Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 66 - Azione revocatoria ordinaria.Azione revocatoria ordinaria.
Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. L'azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro. InquadramentoRimasta immutata dopo la Riforma 2006, nonostante progetti in senso contrario (Vivaldi-Bosticco, 675), la previsione pone ora il problema sistematico di stabilire se essa sia rimasta del tutto impermeabile alle modifiche apportate alla revocatoria fallimentare, o se invece la nuova disciplina di quest'ultima possa dispiegare qualche effetto (Vivaldi-Bosticco, 675). L'azione risulta finalizzata, non al recupero dei beni alienati al patrimonio del fallito, bensì a consentire, nell'interesse dei creditori cui è stata sottratta la garanzia generica, l'aggressione esecutiva dei beni come se appartenessero ancora al debitore fallito (Vivaldi-Bosticco, 676). Si parla, quindi, di tutela conservativa del credito, e non già recuperatoria del bene (Vivaldi-Bosticco, 676), come desumibile dal fatto che l'atto revocato subisce una declaratoria di inefficacia e non di invalidità (Pazzaglia, 93; Vivaldi-Bosticco, 676). L'azione, quindi, mira a tutelare l'affidamento dei creditori nella garanzia patrimoniale generica del debitore ex art. 2740 c.c., ricostituendo il patrimonio del fallito, ed eliminando — secondo un'opinione seguita dalla giurisprudenza — quegli ingiusti vantaggi che sarebbero stati conseguiti da alcuni creditori, con violazione del principio della par condicio creditorum (Corsi, 566; Vivaldi-Bosticco, 676), con vantaggio per l'intera platea dei creditori, compresi coloro che non avrebbero potuto promuovere individualmente l'azione (Lucchini-Guastalla, 108; Riedi, 171). Non manca chi, tuttavia, osserva che a trarre vantaggio della revocatoria promossa da curatore dovrebbero essere i soli creditori anteriori all'atto dispositivo, in tal modo delimitando gli effetti della revocatoria stessa (Porzio, 333; contra Ronco, 1170). E’ inammissibile l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento, trattandosi di azione costituiva che modifica ex post una situazione giuridica preesistente e operando il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso in funzione di tutela della massa dei creditori (Cass. S.U. n. 30416/2018). Il regime della revocatoria ordinaria nel fallimentoIl dettato dell'art. 66 chiarisce come, una volta aperto il fallimento, l'azione revocatoria ordinaria possa essere esercitata dal solo curatore (Limitone, 826; Vivaldi-Bosticco, 676), mentre l'espresso rinvio alle «norme del codice civile» vale per contro ad evidenziare che tale legittimazione esclusiva – cui si aggiunge la competenza del tribunale fallimentare – non modifica i requisiti sostanziali, e cioè i presupposti, stabiliti dall'art. 2901 (Pazzaglia, 92; Vivaldi-Bosticco, 67), salve le peculiarità che derivano dalla pendenza del fallimento quanto agli effetti, alla legittimazione ed alla competenza, appunto (Patti, 890; Vivaldi-Bosticco, 677). Proprio la trasformazione dell'azione in azione di massa (Bonfatti, 457; Limitone, 822; Riedi, 149) che dispiega effetti a favore della generalità dei creditori (Patti, 890) comporta, anzi, la legittimazione esclusiva del curatore (Jorio, 405; Vivaldi-Bosticco, 677; contra Riedi, 158, almento nell'ipotesi di inerzia del curatore), ed anzi va notato che il curatore subentra anche nella posizione processuale che spetterebbe al debitore in un'azione ex art. 2901 promossa contro il debitore in bonis (Jorio, 406; Pazzaglia, 109; Riedi, 164; Vivaldi-Bosticco, 680). L'azione ha natura dichiarativa, la cui prescrizione è ancora regolata dall'art. 2903, e quindi è di cinque anni dalla data dell'atto (Limitone, 822; Pazzaglia, 110; Riedi, 169; Ronco, 1173; Vivaldi-Bosticco, 677), mentre discussa è l'applicabilità del meccanismo di decadenza previsto dall'art. 69-bis (Lucchini-Guastalla, 107; Vivaldi-Bosticco, 677). La risposta positiva verrebbe a comportare che per la revocatoria ordinaria operi un doppio termine quinquennale, uno di prescrizione e l'altro di decadenza (Lucchini-Guastalla, 107; Vivaldi-Bosticco, 677), ma appare preferibile ritenere che la revocatoria ex art. 66, in quanto disciplinata dal codice civile e non dalla legge fallimentare, sia sottratta all'ambito di applicazione dell'art. 69- bis (Bonfatti, 456; Limitone, 822; Porzio, 334; Riedi, 149 e 168; Vivaldi-Bosticco, 677; contra Patti, 892). Ciò ha come conseguenza che, nonostante i maggiori oneri sul piano probatorio, la revocatoria ordinaria si presenta come rimedio più agevole per il curatore, proprio per il più ampio termine di prescrizione (Vivaldi-Bosticco, 685). Anche nel caso dell'art. 66 l'effetto dell'accoglimento della revocatoria è quello tipico dell'art. 2901: l'atto di disposizione risulta inefficace anche se valido, con la conseguenza che il bene può essere aggredito