Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 1 - Natura e finalità dell'amministrazione straordinaria.

Lunella Caradonna
Ivana Vassallo

Natura e finalità dell'amministrazione straordinaria.

1. L'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali.

Inquadramento

Con il d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270, che ha dettato la nuova disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, si è cercato di colmare le lacune della disciplina previgente volta a regolare i dissesti imprenditoriali, reagendo alla precedente esperienza concorsuale delle grandi imprese in crisi, che aveva prodotto non soltanto la perdita di molti patrimoni – con scarsi risultati sia di ristrutturazione, che di riconversione – ma anche una notevole espansione del debito finanziario pubblico e privato.

La legge in esame, seppure non costituisca un valido sistema diretto alla tutela dell'interesse economico-sociale del risanamento, prevede da un lato una maggiore tutela giurisdizionale dei creditori e dall'altro un maggiore controllo nella scelta delle imprese soggette al recupero aziendale.

Il legislatore ha preferito tipizzare le forme di risanamento, che possono essere destinate al conseguimento della redditività del processo produttivo, ma anche al trasferimento della titolarità imprenditoriale ed all'esclusiva prevalenza delle regole di mercato.

È stata, quindi, prevista anche l'ipotesi che il risanamento imprenditoriale possa non essere realizzato e in questo caso la finalità della procedura non è il mantenimento in vita di realtà imprenditoriali fittizie, bensì la liquidazione concorsuale.

Punto di partenza per lo studio e la ricostruzione dell'ambito normativo di riferimento dell'istituto in esame è il d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazione dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, meglio conosciuta come legge «Prodi».

La l. n. 270 del 1999 si pone, infatti, come scelta necessitata dal procedimento di infrazione promosso ai sensi dell'art. 93, 2 par. del Trattato CE dalla Commissione Europea e diretto a censurare la politica di aiuti di Stato illegittimi che lo Stato Italiano, secondo l'assunto della Commissione, poneva in essere con la l. n. 95 del 1979.

In particolare, la Commissione aveva ritenuto in contrasto con la normativa comunitaria la previsione di una garanzia del Tesoro che potesse essere accesa per i debiti contratti dalle imprese in amministrazione straordinaria per affrontare la gestione ordinaria.

Inoltre, si censurava la continuazione dell'esercizio provvisorio dell'impresa non preordinato alla tutela dei creditori.

Ed ancora, veniva criticata la disciplina prevista nei rapporti col fisco, ed in particolare l'esonero del pagamento delle penali e delle sanzioni amministrative per i contributi previdenziali ed assicurativi non versati, nonché la riduzione dell'imposta di registro in caso di trasferimento di azienda e di complessi industriali.

La famosa sentenza della Corte di Giustizia del 17 giugno 1999 (la cosiddetta sentenza «Piaggio») ha affermato che le misure di legge Prodi equivalevano a delle sovvenzioni, con la conseguenza che dette misure non erano compatibili con il mercato comune e, per ciò solo, non erano consentite.

Inoltre, la Corte di Giustizia censurava gli ampi margini di discrezionalità che conferivano allo Stato il potere di assumere, in violazione delle norme sulla concorrenza, importanti decisioni in settori contraddistinti da un'apprezzabile rilevanza economica.

Ciò fa comprendere meglio le linee guida della l. n. 270 del 1999, coerenti con i principi fissati dalla l. delega 30 luglio 1998 n. 274, nonché le ragioni poste a fondamento della scelta dei termini usati ed i punti salienti relativi al potere di decisione sull'accesso alla procedura, al contenuto del programma ed alla cessazione della procedura.

Si è, infatti, cercato di eliminare qualsiasi incertezza sulla natura conservativa della procedura, ancorando strettamente la sua evoluzione alla realizzazione di un programma di risanamento.

Ancora, è stato inserito un parametro di individuazione delle imprese che possono essere ammesse alla procedura più ampio rispetto al precedente e, al contempo, è stata introdotta la possibilità di realizzare il risanamento non soltanto attraverso l'esecuzione di un programma di normalizzazione dell'attività produttiva ma anche mediante la cessione a terzi del complesso industriale.

