Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 18 - Effetti della dichiarazione dello stato di insolvenza.

Lunella Caradonna
Ivana Vassallo

Effetti della dichiarazione dello stato di insolvenza.

1. La sentenza che dichiara lo stato di insolvenza determina gli effetti previsti dagli articoli 45, 52, 167, 168 e 169 della legge fallimentare. Si applica, altresì, nei medesimi limiti che nel fallimento, la disposizione dell'articolo 54, terzo comma, della legge fallimentare.

2. Sono inefficaci rispetto ai creditori i pagamenti di debiti anteriori alla dichiarazione dello stato di insolvenza eseguiti dall'imprenditore dopo la dichiarazione stessa senza l'autorizzazione del giudice delegato.

Inquadramento

Il d.lgs. n. 270 del 1999 ha stabilito che la sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza produce gli effetti previsti dagli artt. 45, 52, 167, 168 e 169 l.fall. e che l'art. 54 della stessa legge trova applicazione negli stessi limiti del fallimento.

Sussiste una certa discrasia tra il contenuto del decreto legislativo e le direttive della legge delega che, invece, avevano previsto che la dichiarazione dello stato d'insolvenza delle imprese —per le quali si poteva far luogo all'amministrazione straordinaria- fosse regolata dalle norme dettate sugli effetti del concordato preventivo.

In realtà, la legge che disciplina l'amministrazione straordinaria ha tenuto conto del rischio che la mera applicazione della disciplina dettata in tema di concordato preventivo avrebbe comportato, venendo in questione una situazione d'insolvenza alla quale fa seguito l'apertura di una procedura liquidatoria o conservativa con un effetto di pieno spossessamento (ovvero con la gestione del commissario dell'impresa insolvente).

Ed infatti, se da una parte nessuna contraddizione logica può rinvenirsi laddove il debitore continui a gestire la sua impresa —anche se sotto il controllo degli organi della procedura, in una prospettiva che potrebbe portare o ad un concordato preventivo o ad una amministrazione controllata-, d'altra parte tale logicità viene meno nell'ipotesi in cui la situazione imprenditoriale è destinata a sfociare in una procedura totalmente sostitutiva.

Ciò spiega le ragioni per cui il legislatore da un approccio iniziale (nella legge delega) proiettato verso la disciplina del concordato preventivo, è giunto (in sede di redazione del testo normativo) alla previsione dell'applicazione della normativa fallimentare.

La prima fase si apre, così come affermato con la sentenza dichiarativa di fallimento, con il deposito della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza (Cass. n. 2382/1994, in dottrina Pacchi Pesucci).

Non rilevano altri momenti temporali, quali il deposito del ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza o la data della deliberazione in camera di consiglio della sentenza.

La dottrina maggioritaria, pur rilevando che il legislatore abbia perso l'occasione di stabilire espressamente un'unica decorrenza degli effetti della sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza e del decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria, prevedendo una consecuzione o conversione dei procedimenti concorsuali per tutti gli istituti, ha affermato che tutti gli effetti, e non solo quelli legati alle azioni revocatorie o ai crediti prededucibili, devono essere retrodatati alla data del provvedimento che accerta lo stato d'insolvenza.

Gli effetti che decorrono da tale momento valgono erga omnes e si producono nei confronti di tutti.

Mentre la gestione dell'impresa è effetto certo, lo spossessamento diventa eventuale.

Nasce altresì l'obbligo di far accertare le ragioni di credito vantate dai terzi nei confronti dell'impresa e vige il divieto di proponibilità delle azioni esecutive individuali.

Il decorso degli interessi sui crediti chirografari è bloccato, mentre è possibile acquisire cause di prelazione rispetto ai creditori concorsuali solo previa autorizzazione del giudice.

Decorre il privilegio sugli interessi sui crediti privilegiati in forza del disposto di cui all'art. 54, comma 3, applicabile per il richiamo contenuto nell'art. 18, comma 1.

Gli effetti della dichiarazione dello stato di insolvenza

In seguito alla modifica apportata all'art. 16, ultimo comma, l.fall. dal d.lgs. n. 5 del 2006, la decorrenza degli effetti va collocata alla data di pubblicazione della sentenza di accertamento dello stato di insolvenza senza alcuna differenza in ordine ai soggetti destinatari.

