Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 53 - Accertamento del passivo.

Rosaria Giordano

Accertamento del passivo.

1. L'accertamento del passivo prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, secondo il procedimento previsto dagli articoli 93 e seguenti della legge fallimentare, sostituito al curatore il commissario straordinario.

2. Se è ammessa all'amministrazione straordinaria una società con soci illimitatamente responsabili si applicano altresì le disposizioni dell'articolo 148, terzo, quarto e quinto comma, della legge fallimentare.

Inquadramento

Nella vigenza della legge c.d. Prodi l'accertamento del passivo era regolato dalla disciplina dettata per la liquidazione coatta amministrativa e quindi veniva effettuato d'ufficio dal commissario straordinario, nell'ambito di un procedimento di carattere amministrativo senza la partecipazione dei creditori, come nel fallimento.

In base alla normativa attuale sull'amministrazione straordinaria, non è più prevista per l'accertamento del passivo una fase amministrativa davanti al commissario straordinario, ma la verifica assume natura giurisdizionale e si svolge, sin dalla fase della dichiarazione dello stato d'insolvenza, davanti al giudice delegato, ai sensi degli artt. 93 ss. l.fall.

Il procedimento per l'accertamento del passivo fallimentare è strutturato su due fasi, una necessaria e l'altra eventuale. La prima si svolge davanti al giudice delegato in via provvisoria sulla base della documentazione allegata e, quindi, lo stato passivo così formato viene sottoposto all'esame in sede di adunanza dei creditori, i quali hanno diritto d'intervenire e di far valere le proprie osservazioni e contestazioni; quindi, sulla base delle deduzioni dei creditori del commissario giudiziale o del commissario straordinario e dello stesso imprenditore, il giudice delegato apporta le necessarie modificazioni ed integrazioni e lo dichiara esecutivo. La seconda fase dà luogo ai giudizi contenziosi, nei quali si controverte dell'esistenza del credito e delle ragioni di prelazione sulla base delle contestazioni dei creditori esclusi od ammessi con riserva. Autorevole dottrina ha evidenziato che, pertanto, la struttura dell'accertamento del passivo è assimilabile a quella del procedimento monitorio nella quale ad una fase necessaria di cognizione sommaria può succedere, a seguito della proposizione dell'opposizione, una fase eventuale a cognizione piena (Satta, 316 ss.).

Fasi eventuali del procedimento di accertamento del passivo possono incardinarsi a seguito della proposizione dell'opposizione allo stato passivo, dell'impugnazione dei crediti ammessi e della revocazione: tali rimedi, i cui differenti presupposti sono disciplinati dall'art. 98, trovano oggi unitaria disciplina processuale nell'art. 99 che delinea per la decisione degli stessi un procedimento camerale ad hoc (cfr., di recente, Pellegrinelli, 85 ss.).

L'accertamento del passivo nella legge Prodi

Nella vigenza della legge c.d. Prodi l'accertamento del passivo era regolato dalla disciplina dettata per la liquidazione coatta amministrativa e quindi veniva effettuato d'ufficio dal commissario straordinario, nell'ambito di un procedimento di carattere amministrativo senza la partecipazione dei creditori, come nel fallimento. La giurisprudenza aveva configurato, in un primo tempo, un temporaneo difetto di giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U., n. 1399/1987, in Fall. 1987, 929), successivamente corretto in una temporanea improponibilità della domanda d'insinuazione di credito davanti al giudice ordinario sino all'esaurimento della fase amministrativa (Cass. S.U.,, n. 8635/1996, in Fall. 1997, 288). In conseguenza di tale assetto si era affermato, in giurisprudenza, che nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la formazione dello stato passivo, in quanto viene eseguita dai liquidatori senza il rispetto del contraddittorio e l'obbligo di motivare l'esclusione del credito, come avviene, invece, nel fallimento, non può assumere valore preclusivo, con la conseguenza che, quando un credito non viene preso in esame, la mancata inclusione nel predetto elenco non configura un provvedimento implicito di rigetto né comporta l'applicabilità dei rimedi previsti per il caso di omessa pronunzia da parte del giudice, ed il creditore non è tenuto a proporre opposizione a stato passivo, ex art. 98, per ottenere l'ammissione al passivo della propria ragione creditoria, ma è legittimato a proporre domanda d'insinuazione tardiva ai sensi dell'art. 101 detta legge (Cass. I, n. 15102/2001; Cass. I, n. 2500/1996, in Fall. 1996, 1088, con osservazione di Figone; contra Cass. I, n. 10955/1994, in Fall. 1995, 739, con osservazione di Didone).

La disciplina attuale

In base alla normativa vigente sull'amministrazione straordinaria, non è più prevista per l'accertamento del passivo una fase amministrativa davanti al commissario straordinario, ma la verifica assume natura giurisdizionale e si svolge, sin dalla fase della dichiarazione dello stato d'insolvenza, davanti al giudice delegato, ai sensi degli artt. 93 ss. l.fall. Pertanto, la nuova disciplina si è affrancata dalla liquidazione coatta amministrativa, in favore di un procedimento di accertamento di natura giurisdizionale (Dimundo, 1192).

Sotto altro profilo, la circostanza che la norma in esame faccia riferimento alla «prosecuzione» dell'accertamento secondo le disposizioni contenute nella sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza comporta che l'accertamento del passivo non risenta della struttura bifasica della procedura, inserendosi in essa in termini unitari (De Sensi, 454; rileva Paluchowski, 2436, che poiché l'art. 30 tace sul punto sarà confermato il giudice delegato cui era già demandato l'accertamento dei crediti nella prima fase).

Pertanto, la sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza apre il concorso dei creditori sul patrimonio dell'imprenditore e che qualsiasi credito, anche se munito di un diritto di prelazione, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V della legge fallimentare (Cass. I, n. 2566/1996), il rinvio alle quali è stato correttamente inteso come «formale», sicché deve oggi aversi riguardo alla disciplina dell'accertamento del passivo e delle fasi impugnatorie regolate dagli artt. 93 ss., come rimodulati dopo le riforme del 2006-2007 (De Sensi, 453).

Una parte della dottrina ha espresso perplessità in ordine all'inserimento della verifica giudiziale del passivo nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, in ragione delle finalità conservative della stessa che rischiano di rendere inutile l'accertamento del passivo nell'ipotesi in cui si realizzi l'auspicato obiettivo del risanamento dell'impresa, specie ove il programma sia di ristrutturazione dei beni aziendali (Alessi, 216; sull'incidenza negativa dell'accertamento giurisdizionale dei crediti sulla durata della procedura cfr. Bonfatti- Censoni, 540).

In senso opposto si è osservato che è invece opportuna una più adeguata garanzia delle ragioni creditorie attraverso la procedura giudiziale e ciò sia in considerazione della liquidazione unitaria del complesso aziendale nell'ipotesi di programma di cessione dei beni sia della possibilità di conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento (De Sensi, 455). Inoltre, la scelta operata mediante la norma in commento appare coerente con l'impostazione della Prodi-bis nel senso di una giurisdizionalizzazione della procedura di amministrazione straordinaria specie laddove venga in rilievo la tutela di diritti soggettivi, come avviene senza dubbio nella fase di accertamento dei crediti ove si realizza sempre un potenziale conflitto tra i diritti dei diversi creditori dell'imprenditore insolvente, atteso che la possibilità di soddisfazione di ciascun creditore attraverso la partecipazione al riparto è inversamente proporzionale al valore complessivo dei crediti ammessi (cfr. Guizzi, 298).