È stato superato il concetto di «impresa in crisi» in favore della nozione di «stato di insolvenza», ancorando in tal modo l'apertura della procedura alla situazione di impotenza dell'impresa a soddisfare le proprie obbligazioni regolarmente e con mezzi normali.

Infine, è stata ridimensionata la discrezionalità della pubblica amministrazione, riservando all'autorità giudiziaria la tutela giurisdizionale dei diritti dei soggetti coinvolti ed il controllo della procedura.

Successivamente, altri interventi hanno recato modifiche alla disciplina «base» dell'amministrazione straordinaria per adattarla alle specificità di dissesti di grandi gruppi (Parmalat, Volare Web, Alitalia).

Per la crisi Parmalat, è stato emesso il d.l. 27 dicembre 2003 n. 347 (cd. decreto Marzano), convertito dalla l. 18 febbraio 2004 n. 39 e modificato dal d.l. 3 maggio 2004 n. 119, convertito dalla l. 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio 2005 n. 22, convertito dalla l. 29 aprile 2005 n. 71.

Per la crisi Alitalia è intervenuto il d.l. 28 agosto 2008, n. 134, convertito dalla l. 27 ottobre 2008, n. 166 e l'art. 3, comma 3, del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito in l. 22 maggio 2010, n. 73, per regolare l'amministrazione straordinaria delle società di riscossione delle entrate degli enti locali.

Da ultimo, il legislatore ha disciplinato aspetti particolari (e tra questi i compensi dei commissari, i compensi dei membri del comitato di sorveglianza, la cessione d'azienda o ramo d'azienda nell'anno anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza, i criteri di definizione del programma), con il d.l. 13 maggio 2011 n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106.

Per le novità normative introdotte dal nuovo "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" - d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, v. infra.

Le novità del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 - "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza"

La riforma in tema di crisi e di insolvenza è stata introdotta dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 2019, emanato in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, che ha conferito al Governo la delega per la riforma organica delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e della disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3.

Nell'oggetto della delega al Governo non rientra l'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.

Il legislatore, difatti, ha ritenuto di inserire la riforma in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza in  un disegno di legge a parte, il n. 3671-ter, che è stato approvato dalla Camera il 10 maggio 2017, per poi passare all'esame del Senato (è, poi, intervenuta la XVIII legislatura).

Nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, l'art. 350 d.lgs. n. 14/2019 [Titolo X (Disposizioni per l'attuazione del codice della crisi e dell'insolvenza, norma di coordinamento e disciplina transitoria; Capo I (Disposizioni generali, strumenti di allerta e composizione assistita della crisi] reca le modifiche alla disciplina dell'amministrazione straordinaria.

In particolare l'art. 350 citato,  dispone che, all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 1999, n. 270, le parole «del luogo in cui essa ha la sede principale» sono sostituite dalle seguenti: «competente ai sensi dell'articolo 27, comma 1, del codice della crisi e dell'insolvenza».

Ed ancora precisa che, all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, le parole «del luogo in cui ha la sede principale» sono sostituire dalle seguenti: «competente ai sensi dell'articolo 27, comma 1, del codice della crisi e dell'insolvenza».

Si tratta di una disposizione che apporta le necessarie variazioni alla disciplina dell'amministrazione straordinaria in coerenza con le  modifiche in tema di competenza introdotte in attuazione della legge delega.

Specificamente l'art. 27 , in attuazione dello specifico principio di delega, dettato dall'art. 2, comma 1, lettera n), della legge 19 ottobre 2017, n. 155, prevede che «per i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione sia competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n.168».

Il tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese è individuato a norma dell'articolo 4 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il contro degli interessi principali.

L'art. 2, comma 1, lettera m), della legge delega stabilisce il principio generale «di recepire, ai fini della disciplina della competenza territoriale, la nozione di «centro degli interessi principali del debitore» definita dall'ordinamento dell'Unione europea».

Si definisce, quindi, quale centro degli interessi principali del debitore (COMI) il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi.

