapporto del lavoratore nel caso di sua morte. Più semplicemente, la locuzione va interpretata alla luce dei principi generali del diritto civile che consentono di considerare “avente diritto” qualunque soggetto sia succeduto ad un altro nella titolarità di un diritto, sia mortis causa, sia – come nel caso in esame – per atto tra vivi. Sul punto, conforme Tribunale di Milano, 01/06/2011, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2011.

Pur in assenza di una pronuncia specifica in merito, si ritiene dunque che la società finanziaria possa chiedere ed ottenere l'ammissione al passivo anche in assenza di insinuazione del creditore principale, proprio in virtù del meccanismo della successione appena esaminato.

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