In coerenza con l'assetto delineato dalla norma in esame, le Sezioni Unite hanno affermato che in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria, giacché l'effetto attributivo della cognizione agli arbitri, proprio del compromesso o della clausola compromissoria, è comunque paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento o dall'apertura della procedura di amministrazione straordinaria, dell'avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l'accertamento di un credito compreso nella procedura concorsuale, allo speciale ed inderogabile procedimento di verificazione dello stato passivo (Cass., S.U., n. 15200/2015).

L'accertamento del passivo. Fase necessaria

Occorre premettere che il procedimento per l'accertamento del passivo è strutturato su due fasi, una necessaria e l'altra eventuale.

La prima si svolge davanti al giudice delegato in via provvisoria sulla base della documentazione allegata e, quindi, lo stato passivo così formato viene sottoposto all'esame in sede di adunanza dei creditori, i quali hanno diritto d'intervenire e di far valere le proprie osservazioni e contestazioni; quindi, sulla base delle deduzioni dei creditori del commissario giudiziale o del commissario straordinario e dello stesso imprenditore, il giudice delegato apporta le necessarie modificazioni ed integrazioni e lo dichiara esecutivo. La seconda fase dà luogo ai giudizi contenziosi, nei quali si controverte dell'esistenza del credito e delle ragioni di prelazione sulla base delle contestazioni dei creditori esclusi od ammessi con riserva. Autorevole dottrina ha evidenziato che, pertanto, la struttura dell'accertamento del passivo è assimilabile a quella del procedimento monitorio nella quale ad una fase necessaria di cognizione sommaria può succedere, a seguito della proposizione dell'opposizione, una fase eventuale a cognizione piena (Satta, 316 ss.).

La domanda d'insinuazione al passivo si propone con ricorso, sottoscritto dal creditore e per la presentazione della stessa non è necessaria l'assistenza del difensore. La proposizione della domanda viene «provocata» da un avviso del commissario ai creditori risultanti dalle scritture contabili, avviso che costituisce una mera provocatio ad agendum volta a consentire la concentrazione delle istanze in un procedimento che presenti nella misura maggiormente possibile dimensioni collettive (cfr. Guizzi, 299).

Ciò non implica alcuna valutazione sull'eventuale futura ammissione al passivo (Cass. I, n. 24316/2011, in Fall. 2012, 879).

È discusso se la domanda di insinuazione al passivo sia una domanda giudiziale. Se in dottrina sono state anche di recente avanzate perplessità a riguardo (cfr. De Sensi, 463), nondimeno, tenuto conto del disposto dell'art. 94, è indubbio che l'insinuazione comporti effetti giuridici analoghi alla proposizione della domanda giudiziale (così Ferro, 94).

Ad esempio, determina l'interruzione della prescrizione del credito, con effetto permanente, sino al momento della chiusura della procedura o della revoca della sentenza dichiarativa d'insolvenza o di fallimento (Cass. I, n. 8990/1997), pure se fondata su ragioni di ordine processuale (Cass. I, n. 10968/2005). Anche in sede di merito è stato evidenziato a riguardo che la presentazione dell'istanza di insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile all'atto con cui si inizia un giudizio, determina l'interruzione della prescrizione del credito medesimo con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio generale fissato dall'art. 2945, comma 2, c.c., e tale interruzione opera anche nei confronti del condebitore solidale del fallito, ai sensi dell'art. 1310, comma 1, c.c., il quale riguarda ogni atto interruttivo, tanto ad effetti istantanei, quanto ad effetti permanenti (Trib. Perugia 19 ottobre 2009).

La domanda di insinuazione al passivo deve essere corredata degli elementi oggi più puntualmente indicati dall'art. 93, i.e. indicare a pena di inammissibilità, oltre alle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, anche la procedura nella quale il creditore intende insinuarsi e la somma per la quale si chiede l'ammissione. Alla domanda dovranno inoltre essere allegati i documenti utili al suo accoglimento, documenti che possono peraltro essere prodotti sino all'udienza di verifica (Guizzi, 300).

Anche la giurisprudenza precedente alla riforma della legge fallimentare aveva ritenuto che il creditore deve indicare nella domanda di insinuazione al passivo le eventuali ragioni di preferenza od anche la natura prededucibile (Trib. Reggio Emilia, 12 marzo 1998, decr., in Fall. 1998, 1087).

Nel procedimento trova piena applicazione la regola generale dell'onere della prova ex art. 2697 c.c. (cfr., anche con riguardo all'onere di specifica contestazione ai sensi dell'art. 115 c.p.c., De Vita, 400 ss.).

Dopo la presentazione delle domande il curatore e, quindi, nell'amministrazione straordinaria, il commissario, dovrà esaminarle e rassegnare le proprie motivate conclusioni su ciascuna di esse, evidenziando all'autorità giudiziaria la ricorrenza di eventuali circostanze impeditive, modificative od estintive rispetto alla pretesa fatta valere. Sulla scorta delle conclusioni rassegnate, il commissario predisporrà poi un progetto di stato passivo da presentare al giudice delegato, depositato in cancelleria entro quindici giorni prima dell'udienza rispetto al quale i creditori possono presentare eventuali osservazioni scritte e documenti integrativi sino al giorno dell'udienza (Guizzi, 301).

È stato chiarito che un tema di accertamento del passivo, la mancata presentazione da parte del creditore di osservazioni al progetto di stato passivo depositato dal curatore non comporta acquiescenza alla proposta e conseguente decadenza dalla possibilità di proporre opposizione; infatti, non può trovare applicazione il disposto dell'art. 329 c.p.c. rispetto ad un provvedimento giudiziale non ancora emesso, inoltre l'art. 95, comma secondo, introdotto dal d.lgs. n. 169/2007, prevede che i creditori «possano» esaminare il progetto, senza porre a loro carico un onere di replica alle difese e alle eccezioni del curatore entro la prima udienza fissata per l'esame dello stato passivo, di talché deve escludersi che il termine predetto sia deputato alla definitiva e non più emendabile individuazione delle questioni controverse riguardanti la domanda di ammissione (Cass. I, n. 5659/2012; conf., tra le altre, Trib. Arezzo 21 febbraio 2012; anche in relazione al creditore che non abbia partecipato all'udienza di verifica, Trib. Firenze 29 febbraio 2012, in Riv. dott. comm., 2012, n. 2, 458; contra Trib. Reggio Emilia, I, 23 marzo 2012).

Prima di tale innovazione del procedimento di accertamento del passivo fallimentare realizzata negli anni 2006 e 2007, si era evidenziato che la posizione assunta dal commissario giudiziale o straordinario è quella di terzo, in relazione alla quale vanno applicate tutte le regole dettate per l'opponibilità degli atti ai terzi (Cass. I, n. 3347/1994), con l'ulteriore conseguenza che, avuto riguardo ai crediti portati da scrittura privata, va applicata la disciplina di cui all'art. 2704 c.c., come nel fallimento (Cass. I, n. 4551/1998).

Nell'assetto riformato si pongono anche con riguardo alla posizione del commissario nell'amministrazione straordinaria le questioni sollevate in dottrina circa la possibilità di ritenere il curatore fallimentare parte del procedimento di accertamento del passivo.

