Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 19 - Sospensione della liquidazione dell'attivo 1.

Roberto Amatore

Sospensione della liquidazione dell'attivo 1.

 

Proposto il reclamo, la corte d'appello, su richiesta di parte, ovvero del curatore, può, quando ricorrono gravi motivi, sospendere, in tutto o in parte, ovvero temporaneamente, la liquidazione dell'attivo 2 .

[ Se è proposto ricorso per cassazione i provvedimenti di cui al primo comma o la loro revoca sono chiesti alla Corte di appello. ] 3

L'istanza si propone con ricorso. Il presidente, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti dinanzi al collegio in camera di consiglio. Copia del ricorso e del decreto sono notificate alle altre parti ed al curatore.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 17 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La disposizione dettata dall'art. 19 l.fall. prende il posto del precedente art. 19 la cui norma disciplinava l'appello avverso la sentenza di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, istituto ora venuto meno a seguito della introdotta possibilità di proporre avverso la detta sentenza reclamo diretto alla corte d'appello.

Ebbene, l'art. 18 l.fall., mentre nella sua precedente formulazione stabiliva al quarto comma che «l'opposizione non sospende l'esecuzione della sentenza», ora prevede al terzo comma che «il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata, salvo quanto previsto dall'art. 19, primo comma».

Innanzitutto, va evidenziato che non è prevista né è consentita una sospensione generale dell'esecuzione provvisoria della sentenza di fallimento, tanto ciò è vero che la riforma ha introdotto solo la sospensione della liquidazione dell'attivo (Montanaro, 110).

In realtà, la norma in esame ha soddisfatto l'esigenza di mettere a disposizione degli interessati uno strumento processuale atto ad evitare danni irreparabili che potevano derivare dalla liquidazione del patrimonio del fallito in pendenza di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, allorquando la impugnazione risultasse fondata ed il fallimento fosse revocato, atteso che peraltro la sentenza di revoca non è immediatamente esecutiva (Di Mundo, 40; D'Aquino, La legge fallimentare. Commentario teorico pratico (a cura di Ferro), Padova, 2007, 157).

È stato affermato in dottrina che il provvedimento di sospensione si pone quale estrinsecazione del potere di inibitoria della provvisoria esecutività della sentenza impugnata, in analogia a quanto l'art. 283 c.p.c. prevede in sede di impugnazione della sentenza civile (D'Aquino, La legge fallimentare. , cit., ibidem. Per qualcuno la possibilità di sospendere la liquidazione indebolisce il primo monolitico principio dell'immediata esecutività della sentenza di fallimento e della sua persistenza anche in pendenza di impugnazione (Di Mundo, cit., ibidem.).

In realtà, deve ritenersi che il potere di inibitoria degli effetti della sentenza dichiarativa è speculare alla tutela attribuita in sede prefallimentare, laddove le parti possono chiedere l'emissione di provvedimenti cautelari e conservativi (così, anche D'Aquino, La legge fallimentare. cit. ibidem).

Ebbene, la ratio della disposizione di cui al comma 2, in base alla quale copia del ricorso e del decreto che ordina la comparizione delle parti è notificata al curatore, è ravvisata nel fatto che il curatore potrebbe accingersi a porre in essere atti di liquidazione dell'attivo, sicché si è opportunamente previsto che debba essere messo in condizione di sapere che è stata al contrario richiesta la sospensione, e ciò anche al fine di effettuare ogni opportuna valutazione e adottare ogni conseguente determinazione (Montanaro, La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 111).

Presupposti e legittimazione

Il presupposto per la sospensione è la sussistenza di gravi motivi (in tema si legga, Di Mundo, La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, cit., 41). Ancorché la formula riecheggi il presupposto che l'art. 283 c.p.c. richiede per la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, ossia la sussistenza di gravi e fondati motivi, deve ritenersi che la norma in esame non esiga la sussistenza del fumus boni iuris, unitamente al periculum in moram, ma esclusivamente di quest'ultimo (Montanaro, La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 111).

Va tuttavia ricordato, per completezza di indagine, che in senso contrario altra parte della dottrina afferma invece che i gravi motivi debbano essere intesi come presenza sia del fumus, inteso come probabilità dell'accoglimento dell'appello, che del periculum, da intendersi più correttamente come probabilità che nelle more del giudizio di reclamo vengano compiuti atti di dispersione del patrimonio fallimentare (Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 401).