L'art. 45 l.fall., che tratta delle formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento, stabilisce che le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori.

L'espresso richiamo al suddetto articolo, quindi, esclude possibili collusioni tra alcuni creditori e il debitore, scongiurando il rischio che possano essere compiuti atti pregiudizievoli nei confronti della massa dei creditori e in contrasto con la finalità conservativa dell'impresa.

Di conseguenza, anche se le formalità espletate dopo la dichiarazione di fallimento sono valide, le stesse non sono efficaci di diritto nei confronti dei creditori, che vengono quindi preferiti ai terzi.

La norma fa una chiara applicazione dei principi generali di cui agli artt. 2914 (Alienazioni anteriori al pignoramento) e 2915 (Atti che limitano la disponibilità dei beni pignorati) c.c.

La dichiarazione dello stato di insolvenza apre il concorso dei creditori sul patrimonio della società insolvente.

Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione (o trattato ai sensi dell'art. 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge.

Tale norma si applica anche ai crediti che sono esentati dal divieto di azioni esecutive e cautelari individuali di cui all'art. 51 l.fall.

Con riferimento all'estensione del diritto di prelazione, questa, in forza del richiamo operato dall'art. 18 all'art. 54, terzo comma, l.fall., è regolata dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile, intendendosi equiparata la dichiarazione di fallimento (recte: la dichiarazione dello stato di insolvenza) all'atto di pignoramento, mentre per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente (comma così modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in vigore dal 16 luglio 2006).

L'art. 167 l.fall., pure espressamente richiamato dall'art. 100, precisa che durante la procedura di concordato (applicabile anche in tema di amministrazione straordinaria), il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale; e che i mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

Quindi, durante la procedura, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, ma la sua autonomia gestionale è limitata in quanto la sua attività deve essere svolta nell'interesse dei creditori e sotto la vigilanza del commissario giudiziale.

Costui, infatti, può impartire al debitore direttive di carattere generale o con contenuto specifico (indicando, ad esempio, i singoli atti da compiere). L'inosservanza di tali disposizioni può alterare in modo negativo le condizioni economiche e finanziarie dell'impresa, al punto da far sfociare la procedura in una dichiarazione di fallimento.

In ogni caso, l'elencazione degli atti di straordinaria amministrazione contenuta nella norma non può considerarsi tassativa.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità, nella sentenza n. 7390/1997, ha evidenziato che: «L'enumerazione degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione contenuta nell'art. 167 l.fall., per il compimento dei quali occorre l'autorizzazione scritta del giudice delegato, ha carattere esemplificativo e non tassativo. Tuttavia, ciò non significa che nell'ambito dei casi indicati dalla norma possa distinguersi tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione secondo un criterio di normalità riferito ad una certa attività d'impresa. I casi specifici previsti nell'art. 167, secondo comma, nella loro tipologia, sono tutti relativi ad atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, tali già considerati dal legislatore, il quale ha poi ritenuto di aggiungere una formula di chiusura facendo riferimento agli atti, ancorché non tipizzati, comunque riconducibili nel novero di quelli che eccedono l'amministrazione ordinaria, rispetto ai quali si può compiere in concreto la valutazione di atto eccedente o non eccedente l'ordinaria amministrazione (principio affermato in un caso di vendita non autorizzata, preceduta da contratto preliminare, effettuata da impresa operante nel settore delle costruzioni)».

Come si è già detto, il Tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma.

Il richiamo all'art. 167 l.fall. è un richiamo esplicito, con la conseguenza che è applicabile anche alla procedura di amministrazione straordinaria il comma 3 della norma aggiunto dal d.lgs. n. 5 del 2006 che, per l'appunto, dispone che il Tribunale può stabilire un limite di valore per gli atti che richiedono l'autorizzazione del giudice.

La finalità della norma è quella di rendere più agevole la procedura soprattutto quando si tratti di imprese aventi un peso economico minore.

L'interpretazione sull'applicabilità dell'art. 167 l.fall. alle procedure minori ha suscitato diverse reazioni in dottrina.

