Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 35 - Integrazione dei poteri del curatore1

Alessandro Farolfi

Integrazione dei poteri del curatore1

 

Le riduzioni di crediti, le transazioni, i compromessi, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni, lo svincolo delle cauzioni, l'accettazione di eredità e donazioni e gli atti di straordinaria amministrazione sono effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori.

Nel richiedere l'autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore formula le proprie conclusioni anche sulla convenienza della proposta2.

Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell'articolo 104-ter comma ottavo 3.

Il limite di cui al secondo comma può essere adeguato con decreto del Ministro della giustizia.

[1] Articolo modificato dall'articolo unico della legge 20 ottobre 1952, n. 1375 e, successivamente, sostituito dall'articolo 31 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La norma risulta paradigmatica del mutamento di prospettiva adottato dal legislatore della riforma in tema di riparto di competenze fra i diversi organi della procedura fallimentare. Mentre in precedenza, infatti, ogni integrazione dei poteri di straordinaria amministrazione doveva avvenire su autorizzazione del g.d. o dello stesso tribunale, oggi tale ruolo è fondamentalmente attribuito, pur con talune eccezioni, al comitato dei creditori. Tale attribuzione, peraltro, nella pratica presuppone il suo effettivo funzionamento, posto che in caso di mancata costituzione, inerzia od in ipotesi di urgenza il g.d. può surrogarsi nei relativi compiti, ai sensi dell'art. 41 comma 4 l.fall., riappropriandosi in tal modo di poteri gestori. Ma è un'attribuzione evidentemente sussidiaria, destinata ad operare ove il c.d.c. manchi o non funzioni. La norma chiaramente contiene una elencazione di atti non tassativa. Infatti, accanto ad alcuni atti specifici che per la loro importanza vengono ricondotti in modo tipico al campo della straordinaria amministrazione (riduzioni di crediti, transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, cancellazioni di ipoteche, restituzione di beni, svincolo di cauzioni, accettazione di eredità e donazioni) si colloca la previsione della necessità di autorizzazione per «gli atti di straordinaria amministrazione», con disposizione che vuole lasciare una valvola di salvezza in ordine alla possibilità di individuare atti ulteriori rispetto a quelli elencati che, per la loro rilevanza, comunque necessitano di autorizzazione e non possono essere direttamente e liberamente compiuti dal curatore. Tale previsione di chiusura è stata aggiunta proprio in sede di riforma. La norma ha comunque introdotto un doppio livello di autorizzazione, nel senso che, fermo quanto precede, all'interno degli atti di straordinaria amministrazione per quelli che superino l'importo di 50.000 Euro (criterio per valore) e comunque per le transazioni (criterio qualitativo) occorre altresì che la proposta del curatore sia inviata per un controllo preventivo del g.d. Pertanto oggi a) per tutti gli atti di straordinaria amministrazione di valore sino a 50.000 Euro, escluso le transazioni, il curatore necessita della sola autorizzazione del c.d.c.; per gli atti di straordinaria amministrazione di valore superiore a 50.000 Euro e per le transazioni (qualunque ne sia il valore) occorre una preventiva informativa al g.d., quindi l'autorizzazione del c.d.c (tale conclusione è discussa, posto che secondo alcuni A. la preventiva comunicazione al g.d. dovrebbe avvenire non prima dell'inoltro della proposta al c.d.c., ma prima dell'esecuzione dell'atto già autorizzato da tale ultimo organo). In ogni caso, si può sicuramente affermare che la preventiva informativa appare funzionale al controllo di legittimità spettante al giudice delegato ed a renderlo in ogni caso edotto di quali atti di straordinaria amministrazione di un certo impegno economica si vogliano compiere, al fine di garantire effettività ai più generali compiti di controllo e vigilanza. Il curatore deve motivare la propria proposta di compimento dell'atto straordinario, indicando le ragioni di opportunità perseguite. Secondo una parte della dottrina questa prescrizione appare superflua, posto che non si vede come il curatore potrebbe proporre il compimento di un atto senza indicarne le ragioni, sia di diritto che economiche sottese. Si può ritenere che tale autorizzazione, così come la preventiva informativa non siano necessarie laddove l'atto sia stato specificamente descritto nel programma di liquidazione e, in concreto, l'atto da compiersi sia esattamente conforme a quello in detta sede già approvato dal C.d.c. ed autorizzato dal g.d. (così testualmente il comma 3 con riferimento alla comunicazione preventiva al g.d., ma con possibilità di estensione, ad avviso di chi scrive, per la stessa autorizzazione/approvazione del C.d.c., purché, come detto, l'atto fosse chiaramente descritto nel programma di liquidazione e così negli stessi termini venga realizzato).