Invero, secondo attenta dottrina, l'attuale operatività del principio dispositivo nel procedimento di accertamento del passivo fallimentare riformato implica che il curatore sia parte in senso formale dello stesso in quanto introdotto da un ricorso volto all'accertamento di un credito nei confronti non solo dell'imprenditore fallito ma altresì degli altri creditori concorsuali (così, tra gli altri, Ferro, 686; Guizzi, 301; cfr. anche De Sensi, 480, sul conseguente onere di disconoscimento del commissario straordinario ex artt. 214-215 c.p.c. della scrittura privata posta quale documentazione probatoria del credito).

Sempre avendo riguardo alla disciplina tradizionale dettata dalla legge fallimentare, si riteneva che il procedimento di formazione dello stato passivo fosse caratterizzato dal principio inquisitorio quanto ai poteri dell'autorità giudiziaria che non appariva vincolata al principio della domanda e sul piano istruttorio poteva assumere qualsiasi iniziativa, disponendo, anche in mancanza di qualsivoglia richiesta di parte, mezzi di prova d'ufficio o assumendo informazioni inaudita altera parte (v., tra gli altri, Bozza, 887; Bozza-Schiavon, 31; Ferrara, 521 ss.; Provinciali, 1437; Satta, 322 ss.). Nel sistema attuale, diversamente, dal disposto dell'art. 95, comma terzo, ultima parte, l. fall., secondo cui il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento, deve argomentarsi che possono ammettersi soltanto i mezzi istruttori tempestivamente richiesti dalle parti purché compatibili con la celerità del procedimento stesso (cfr. De Sensi, 482).

Più in generale, nel corso dell'udienza di verifica il giudice dovrà decidere in relazione a ciascuna domanda nel rispetto del principio di cui all'art. 112 c.p.c., ossia avendo riguardo alla pretesa formulata dal creditore ed alle sole eccezioni dedotte dal commissario. In tal senso in sede di legittimità si è evidenziato che in tema di formazione dello stato passivo, ed a seguito delle riforme del 2006 e del 2007, il giudice delegato non può, rilevandone la revocabilità, escludere la garanzia di un credito per il quale sia stata iscritta ipoteca giudiziale, se non previa formulazione della corrispondente eccezione da parte del curatore, il quale, peraltro, alla stregua di quanto specificamente sancito dall'art. 99, comma settimo, l. fall., può proporre nel successivo giudizio di opposizione quelle eccezioni che non abbia sollevato in sede di verifica (Cass. I, n. 8246/2013). La valorizzazione del principio del contraddittorio anche nei rapporti tra il Giudice e le parti nel nuovo procedimento di accertamento del passivo fallimentare è stata confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermando il principio per il quale anche nel procedimento di accertamento del passivo fallimentare si applica la regola della previa instaurazione del contraddittorio sulle questioni sollevate d'ufficio dal giudice e ciò rileva anche per l'eccezione di inopponibilità della scrittura privata in quanto priva di data certa trattandosi di una eccezione in senso lato (Cass., S.U., n. 4213/2013, in Giust. civ. 2013, 2, 299, con nota di Didone).

All'esito dell'accertamento, che può essere eseguito anche nel corso di più udienze, dei singoli crediti fatti valere il giudice formerà lo stato passivo che sarà reso esecutivo con un decreto a partire dal deposito del quale in cancelleria decorrerà il termine per la proposizione delle eventuali impugnazioni.

Rispetto a ciascun credito, il provvedimento del giudice può essere di ammissione, trasformando con ciò la posizione del creditore da concorsuale in concorrente. In questo caso, egli deve anche indicare nel provvedimento, se il credito viene collocato in via chirografaria od in via privilegiata.

Il provvedimento del giudice delegato può anche essere di ammissione con riserva, e ciò, dopo la riforma della legge fallimentare, esclusivamente nelle ipotesi indicate dal comma terzo dell'art. 96 ossia: i crediti condizionati e quelli indicati nell'ultimo comma dell'art. 55; i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice; i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale, non passata in giudicato, prima della dichiarazione di fallimento. Il d.lgs. n. 46/1999 prevede inoltre l'ammissione con riserva per i crediti tributari iscritti a ruolo per i quali è sorta contestazione. La riserva contenuta nel provvedimento di ammissione, fuori dalle ipotesi tassativamente previste dalla legge, deve ritenersi priva di efficacia e la relativa ammissione incondizionata (Trib. Roma 20 luglio 1996, in Fall. 1997, 324; Trib. Monza 25 ottobre 1988, in Fall. 1989, 913, con nota di Bozza). È stato chiarito che in tema di ammissione con riserva al passivo fallimentare, la riserva di produzione dei documenti giustificativi del credito, a prescindere dall'effettiva pertinenza dei documenti richiesti, non configura una riserva atipica, sicché il creditore non è dispensato dall'onere di proporre l'opposizione allo stato passivo, unico mezzo per ottenere l'eliminazione o lo scioglimento della riserva (Cass. I, n. 11143/2012). Effetto dell'ammissione con riserva è il diritto del creditore a vedere accantonato in proprio favore in sede di riparto un importo corrispondente a quello del credito ammesso.

Nel sistema anteriore alle riforme della legge fallimentare realizzate negli anni 2006 e 2007, si riteneva che soltanto il provvedimento mediante il quale il giudice dispone l'esclusione in tutto od in parte del credito insinuato e dell'eventuale prelazione richiesta, dovesse essere corredato da una succinta motivazione, in modo tale da poter desumere con chiarezza le ragioni che hanno determinato il mancato riconoscimento del credito o della prelazione. L'onere motivazionale è stato oggi esteso, ex art. 96, comma primo, l. fall., anche al decreto di ammissione del credito al passivo. Resta fermo che la graduazione dei crediti attiene alla fase della ripartizione dell'attivo e non dell'accertamento del passivo (Trib. Reggio Emilia, 12 marzo 1998 decr., in Fall. 1998, 1087).

Il principio, consolidato almeno in giurisprudenza, secondo cui il decreto del giudice delegato che dichiara esecutivo lo stato passivo non produce effetti al di fuori del fallimento (i.e. non è idoneo al giudicato sostanziale) e quindi non preclude alle parti, dopo la chiusura del fallimento stesso, la proposizione di domande di accertamento, positivo o negativo, in ordine alla sussistenza dei crediti medesimi (Cass. n. 3903/1988), trova oggi conforto sul piano normativo nel disposto dell'art. 96, ultimo comma, l.fall. secondo cui il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal Tribunale all'esito dei giudizi di cui all'art. 99 l.fall. producono effetti soltanto ai fini del concorso.

Occorre interrogarsi circa l'efficacia dello stato passivo divenuto definitivo nell'ipotesi della conversione in fallimento dell'amministrazione straordinaria. In dottrina si è evidenziato che lo stato passivo dichiarato esecutivo in sede di amministrazione straordinaria dovrebbe ritenersi definitivo anche nel successivo fallimento sia perché l'accertamento giurisdizionale del passivo nella procedura in esame è anche volto ad effettuare una verifica dei crediti per l'ipotesi di esito liquidatorio della procedura sia perché il fallimento costituisce esito negativo cui l'amministrazione straordinaria può approdare ove non siano realizzabili le finalità conservative della stessa (cfr. De Sensi, 495).