e realizzato in danno del terzo come se non fosse uscito dal patrimonio del fallito (Vivaldi-Bosticco, 678). La differenza, nel caso della revocatoria esercitata nell'ambito del fallimento è che la declaratoria di inefficacia opera a vantaggio della generalità dei creditori, e non del solo creditore attore come nel caso dell'art. 2901 (Pazzaglia, 93; Vivaldi-Bosticco, 678), e che anche il terzo «revocato» ha comunque modo di insinuarsi al passivo ex art. 70 (Jorio, 405; Corsi, 574; Pazzaglia, 94; Riedi, 179) concorrendo con gli altri creditori senza la postergazione prevista dal secondo comma dell'art. 2902 (Patti, 891; Vivaldi-Bosticco, 678). Restano invece identici – come già detto – i presupposti dell'azione: atto dispositivo, eventus damni, scientia damni o consilium fraudis (Vivaldi-Bosticco, 678). L'atto dispositivo è costituito sia da qualunque atto di trasferimento – sia a titolo gratuito sia a titolo onerosi — di un diritto patrimoniale dal debitore ad un terzo, sia dall'assunzione di una nuova obbligazione, sia dalla costituzione di un diritto reale, anche di garanzia, a favore di un terzo (Pazzaglia, 97; Patti, 891; Vivaldi-Bosticco, 678), sia da operazioni diverse dall'ordinario adempimento, come la novazione e la datio in solutum (Vivaldi-Bosticco, 678) Il pregiudizio può consistere non solo nell'impossibilità, ma anche nella mera difficoltà di soddisfacimento delle pretese dei creditori (Pazzaglia, 97; Patti, 891; Vivaldi-Bosticco, 678) – compresi i casi di maggiore esposizione del patrimonio al deterioramento, al consumo, alla distrazione — e si determina tramite una comparazione tra la consistenza dei crediti anteriori (Bonfatti, 453; Bertacchini, 1450; Vivaldi-Bosticco, 678; contra Corsi, 572, secondo il quale la mancata insinuazione al passivo di creditori anteriori non preclude al curatore l'esercizio della revocatoria) all'atto dispositivo vantati dai creditori ammessi al passivo, da un lato, e la modifica qualitativa o quantitativa del patrimonio, dall'altro (Pazzaglia, 98; Patti, 891-892; Riedi, 173; Ronco, 1172; Vivaldi-Bosticco, 678). L'eventus damni va invece escluso qualora il bene oggetto sia stato pignorato e venduto in via esecutiva da un creditore fondiario, come tale assistito dal privilegio processuale ex art. 51 (Vivaldi-Bosticco, 679). Va notato che in tal modo la revocatoria sembra subordinata alla necessaria presenza di crediti anteriori all'atto dispositivo, sebbene sia stato fatto notare come tale affermazione non sia pienamente coerente con la conclusione per cui gli effetti della revocatoria andrebbero a beneficio di tutti i creditori, compresi quelli la cui ragioni siano posteriori all'atto dispositivo (Porzio, 333). Quanto al requisito soggettivo esso consiste nella scientia damni in capo al debitore nonché (se l'atto è a titolo oneroso) al terzo, e consiste nella conoscenza del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del creditore, e non nella conoscenza dell'insolvenza, qualora l'atto sia successivo al sorgere del credito (Ronco, 1170; Bertacchini, 1450; Riedi, 175; Vivaldi-Bosticco, 679). Ove si ammetta la revocatoria per atti anteriori al sorgere dei crediti, occorrerà la prova in capo al debitore, nonché (se l'atto è a titolo oneroso) al terzo, del consilium fraudis, cioè della dolosa preordinazione a ledere la garanzia patrimoniale del creditore (Bonfatti, 454; Lucchini-Guastalla, 109; Ronco, 1170; Vivaldi-Bosticco, 679; contra Jorio, 406 che ritiene il curatore esonerato da una simile prova, potendosi avvalere dello stato soggettivo in relazione ai crediti anteriori; si vedano anche le considerazioni di Porzio, 333 in ordine ai creditori che potrebbero avvantaggiarsi della revocatoria). L'onere della prova dei presupposti della revocatoria grava sul curatore, anche in considerazione della maggiore facilità che quest'ultimo può avere nel dimostrare l'inadeguatezza del patrimonio residuo del debitore rispetto ai crediti ammessi anteriori all'atto revocando (Pazzaglia, 95; Patti, 892; Vivaldi-Bosticco, 680). Alla revocatoria in esame sono da ritenersi inapplicabili le esenzioni previste dal terzo comma dell'art. 67, in quanto previsioni di carattere eccezionale (Vivaldi-Bosticco, 685; Limitone, 828; Riedi, 195). L'affermazione della natura di massa dell'azione ex art. 66, ha portato la Suprema Corte a concludere che la prescrizione decorre, anche nei confronti del curatore, dalla data dell'atto, ai sensi dell'art. 2903 c.c. (Cass. I, n. 21398/2011), trattandosi di azione che preesisteva al fallimento e che resta disciplinata, quanto ai presupposti, dalle norme del codice civile, mentre l'apertura della procedura concorsuale rileva ai fini dell'attribuzione della sua cognizione al Tribunale fallimentare, dell'estensione dei suoi effetti a vantaggio di tutti i creditori ammessi al passivo e dell'attribuzione al curatore della esclusiva legittimazione