Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 92 - Composizione collegiale del tribunale.Composizione collegiale del tribunale. 1. Il tribunale dichiara lo stato di insolvenza e adotta gli altri provvedimenti previsti dal presente decreto in composizione collegiale. 2. Nell'ambito della procedura regolata dal presente decreto, il tribunale giudica altresì in composizione collegiale nelle cause relative all'accertamento del passivo previste dagli articoli 98 e seguenti della legge fallimentare e nelle cause di approvazione del concordato previste dall'articolo 214, terzo comma, della medesima legge. InquadramentoL'esigenza di individuare specificamente, mediante la norma in esame, le controversie devolute al Tribunale in composizione collegiale si correla alla riforma realizzata dal d.lgs. n. 51/1998 che, introducendo gli artt. 50-bis, 50-quater c.p.c., ha devoluto in via generale e residuale al tribunale in composizione monocratica la decisione delle cause in materia civile. L'art. 50-quater c.p.c. chiarisce, peraltro, che le regole dettate in ordine alla composizione monocratica o collegiale del tribunale non si considerano attinenti alla costituzione del giudice e, pertanto, non sono assoggettate al regime delle nullità processuali c.d. assolute dettato dall'art. 158 c.p.c., bensì a quello «ordinario» delle nullità processuali relative che si convertono, quindi, in motivi di gravame ai sensi dell'art. 161, comma primo, c.p.c. Questioni di carattere generaleL'esigenza di individuare specificamente, mediante la norma in esame, le controversie devolute al Tribunale in composizione collegiale si correla alla riforma realizzata dal d.lgs. n. 51/1998 che, introducendo gli artt. 50-bis, 50-quater c.p.c., ha devoluto in via generale e residuale al tribunale in composizione monocratica la decisione delle cause in materia civile. In tale assetto, pertanto, sono attribuite alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale soltanto le controversie indicate dall'art. 50-bis c.p.c., nonché quelle espressamente indicate da disposizioni di legge speciale (come quella qui in commento). La previsione della riserva di collegialità per alcune cause deve pertanto considerarsi eccezionale rispetto alla regola della decisione da parte del tribunale in composizione monocratica, con le relative conseguenze sul piano interpretativo (Olivieri, 467) in termini di inammissibilità di qualsivoglia interpretazione estensiva o analogica. Qualora il giudizio sia riservato alla competenza del giudice collegiale, ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c., il provvedimento di sospensione deve essere adottato dal collegio, ossia dal giudice chiamato a decidere la causa pregiudicata, e non dal giudice istruttore (Cass. VI, n. 16805/2014). L'art. 50-bis c.p.c., peraltro, come già l'art. 48 l. ord. giudiziario, devolve espressamente al Tribunale in composizione collegiale le cause «di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti di cui al R.d. n. 267/1942 e alle altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa» (comma 1, n. 2) e le cause in tema di omologazione del concordato preventivo e fallimentare (comma 1, n. 4). L'art. 98 del d.lgs. in commento ha invece modificato lo stesso art. 50-bis c.p.c., eliminando il pregresso riferimento effettuato dal medesimo alla legge c.d. Prodi, attesa la disciplina specifica della materia affidata alla disposizione in commento. Analizzando le scelte seguite dal legislatore nella specifica materia concorsuale, non è facile trarne un fondamento giuridico unitario, essendo le stesse riconducibili talvolta all'aspetto pubblicistico del concorso collettivo od all'interesse economico che caratterizza questo tipo di procedimenti ed in altri casi alla stabilità dello stato passivo, od all'esigenza di assicurare un controllo del tribunale in composizione collegiale dei provvedimenti assunti dal giudice delegato od, ancora, allo scopo di far seguire ad una fase sommaria un giudizio di cognizione a contraddittorio pieno ed esauriente (in arg. Ricci, 708 ss.). Con riferimento ai procedimenti in materia concorsuale, peraltro, la riforma del giudice unico di primo grado non ha risolto la problematica interpretativa afferente la possibilità, affermata da autorevole dottrina (cfr. Ricci, 708 ss.) in ragione di un'assunta specialità degli artt. 24 e 25 rispetto all'art. 50-bis c.p.c., di estendere i confini della riserva di collegialità in materia fallimentare. In giurisprudenza tende ad affermarsi, invero, l'opposta interpretazione con riguardo, ad esempio, all'azione revocatoria