Casistica

L'insinuazione al passivo di una procedura di amministrazione straordinaria di un credito fondato su di un contratto di conto corrente bancario, per la validità del quale è prevista la forma scritta "ad substantiam", postula l'accertamento dell'anteriorità della data di quest'ultimo, ex art. 2704, comma 1, c.c., rispetto alla sentenza dichiarativa dell'insolvenza, in ragione della terzietà dell'organo gestore della procedura verso i creditori concorsuali ed il debitore, senza che la banca possa avvalersi, a fini probatori del credito invocato, degli estratti del conto stesso. Né la proposizione, in via subordinata, di domande riconvenzionali di nullità di specifiche clausole contrattuali e di ripetizione di indebito da parte del commissario è idonea a superarne la questione della data certa e, dunque, dell'opponibilità del contratto alla procedura, perché, quando la difesa della parte si articola in più domande subordinate, la verifica di compatibilità deve farsi nell'ambito di ciascuna di esse, implicandone la formulazione in via gradata il progressivo abbandono delle tesi già sostenute (Cass. I, n. 17080/2016).

Segue. Fasi eventuali di carattere impugnatorio

Fasi eventuali del procedimento di accertamento del passivo possono incardinarsi a seguito della proposizione dell'opposizione allo stato passivo, dell'impugnazione dei crediti ammessi e della revocazione: tali rimedi, i cui differenti presupposti sono disciplinati dall'art. 98 l.fall., trovano oggi unitaria disciplina processuale nell'art. 99 l.fall. che delinea per la decisione degli stessi un procedimento camerale ad hoc (cfr., di recente, Pellegrinelli, 85 ss.).

Più in particolare, l'opposizione è l'impugnazione che può essere proposta, nei confronti del curatore (rectius, del commissario) contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo, dal creditore o dal titolare di diritti su beni mobili o immobili la cui domanda sia stata respinta o accolta solo in parte. Tradizionalmente, in dottrina come in giurisprudenza non è stata espressa un'opinione concorde sulla natura giuridica dell'opposizione allo stato passivo.

In particolare, secondo alcuni, il procedimento rivestirebbe il contenuto di un'impugnazione e, quindi, sarebbe limitato al riesame del provvedimento del giudice delegato (Cass. I, n. 845/843), mentre altri hanno ritenuto che si tratterebbe di un procedimento ordinario di cognizione, con ampia possibilità di difesa per il ricorrente (Cass. I, n. 7902/1994).

In conseguenza di questi due diversi indirizzi interpretativi, l'individuazione dell'oggetto del procedimento non è stata agevole. A volte, si è ritenuto che il creditore possa far valere la natura prededucibile o privilegiata di un credito insinuato ed ammesso in via chirografaria, quando la qualificazione dell'obbligazione risulta fondata sugli stessi elementi prospettati nell'originaria domanda (Cass. I, n. 10241/1992), ma, poi, si è negato che il creditore opponente possa chiedere il riconoscimento della natura pre-deducibile di un credito non dedotta in sede di verifica (Cass. I, n. 11044/1997). In altri casi si è sostenuto che l'indicazione del grado di privilegio rivendicato non fa parte del petitum posto a fondamento della domanda di ammissione del credito, precisandosi che l'ordine dei privilegi è stabilito esclusivamente dalla legge (Cass. I, n. 4082/1988).

Sulla questione, occorre comunque tener presente che, in accordo con la giurisprudenza più recente, il giudizio di opposizione allo stato passivo, ai sensi dell'art. 99, anche anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 5/2006, ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell'immutabilità della domanda, il quale esclude che possano prendersi in considerazione fatti diversi da quelli dedotti in sede di verifica del passivo (Cass. I, n. 7278/2013).

Sono legittimati a proporre l'opposizione allo stato passivo i creditori esclusi o ammessi con riserva. Sono stati riconosciuti tali anche coloro che abbiano proposto una domanda di credito sulla quale il giudice ha omesso di pronunciarsi, ma non si è escluso in altri casi che debba essere proposta un'insinuazione tardiva. Inoltre, il decreto del giudice delegato che, senza fissazione di udienza, sancisca l'inammissibilità della domanda tardiva di credito, perché formulata oltre il termine di cui all'art. 101, così impedendo alla parte istante di fornire la prova della non imputabilità ad essa del ritardo, è impugnabile con l'opposizione di cui all'art. 99, trattandosi di provvedimento che concorre alla formazione definitiva dello stato passivo ed incide sul diritto alla partecipazione al concorso del creditore (Cass. I, n. 21596/2012). Legittimato passivo del giudizio di opposizione è il solo commissario o curatore.

Nel giudizio di opposizione vige la regola di cui all'art. 2697 c.c., sicché il creditore deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, senza alcun onere per il commissario o il curatore di reperire la documentazione sull'esistenza dei crediti dell'imprenditore (Cass. I, n. 7815/1997; Trib. Milano 2 marzo 1998, in Giur. it. 1998, 2300).

Non operano, peraltro, stante l'unitarietà delle due fasi, necessaria ed eventuale, del procedimento, le preclusioni (cfr., anche per i riferimenti, D'Orazio 656 ss.).

Tuttavia è stato affermato che il creditore possa servirsi delle risultanze processuali acquisite in sede di verifica, nonché della documentazione allegata all'istanza d'insinuazione di credito (Trib. Genova 5 marzo 1990, in Fall. 1990, 759) e può, inoltre, utilizzare il fascicolo fallimentare (Cass. I, n. 2823/1995). Tali orientamenti sono stati recentemente confermati in sede di legittimità mediante l'affermazione del principio per il quale nel caso in cui il tribunale, adito in sede di reclamo ai sensi dell' art. 99 l.fall., in sede di opposizione allo stato passivo, non disponga della domanda di ammissione al passivo e non sia in grado di ricostruirne il tenore alla stregua dei documenti già in atti, deve disporne l'acquisizione d'ufficio, non trattandosi di documento, ma di domanda giudiziale che il cancelliere, che forma il fascicolo d'ufficio della opposizione, deve inserire in copia all'interno dello stesso (Cass. I, n. 3164/2014, in Fall. 2014, n. 6, 654, con nota di D'Orazio). La S.C. ha chiarito che, in tema di opposizione allo stato passivo, nella procedura di amministrazione straordinaria il provvedimento reso direttamente all'esito dell'udienza ex art. 99 l.fall, e inserito a verbale, va riferito all'organo collegiale dinnanzi al quale si è tenuta l'udienza, tuttavia la forma di decreto giustificandone la sottoscrizione da parte del solo presidente (Cass. VI, n. 16493/2013).

Inoltre, in un precedente più recente, la S.C. ha chiarito che, in tema di opposizione allo stato passivo dell'amministrazione straordinaria, anche nella disciplina successiva al d.lgs. n. 5/2006 è pienamente efficace la regola del giudicato endofallimentare ex art. 96 l.fall., sicché, ove il creditore abbia opposto il provvedimento di parziale esclusione del diritto vantato dallo stato passivo, senza che, nel conseguente giudizio di opposizione, il commissario straordinario si sia costituito ed abbia contestato il difetto di legittimazione attiva, il giudice dell'opposizione non può, «ex officio», rivalutare la legittimazione del creditore ed escludere la qualità del credito richiesta, in base ad una rivalutazione dei fatti già oggetto di quel provvedimento e non contestata nei termini e nelle forme di legge, in quanto coperta dal predetto giudicato (Cass. I, n. 19960/2015).

Mediante il giudizio di impugnazione dei crediti ammessi, anch'esso significativamente modificato in un'ottica di maggiore celerità processuale negli anni 2006-2007 ed ora disciplinato come le altre impugnazioni dall'art. 98 l.fall., si tende ad ottenere l'esclusione totale o parziale di un credito o di una prelazione dallo stato passivo (Satta, 344).