Secondo altri autori, i gravi motivi si riferirebbero o alla proposta liquidazione, allorquando essa appaia fondata in tutto o in parte, oppure alla liquidazione immediata, quando essa appaia pregiudizievole (Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 78; Pajardi, cit, 170).

Deve ritenersi tuttavia che il sacrificio richiesto ai creditori in termini di sospensione della liquidazione debba essere controbilanciato da specifiche esigenze alla interruzione della liquidazione (D'Aquino, La legge fallimentare, cit., 160).

Sul punto, va precisato che, trattandosi di sospendere solo la fase della liquidazione dell'attivo fallimentare, il giudice dell'appello può limitare la valutazione alla sussistenza di un danno irreparabile derivante al debitore dall'inizio della liquidazione, danno che potrà riguardare non solo l'impresa, ma anche il debitore persona fisica (Montanaro, La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 111). Occorre ricordarsi infine che la corte d'appello deve valutare la presenza dei presupposti, sia in limine litis che nel corso del giudizio (Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, (a cura di Fabiani, Jorio, cit., 401).

Per quanto concerne il profilo della legittimazione attiva, va detto che la sospensione può essere richiesta ad iniziativa di parte ovvero del curatore (Di Mundo, La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, a cura di Fabiani, Patti, Milano, 2006, 41).

Sul punto, occorre precisare che per parte deve intendersi principalmente quella che sia risultata soccombente nel procedimento prefallimentare davanti al tribunale fallimentare e che abbia proposto reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, e dunque il debitore ovvero gli altri eventuali interessati alla proposizione del reclamo (D'Aquino, La legge fallimentare. cit., 157). Ebbene, la genericità della formulazione lascia intendere che la legittimazione spetta anche al creditore istante, che potrebbe avere interesse alla sospensione poiché in caso di revoca potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni conseguenti alla propria istanza di fallimento (Montanaro, La legge fallimentare dopo la riforma, cit., ibidem).

Peraltro, il legislatore ha espressamente previsto la legittimazione del curatore, che potrebbe ravvisare ragioni di opportunità relative alla necessità di attendere che si formi il giudicato sulla dichiarazione di fallimento prima di procedere alla liquidazione, e ciò anche in considerazione che gli artt. 107, comma 4, e 108 l.fall. non attribuiscono al curatore un potere discrezionale di sospensione delle attività liquidative del patrimonio fallimentare.

Si osserva altresì che non risulta chiaro il motivo per il quale si differenzi la posizione della parte da quella del curatore, considerato che per parte non debba necessariamente intendersi colui che ha proposto il reclamo. Ebbene, occorre sul punto qui da ultimo in discussione concordare con chi in dottrina ritiene che l'unica possibile spiegazione è data dalla opportunità di consentire che l'istanza di sospensione venga proposta anche dal curatore che non si sia costituto in giudizio (Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 400).

Il procedimento

La richiesta di sospensione della liquidazione può essere proposta formulando l'istanza all'interno del reclamo ovvero con domanda successiva. Sul punto, la norma intende specificare che il ricorso è la forma con la quale l'istanza arriva a conoscenza dell'organo decidente. Non si esclude che all'istanza del reclamante – o indipendentemente o persino in assenza di iniziativa da parte del reclamante – possano aggiungersi le istanze di altre parti non reclamanti, come il creditore procedente ed il curatore. In tal caso le istanze saranno proposte con autonomi ricorsi in via incidentale nel procedimento di reclamo proposto dal debitore ovvero da altro interessato (D'Aquino, La legge fallimentare, cit., 158). Sul punto, va ulteriormente precisato che, per quanto nulla la disposizione specifichi in ordine a chi incomba l'onere della notificazione, si ritiene che la notificazione debba essere eseguita dalla parte richiedente e, in caso di pluralità di parti richiedenti, a cura della parte più diligente, tenuto conto che la parla di notificazione e non di comunicazione, attività propria della parte e non della cancelleria (D'Aquino, La legge fallimentare, cit., ibidem).

Peraltro, il ricorso ed il decreto di comparizione debbono essere notificati anche alle altri del giudizio di reclamo e al curatore (Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, cit., 79).