Al riguardo, la Corte di Giustizia, con ordinanza del 24 maggio 2016, causa C-353/15, confermando precedenti orientamenti giurisprudenziali, ha confermato che sono competenti a decidere, in merito alle procedure d'insolvenza, i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato l'abituale centro degli interessi principali del debitore e che, per le società e le persone giuridiche si presume che il centro d'interessi principali sia identificato, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria.

Si tratta di una presunzione che può essere superata anche con elementi indiziari che fanno ritenere che la collocazione formale della sede sociale sia fittizia.

La Corte di Cassazione, in senso conforme, ha affermato che, nel  caso in cui una società abbia trasferito la propria sede all'estero anteriormente all'apertura della procedura di insolvenza, è legittimamente dichiarata la giurisdizione del giudice italiano ove il giudice di merito abbia accertato, la presenza di indici, idonei a vincere la presunzione iuris tantum di corrispondenza tra la sede legale e la sede effettiva, prevista dall'art. 3 del regolamento CE n. 1346 del 2000, secondo cui la competenza ad aprire la procedura di insolvenza spetta al giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato  il centro degli interessi del debitore, da individuare fino a prova contraria, in caso di società, in quello del luogo in cui si trova la sede statutaria (Cass.  I, n. 7470/2017; Cass. S.U.,  n. 5945/2013).

In conclusione, la nozione di centro principale degli interessi correlata al luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi e il richiamo fatto da tale disposizione ai soggetti terzi evidenzia come i criteri, in base ai quali individuare il centro d'interesse, debbano essere oggettivi e passibili di verifica e che nonostante il centro principale degli interessi coincida con la sede sociale sia possibile superare la presunzione fornendo la prova contraria anche con elementi indiziari che riscontrino l'esistenza  di una situazione reale diversa da quella formale.

Detti elementi indiziari possono identificarsi nel luogo dove si trovano i beni della società, nel luogo dove sono conclusi i contratti riguardanti la gestione della società ed ancora nella discontinuità dell'attività svolta successivamente al trasferimento, nell'assenza di collegamenti dell'organo amministrativo con lo Stato straniero e nella fittizietà del trasferimento del centro dell'attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell'impresa.

Risanamento dell'impresa dissestata, nozione di impresa e di insolvenza.

Le questioni di fondo che sono state poste riguardano quali direttive debba seguire una procedura conservativa destinata alla conservazione e alla ristrutturazione dell'impresa dissestata; se debba essere prevista una specifica procedura concorsuale; quale tutela offrire ai creditori laddove gli oneri della gestione provvisoria gravino sul patrimonio del debitore (così diminuendo la garanzia patrimoniale a tutela dei crediti); quale ruolo debba assumere lo Stato per risanare le imprese che appartengono pur sempre a soggetti privati e come questo possa conciliarsi con la facoltà discrezionale, che contraddistingue l'esercizio dei poteri da parte della pubblica amministrazione.

Non è controverso che, in presenza di imprese dissestate, lo Stato non possa disinteressarsi della tutela degli interessi sociali ed economici e che, in ragione di ciò, debba intervenire.

E, se da un lato tale intervento non può tradursi in un potere forte di vigilanza e controllo, perché ciò sarebbe lesivo della libertà dell'iniziativa economica, dall'altro non può sostenersi che le imprese che beneficiano del rimedio del risanamento economico e finanziario debbano essere salvate per intero, potendo anche attuarsi delle operazioni economiche dirette ad eliminare complessi aziendali che non possono essere ricondotti ad una gestione economica.

Si è auspicato, quindi, il rispetto di diversi parametri di riferimento, al fine di fare delle scelte oculate, non essendo sufficiente il mero confronto con gli indici dell'esposizione debitoria o con il numero dei lavoratori (a fronte della rilevanza economica e sociale dell'azienda), ed essendo necessario valutare, altresì, il fatturato medio della produzione in un certo arco temporale, le metodologie tecnologiche adottate nel settore della produzione, la qualificazione dell'impresa, la quotazione in borsa e così via.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, non appare superflua una breve riflessione sulla nozione di impresa e sulla nozione di insolvenza (Lorenzo De Angelis, 272 e ss.).