In ordine all'interesse del creditore impugnante, è prevalso l'orientamento interpretativo che tende a riconoscerlo in senso più ampio di quanto possa essere quello inerente alla sua specifica posizione obbligatoria ed all'eventuale pregiudizio che egli possa subire per effetto del soddisfacimento del credito altrui (Cass. I, n. 6614/1992).

Nell'assetto previgente, ulteriori incertezze interpretative sono insorte in ordine alla legittimazione attiva del curatore (con considerazioni che possono operare con riguardo, nella procedura in esame, al commissario straordinario). In un primo tempo, secondo la giurisprudenza di legittimità, si era ritenuto che, salvo l'ipotesi regolata dall'art. 102 in materia di revocazione di crediti ammessi, lo stato passivo definitivo non potesse essere modificato ad iniziativa del curatore, negandosi, pertanto, una sua legittimazione a proporre l'impugnazione dei crediti ammessi (Cass. I, n. 2687/1971).

Successivamente, dopo alterne soluzioni interpretative, si è ribadito che la legittimazione di tale organo debba essere esclusa, dovendo riconoscere che il controllo della legittima partecipazione al concorso è esclusivamente riservata ai creditori, i quali sono portatori non soltanto di un proprio interesse concernente la propria pretesa obbligatoria, ma anche di ordine generale ricollegabile alla corretta formazione del passivo fallimentare (Cass. I, n. 659/1988, in Giust. civ. 1988, I, 928, con nota di Lo Cascio). Attualmente, la questione è stata risolta dal comma terzo dell'art. 98 l.fall. espressamente nel senso della proponibilità dell'impugnazione dei crediti ammessi anche su iniziativa del curatore.

Anche a seguito delle recenti novellazioni normative, resta invece fermo l'orientamento tradizionale secondo cui il debitore è privo di legittimazione a proporre l'impugnazione dei crediti ammessi. La Corte costituzionale (Corte cost. n. 222/1984) ha disatteso la relativa questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 Cost., osservando che le limitazioni poste al debitore trovano ragionevole giustificazione nella speciale natura del procedimento e che la sua partecipazione alla verificazione dei crediti consente di rappresentare le ragioni che vanno poste a fondamento del decreto del giudice delegato.

Si è dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza se l'impugnazione in esame possa essere esperita da tutti i creditori che siano stati ammessi al passivo anche con riserva (Trib. Vicenza 13 luglio 1993, in Fall. in 1994, 325).

Questa tesi, in dottrina, è stata supportata, tra gli altri, da Azzolina, 758 (contra: Ferrara, 535).

Ci si chiede, inoltre, se detta impugnazione possa essere proposta da coloro che, pur non ammessi, abbiano proposto opposizione (Trib. Vicenza 13 luglio 1993, cit.; Trib. Palermo 21 marzo 1986, in Fall. 1987, 510, con nota di Serretta).

L'impugnazione riguarda tutti i crediti ammessi al passivo e, pertanto, non solo quelli privilegiati o chirografari, ma anche quelli collocati in prededuzione. L'impugnazione è ammissibile anche contro i crediti di cui all'art. 101 (Cass. I, n. 7401/1997).

Quest'interpretazione appare corretta e soprattutto conforme a quella che è la logica dell'intero sistema normativo previsto per l'accertamento del passivo. Infatti l'impugnazione dei crediti ammessi assume una portata generale e riguarda, perciò, anche quelli insinuati e riconosciuti in via tardiva con decreto del giudice delegato. In sostanza, il giudizio contenzioso che segue il procedimento sommario di verifica, per assicurare alle parti un accertamento del credito a pieno contraddittorio e con adeguate garanzie di difesa, non può mancare neppure per i procedimenti d'insinuazione tardiva, quando questi si concludano con un provvedimento del giudice delegato (Cass. n. 7401/1997). L'onere della prova incombe al creditore; quella concernente le ragioni dell'esclusione fa carico all'impugnante. Tuttavia il creditore non è tenuto a fornire nuovamente la prova del proprio credito, mentre spetta all'impugnante dimostrare l'illegittimità dell'avvenuta ammissione del credito (v., ex ceteris, Cass. I, n. 11948/1998).

Un'altra impugnazione esperibile è la revocazione dei crediti ammessi, mediante la quale il curatore (rectius, il commissario straordinario), il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili, anche se siano decorsi i termini per la proposizione dell'opposizione o dell'impugnazione, possono chiedere che il provvedimento di accoglimento e/o di rigetto vengano revocati se si scopre che essi sono stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi non prodotti tempestivamente per causa non imputabile (cfr. Guizzi, 304).

La dottrina è sostanzialmente concorde nell'affermare che nel procedimento di revoca dei crediti ammessi si cumulano l'impugnazione di cui all'art. 395 e quella di opposizione di terzo di cui al successivo art. 404 c.p.c.. In particolare, l'impugnazione esperita dal curatore è stata assimilata al rimedio di cui all'art. 395, mentre quella esercitata dal creditore, alla natura dell'opposizione revocatoria, solo nel caso di collusione ai suoi danni (Bonsignori, 687).

Il ricorso per revocazione di credito ammesso è un rimedio avente natura straordinaria, idoneo a rimuovere il provvedimento del giudice delegato solo quando non sia possibile modificarlo con altri mezzi consentiti dalla legge (Cass. I, n. 4690/1994; Trib. Bergamo 15 febbraio 1996, in Fall. 1996, 709).

Sul piano processuale il procedimento delle impugnazioni proponibili avverso il decreto di esecutività dello stato passivo è oggi, dopo le riforme realizzate negli anni 2006 e 2007, disciplinato unitariamente dall'art. 99 l.fall. secondo un modello ispirato ai procedimenti in camera di consiglio con previsione, peraltro, di un rigido regime di preclusioni.