fallimentare che, in quanto non espressamente devoluta dall'art. 50-bis, n. 2, c.p.c. al tribunale in composizione collegiale, dovrebbe ritenersi rientrante nella competenza del giudice monocratico (Rago, 633). In particolare, la S.C. ha evidenziato, a riguardo, che l'elencazione delle controversie per le quali è stabilito che il tribunale giudica in composizione collegiale, quale contenuta sia nell'art. 48, comma secondo, r.d. n. 12/1941, nel testo modificato dall'art. 88, l. n. 353/1990, in vigore sino all'1 giugno 1999, sia nell'art. 50-bis, comma secondo, c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 51/1998, ha carattere tassativo e, conseguentemente, nel giudizio relativo all'azione revocatoria fallimentare ex art. 64 il tribunale giudica in composizione monocratica, in quanto tale giudizio non è menzionato tra quelli che dette norme riservano al tribunale in composizione collegiale, poiché esso non rientra tra i giudizi di «revocazione», menzionati da dette norme, che riguardano esclusivamente le cause aventi ad oggetto l'azione revocatoria del credito ammesso al passivo per effetto di dolo o di errore essenziale (art. 102), che, insieme con le cause di opposizione ed impugnazione e con quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti compongono il quadro delle controversie riservate alla decisione del tribunale in composizione collegiale, che devono essere mantenute distinte dalle cause dirette ad ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti pregiudizievoli ai creditori concorsuali (Cass., n. 19892/2005; Cass., n. 14012/2002 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Torino II, 2 agosto 2005; nel senso che, quindi, l'azione revocatoria fallimentare può essere introdotta nelle forme del procedimento sommario di cognizione v. Trib. Prato 10 novembre 2009, in Foro it. 2009, I, 3505). Tale conclusione appare valida anche per le azioni revocatorie incardinate ai sensi del decreto legislativo in esame, non spiegando l'art. 92 alcun riferimento a tali azioni quanto alla devoluzione delle stesse alla cognizione del tribunale in composizione collegiale. Riserva di collegialità del tribunale per la dichiarazione dello stato di insolvenza e gli altri atti della proceduraLa disposizione in esame devolve espressamente alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale in primo luogo le controversie in tema di dichiarazione dello stato di insolvenza e «gli altri atti della procedura». Pertanto, sulla scorta di tale criterio resta ferma la riserva di collegialità per la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza ed i provvedimenti conservativi eventualmente assunti con la stessa o successivamente (art. 21), per la revoca di tale decisione (art. 10), per la conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento (art. 11), per la pronuncia di rigetto del ricorso per dichiarazione dello stato di insolvenza (art. 12), per la pronuncia di apertura dell'amministrazione straordinaria o di dichiarazione del fallimento (artt. 30-31), per la decisione sull'impugnazione degli atti del commissario straordinario lesivi di diritti soggettivi (art. 65), per la conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento nel corso della stessa (artt. 69 ss.), per la chiusura della procedura (art. 73) e per la riapertura della stessa (art. 77), per l'accertamento dei presupposti per l'estensione dell'amministrazione straordinaria ad altre imprese del gruppo (artt. 82 ss.). Devoluzione al tribunale in composizione collegiale delle controversie in tema di accertamento del passivoLa disposizione in esame attribuisce, inoltre, alla cognizione e decisione del tribunale in composizione collegiale tutte le controversie in tema di accertamento del passivo ex artt. 98 ss. l. fall. e non soltanto, pertanto, le cause in materia di insinuazione tardiva dei crediti, come per il fallimento ex art. 50-bis, comma primo, n. 2, c.p.c. La differente opzione del legislatore per le due procedure appare giustificata in ragione della precipua rilevanza sul piano economico delle controversie in tema di accertamento del passivo che possono sorgere nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi. Peraltro, trova invece applicazione anche con riferimento ai procedimenti in esame l'orientamento, affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui il decreto con il quale il giudice delegato, a fronte dell'opposizione del curatore, in luogo di provvedere alla istruzione della causa e rimettere la decisione al collegio, direttamente escluda, in tutto o in parte, il credito oggetto della domanda