Va aggiunto che con il decreto correttivo è stato sostituito il termine «collegio» con la espressione «corte d'appello», così chiarendosi, come sottolineato anche nella Relazione illustrativa, che competente a conoscere la istanza di sospensione della liquidazione dell'attivo è la corte d'appello e non più il tribunale fallimentare. Peraltro, anche prima del correttivo i primi commentatori non si erano posti dubbi al riguardo ed avevano affermato che la norma è chiara laddove stabilisce che la misura conservativa deve essere adottata dal collegio, e cioè un giudice estraneo a quello che sovraintende il procedimento concorsuale, inteso appunto come corte d'appello (Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 400).

Il procedimento si svolge nelle forme dei procedimenti camerali e deve ritenersi che lo stesso sia del tutto deformalizzato (D'Aquino, La legge fallimentare, cit., 158), ma necessita naturalmente della regolare costituzione del contraddittorio e deve obbedire a criteri di celerità di giudizio.

Va aggiunto che non vi è alcuna previsione di delega alla trattazione, per cui si conclude che il provvedimento è di competenza collegiale, ancorché per la trattazione del reclamo sia stato delegato un relatore. Pertanto, il presidente della corte ovvero della sezione – con decreto steso in calce al ricorso – ordina la comparizione delle parti davanti al collegio in camera di consiglio. Sul punto, va chiarito che, per parti chiamate a comparire, si intendono coloro che hanno chiesto la sospensione della liquidazione. Peraltro, devono poter comparire in camera di consiglio anche le altre parti del giudizio di reclamo ed il curatore (Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, cit., 79).

Il legislatore non ha previsto un termine minimo a difesa delle parti nei cui confronti è proposta la istanza di sospensione e neanche ha disciplinato le modalità con cui queste possono esercitare il diritto di difesa.

Peraltro, il legislatore non ha neanche previsto se l'udienza debba essere celebrata contestualmente allo svolgimento del procedimento di reclamo, ovvero fissando udienze ad hoc. Occorre ritenere che, anche per economia processuale, risulti preferibile non fissare udienze ad hoc, tenuto anche conto che i termini acceleratori imposti dal legislatore per la fissazione della prima udienza di reclamo (60 giorni dal deposito del ricorso in appello ex art. 18, comma 5, l.fall.), consentano di massima un intervento decisorio di merito della corte a circa due o al massimo tre mesi dalla dichiarazione di fallimento, e dunque tendenzialmente prima che venga iniziata l'attività liquidatoria fallimentare (D'Aquino, La legge fallimentare, cit., ibidem).

Da ultimo, va avvertito che, trattandosi di un provvedimento ordinatorio emanato in un procedimento che si chiude con sentenza, è da ritenersi che la forma adottabile per il provvedimento decisorio sia quella della sentenza.

In ordine al regime impugnatorio, va detto che, considerato che la norma dettata dall'art. 19 l.fall. nulla prevede espressamente in proposito, si deduce da ciò che non si applichi il disposto normativo dettato dall'art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c., secondo cui un provvedimento, per essere irrevocabile, deve essere dichiarato espressamente non impugnabile dalla legge. Ed invero, la soluzione che qui si propone, ancorché distonica rispetto al sistema delle impugnazioni, è che i provvedimenti di sospensione siano generalmente modificabili e revocabili dalla corte d'appello, in virtù del principio generale dettato dall'art. 177, comma 2, c.p.c.. Ebbene, prima del correttivo, si pensava che la tesi trovasse conforto nel disposto del comma 2 dell'art. 19 l.fall. previsto dalla riforma, la cui lettera normativa contemplava la possibilità della revoca da parte dello stesso giudice del provvedimento in caso di proposizione del ricorso per cassazione (D'Aquino, La legge fallimentare, cit., 158).

Tuttavia, quest'ultimo argomento non può più essere utilmente invocato stante l'abrogazione, da parte del decreto correttivo, della disposizione in parola. Sul punto, va ora ricordato che la Corte regolatrice (Cass. n. 27087/2011, in Fall., 2012, 667, con nota adesiva Marelli. In dottrina sul tema cfr. tra altri Gaboardi, Riassunzione del processo e sospensione «integrale» della liquidazione, nota a Trib. Roma, 7 febbraio 2011, in Fall., 2011, 869 ss.; De Santis, Le misure cautelari ed inibitorie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e Bassi, coord. da G. Capo, De Santis e Meoli, I, I presupposti. La dichiarazione difalliemnto. Le soluzioni concordatarie, Padova, 2010, 400 ss.; D'Aquino, sub art. 19, in La legge fallimentare, commentario diretto da M. Ferro, Padova, 2011, 265 ss.; Montanaro, Sub art. 19, in La legge fallimentare dopo la riforma, Commentario, diretto da A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, I, Torino, 2010, 277 ss.; Cavalli, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, XI, S. Ambrosini, G. Cavalli e A. Jorio, Il fallimento, Padova 2009, 227 ss.; Fabiani, sub art. 19, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio e coord. da M. Fabiani, Bologna-Roma, 2006, 393 ss.), intervenuta per la prima volta sul tema qui dibattuto, si è pronunciato nel senso della non reclamabilità e non ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. del diniego della istanza di sospensione, dovendosi inquadrare la fattispecie nel paradigma del combinato disposto degli artt. 283 e 351 c.p.c. e non avendo il procedimento reso sull'istanza carattere decisorio definitivo su diritti soggettivi.