Alcuni hanno sostenuto che la norma non incide minimamente sulla capacità del debitore, tranne nei casi in cui deve chiedere l'autorizzazione del giudice delegato per determinati atti, così verificandosi una sorta di «spossessamento attenuato» (Pacchi Pesucci; Mollura, 216 e ss.).

Altri hanno affermato che si verifica una vera e propria sostituzione del debitore con l'ufficio giudiziario, con la conseguenza che si verifica un vero e proprio spossessamento del patrimonio dell'imprenditore (Provinciali, 2484; Satta, 526).

Si discute, pertanto, sull'applicabilità, all'amministrazione straordinaria, dei principi giurisprudenziali che si sono consolidati in materia di concordato preventivo, per ciò che concerne la capacità processuale (Cass. n. 9663/1999, ha affermato che il debitore conserva la propria capacità processuale attiva e passiva in ordine ai rapporti patrimoniali e Cass. n 1098/1977, ha affermato che il debitore deve chiedere l'autorizzazione per i giudizi che comportano effetti dispositivi patrimoniali di carattere straordinario).

Stante il carattere non tassativo della elencazione contenuta nell'art. 167 l.fall., nella giurisprudenza (di merito e di legittimità) ha ritenuto necessaria l'autorizzazione del giudice delegato nei seguenti casi: affitto di azienda, anche se di durata infranovennale (cfr. Cass. n. 15484/2004, Cass. n. 3905/1993); cessione dei beni produttivi o immateriali (Trib. Bologna, 10 dicembre 1993); contratto di prestazione d'opera intellettuale avente ad oggetto l'assistenza dell'imprenditore durante la procedura (cfr. Trib. Reggio Emilia, 11 luglio 1996, Trib. Roma, 30 gennaio 1995); contratto definitivo anche se il relativo preliminare è stato concluso precedentemente all'ammissione al concordato, in relazione alla vendita di immobili (Cass. n. 1357/1999, Cass. n. 7390/1997).

Per contro, non ha ritenuto necessaria l'autorizzazione del giudice delegato nei seguenti casi: cessione di quote sociali e di azioni della società concordataria in esecuzione degli obblighi concordatari (cfr. Cass. n. 12052/1993); conferimento di incarico tecnico professionale finalizzato a prevenire la dissoluzione o il pregiudizio dei crediti, se non continuativo e particolarmente complesso (cfr. Cass. n. 9262/2002); conferimento di un mandato professionale per ottenere l'omologazione del concordato (cfr. Cass. n. 92/1998); delibera di liquidazione della società (Corte Appello Milano, 10 novembre 1987, Trib. Avellino, 27 dicembre 1999), di cambiamento della denominazione sociale (Corte Appello Milano, 10 novembre 1987, Tribunale Messina, 20 gennaio 2000), di modifica dell'atto costitutivo, purché gli organi della procedura ritengano coerente il contenuto di tale delibera con le finalità della stessa (Trib. Messina, 26 gennaio 2000); di scioglimento a seguito del verificarsi di una perdita del capitale sociale (Trib. Lecco, 28 giugno 1988).

Gli atti compiuti senza la necessaria autorizzazione sono validi, ma inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato (e dunque alla dichiarazione dello stato di insolvenza); tale inefficacia può essere fatta valere soltanto dai creditori anteriori o dal curatore dell'eventuale fallimento successivo e non anche dal debitore concordatario o dai suoi eredi (cfr. Cass. n. 1892/1964).

Pronunciato (eventualmente) il fallimento, gli atti compiuti senza la necessaria autorizzazione sono inefficaci nei confronti di tutti i creditori concorsuali (cfr. Cass. n. 12286/2004) ed i crediti da essi dipendenti non possono essere ammessi al passivo (cfr. Cass. n. 9262/2002).

Il richiamo all'art. 168 l.fall. comporta che dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese — e fino al momento in cui la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza diventa definitiva-, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

Inoltre, i creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall'articolo precedente.

La norma in commento, tuttavia, non prevede alcun richiamo alla deroga contenuta nell'art. 51 l.fall., di talché è sorto il problema se possa trovare ingresso l'esecuzione promossa dal credito fondiario, problema al quale i giudici di legittimità hanno dato risposta negativa (Cass. n. 2922/1998).