Le impugnazioni si propongono con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla comunicazione di cui all'art. 97 l. fall. relativa all'esecutività dello stato passivo ovvero in caso di revocazione dalla scoperta del fatto o del documento. In tema di accertamento del passivo nella procedura di amministrazione straordinaria ex art. 1, d.lgs. n. 270/1999, è stato affermato che la comunicazione del commissario relativa all'avvenuta declaratoria di esecutività dello stato passivo ha l'effetto di far decorrere il termine per l'opposizione sebbene, tuttavia, già prima di detta comunicazione il corrispondente decreto, se conosciuto, può essere impugnato (Cass. VI, n. 16493/2013). Più in generale, continua a trovare applicazione il tradizionale principio secondo cui il termine per impugnare lo stato passivo decorre per ciascun creditore dalla ricezione della raccomandata mediante la quale il curatore dà notizia dell'avvenuto deposito dello stato passivo in cancelleria, restando a carico del curatore che proponga la relativa eccezione di tardività dimostrarne il fondamento (cfr. Cass. I, n. 6799/2002). Viene precisato espressamente che il ricorso deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione e le relative conclusioni ed, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti (sicché dopo il deposito del ricorso non possono essere integrate le richieste istruttorie: Trib. Milano II, n. 6363/2012). Anche per l'opposizione allo stato passivo, il giudizio dopo la riforma ha carattere impugnatorio sicché non sono ammissibili domande nuove rispetto a quelle proposte nel giudizio precedente (Cass. n. 9341/2012). Tuttavia, nel caso in cui venga originariamente proposta domanda di ammissione di un credito al passivo in via privilegiata, la richiesta, in sede di opposizione, di un diverso privilegio non costituisce domanda nuova, in quanto la collocazione del credito discende direttamente dalla legge in relazione alla causa e, quindi, non deve essere oggetto di specifico petitum (Cass. I, n. 6800/2012). Diversamente, è inammissibile in sede di opposizione la richiesta di riconoscimento della prededucibilità del credito, insinuato originariamente in via privilegiata, implicando tale richiesta l'introduzione nel giudizio di un diverso tema di discussione e d'indagine, in quanto credito privilegiato e credito prededucibile hanno presupposti differenti (Cass. I, n. 5167/2012). Inoltre se con l'opposizione allo stato passivo non possono essere proposte domande nuove, poiché nel procedimento di verifica dei crediti non opera il principio di non contestazione né sussiste un regime di preclusioni a carico delle parti in ordine agli elementi di prova adducibili a sostegno della pretesa creditoria e alle eccezioni di parte che avverso detta pretesa la curatela possa avanzare, con l'introduzione del procedimento di opposizione allo stato passivo, dunque, l'opponente ben può non solo formulare istanze volte all'introduzione di prove costituende ma anche produrre documenti senza limitazione a condizione che ciò accada nel rispetto della preclusione prevista dall'art. 99, comma secondo, n. 4, l. fall. (Trib. Milano II, n. 5081/2012). Occorre tener presente, inoltre, che in tema di opposizione allo stato passivo del fallimento, è fatto onere al creditore opponente, la cui domanda sia stata respinta dal giudice delegato, di produrre anche nel giudizio di opposizione avanti al tribunale la documentazione, già prodotta nel corso della verifica del passivo, a sostegno della propria domanda, sicché, in difetto, al tribunale è precluso l'esame nel merito dell'opposizione, senza poter prendere visione dei documenti non prodotti (come prescritto alla parte, ai sensi dell'art. 99, c. 4, a pena di decadenza), né può essere disposta una consulenza tecnica su un materiale documentario non agli atti (Cass. VI, n. 493/2012). Il ricorrente non deve allegare a pena di improcedibilità una copia autentica del provvedimento impugnato (cfr. Cass. VI, n. 2677/2012). Nel giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, l'inosservanza del termine fissato dal giudice per la notificazione del decreto e del ricorso comporta l'improcedibilità del ricorso (Trib. Bari, decr. 2 dicembre 2013, in Fall. 2014, n. 8-9, 935, con nota di Trentini).

La costituzione in giudizio si effettua mediante il deposito in cancelleria, entro dieci giorni prima dell'udienza, di una memoria difensiva contenente, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché l'indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti prodotti (nel senso che ciò comporta che il giudizio di opposizione allo stato passivo sia regolato dal principio dispositivo v. Cass. VI, n. 12416/2012). Le preclusioni maturano quindi in relazione alla costituzione in giudizio della parte convenuta nella fase di impugnazione. Ne deriva che, anche nel sistema vigente, nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all'art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell'opposizione, se esclude l'immutazione del thema disputandum e non ammette l'introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all'esame del giudice delegato (Cass. I, n. 8929/2012). In senso analogo, è stato inoltre osservato che l'opposizione allo stato passivo non può essere qualificata come un appello, pur avendo natura impugnatoria, essendo un rimedio che mira a rimuovere un provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria e che, se non opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare ex art. 96 della legge fallimentare segnando solo gli atti introduttivi ex artt. 98 e 99, con l'onere di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti, il termine preclusivo per l'articolazione dei mezzi istruttori (Cass. I, n. 3403/2012).

Già prima della riforma, in giurisprudenza si era affermato che nel giudizio di opposizione a stato passivo era ammissibile l'intervento di chi, pur non essendo creditore, abbia uno specifico interesse a contrastare la pretesa obbligatoria altrui (App. Roma, 28 aprile 1997, in Fall. 1997, 857). Così pure si è ritenuto che l'intervento sia ammissibile, ai sensi dell'art. 106, quando l'opponente pretenda di essere garantito dal terzo della parte di credito eventualmente non riconosciuta nel fallimento (Cass. I, n. 190/1979, in Fall. 1979, 747) o quando non abbia per oggetto il riconoscimento di un credito nei confronti del fallimento (Trib. Genova 6 dicembre 1994, in Fall. 1995, 434).

La dottrina sembra voler limitare l'ammissibilità dell'intervento, ai sensi dell'art. 105 c.p.c., soltanto ai creditori ammessi (Provinciali, 1474 ss.); viceversa altri lo ammettono per i terzi esclusi dal passivo, a condizione che abbiano proposto opposizione e che abbiano interesse all'intervento (Panzani, 872).

Attualmente l'art. 99 l.fall. prevede espressamente che nei procedimenti di impugnazione viene ammesso, purché si realizzi non oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti con le modalità per queste previste, l'intervento di qualunque interessato. Peraltro, almeno in sede di merito, si è ritenuto che poiché a seguito della riforma operata con il d.lgs. n. 5/2006 ed il d.lgs. n. 169/2007, il giudizio di opposizione allo stato passivo si svolge secondo le regole del giudizio camerale — seppur sui generis ex — art. 99 per cui non è più possibile applicare a tale giudizio le regole del procedimento contenzioso ordinario, non è ammissibile la chiamata di terzo nel giudizio di opposizione allo stato passivo (Trib. Mantova II, 4 ottobre 2012, in Riv. dott. comm. 2013, 1, 160).

L'art. 99 l.fall. prevede, poi, che il giudice provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori. Quanto all'istruttoria, fermo che nei giudizi impugnatori trova applicazione la regola generale di cui all'art. 2697 c.c. in tema di riparto dell'onere probatorio, occorre aver riguardo all'assunto, che può operare anche in relazione al giudizio di impugnazione dei crediti ammessi, secondo cui il giudizio di opposizione allo stato passivo è regolato — ai sensi dell'art. 99, novellato dal d.lgs. n. 169/2007 — dal principio dispositivo, come qualunque ordinario giudizio di cognizione a natura contenziosa, per cui il materiale probatorio che lo concerne è quello prodotto dalle parti o acquisito dal giudice, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c., e è solo quel materiale che ha titolo a restare nel processo e tale principio opera sin dalla fase della verifica dei crediti avanti al giudice delegato decidendo tale organo, ex art. 95 nei limiti delle conclusioni formulate e avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio e a quelle formulate dagli altri interessati (Cass. VI, n. 6691/2012).

Il collegio — del quale non può far parte il giudice delegato che ha emesso il decreto che rende esecutivo lo stato passivo a pena di nullità della decisione ex art. 158 c.p.c. (cfr. Cass., n. 5246/2012) — provvede in via definitiva sull'opposizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato entro sessanta giorni dall'udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie. Il decreto è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione. La S.C. ha chiarito che la sentenza del tribunale che decida un'opposizione allo stato passivo in una procedura di amministrazione straordinaria in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006, è impugnabile con l'appello, e non mediante il ricorso per cassazione, sancendo l'art. 150 di tale decreto l'applicabilità del rito novellato previsto per le suddette opposizioni nell'ambito del fallimento — alla cui disciplina rinvia, per i medesimi giudizi esperiti durante l'amministrazione straordinaria, l'art. 53 del d.lgs. n. 270/1999, a sua volta richiamato dall'art. 4 del d.l. n. 347/2003, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 39/2004 — esclusivamente alle procedure concorsuali apertesi successivamente a quella data (Cass. VI, n. 10168/2013).