L'impresa cui faceva riferimento la legge Prodi coincideva (a parte la diversa terminologia utilizzata) con la nozione di imprenditore di cui al codice civile ed alla legge fallimentare, che veniva espressamente richiamata.

Per contro, il d.lgs. n. 270/1999 attribuisce alla nozione di impresa un significato diverso.

Ciò trova spiegazione nelle diverse finalità delle disposizioni legislative in esame.

La prima rappresentava una procedura con gli stessi obiettivi liquidatori del fallimento, dal quale differiva per le diverse modalità di svolgimento e la sottoposizione al controllo governativo.

La seconda, invece, si propone di perseguire la conservazione del patrimonio produttivo, mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione delle attività imprenditoriali (la liquidazione, pertanto, viene presa in considerazione soltanto laddove venga accertata l'impossibilità di proseguire utilmente la procedura e venga disposta la conversione in fallimento).

L'obiettivo non è quello di conservare la presenza attiva sul mercato dell'imprenditore ma di salvare l'insieme delle attività imprenditoriali anche attraverso la sostituzione del vecchio titolare con un nuovo imprenditore in grado di riportare l'impresa in bonis utilizzando gli strumenti previsti dalla legge.

Oggetto di riflessione è stato anche il presupposto oggettivo di ammissione alla procedura: se, cioè, l'impresa, che deve essere sottoposta all'amministrazione straordinaria, deve trovarsi in uno stato di insolvenza o di temporanea difficoltà, pur intendendosi la temporanea difficoltà alla stregua della incapacità di fare fronte alle obbligazioni con mezzi normali di pagamento e dunque sposando un concetto ontologicamente sovrapponibile alla nozione di insolvenza, sia pure reversibile.

Nondimeno, si è anche evidenziato che la natura reversibile o irreversibile dell'insolvenza può essere accertata soltanto in un momento temporale successivo.

Il concetto di insolvenza rappresenta una novità rispetto alla legge Prodi, la quale faceva riferimento all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Una parte della dottrina ha dubitato che la nozione di insolvenza di cui al d.lgs. in commento possa coincidere con la nozione di insolvenza di cui all'art. 5 della legge fallimentare.

E ciò per due ordini di ragioni.

Innanzitutto per l'aspettativa di reversibilità del suddetto stato di insolvenza, che contraddistingue l'intera procedura, di talché tale nozione sarebbe più vicina alla nozione di temporanea difficoltà che integra il presupposto per l'amministrazione controllata, piuttosto che alla nozione di insolvenza che connota le procedure concorsuali con finalità liquidatorie.

Inoltre, il d.lgs. n. 270/1999 farebbe riferimento non soltanto alla insolvenza finanziaria ma anche al dissesto economico, ponendosi l'amministrazione straordinaria l'obiettivo della ristrutturazione «economica e finanziaria» dell'impresa.

Altra parte della dottrina, invece, ha escluso che possano trovare ingresso nel nostro ordinamento giuridico tante nozioni di insolvenza quante sono le finalità delle singole procedure concorsuali.

Semplicemente, è stato evidenziato che in alcune ipotesi l'insolvenza può essere superata e l'impresa può essere riportata in bonis, in altre, ciò non può avvenire.

Lo stato di insolvenza è costituito in ogni caso alla incapacità dell'imprenditore di far fronte alle proprie obbligazioni regolarmente e con mezzi normali di pagamento.

Tutt'al più deve ritenersi che lo stato di insolvenza, la temporanea difficoltà e la crisi dell'impresa esprimano dei concetti sostanzialmente simili.

L'imprenditore ricorre ad una procedura concorsuale laddove versa in stato di insolvenza. Se tale stato è irreversibile è tenuto a chiedere il proprio fallimento (ovvero la liquidazione coatta amministrativa), se non ricorrono i presupposti per l'ammissione al concordato preventivo; per contro, se tale stato non è irreversibile, ritenendosi che l'insolvenza costituisca un fenomeno superabile, può chiedere di essere ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria (o di amministrazione controllata, a seconda delle dimensioni dell'impresa), avente una finalità sostanzialmente conservativa.