Si è rilevato che sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale 1) degli artt. 35 e 41, commi primo e quarto, l.fall. (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituiti dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui prevedono che, affinché il curatore fallimentare possa effettuare atti di straordinaria amministrazione, sia necessaria la previa autorizzazione del comitato dei creditori e non più quella del giudice delegato, così come era, invece, previsto anteriormente alla riforma della procedure concorsuali realizzata con il d.lgs. n. 5 del 2006 e 2) dell'art. 35 l.fall., come sostituito dal d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui, pur prevedendo che il curatore del fallimento, in caso di effettuazione di atti di straordinaria amministrazione il cui valore sia superiore a cinquantamila euro, o in ogni caso per le transazioni, debba previamente informare il giudice delegato, non attribuisce a quest'ultimo, ove ravvisi ipotesi di illegittimità formale o sostanziale dell'atto in questione, il potere di inibirne il compimento (Corte cost. n. 365/2008).

Atti di straordinaria amministrazione

L'individuazione degli atti di straordinaria amministrazione è discussa. Appare sufficientemente assodato che tale definizione non può ritenersi univoca, ma dipendente dal tipo di amministrazione e dal suo oggetto. Secondo una prima tesi (Vassalli, 259) tale individuazione va condotta facendo riferimento alla normalità o meno dell'atto rispetto alle finalità proprie e specifiche della gestione e liquidazione del patrimonio del fallito da parte del curatore. In tale ottica si mette in luce come detta gestione abbia un connotato meramente conservativo, da cui esula ogni atto che abbia un contenuto, ad es., speculativo, che dovrebbe perciò farsi rientrare nel campo di applicazione della norma in esame. Si ritiene tuttavia che vi rientrino, secondo un'ottica non troppo diversa, anche quegli atti forieri di un rischio di diminuzione del patrimonio amministrato. Questo permette, ad esempio, di ritenere soggetto ad autorizzazione la donazione di un bene aziendale anche se di valore infimo o il cui costo di manutenzione appaia superiore rispetto a quanto ritraibile dalla successiva alienazione. Questo consente, altresì, di ritenere soggetto ad autorizzazione la locazione di durata infranovennale ma di durata comunque non compatibile con una celere ed efficiente conduzione della liquidazione (si deve ricordare al riguardo che oggi l'art. 104-ter offre una indicazione, prevedendo che entro 2 anni dalla dichiarazione di fallimento la liquidazione, salvo casi eccezionali, debba compiersi). Del pari sembra necessaria l'autorizzazione all'accettazione di donazioni, per i costi che la disponibilità del bene donato potrebbe comportare a carico della procedura, senza particolari vantaggi, in caso di non agevole liquidabilità.

Si è ritenuto che la scelta del curatore tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto preliminare costituisce espressione di un potere discrezionale e si realizza mediante un atto che non è di straordinaria amministrazione, tal per cui può essere compiuto senza alcuna specifica autorizzazione del giudice delegato (Trib. Nola 5 gennaio 2009 in un fallimento ante riforma; Cass. n. 16860/2004). L'applicazione dell'art. 35 l.fall. è stata richiamata anche in materia di amministrazione straordinaria. Si è infatti sostenuto che in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, il rinvio operato dall'art. 1 d.l. n. 26 del 1979, conv. dalla l. n. 95 del 1979, alle norme della legge fallimentare regolanti la liquidazione coatta amministrativa, in quanto non diversamente stabilito con il decreto legge stesso, comporta che il commissario della amministrazione straordinaria ha gli stessi poteri del commissario della liquidazione coatta amministrativa. Deve escludersi, peraltro, che dal solo rinvio generale di cui all'articolo 201 della legge fallimentare si desuma che l'esercizio dei poteri del commissario è regolato dalle norme previste per l'esercizio dei poteri del curatore del fallimento (art. 25, n. 6, e 31 l.fall.). L'esercizio dei poteri attribuiti al commissario liquidatore, infatti, è specificamente regolato dall'art. 206 l.fall. che richiede l'autorizzazione da parte della autorità di vigilanza solo per il promovimento delle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. e per il compimento degli atti di cui all'articolo 35 della legge fallimentare. La specificità di tale previsione ne implica il carattere esaustivo, sì che deve escludersi la applicabilità in via analogica di norme ivi non richiamate (Cass. n. 9453/2016). In materia di concordato preventivo si è osservato che ai limitati fini concordatari, ai sensi dell'art. 167 l.fall. sono da considerarsi atti di straordinaria amministrazione tutti quelli che possono avere una concreta incidenza sugli interessi della massa dei creditori e, quindi, sull'attivo o sul passivo concordatario, diminuendo il primo o aumentando il secondo o, comunque, alterando in peius il differenziale rispetto all'alternativa fallimentare, sempre possibile, finché non sia intervenuta l'omologa (Trib. Vicenza, 13 luglio 2015).