Ed ancora, è stata consentita l'azione esecutiva nell'ipotesi in cui il creditore agiva nei confronti del terzo che aveva offerto i propri beni per l'adempimento del concordato (Cass. n. 6671/1998).

Alcuni giudici di merito, peraltro, hanno affermato l'operatività del divieto di azioni esecutive non soltanto per i crediti concorsuali, ma anche con riguardo ai crediti sorti successivamente (Trib. Verona, 30 dicembre 1989, in Fall. 1990, 459).

Altra parte della giurisprudenza, per contro, ha affermato che «La moratoria delle azioni esecutive individuali di cui all'art. 168 l.fall. e l'obbligatorietà dello stesso concordato omologato (art. 184 l.fall.) valgono esclusivamente nei confronti dei creditori concordatari ossia per titolo o causa anteriori alla pubblicazione del ricorso per concordato nel registro delle imprese e non anche per i creditori le cui ragioni si radicano in fattispecie perfezionatesi successivamente, come nel caso di credito relativo alla indennità di Trattamento di Fine Rapporto derivante da rapporto di lavoro cessato dopo l'approvazione del concordato» (cfr. Trib. Pesaro, 27 ottobre 2015).

In dottrina si è considerata preclusa, altresì, l'esecuzione degli obblighi di fare e di non fare e con riguardo alla richiesta di emissione di provvedimento di sequestro conservativo.

La giurisprudenza di merito, invece, ha escluso tale interpretazione, osservando che «Il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore che consegue alla presentazione del ricorso per concordato preventivo con riserva opera esclusivamente sulle azioni esecutive individuali, non rientrando nel citato divieto le azioni di consegna o rilascio, di rivendicazione e separazione dei beni non appartenenti al debitore» (cfr. Trib. Aosta, 20 febbraio 2014).

Inoltre, è stato ritenuto ammissibile il sequestro giudiziario non considerando quest'ultimo di ostacolo alla realizzazione dello scopo che la procedura di amministrazione straordinaria è destinata a conseguire, atteso che il suddetto sequestro non consente all'imprenditore di continuare ad esercitare l'impresa.

Sul punto, il Trib. Biella, 9 ottobre 2009, ha evidenziato che: «Il divieto posto dall'art. 168 legge fallimentare di iniziare o proseguire azioni esecutive per il periodo che intercorre dalla data di presentazione del ricorso fino all'omologazione, non riguarda solo le azioni esecutive propriamente dette (artt. 474 ss. c.p.c.) ma anche qualsiasi iniziativa del creditore volta a realizzare unilateralmente e al di fuori di una procedura concorsuale il contenuto dell'obbligazione, ivi compreso quindi il sequestro conservativo (civile o penale) che anticipa gli effetti del pignoramento. Sono invece da ritenersi ammissibili il sequestro preventivo penale (art. 321 c.p.), quello giudiziario (art. 670 c.p.c.) e i provvedimenti di urgenza (art. 700 c.p.c.), da valutarsi, questi ultimi, alla luce della domanda di merito che il ricorrente intende proporre».

Per ciò che concerne le conseguenze della non ottemperanza al divieto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che «La proposizione di una domanda di concordato preventivo determina, ai sensi dell'art. 168, comma 1, l.fall., non già l'estinzione ma l'improseguibilità del processo esecutivo, che entra in una situazione di quiescenza perché i beni che ne costituiscono l'oggetto materiale perdono «de iure» e provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata» (cfr. Cass. n. 25802/2015).

Corollario del divieto di azioni esecutive individuali è la sospensione delle prescrizioni e il mancato verificarsi delle decadenze durante il procedimento di dichiarazione dello stato d'insolvenza.

Ovviamente il divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive individuali non osta alle azioni di accertamento del credito da far valere sempre in sede concorsuale, sempre nelle forme dell'accertamento del passivo del fallimento.

Ancora, le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori alla procedura, così come l'acquisto di qualsiasi diritto di prelazione nel corso del procedimento non è nullo, ma inefficace anche nella successiva procedura consecutiva fallimentare o conservativa.