Al fine di individuare l'esistenza di una situazione produttiva sofferente, quindi, non può trascurarsi lo squilibrio economico-finanziario tra i ricavi e i costi ordinari di gestione, rilevandosi che sul funzionamento dell'impresa possono influire anche un'inefficienza produttiva o commerciale, ragioni tecnologiche, cambiamenti della domanda, un eccessivo indebitamento, deficienze finanziarie.

L'individuazione delle imprese che possono essere effettivamente risanate resta, pertanto, un'attività gravosa e ancorare tale scelta al parametro dell'insolvenza diventa un fenomeno più complesso a causa delle difficoltà che si rinvengono laddove ci si proponga di riequilibrare attività imprenditoriali eterogenee.

È stata prevista, tuttavia, la possibilità che il risanamento non involga tutti i complessi aziendali, potendosi dismettere quelli che non si ritengono utili o che siano addirittura dannosi per l'esecuzione del programma di risanamento.

Altra esigenza presa in considerazione è stata quella di operare un contemperamento tra il risanamento dell'impresa insolvente e la tutela dei creditori, volendosi avvicinare ad un modello di salvataggio delle imprese in crisi fondato più su basi privatistiche che pubbliche, anche in un'ottica di avvicinamento alle direttive europee.

Si pensi che nel modello francese e in quello della Germania il risanamento delle imprese insolventi si fonda su accordi amichevoli tra il debitore e i creditori e tra i creditori.

La normativa precedente

L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è stata introdotta con il d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni dalla l. 3 aprile 1979, n. 95, in un momento storico caratterizzato da una significativa evoluzione economica e con l'intento di regolare i dissesti dell'impresa per salvaguardare i processi produttivi e i livelli occupazionali.

Prima di detta legge il legislatore aveva regolamentato l'insolvenza delle grandi imprese con il d.l. 5 ottobre 1978 n. 601 (cosiddetto «Donat Cattin»), i cui punti salienti erano i seguenti: a) l'apertura della procedura sospendeva il procedimento per la dichiarazione di fallimento; b) chiunque poteva presentare un piano per il pagamento dei debiti e il risanamento dell'impresa (in dottrina si parlava di «sistemazione privatistica» dell'insolvenza); c) era nominato un comitato che assisteva il commissario straordinario nell'accertamento dei crediti; d) il commissario straordinario predisponeva un programma per il loro soddisfacimento; e) il programma di risanamento prevedeva anche la cessione a terzi dell'impresa ed aveva effetto anche nei confronti delle imprese del gruppo; f) l'approvazione del programma era fatta dai creditori; g) la mancata approvazione comportava la riapertura della procedura fallimentare.

Il d.l. 5 ottobre 1978, n. 601 non veniva convertito in legge e, quindi, decadeva.

La legge «Prodi», ai sensi dell'art. 1, individuava le imprese che potevano essere ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria sulla base di due presupposti: a) il numero di addetti non poteva essere inferiore a 300 (e dovevano essere stati assunti da almeno un anno); b) l'esposizione debitoria verso le aziende di credito, gli istituti speciali di credito, gli istituti di previdenza e assistenza sociale o di società di cui lo Stato fosse azionista maggioritario, doveva essere superiore a cinque volte il capitale versato e corrispondente ad un ammontare che veniva aggiornato di anno in anno.

Il d.l. 23 gennaio 1993 n 17, convertito con modifiche dalla l. 25 marzo 1993 n 80, introducendo l'art. 1-bis ha poi ampliato l'ambito soggettivo di applicazione della procedura in commento, assoggettando alla procedura di amministrazione anche le imprese il cui stato di insolvenza fosse determinato dall'obbligo di restituire allo Stato, ad enti pubblici, o a società a prevalente partecipazione pubblica, una somma non inferiore al 51% del capitale versato (e comunque non inferiore ad una certa somma), in attuazione di decisione di organi comunitari adottate in applicazione degli articoli 92 e 93 del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, sempre che occupassero un numero di addetti non inferiore a quanto previsto dall'art. 1 primo comma.