Conseguenze dell'assenza di autorizzazione

Si ritiene che l'autorizzazione da parte del c.d.c. debba essere data per iscritto, in modo chiaro ed espresso, con riferimento a singoli atti specifici. Si ritiene altresì che tale autorizzazione (come pure il diniego) sia reclamabile ex art. 36 l.fall., ma soltanto per vizi di legittimità. Si discute delle conseguenze dell'assenza dell'autorizzazione del c.d.c. Secondo la tesi maggioritaria l'atto negoziale eccedente l'ordinaria amministrazione, compiuto dal curatore non autorizzato, dovrebbe ritenersi annullabile, mentre una tesi più antica opinava per la stessa nullità. Altra tesi ritiene che poiché il curatore non sarebbe privo di potere e l'autorizzazione fungerebbe esclusivamente da presupposto di legittimità estrinseca dell'atto; pertanto, l'atto gestorio effettuato dal curatore senza aver ottenuto previamente l'autorizzazione del C.d.c. non sarebbe motivo di nullità od annullabilità dell'atto stesso, ma la stessa autorizzazione opererebbe come semplice presupposto di efficacia del atto, con l'ulteriore conseguenza che l'atto mancante dovrebbe ritenersi inefficace. Si è sostenuto che la risposta sul regime dell'atto straordinario non autorizzato debba intersecarsi con quella dell'art. 36 l.fall., distinguendosi tre ipotesi (Maffei – Alberti, 212): a) se l'atto viene sottoposto a reclamo prima della sua esecuzione, in caso di accoglimento dell'impugnazione l'atto risulterebbe totalmente privo di effetti, salva la facoltà del curatore di richiedere una nuova autorizzazione per il compimento di un altro atto identico; b) se il reclamo viene esperito dopo che taluni effetti dell'atto si sono prodotti, sarebbe in facoltà del curatore chiedere un'autorizzazione al c.d.c. con possibilità di ratifica degli effetti sino a quel momento prodotti; c) qualora i termini per proporre reclamo ex art. 36 l.fall. scadano, l'inefficacia dell'atto non potrebbe più farsi valere, restando perciò definitivamente efficace.

In giurisprudenza la tesi della nullità è decisamente respinta, sostenendosi invece la tesi dell'annullabilità, che può però essere fatta valere dalla sola parte interessata, cioè dalla stessa procedura. Il vizio è conseguentemente sanabile. È quanto emerge da un caso recentemente affrontato dalla Cassazione con riferimento all'adesione ad un accertamento fiscale compiuta dal curatore senza prima richiedere l'autorizzazione (Cass. n. 13242/2015).

Conseguenze dell'assenza di preventiva comunicazione al g.d.

Come si è visto, il g.d. resta l'organo deputato al controllo di legalità ed alla vigilanza circa il buon andamento della procedura. Tale organo deve essere perciò previamente informato dal curatore circa l'intenzione di porre in essere atti di straordinaria amministrazione di particolare criticità o impatto. Sono sottoposti, pertanto, a tale preventiva comunicazione gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione di valore superiore ad Euro 50.000 e in ogni caso le transazioni, anche se di valore inferiore. Il trattamento a parte per la categoria delle transazioni si spiega, considerando da un lato il contenuto prettamente giuridico delle posizioni che le parti rispettivamente rinunciano, ciò che giustifica l'intervento professionalmente adeguato del g.d., dall'altro notando come attraverso le reciproche rinunce la procedura finisca per disporre di propri diritti ed a volte di propri beni senza che gli stessi siano oggetto di una procedura competitiva. Questo giustifica la presunzione iuris et de iure di particolare criticità che rende necessario perciò, in ogni caso ed a prescindere dal valore, l'intervento preventivo del g.d. Si discute dell'effetto derivante sull'atto dalla mancata informazione preventiva. L'opinione maggioritaria ritiene che l'atto (purché autorizzato dal comitato dei creditori, altrimenti vds. parag. precedente) non subisca conseguenze, non potendo l'informativa in sé incidere sul contenuto e sugli effetti dell'atto, salvo evidentemente gli effetti che tale omissione può avere sul rapporto fiduciario e portare, nei casi più gravi, alla stessa proposta di revoca del curatore, che dovrà essere decisa dal tribunale in composizione collegiale. Secondo altra tesi, minoritaria, l'atto del curatore non inviato preventivamente al g.d. presenterebbe una distonia rispetto allo schema legale tipico, discutendosi ulteriormente se ciò dia luogo ad una semplice irregolarità, oppure ad un vizio di legge che dovrebbe comunque essere denunciato con le forme ed i ristretti termini previsti dall'art. 36 l.fall.

Il ruolo del g.d. nel caso di chiusura della procedura con liti pendenti

Va osservato che il novellato art. 118 l.fall. consente la chiusura anticipata della procedura fallimentare laddove sia possibile effettuare un piano di riparto a favore dei creditori e restino una o più azioni pendenti da proseguire (evidentemente accantonate le risorse necessarie alle eventuali spese di giudizio). In quel caso si è di fronte ad una chiusura della procedura concorsuale sui generis, posto che il curatore ed il g.d. restano in carica, mentre viene meno l'organo del comitato dei creditori. In questa fattispecie è perciò espressamente previsto, in deroga all'art. 35 l.fall., che spetti al g.d. autorizzare le eventuali transazioni o rinunce alle liti al posto del c.d.c. venuto meno. Resta il dubbio (che chi scrive tende a risolvere positivamente) che il riferimento all'art. 35 l.fall. consenta al g.d. l'autorizzazione di altri atti di straordinaria amministrazione che dovessero rendersi necessaria fra la chiusura «anticipata» ed il piano di riparto suppletivo, volto a distribuire ai creditori le risorse ottenute dalla lite o dai giudizi pendenti.

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