Per completezza di indagine, giova ricordare che il comma 2 dell'articolo 19 l.fall., così come risultava a seguito della riforma del 2006, prevedeva che, proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado, la sospensione, se non concessa, o la sua revoca, se concessa, potevano essere richieste alla Corte d'appello, in analogia con quanto disposto dall'art. 373 c.p.c. nel giudizio di appello ordinario. La norma, sebbene involuta nella forma, aveva di mira la necessità di disciplinare la inibitoria in epoca successiva alla pronuncia del giudizio di appello e in pendenza del ricorso per cassazione. Tuttavia, tale disposizione poneva diversi problemi applicativi all'interprete e, in qualche misura, lasciava intendere che la sentenza d'appello non fosse provvisoriamente esecutiva (D'Aquino, Sub art. 105, cit., 159) e che il provvedimento di sospensione adottato dalla corte d'appello non venisse assorbito dalla decisione di tale giudicante (Montanaro, Sub art. 15, cit., 111).

Ebbene, la previsione normativa in commento è stata abrogata, a far tempo dal 1 gennaio 2008, ad opera del decreto correttivo.

Potrebbe dirsi che l'abrogazione e dunque la circostanza che non sia più previsto che la corte d'appello adotti misure cautelari in caso di ricorso per cassazione possa essere letta nel senso che la sentenza di revoca del fallimento non produrrebbe alcun effetto immediato.

Di contro, può essere ragionevolmente replicato che la sentenza resa dalla corte d'appello ben può essere governata dalle regole generali e dunque anche dal sistema dell'inibitoria di cui all'art. 373 c.p.c., con l'effetto che ancora la corte d'appello potrebbe provvedere in via, sostanzialmente cautelare, a regolare la situazione in modo provvisorio sino alla formazione del giudicato (così, anche Fabiani, op. ult. cit., ibidem. Non ammette invece l'inibitoria Pajardi-Paluchoscki, cit, 175).

Contenuto e efficacia della sospensione

Il legislatore ha previsto un ampio ventaglio di possibili provvedimenti di sospensione, allo scopo di calibrare il provvedimento cautelare della corte sulle specifiche esigenze della parte richiedente, ovvero del debitore o del creditore: da una sospensione totale della liquidazione ovvero ad una sospensione di solo parte dell'attivo ovvero con limitazione nel tempo, quale può essere una sospensione solo temporanea delle attività materiali di vendita: per un approfondimento, si rimanda a Montanaro, La legge fallimentare dopo la riforma, cit. 110.

Sul punto, va detto che non si ravvisano particolari difficoltà nel determinare il contenuto della possibile sospensione parziale, che potrà interessare specifici atti di liquidazione e specifici cespiti. Più in particolare, la possibilità di una liquidazione parziale nelle more della decisione sull'appello consente di evitare un danno tanto al ceto creditorio quanto alle ragioni del debitore. Pertanto, deve ritenersi opportuno che la corte specifichi quali siano le attività di liquidazione che si intendono sospendere (D'Aquino, Sub art. 105, cit., 162).

Non è invece chiaro quale sia il contenuto della sospensione temporanea. Ebbene, la locuzione viene normalmente intesa nel senso che la corte può prevedere la sospensione delle attività di liquidazione sino ad un termine individuato per relationem, ovvero indicando un periodo predeterminato di sospensione della liquidazione (così, di nuovo D'Aquino, Sub art. 105, cit., ibidem).

Come già sopra accennato, l'oggetto della sospensione è la sola liquidazione dell'attivo, e dunque non già l'esecuzione per altri aspetti della sentenza di fallimento, giacché sarebbe invero assurdo arrestare l'amministrazione e la gestione del patrimonio fallimentare in capo al curatore. Pertanto, non possono essere oggetto di sospensione la disciplina relativa ai rapporti pendenti, alla formazione dello stato passivo, ovvero ancora alla custodia e amministrazione dei beni fallimentari.