Insinuazione tardiva di credito

La domanda d'insinuazione tardiva di credito, al pari di quella tempestiva, ha natura giudiziale ed è diretta ad ottenere il riconoscimento del credito e dell'eventuale prelazione che l'assiste e comporta la modificazione dello stato passivo, ma non la sua censura e non assume natura d'impugnazione o di opposizione (cfr. Provinciali, 1504).

Pertanto, le controversie aventi per oggetto l'insinuazione tardiva di credito non rappresentano lo sviluppo, in sede contenziosa, della precedente fase di verificazione del passivo ed, in caso di contestazione da parte del commissario o del curatore, danno luogo ad un normale giudizio di cognizione, secondo le stesse regole ed i principi posti dal codice di rito (Cass. n. 4724/1993).

Perché il credito possa essere insinuato tardivamente, deve risultare diverso sia per petitum, sia per causa petendi da quello fatto valere in via tempestiva (Cass. n. 10882/2012). Non può, pertanto, essere proposta domanda d'insinuazione tardiva di un credito insinuato per ottenere il riconoscimento di una prelazione in precedenza non dedotta (Cass. I, n. 11286/1996), o quando il credito sia stato ammesso in sede tempestiva con riserva di produzione documenti e non sia stata proposta l'opposizione (Cass. I, n. 10936/1992). È, altresì, inammissibile la domanda tardiva avente per oggetto la medesima obbligazione fatta valere in via tempestiva (Cass. I, n. 3344/1994, in Fall. 1994, 1133); analogamente, se è stato chiesto il privilegio, non si può far valere successivamente la pre-deduzione (Cass. I, n. 4312/1993). Per converso, l'ammissione tardiva al passivo fallimentare relativamente agli interessi già maturati alla data del fallimento non è preclusa in conseguenza della già avvenuta richiesta ed ammissione dello stesso credito per il solo capitale, poiché il credito degli interessi, per quanto accessorio sul piano genetico a quello del capitale, è un credito autonomo, azionabile separatamente, anche successivamente al credito principale già riconosciuto con decisione passata in giudicato (Cass. I, n. 4554/2012]. Non vi è inoltre identità di causa petendi e di petitum tra la pretesa per retribuzioni relativa ad un determinato segmento temporale del rapporto di lavoro rispetto a quella attinente ad altro segmento e quindi nessun impedimento a richiederne il riconoscimento nell'ambito del rito fallimentare in tempi diversi, salvo ovviamente il regime delle spese in caso di ingiustificato frazionamento della domanda (Cass. I, n. 26761/2011). Sulla questione, premesso che in tema di ammissione al passivo in una procedura di amministrazione straordinaria, il principio di infrazionabilità del credito, secondo cui un credito, per poter essere insinuato in via tardiva, deve essere diverso per petitum e causa petendi da quello fatto valere in via tempestiva, non può essere interpretato in maniera formalistica, così da determinare la preclusione di qualsiasi domanda che, pur trovando la propria fonte nel medesimo fatto storico dal quale è sorto il credito già ammesso in sede di verifica, sia fondata su un titolo diverso, integrante una nuova fattispecie giuridica sostanziale, alla quale si ricolleghi un diverso tema di indagine e di decisione, la ha confermato, pur correggendone la motivazione, la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda di ammissione tardiva di un credito vantato — verso la società appaltatrice insolvente — a titolo di risarcimento del danno conseguente alla rescissione di un contratto di appalto pubblico, riconoscendo la diversità di titolo rispetto al credito restitutorio, facente capo allo stesso appaltante e già ammesso in via tempestiva, a seguito della menzionata rescissione, operata unilateralmente dalla committente ex art. 340, l. n. 2248/1865, All. F (Cass. I, n. 18962/2011).

L'estinzione del procedimento di insinuazione tardiva del credito non preclude, di per sé, la possibilità di far valere successivamente, anche nell'ambito della stessa procedura concorsuale, mediante riproposizione dell'istanza di insinuazione, il diritto sostanziale dedotto, in applicazione della regola, stabilita dall'art. 310, comma primo, c.p.c., secondo cui, in via di principio, l'estinzione del processo non incide sui diritti sostanziali fatti valere in giudizio e sul diritto di riproporli in altro giudizio. Invero, non può essere estesa in via analogica all'insinuazione tardiva la decadenza dall'azione, la quale si verifica solo per l'opposizione a stato passivo in considerazione della sua natura, estranea all'insinuazione tardiva, di rimedio impugnatorio soggetto al rispetto di termini perentori (Cass. I, n. 14585/2010).

L'art. 101, comma secondo, l. fall., nella formulazione vigente stabilisce che il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge nelle stesse forme di cui all'art. 95. Il giudice delegato fissa per l'esame delle domande tardive un'udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza. Il curatore dà avviso a coloro che hanno presentato la domanda, della data dell'udienza e trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. da 93 a 99 l.fall. che abbiamo già esaminato nei precedenti paragrafi.

In passato si era discusso se il termine finale di presentazione delle insinuazioni tardive di credito, dovesse coincidere con la scadenza prevista per l'impugnazione del decreto di esecutività del piano di ripartizione, oppure con la chiusura della procedura (Cass. I, n. 2201/1988, in Fall. 1988, 752, con nota di Caramazza; Trib. Padova 10 gennaio 1986, in Fall. 1987, 193). La giurisprudenza aveva chiarito che l'art. 101 l.fall., nel prevedere che i creditori possono chiedere l'ammissione al passivo sino a quando non siano esaurite le ripartizioni dell'attivo, pone soltanto un limite cronologico all'esercizio di tale facoltà, ma non riconosce ai creditori l'ulteriore diritto a non vedere pregiudicato il soddisfacimento del credito; cosicché agli organi della procedura non è preclusa la chiusura, senza che si debba procedere ad accantonamenti ai sensi dell'art. 113, peraltro espressamente indicati in modo tassativo (Cass. I, n. 8575/1998). Attualmente, peraltro, la questione è stata disciplinata dal legislatore in termini diversi poiché il primo comma dell'art. 101 l.fall. stabilisce che le domande di ammissione tardiva al passivo di un credito devono essere proposte entro dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive, termine che può essere prorogato dal tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, in caso di particolare complessità della procedura, fino a diciotto mesi. L'ultimo comma dello stesso art. 101 chiarisce, poi, che decorso il termine di cui al comma primo, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l'istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile. Sul punto, si è ritenuto che l'istanza di ammissione tardiva, volta a insinuare un credito tributario, deve essere presentata nel termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, ai sensi dell'art. 101, comma primo, senza che i termini più lunghi previsti per la formazione del ruolo possano costituire ragioni di scusabilità del ritardo (Cass. I, n. 5254/2012). Diversamente, il mancato avviso al creditore da parte del curatore del fallimento, previsto dall'art. 92 l.fall., integra la causa non imputabile del ritardo da parte del creditore, sebbene il curatore abbia facoltà di provare, ai fini dell'inammissibilità della domanda, che il creditore abbia avuto notizia del fallimento, indipendentemente dalla ricezione dell'avviso predetto (Cass. I, n. 4310/2012; conf. Trib. Treviso 9 dicembre 2011). Più in generale, si è osservato che l'art. 101 l.fall., il quale prevede che le domande di ammissione al passivo, di restituzione o di rivendicazione devono essere depositate in cancelleria non oltre il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo delle domande tempestive, non distingue tra crediti sorti prima del fallimento e crediti sorti successivamente, così che il creditore «sopravveniente» è anch'egli tenuto a rispettare detto termine. La norma in questione non opera, infatti, alcuna distinzione in base al momento in cui è sorto il credito ma introduce una disciplina di salvaguardia esclusivamente in considerazione del momento in cui la domanda è proposta, consentendo che il creditore che senza sua colpa sia incorso nel ritardo possa proporre la propria istanza anche successivamente al termine sopra indicato, purché ciò abbia luogo in un termine congruo rispetto al momento in cui il diritto di credito è venuto ad esistenza e poteva quindi essere fatto valere (Trib. Padova 26 gennaio 2012).