d'insinuazione tardiva al passivo della procedura fallimentare o comunque neghi il rango privilegiato prospettato, è atto radicalmente inesistente, in quanto emesso da un giudice privo di poteri decisori, e pertanto insuscettibile di produrre effetti giuridici, sicché il giudice dinanzi al quale esso venga impugnato con uno dei mezzi previsti dal codice di rito non può pronunciare nel merito né rimettere le parti dinanzi al primo giudice, ma deve limitarsi a dichiarare l'inesistenza del provvedimento impugnato, restituendo le parti nella situazione in cui esse si trovavano prima della pronuncia del provvedimento dichiarato inesistente (Cass. S.U., n. 9692/2002). La norma in esame stabilisce, infine, che il tribunale giudica in composizione collegiale anche nelle controversie di approvazione del concordato regolate, secondo il modello della procedura di liquidazione coatta amministrativa, dall'art. 214, comma terzo, l.fall. La riserva di collegialità opera, pertanto, sia in relazione alla decisione sulla proposta di concordato che rispetto alle eventuali opposizioni proposte dai creditori e dagli altri soggetti interessati. Sotto tale profilo, la disposizione in commento «completa» in modo coerente, con riferimento alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, la disciplina complessiva in materia, atteso che il n. 4 del comma primo dell'art. 50-bis c.p.c. devolve alla cognizione del tribunale in composizione collegiale le cause di omologazione del concordato preventivo e fallimentare. Tale regolamentazione si giustifica, rispetto al concordato preventivo, con la logica esigenza di demandare necessariamente ad un organo collegiale ciò che in sede sommaria viene già deciso da altro organo collegiale e, quanto al concordato fallimentare, con la considerazione che lo stesso costituisce pur sempre una causa di cessazione della procedura ed esige l'emissione di un provvedimento di un organo collegiale al pari di quello che ne ha determinato l'apertura (cfr. Fabiani-Panzani, 9 ss.; Pellegrino, 54 ss.). Tuttavia, anche in mancanza dell'espressa riserva di collegialità prevista dalla disposizione in esame, riteniamo che alla medesima conclusione poteva pervenirsi in via interpretativa in ragione della decisione sulla proposta di concordato o sulle opposizioni dal tribunale in camera di consiglio ex art. 737 c.p.c., secondo quanto stabilito dal medesimo art. 214 l.fall., essendo invero i procedimenti decisi mediante tale rito devoluti, salva diversa previsione di legge in senso difforme, al tribunale in composizione collegiale ex art. 50-bis, comma secondo, c.p.c. Conseguenze della violazione delle regole in tema di composizione monocratica o collegiale del tribunaleL'art. 50-quater c.p.c. chiarisce, peraltro, che le regole dettate in ordine alla composizione monocratica o collegiale del tribunale non si considerano attinenti alla costituzione del giudice e, pertanto, non sono assoggettate al regime delle nullità processuali c.d. assolute dettato dall'art. 158 c.p.c., bensì a quello «ordinario» delle nullità processuali relative che si convertono, quindi, in motivi di gravame ai sensi dell'art. 161, comma primo, c.p.c. Ciò comporta che l'unica sede nella quale può essere denunciata l'invalidità della sentenza per la violazione delle norme sulla composizione del tribunale è quella dell'impugnazione della stessa. In termini analoghi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno a riguardo chiarito che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall'art. 50-quater c.p.c. al successivo art. 161, comma primo, c.p.c. un'autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l'effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell'impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla (Cass. S.U., n. 28040/2008; conf. Cass. I, n. 13907/2014). BibliografiaConsolo, L'avvento del giudice unico fra riorganizzazione e timidezze, in Giur. comm. 1998; Fabiani-Panzani, La riforma del processo civile e le procedure concorsuali, Padova, 1994; Luiso, Prime osservazioni sul giudice unico (professionale) di primo grado e sulle sezioni stralcio, in Giur. it. 1997, IV; Olivieri, Il giudice unico di primo grado nel processo civile (tribunale monocratico e collegiale – sede principale e sezioni), in Giust. civ., 1998, II; Pellegrino, Fallimento e nuovo processo civile, Padova, 1994; Rago, Competenza sulle cause di revocatoria fallimentare, in Fall. 2003; Ricci, Collegio e giudice unico nelle controversie fallimentari, in Riv. dir. proc.1997; Riviezzo (a cura di), Giudice unico di primo grado, Milano, 1999. |