Si ritiene invece che possano essere oggetto di sospensione le azioni che derivano dal fallimento soggette alla competenza funzionale del tribunale ex art. 24, quali le azioni revocatorie, risarcitorie e di inefficacia, espressamente contemplate nel programma di liquidazione (D'Aquino, Sub art. 105, cit, 157).

Al contrario, non vi sono motivi perché i giudizi che si trovavano già nel patrimonio del fallito, quali le azioni di recupero dei crediti del fallito, debbano essere assoggettate a sospensione, atteso che in questo caso il curatore opera come successore del fallito e l'eventuale revoca del fallimento porterà all'applicazione dell'art. 110 c.p.c. Così, è stato correttamente ritenuto in dottrina che è opportuno escludere dal provvedimento di sospensione della liquidazione i giudizi posti in essere ovvero proseguiti dalla curatela (D'Aquino, Sub art. 105, cit., 161).

Al curatore è invece inibito porre in essere qualsiasi atto liquidatorio nel caso in cui venga disposta senza alcuna limitazione la sospensione della liquidazione, dunque anche la riassunzione dei giudizi sospesi (Trib. Roma 7 febbraio 2011, in Fall., 2011, 632).

Si ritiene invece correttamente che il provvedimento di sospensione non abbia invece alcuna incidenza sull'esercizio provvisorio e sull'eventuale affitto d'azienda (D'Aquino, Sub art. 105, cit., ibidem).

Deve invece ritenersi che gli organi della procedura debbano soprassedere dal proseguire con il procedimento di formazione e approvazione del programma di liquidazione, costituendo la decisione della corte da evento interruttivo dei termini per la predisposizione del programma (D'Aquino, Sub art. 105, cit., 162).

Qualora invece il provvedimento di sospensione dovesse intervenire dopo l'approvazione del programma di liquidazione, dovrà sospendersi l'attività liquidatoria esecutiva dei singoli beni o del complesso degli stessi, ancorché l'attività liquidatoria non potrà essere sospesa per quei beni già trasferiti a terzi all'atto della pronuncia del provvedimento di sospensione, atteso che la liquidazione fallimentare avrebbe, in tal caso, già fatto il suo corso. Non vi è dubbio peraltro che, essendo il concordato una modalità liquidatoria alternativa a quella concorsuale, il provvedimento di sospensione, salva diversa statuizione, comporti l'arresto della proposta concordataria che non sia già stata omologata dal tribunale (D'Aquino, Sub art. 105, cit., 163).

Si ritiene che il provvedimento di sospensione della liquidazione sia sempre modificabile e che, di conseguenza, possa anche essere prorogata la sospensione temporanea. L'efficacia temporale della sospensione, quale provvedimento cautelare, si misura con il risultato del processo, nel senso che, una volta accolto il reclamo, l'effetto della sospensione viene assorbito nella pronun-cia di revoca di più ampio respiro, mentre il rigetto del reclamo dovrebbe condurre alla automatica caducazione della misura ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c. (Fabiani, op. ult. cit., 402).

Bibliografia

Cavalli, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, XI, S. Ambrosini, G. Cavalli e A. Jorio, Il fallimento, Padova 2009, 227 ss.; D'Aquino, sub art. 19, in La legge fallimentare, Commentario, diretto da M. Ferro, Padova, 2011, 265 ss.; De Santis, Le misure cautelari ed inibitorie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e Bassi, coord. da G. Capo, De Santis e Meoli, I, I presupposti. La dichiarazione difalliemnto. Le soluzioni concordatarie, Padova, 2010, 400 ss.; Di Mundo, La tutela dei diritti nella riforma fallimentare (a cura di Fabiani, Patti), Milano, 2006, 41; Di Mundo, La dichiarazione di fallimento ed il suo presupposto soggettivo, in AA. VV., in La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, a cura di Fabiani e Patti, Milano, 2006, 40; D'Aquino, La legge fallimentare. Commentario teorico pratico (a cura di Ferro), Padova, 2007, 157; M. Fabiani, sub art. 19, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio e coord. da M. Fabiani, Bologna-Roma, 2006, 393 ss.); Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, (a cura di Fabiani, Jorio), cit., 401; Montanaro, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 110; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 78.

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