Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 27 - Nomina del curatore.1

Alessandro Farolfi

Nomina del curatore.1

 

Il curatore è nominato con la sentenza di fallimento, o in caso di sostituzione o di revoca, con decreto del tribunale.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 24 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La norma ha ricevuto la sua attuale formulazione in base all'art. 24 del d.lgs. n. 5/2006. Poiché la stessa si limita a ribadire quanto può evincersi dall'art. 16, comma 1 n. 2 (per la nomina del curatore), dall'art. 23, comma 1 (per la competenza del tribunale) o dal combinato disposto degli artt. 37 e 37-bis (per la sostituzione o revoca del curatore), si ritiene che la disposizione in esame abbia una valenza meramente riepilogativa (Apice, 518). Il fatto che la nomina e la revoca del curatore siano atti di competenza del tribunale fallimentare e non del giudice delegato risponde da un lato alla conferma di una competenza tradizionale, che il legislatore delle riforme non ha inteso sovvertire; dall'altro risponde comunque alla logica di lasciare un maggiore spazio di autonomia gestoria in capo a questo organo, considerato che il g.d. non ha un proprio potere diretto di nomina e di revoca ma può, al più sollecitare in tal senso l'organo collegiale. Si evita in questo modo che i poteri di vigilanza e controllo di regolarità sulla gestione operata dal curatore possano essere in qualche misura strumentalizzati dal giudice monocratico, così tentato, attraverso (se riconosciuto) un potere di revoca e/o nomina permanente, di esercitare nuovamente indiretti poteri gestori e di amministrazione attiva della procedura. Ma tale modello non sarebbe, a ben vedere, compatibile con i principi informativi della riforma. Vi è peraltro, occorre aggiungere, una disposizione come l'art. 41 comma 4 l.fall. che, nei casi di mancanza od inerzia del comitato dei creditori, nonché in caso di urgenza, può consentire al g.d. – sia pure in via surrogatoria –l'esercizio di poteri autorizzatori ed indirettamente gestori. In ogni caso la norma in esame mette in relazione diretta il curatore proprio con il tribunale fallimentare, così chiamato ad esercitare le competenze più rilevanti rispetto alla nomina, alla revoca, ma anche riguardo alla liquidazione del compenso di questo organo. Il ruolo del curatore può, in termini generali e di necessaria approssimazione, definirsi come ambivalente. Tale espressione si trova solitamente definita con la definizione «che ha duplice valore, o significato, o effetto, che può servire a due scopi diversi», e tale aggettivo ben si attaglia alla figura del curatore. Infatti, da un lato esso si pone come terzo quando agisce come organo istituzionalmente preposto alla ricostruzione del patrimonio del fallito (tanto che la scrittura privata utilizzata per l'insinuazione al passivo deve avere data certa, ai sensi dell'art. 2704 c.c.), mentre deve considerarsi come un sostituto del fallito quando agisce nei confronti dei terzi per tutelare un diritto preesistente al fallimento, che già si trovava nel patrimonio del fallito (ad es. quando agisce per la riscossione di un credito dell'imprenditore fallito o quando subentra in un rapporto contrattuale pendente di cui era parte il medesimo fallito).

Anche dopo l'entrata in vigore della riforma della legge fallimentare è possibile affermare che la nomina a curatore del fallimento ed il mantenimento dell'incarico rispondono all'esigenza, super individuale e non riconducibile al mero rapporto con i creditori, del corretto svolgimento e del buon esito della procedura, non essendo configurabile una posizione giuridicamente rilevante del curatore alla quale corrisponde la natura meramente ordinatoria e non decisoria tanto del decreto di accoglimento o di rigetto dell'istanza di revoca dall'ufficio, quanto del provvedimento, di conferma o di riforma del decreto emesso dalla corte di appello in sede di reclamo. Deve, pertanto, essere escluso che contro detto provvedimento possa proposto ricorso straordinario per cassazione (Cass. n. 5094/2015). La stessa decisione ha altresì precisato che ai sensi del combinato disposto dell'art. 23 e dell'art. 37-bis l.fall. (articoli, rispettivamente, il primo sostituito ed il secondo introdotto dal d.lgs. n. 5/2006), per la sostituzione del Curatore su richiesta avanzata dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi non è sufficiente l'indicazione da parte di questi ultimi delle ragioni della richiesta, spettando in ogni caso al Tribunale valutare se dette ragioni integrino o meno i giustificati motivi in presenza dei quali può farsi luogo alla sostituzione del Curatore. È dunque escluso che la volontà espressa dai creditori vincoli l'organo giudiziario, il quale non è tenuto a verificare unicamente la legittimità formale della richiesta, bensì deve valutare se le ragioni della stessa siano pertinenti alla migliore gestione della procedura e non funzionali, piuttosto, al perseguimento di interessi diversi o di singoli creditori.

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