Infine, l'espresso riferimento all'art. 54 comma 3 l.fall. comporta che l'estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli artt. 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile, intendendosi equiparata la dichiarazione di fallimento (e quindi la dichiarazione dello stato di insolvenza) all'atto di pignoramento. Per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.

Ancora la Corte cost. n. 7/2006, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 del d.lgs. n. 270 del 1999 nella parte in cui prevede che la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza, pur non privando l'imprenditore della capacità di stare in giudizio, determina gli effetti dell'art. 52 l.fall. con conseguente applicazione del principio del concorso formale sin dalla fase di osservazione che precede l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria.

La Consulta ha affermato che la questione è stata posta sulla base di un presupposto interpretativo errato, ovvero che l'accertamento concorsuale del passivo trovi la sua unica giustificazione nella concorsualità anche del procedimento liquidatorio.

In realtà, nella fase di osservazione la formazione concorsuale dello stato passivo costituisce uno strumento per la valutazione che il Tribunale deve compiere circa la sussistenza delle concrete prospettive imprenditoriali cui è condizionata l'ammissione alla procedura.

Si tratta, continuano i giudici delle leggi, di una disciplina che rappresenta una delle possibili modalità, la cui scelta è rimessa alla discrezionalità del legislatore, attraverso le quali può avvenire l'accertamento dei debiti, a seguito della dichiarazione dello stato di insolvenza, in un procedimento alternativo al fallimento, ma pur sempre ispirato al contemperamento fra interesse al risanamento dell'impresa e l'interesse dei creditori al soddisfacimento delle proprie ragioni.

Allorquando, nella c.d. fase di osservazione, la gestione dell'impresa rimanga in capo al debitore (compreso quindi il liquidatore se trattasi di società) questa deve essere rendicontata e ogni atto di straordinaria amministrazione che ingeneri un credito di natura prededucibile ex artt. 111 l.fall. e 20 d.lgs. n. 270/1999 perché connesso alla continuazione dell'impresa presuppone, ex art. 167 l.fall., pur sempre – quale condizione di efficacia ed opponibilità nei confronti della massa – che venga autorizzato dal giudice delegato (Corte Appello Torino, 17 dicembre 2012).

L'art. 53 – a norma del quale, i crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli articoli 2756 e 2761 c.c. possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione; per essere autorizzato alla vendita il creditore fa istanza al Giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell'articolo 107; il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o ad eseguire la vendita nei modi stabiliti dal comma precedente- ha trovato nella nuova legge sull'amministrazione straordinaria una regolamentazione che crea alcune perplessità.

Ed infatti, se da una parte detta norma non è richiamata nell'ipotesi in cui l'imprenditore conserva l'esercizio dell'impresa e l'amministrazione dei suoi beni, con la conseguenza che i creditori assistiti da pegno o privilegio speciale non possono avvalersi della vendita dei beni vincolati nel corso della procedura (non volendosi disperdere il patrimonio del debitore destinato al programma di risanamento dell'impresa), dall'altra parte l'art. 53 l.fall. è espressamente richiamato nell'ipotesi in cui sia il commissario a gestire i beni dell'impresa insolvente consentendo così ai creditori assistiti da pegno o privilegio speciale di realizzare il loro credito con la vendita dei beni vincolati.

La dottrina ha affermato che le diverse previsioni legislative sono dovute ad un difetto di coordinamento tra norme, con la conseguenza che sarebbe auspicabile che il commissario giudiziale si adoperi per evitare la realizzazione forzata della vendita dei beni vincolati, tenuto conto che la finalità della procedura è quella di realizzare il programma di risanamento e che detti beni possono servire a tale scopo.

Altro effetto che discende dalla dichiarazione dello stato di insolvenza attiene alla compensazione che, alla luce del rinvio dell'art. 18 alla disciplina del concordato preventivo, deve ritenersi ammissibile con riferimento ai crediti e ai debiti sorti prima della dichiarazione dello stato d'insolvenza, mentre i crediti prededucibili possono essere portati in compensazione secondo le norme civilistiche.