Quanto all'assetto procedurale, a norma dell'art. 1 della Llegge Prodi, la procedura era disposta con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro del tesoro, quando fosse stato accertato giudiziariamente, ai sensi degli artt. 5 e 195 l.fall., lo stato di insolvenza della società.

La procedura veniva attuata ad opera di uno o tre commissari sotto la vigilanza del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato ed era disciplinata, in quanto non diversamente stabilito con il suddetto decreto-legge, dagli articoli 197 e seguenti l.fall.

A tutti gli effetti stabiliti dal regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, inoltre, il provvedimento in commento veniva equiparato al decreto che ordinava la liquidazione coatta amministrativa.

L'art. 2 del d.l. n. 26/1979 individuava i poteri del commissario e regolamentava il regime delle spese.

Prevedeva, in particolare, che col decreto che disponeva la procedura di amministrazione straordinaria venisse autorizzata la continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte del commissario o dei commissari.

Il commissario preparava un programma, la cui esecuzione doveva essere autorizzata dall'autorità di vigilanza su conforme parere del Comitato dei Ministri per il coordinamento della politica industriale.

Il programma doveva determinare un piano di risanamento coerente con gli indirizzi della politica industriale.

Poteva, inoltre, prevedere, tenendo conto anche delle esigenze dei creditori e preservando per quanto possibile l'unità dei complessi operativi, compresi quelli da trasferire, la riattivazione di impianti, il completamento di impianti in corso di costruzione e la cessione di aziende, complessi aziendali o impianti.

I crediti sorti in dipendenza della amministrazione commissariale, compresi l'esercizio dell'impresa e il completamento e la riattivazione di impianti, ad eccezione di quelli derivanti dai mutui agevolati di cui all'art. 4, lettera a), della l. n. 675/1977, erano assistiti da un forte privilegio (tali crediti, infatti, erano preferiti ad ogni altro credito, anche se garantito da ipoteca, pegno o privilegio).

Ancora, a norma dell'art. 2-bis, il Tesoro dello Stato poteva garantire, in tutto o in parte, i debiti che le imprese in amministrazione straordinaria avessero contratto con istituzioni creditizie per il finanziamento della gestione corrente e per la riattivazione ed il completamento di impianti, immobili ed attrezzature industriali.

La procedura di amministrazione straordinaria si chiudeva in caso di concordato, di ripartizione integrale dell'attivo, di estinzione totale dei crediti, per insufficienza di attivo o in seguito al recupero della capacità di soddisfare le proprie obbligazioni.

Diverse le critiche mosse dalla dottrina più accreditata.

È stato detto che la regolamentazione si fondava su criteri quantitativi e qualitativi arbitrari; che perseguiva sia finalità conservative che liquidatorie; che non tutelava adeguatamente i creditori e che mancava di adeguati strumenti finanziari che potessero attuare con rapidità il risanamento dell'impresa.

Tale legge, tuttavia, presentava anche dei lati positivi: non coinvolgeva le imprese del gruppo nella procedura e riconosceva i valori dell'impresa.

Numerose sono state le censure della Commissione europea e tra queste quelle riguardanti i debiti contratti dalle imprese per far fronte alla gestione corrente; la continuazione dell'esercizio provvisorio dell'impresa non finalizzato alla tutela dei creditori; l'esonero del pagamento delle penali e delle sanzioni amministrative per i contributi previdenziali ed assicurativi non versati.

Ciò aveva portato all'avvio della procedura d'infrazione prevista dal paragrafo 2 dell'art. 93 del Trattato di Roma del 1957, intesa ad ottenere la revisione della normativa.

Non erano mancate neanche disapprovazioni da parte della Corte di Giustizia Europea secondo la quale detta procedura lasciava ampi spazi di esercizio alla discrezionalità della pubblica amministrazione consentendo a imprese di rimanere sul mercato e violando la concorrenza.