Peculiari problematiche sorgono con riferimento all'amministrazione straordinaria, in quanto l'art. 8, d.lgs. n. 270/1999 prevede termini diversi da quelli della sentenza di fallimento per la presentazione delle domande di insinuazione al passivo. Invero, mentre la sentenza di fallimento deve indicare l'udienza di verifica del passivo ed il termine perentorio di trenta giorni prima per la presentazione delle domande, nell'amministrazione straordinaria con la sentenza dichiarativa dell'insolvenza è fissato un termine non inferiore a novanta né superiore a centoventi giorni dalla data della sentenza per la presentazione delle domande, e la data dell'udienza di verifica è fissata nel termine di trenta giorni da quello previsto per la presentazione delle domanda.

Si è evidenziato che poiché tale termine di trenta giorni è funzionale all'esame delle domande da parte del commissario, non consentendo questo l'omesso rispetto del termine comporta la tardività della domanda (De Sensi, 511).

Il termine processuale entro il quale deve essere proposta la domanda di ammissione tardiva allo stato passivo è soggetto a sospensione feriale, atteso che gli argomenti che depongono per l'applicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale alla fase tempestiva dell'accertamento del passivo non possono non valere anche per il sub-procedimento di cui all'art. 101 l.fall., tenuto conto che esso si svolge nelle stesse forme di cui all'art. 95 (art. 101, comma 2) e che la sanzione di inammissibilità sancita per la cosiddetta domanda ultratardiva costituisce una ragione più pregante per non comprimere ingiustificatamente il diritto dei creditori ad avvalersi della difesa tecnica (Cass. I, n. 21596/2012; conf. Trib. Milano II, 3 maggio 2012, n. 5122). Viceversa la sospensione non trova applicazione nelle controversie di lavoro, anche se attratte nella speciale competenza del tribunale fallimentare (Cass. I, n. 10267/1991). Si è precisato che il rito osservato per la trattazione della causa è determinante ai fini dell'identificazione dei termini processuali nel periodo feriale, nei soli casi in cui di per sé sia rivelatore della natura della controversia e non anche quando detto rito, qualificatosi come speciale, non solo rispetto a quello ordinario, ma anche rispetto a quello delle controversie di lavoro e previdenziali, assuma un rilievo neutro ai fini dell'identificazione del regime dei termini processuali, alla quale deve dunque procedersi indagando circa la natura della causa (Cass. I, n. 9545/19939).

È stato chiarito, inoltre, che il decreto del giudice delegato che, senza fissazione di udienza, sancisca l'inammissibilità della domanda tardiva di credito, perché formulata oltre il termine di cui all'art. 101, così impedendo alla parte istante di fornire la prova della non imputabilità ad essa del ritardo, è impugnabile con l'opposizione di cui all'art. 99 l.fall., trattandosi di provvedimento che concorre alla formazione definitiva dello stato passivo ed incide sul diritto alla partecipazione al concorso del creditore (Cass. I, n. 21596/2012).

Sempre sul piano processuale, si è correttamente ritenuto, in sede applicativa, che in pendenza del giudizio di insinuazione tardiva, è inammissibile la richiesta del creditore tardivo di essere ammesso al passivo ex art. 700 c.p.c., poiché non può emettersi una misura cautelare atipica che abbia per oggetto quello stesso risultato (l'ammissione con riserva o provvisoria) che l'ordinamento consente solo in presenza di presupposti tipici ed è quindi inammissibile la richiesta di una misura cautelare anticipatoria degli effetti della decisione relativa a un procedimento di ammissione tardiva ex art. 101, attesa la incompatibilità palese con la struttura di tale procedimento, che prevede due sole ipotesi alternative, quali l'ammissione con decreto nel caso di non contestazione del curatore o, diversamente, l'avvio del giudizio contenzioso (Trib. Pordenone 16 novembre 2010, Foro pad. 2011, 1, 186, con nota di Gionfrida).

Procedimenti relativi a domande di rivendica e di restituzione

Nel sistema tradizione della legge fallimentare, oggetto del giudizio di rivendicazione e restituzione di cui all'art. 103 l.fall., in larga parte assimilabile all'opposizione di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 c.p.c. (Satta, 358), erano esclusivamente i beni mobili, compresi quelli registrati, ma non quelli immobili per i quali era stata mantenuta la competenza ordinaria.Tale assetto appare significativamente riformato dopo la modifica dell'art. 103 ad opera del d.lgs. n. 5/2006 essendo venuto meno il previo riferimento ai beni mobili, sicché deve ritenersi che il nuovo art. 103 disciplini anche le azioni di rivendicazione o di restituzione dei beni immobili, essendo peraltro stato modificato al contempo l'art. 24 nel senso di estendere la vis actrattiva del Tribunale fallimentare anche alle azioni reali immobiliari (De Sensi, 470).

Con riguardo all'amministrazione straordinaria si pone un problema non secondario di coordinamento della disciplina normativa, atteso che l'art. 13 d.lgs. 270/1999 prevede che resta ferma la competenza territoriale per le azioni reali immobiliari. Peraltro, considerata la natura formale del rinvio operato dalla disposizione in esame agli artt. 93 ss. L.fall. appare condivisibile la tesi che ritiene oggi rimessa al tribunale che ha dichiarato l'insolvenza in sede di accertamento del passivo la decisione delle controversie in questione anche se aventi ad oggetto beni immobili (De Sensi, 470).

Su un piano più generale, temi di particolare dibattito interpretativo sono stati quelli dell'applicabilità della normativa in esame all'azienda (Azzolina, 818 ss.; Provinciali, 1522), alla rivendica delle quote o delle azioni da parte del socio, dopo che i creditori concorsuali siano stati interamente soddisfatti (Ferrara, 573), alle cose in possesso del fallito alla data della dichiarazione di fallimento (Ferrara, 575), depositate presso il fallito da un terzo (Satta, 354), alla vendita dei beni mobili gravati da patto di riservato dominio (Chiozzi, 964), ai beni in proprietà fiduciaria del debitore (Chiozzi, 964), i beni inerenti al rapporto di mandato regolato dagli artt. 1705-1707 c.c. (Satta, 354).

La giurisprudenza si è interrogata, inoltre, su questioni afferenti il deposito irregolare (cfr. Trib. Milano II, 3 maggio 2012, n. 5124), il libretto di deposito bancario, i beni infungibili (Trib. Ferrara 30 dicembre 1993, ord. g.d., in Fall. 1994, 628).

Resta ferma la regola per la quale in tema di rivendicazione di beni mobili rinvenuti nella casa o nell'azienda del fallito ed acquisiti dal curatore, incombe sul ricorrente, ex art. 103, l'onere di dare dimostrazione del proprio diritto sui medesimi beni, trovando applicazione il regime probatorio previsto dall'art. 621 c.p.c., che sebbene si riferisca espressamente soltanto alla prova per testimoni, trova applicazione anche alla prova presuntiva, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 2729 c.c. (Cass. I, n. 23215/2012).

Bibliografia

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