Al riguardo, la giurisprudenza di merito (cfr. Corte Appello Milano 23 febbraio 2016) ha affermato che: «Poiché dopo l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non sono consentiti pagamenti lesivi della par condicio creditorum, se non con le modalità espressamente previste da apposite norme, deve escludersi la ammissibilità della compensazione tra crediti sorti anteriormente alla procedura — e come tali soggetti al concorso — e crediti sorti nel corso della procedura a favore della proponente il concordato. (Nel caso di specie, la società in concordato vantava un credito a titolo di penale per il tardivo rilascio di un bene concesso a titolo precario ed in custodia ad un creditore)»

In ragione del richiamo all'art. 169 l.fall. deve affermarsi che i debiti pecuniari dell'impresa insolvente si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data dell'apertura della procedura e questo con riferimento sia alle obbligazioni la cui scadenza è soggetta a un termine, sia alle obbligazione che sono temporaneamente inesigibili.

L'ammissione con riserva dei crediti avviene solo nelle ipotesi previste per i crediti condizionali e per i crediti per i quali non siano stati presentati i documenti giustificativi (Cass. n. 8771/1997).

Pagamenti di debiti anteriori e autorizzazione del Giudice delegato

Sono inefficaci rispetto ai creditori i pagamenti di debiti anteriori alla dichiarazione dello stato di insolvenza eseguiti dall'imprenditore dopo la dichiarazione stessa senza l'autorizzazione del giudice delegato.

Già in sede di concordato preventivo il giudice delegato autorizza il pagamento di debiti che troveranno capienza in sede fallimentare che consentono un certo risparmio come i crediti di lavoro (che non maturano interessi e rivalutazione) o i crediti previdenziali (che consentono di risparmiare sanzioni ed interessi).

Anche nell'amministrazione controllata il giudice delegato autorizzava i pagamenti dei debiti che erano funzionali alla prosecuzione dell'attività e che se non pagati avrebbero arrecato gravi danni alla gestione dell'impresa soprattutto sotto il profilo finanziario.

Il problema che si pone è quello di individuare un raccordo con il principio della par condicio creditorum.

Ecco perché alcuni autori che hanno guardato con sfavore a detta disposizione l'hanno comunque preferita alla prassi operante di ricorrere a finte prededucibilità (Maffei Alberti, 1070).

Peraltro, la nuova formulazione dell'art. 167 l.fall. prevede che il Tribunale possa stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l'autorizzazione del giudice delegato.

Limite ovviamente che ben potrebbe essere previsto dal Tribunale anche in tema di amministrazione straordinaria o con il decreto di ammissione o con successivo decreto destinato specificamente a determinare tale valore.

L'autorizzazione riguarda i pagamenti eseguiti dall'imprenditore e anche i pagamenti eseguiti dal commissario giudiziale se è questi che gestisce direttamente l'impresa.

Il provvedimento autorizzatorio deve essere preventivo e dato per iscritto e non intervenire come ratifica di pagamenti già eseguiti.

Si tratta in definitiva di una norma che, fermo restando il principio che ogni credito debba essere accertato, trova la sua giustificazione nella circostanza che la procedura è diretta al risanamento dell'impresa e necessita di una maggiore flessibilità.

Bibliografia

Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 545;

Censoni, Amministrazione straordinaria, contratti di somministrazione e crediti del somministrante in bonis, in Fall. 2012, 103; Fabiani, Sulla cedibilità dell'azienda nella fase di osservazione prima dell'amministrazione straordinaria, in Fall. 2009, 7, 767; Filippi, Dichiarazione dello stato di insolvenza. Gli organi della procedura, effetti e provvedimenti immediati, in AA. VV., La riforma dell'amministrazione straordinaria, Roma, 2000, 62, 63; Lo Cascio, Commentario alla legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 147; Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, 1070; Mollura, L'amministrazione controllata delle società, Milano, 1989, 216 e ss.; Pacchi, Provvedimenti cautelari e conservativi su richiesta del debitore in attesa di un accordo di ristrutturazione, in Dir. fall. 2011, 3-4. Pacchi Pesucci, Effetti dell'amministrazione straordinaria nei confronti dei creditori, Atti del Convegno di Lanciano 12 – 13 novembre 1999; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, 2484; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996, 526.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario