Ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d'Appello con cui ha rigettato il reclamo proposto contro la sentenza del tribunale che ha risolto il concordato fallimentare

Vito Amendolagine
Giuseppina Ivone

Inquadramento

Se le garanzie promesse non vengono costituite o se il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato fallimentare, ciascun creditore può chiederne la risoluzione. La sentenza che risolve il concordato fallimentare riapre la procedura di fallimento è provvisoriamente esecutiva ed è reclamabile ai sensi dell'art. 18 l.fall. da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello. Contro la sentenza che rigetta il reclamo è proponibile ricorso per cassazione.

Formula

CORTE DI CASSAZIONE

RICORSO PER CASSAZIONE

EX ARTT. 137, COMMA 3 E 18 L.FALL.

il Sig./Società ..., C.F. n. ..., creditore della Società ...fallita con sentenza n. ... del ..., elettivamente domiciliato in ..., alla via ..., n ..., presso e nello studio dell'Avv. ..., C.F. n. ..., PEC ..., fax n. ..., che lo rappresenta e difende in virtù di procura stesa in calce/a margine al presente atto

PREMESSO

— che il Tribunale di ... con sentenza n ... del ... ha dichiarato il fallimento della società/ditta ...;

— che con ricorso depositato in data ... è stato proposto da ... ai creditori una proposta di concordato fallimentare;

— che tale concordato è stato omologato dal Tribunale di ... con decreto emesso in data ____;

— che con sentenza emessa in data ... il predetto Tribunale ha risolto il concordato sul presupposto che le garanzie non erano state costituite in conformità del concordato/il proponente non aveva adempiuto regolarmente agli obblighi derivanti dal concordato;

— che avverso tale sentenza errata è stato proposto reclamo alla Corte d'Appello di ..., che con sentenza emessa in data ... ha confermato la sentenza reclamata;

— che tale sentenza è illegittima in quanto viola gli artt. ...(indicare i singoli motivi di ricorso. Effettuare la selezione di ciò che rileva in funzione della riproduzione ed esposizione sommaria dei fatti di causa, entrambe correlate ai motivi di ricorso; Individuare correttamente i vizi della sentenza; indicare specificamente i motivi di impugnazione, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (in procedendo o in iudicando) per cui è proposto il ricorso, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata; I motivi che deducono “difetto e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge” appaiono inammissibili per la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d'impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.,; l'insufficienza della motivazione, che richiedeva la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d'appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiedeva la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro non sono più rilevabili in Cassazione; censurare tutte le diverse ragioni motivazionali idonee a supportare la decisione impugnata; Non dedurre censure di costituzionalità senza proporre censure ai sensi dell'art. 360 c.p.c. Nella redazione del ricorso tenere in considerazione il Protocollo d'intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense e il decreto del Primo Presidente della Corte di Cassazione in data 14 settembre 2016 sulla c.d. “motivazione semplificata);

— che l'istante intende proporre ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 art. 18 e 137 comma 3 e chiedere la cassazione del predetto provvedimento emesso dalla Corte d'Appello di ... e per l'effetto ____

Tutto ciò premesso

PROPONE RICORSO PER CASSAZIONE

avverso la predetta sentenza della Corte d'Appello di ... e

CHIEDE

che la Suprema Corte di Cassazione Voglia, ai sensi dell'art. 137 comma 3 e 18 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 cassare la predetta sentenza.

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

PROCURA SPECIALE

Avv. ...

Il sottoscritto ... quale legale rappresentante della società ... (C.F. e P.I. ...) - conferisce procura speciale all'Avv. ... del Foro di ... (C.F. ...) - affinché lo rappresenti e difenda nel presente giudizio dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, proponendo ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di ... n ... pubblicata il ..., conferendo al difensore ogni facoltà di legge per la presentazione di memorie e motivi aggiunti, per la discussione nonché per la fase esecutiva, conferendo la facoltà di nominare sostituti.

Eleggo domicilio in Roma alla via ... n ___________, presso l'Avv. _______

Firma ...

È autentica

Firma Avv. ...

Commento

Il legislatore del 2012 ha riformulato l'art. 360 n. 5, c.p.c., riferendolo all'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ritornando, quasi letteralmente, al testo originario del codice di rito del 1940, che prevedeva quale motivo di ricorso in cassazione, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Appare immediatamente evidente che l'unica differenza testuale è l'utilizzo della preposizione "circa" da parte del legislatore del 2012, rispetto all'utilizzo della preposizione "di" da parte del legislatore del 1940: ma è una "differenza testuale" irrilevante, trattandosi, dell'uso di una forma linguistica scorretta, che non ha forza di mutare in nulla il senso della disposizione del codice di rito del 2012, rispetto alla disposizione del codice di rito del 1940.

Nella riformulazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c., scompare ogni riferimento letterale alla "motivazione" della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione, non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. La ratio legis è chiaramente espressa dai lavori parlamentari, laddove si afferma che la riformulazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c., è mirata..... a evitare l'abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica propria della Suprema Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.

In questa prospettiva, volontà del legislatore e scopo della legge convergono senza equivoci nella esplicita scelta di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità. Ritorna così pienamente attuale la giurisprudenza delle Sezioni Unite sul vizio di motivazione ex art. 111 Cost., come formatasi anteriormente alla riforma del d.lgs. n. 40 del 2006: il vizio si converte in violazione di legge nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile, sempre che il vizio fosse testuale.

Nel quadro di tale orientamento le Sezioni Unite (Cass. n. 5888/1992) avevano sottolineato che la garanzia costituzionale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali dovesse essere correlata alla garanzia costituzionale del vaglio di legalità della Corte di cassazione, funzionale ad assicurare l'uniformità dell'interpretazione ed applicazione del diritto oggettivo a tutela dell'uguaglianza dei cittadini. Esse avevano, quindi, stabilito che l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante atteneva solo all'esistenza della motivazione in sè, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esauriva nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile".

Le Sezioni Unite evidenziavano, altresì, che il vizio logico della motivazione, la lacuna o l'aporia che si assumono inficiarla sino al punto di renderne apparente il supporto argomentativo, devono essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa, e devono comunque essere attinenti ad una quaestio facti. In coerenza con la natura di tale controllo, da svolgere tendenzialmente ab intrinseco, il vizio afferente alla motivazione, sotto i profili della inesistenza, della manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, sì da comportare la nullità di esso; mentre al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.

Siffatte conclusioni che erano state costantemente riaffermate nella giurisprudenza di legittimità sino alle modifiche al testo dell'art. 360 c.p.c. introdotte con la riforma del 2006, appaiono nuovamente legittimate dalla riformulazione dello stesso testo adottate con la riforma del 2012, che ha l'effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall'art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione".

In proposito dovrà tenersi conto di quanto la giurisprudenza di legittimità ha già precisato in ordine alla "mancanza della motivazione", con riferimento al requisito della sentenza di cui all'art. 132 c.p.c., n. 4: tale "mancanza" si configura quando la motivazione manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione - ovvero... essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112/2009).

Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza e sulla coerenza della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 c.p.c. concerne, invece, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 comma 1, n. 6), c.p.c. e art. 369 comma 2, n. 4), c.p.c., - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale emergente dalla sentenza od extratestuale emergente dagli atti processuali, da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.

Si può quindi affermare che la riformulazione dell'art. 360 n. 5), c.p.c., disposta con l'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 c.p.c. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.

L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale od extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il come ed il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso (Cass. S.U., n 19881/2014).

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