È stata, quindi, emanata la legge delega del 20 luglio 1998 n. 274 e successivamente il d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270, i cui i cardini principali sono: a) la giurisdizionalizzazione del procedimento; b) la natura essenzialmente conservativa della procedura; c) il riferimento alle imprese in stato di insolvenza e l'aspettativa di reversibilità della stessa; d) l'individuazione di precisi limiti dimensionali della nuova procedura al fine di scegliere il tipo di impresa che può fare ricorso alla procedura; e) la professionalità degli organi; f) l'esercizio d'impresa non più finalizzato alla liquidazione dell'impresa, ma alla sua conservazione e non più destinato a salvaguardare i livelli occupazionali e di produzione, ma alla realizzazione di risanamento economico dell'impresa insolvente; g) la previsione di strumenti di risanamento processuali, anche mediante interventi di mezzi privatistici; h) la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei soggetti interessati; i) l'estensione della procedura alle imprese del gruppo in dipendenza di uno stato d'insolvenza; l) la possibilità di attuare un programma di risanamento o una gestione unitaria dell'insolvenza.

In ordine alla nuova disciplina seppure è indubbio che finalmente sia stata introdotta una regolamentazione specifica ed analitica, è altrettanto certo che sono sorti molti problemi di natura interpretativa, soprattutto in ragione del fatto che era necessario tenere presente i vincoli posti dalle direttive comunitarie e i principi della legge delega.

Natura e finalità dell'amministrazione straordinaria

L'amministrazione straordinaria è una procedura concorsuale con finalità conservativa della grande impresa insolvente.

Il legislatore ha voluto contemperare la tutela creditoria con l'esigenza del proseguimento delle attività produttive.

La dizione letterale della norma, a differenza della vecchia espressione contenuta nella legge «Prodi» del 1979, con lo specifico riferimento alla prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali, è molto chiara.

Mentre il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa sono procedure concorsuali che conducono alla disgregazione del complesso aziendale, l'amministrazione straordinaria combina l'esigenza di soddisfacimento dei creditori dell'imprenditore insolvente con l'esigenza di mantenere in vita il complesso produttivo in crisi e di conservare i posti di lavoro.

La tutela dei creditori rimane una finalità della procedura, unitamente alla finalità di risanamento dell'impresa, come è riscontrato dalla previsione della conversione, anche di ufficio, della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento, quando la prima non può utilmente proseguire.

Da un lato si è voluto svincolare il concetto di insolvenza da quello di liquidazione e dall'altro si è sostituito il precedente modello esclusivamente amministrativo di gestione della crisi di impresa con un modello che presenta aspetti sia giurisdizionali, che amministrativi.

E così ad una prima fase giudiziale nella quale si accerta lo stato passivo e si valuta l'effettiva possibilità di risanamento dell'impresa per un periodo di osservazione, succede una seconda fase amministrativa che si apre con decreto dell'Autorità giudiziaria finalizzata specificamente al risanamento dell'impresa.

La formulazione del testo, che consta di 110 articoli (a fronte dei sei articoli della legge Prodi), e specificamente il richiamo alle norme sulla liquidazione coatta amministrativa solo per quanto non previsto dal d.lgs. n. 270/1999, riscontra la piena autonomia di tale istituto da quello della liquidazione coatta amministrativa.

L'insolvenza resta sempre l'impossibilità di far fronte con mezzi regolari alle scadenze delle obbligazioni assunte: se la stessa può essere superata con la ristrutturazione, la riconversione o la sua cessione a terzi, troverà applicazione la normativa sull'amministrazione straordinaria; se la crisi è irreversibile, si aprirà la strada del fallimento.

Critiche sono state le posizioni di una parte della dottrina, che non ha visto alcuna autonomia nella previsione di legge di tale procedura, riconducendola ora all'amministrazione controllata, ora al concordato con cessione dei beni e ipotizzando che proprio la duplice finalità di tale procedura (ricollocazione sul mercato e tutela dei posti di lavoro) rappresenti un forte elemento di contraddittorietà che non consente di governare fattivamente la crisi di impresa.

Altri autori, invece, hanno evidenziato l'importanza dell'ingerenza dell'autorità giudiziaria che si manifesta sia nel momento iniziale (decidendo il Tribunale se deve essere aperta la procedura di amministrazione straordinaria o deve essere dichiarato il fallimento, cfr. art. 30 primo comma, di talché l'apertura della procedura non consegue più automaticamente all'accertamento dei presupposti dimensionali dell'impresa ma è riconducibile ad una rigorosa valutazione delle effettive prospettive di recupero dell'equilibrio economico e finanziario delle attività imprenditoriali); sia nel momento successivo (laddove risulti che la procedura di amministrazione straordinaria, pur regolarmente aperta, non può proseguire utilmente ovvero il risanamento non è stato conseguito attraverso la cessione dei complessi industriali o il recupero della solvibilità (cfr. artt. 69 e 70).

Inoltre, il mantenimento dei livelli occupazionali diventa un obiettivo indiretto che viene perseguito soltanto se sussiste la possibilità di recupero economico dell'impresa e la necessaria efficienza produttiva. Si esce, quindi, da un'ottica di mero assistenzialismo per perseguire una politica di mantenimento dei livelli occupazionali fattiva.

La procedura è mista, amministrativa e giurisdizionale: l'autorità giudiziaria svolge il prevalente compito della tutela dei diritti, l'autorità amministrativa gestisce l'impresa.

L'autorità giudiziaria è competente per la dichiarazione dello stato di insolvenza e dispone l'apertura e la cessazione della fase amministrativa, oltre all'accertamento del passivo e la ripartizione dell'attivo.

All'autorità amministrativa compete la gestione della procedura, che si caratterizza per l'automatica continuazione dell'esercizio dell'impresa insolvente da parte di un commissario straordinario, il quale provvede a disporre il programma di risanamento secondo uno dei modelli previsti dalla legge o mediante la cessione unitaria del complesso aziendale o la ristrutturazione e il recupero delle attività imprenditoriali.

Non rappresenta un tertium genus la previsione dettata per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, introdotta dal decreto l. n. 134 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 166 del 2008, che ha previsto la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma che preveda la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore a un anno (art. 27, comma 2, lett. b-bis), trattandosi di una modalità sussumibile sotto la cessione dei complessi aziendali, di cui mutua la finalità conservativa.

Nessuna incertezza, inoltre, sorge in ordine alla applicazione della procedura di amministrazione straordinaria non soltanto alle imprese industriali (come, invece, si riteneva in passato, cfr. Trib. Torino, 12 maggio 1987, in Fall. 1988, 56) ma anche alle imprese commerciali (Trib. Bologna, 12 luglio 1983, in Fall. 1983, 1211), atteso che, al di là dello specifico riferimento della legge alla natura commerciale dell'impresa esercitata, la nuova normativa, stabilendo i nuovi parametri di riferimento del numero dei dipendenti e dell'esposizione debitoria, ha ampliato il tipo d'impresa assoggettabile alla procedura.

Anche il richiamo all'art. 2 l.fall. corrobora quanto sostenuto in ordine all'applicabilità della procedura dell'amministrazione straordinaria alle imprese commerciali.

Si è posto il problema di quando deve essere individuato il momento genetico dell'impresa al fine di riconoscere l'assoggettabilità alla procedura e, in particolare, se debba farsi riferimento ad una nozione formale come afferma la giurisprudenza di legittimità e quindi prendere in considerazione l'atto della sua costituzione e l'oggetto commerciale prescelto, ritenendo sufficiente anche il compimento di attività prodromica all'esercizio di quella propriamente produttiva (Cass. n. 1479/1999), oppure se debba aversi riguardo all'esercizio in concreto di un'attività economica al fine della produzione di beni e servizi.

È evidente che la valorizzazione dell'elemento formale per determinare l'inizio o la cessazione dell'impresa crea numerosi problemi in tema di imprese regolari ed irregolari, individuali e collettive.

Bibliografia

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