a proporla, ovvero a proseguirla, ma senza che per questo la dichiarazione di fallimento identifichi il giorno dal quale il diritto può essere fatto valere (Cass. I, n. 18607/2003). Il curatore che subentra nell'azione di revocazione ordinaria accetta la causa nello stato in cui la trova nella massa fallimentare e pertanto la prescrizione decorre anche nei confronti della curatela, ex art. 2903 c.c., dalla data dell'atto impugnato; e l'interruzione della prescrizione ad opera di uno dei creditori, cui sia subentrato il curatore, giova alla massa fallimentare (Cass. VI, n. 17544/2018). Tuttavia, si è precisato che la norma dell'art. 2903 c.c. va coordinata con quella prevista dall'art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, con la conseguenza che, nel caso in cui sia esercitata un'azione ex art. 2901 c.c. per la revoca di un atto di trasferimento di un immobile, la prescrizione inizia a decorrere non già dalla data di stipulazione ma da quella di trascrizione dell'atto, necessaria affinché il trasferimento sia reso pubblico, conoscibile ai terzi ed a loro opponibile (Cass. VI, n. 11815/2014). Alla fattispecie in esame trova applicazione il principio generale dettato per l'art. 2901, secondo cui nella nozione di «credito» rientrano anche i crediti eventuali ed in particolare il credito «litigioso» o le mere aspettative (Cass. I, n. 11573/2013; Cass. I, n. 21398/2011). La Cassazione è venuta a dettare una sorta di «decalogo» quanto alla prova del pregiudizio nella revocatoria ex art. 66, affermando che il curatore fallimentare, per dimostrare la sussistenza dell'eventus damni ha l'onere di provare tre circostanze: (a) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; (b) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole; (c) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto, aggiungendo che solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell'atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l'esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell'eventus damni (Cass. I, n. 26331/2008; Cass. I, n. 2253/2015). Nonostante il «decalogo», tuttavia, va chiarito che l'anteriorità dei crediti insinuati al passivo rispetto all'atto impugnato non costituisce presupposto imprescindibile per la revocatoria, richiedendosi tale prova solo per l'ipotesi in cui il curatore non abbia ipotizzato una dolosa preordinazione dell'atto dispositivo (Cass. I, n. 18847/2012). Mentre, da un lato, si ammette che il pregiudizio può consistere non solo nell'impossibilità, ma anche nella mera difficoltà di soddisfacimento delle pretese obbligatorie dei creditori (Cass. I, n. 16986/2007), dall'altro lato si è esclusa la sussistenza di un concreto danno quando il bene oggetto dell'atto sia stato esecutato e venduto ad opera di un creditore fondiario, che si sia avvalso del privilegio processuale ex art. 51 (Cass. I, n. 13996/2008). Risultano pacificamente non revocabili gli atti con cui il fallito abbia dismesso beni allo scopo di estinguere propri debiti (Cass. I, n. 12637/2011; Cass. I, 14420/2013). La prova dell' eventus damni grava sul curatore sia in quanto nella revocatoria ordinaria esercitata in seno al fallimento il curatore si sostituisce sia ai creditori, sia anche al debitore, sia in quanto il terzo non è tenuto il creditore a conoscere l'effettiva situazione patrimoniale del fallito suo dante causa (Cass. I, n. 8931/2013). Tale prova non può limitarsi alla mera deduzione delle ragioni creditorie del fallimento, dovendo invece il curatore, in caso di esplicita contestazione del convenuto, fornire la prova che il credito di cui si tratta è stato insinuato nella massa fallimentare (Cass. I, n. 15257/2004). Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio sopravvenga il fallimento di quest'ultimo, la prosecuzione del giudizio in corso da parte della curatela, secondo la legittimazione concessa dall'art. 66 l.fall., comporta sul piano probatorio che il curatore costituitosi debba soltanto dimostrare il pregiudizio derivante dall'atto dispositivo, a prescindere dall'insinuazione al passivo fallimentare del credito inizialmente dedotto nel giudizio dall'attore originario (Cass. I, ord. n. 6795/2023). La regola della irrevocabilità dell'adempimento di un debito scaduto, di cui all'art. 2903 è stata invece ritenuta applicabile al solo adempimento in senso tecnico e non in relazione a negozi – nella specie una cessione pro solvendo di tutti i crediti presenti e futuri vantati, fino ad un determinato importo, dal debitore verso un terzo — riconducibili ad un atto discrezionale, e quindi non dovuto, per il quale l'estinzione dell'obbligazione è l'effetto finale di un negozio, soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto (Cass. I, n. 28981/2008). Per contro l'esenzione di cui all'art. 2901 ricomprende anche l'ipotesi di alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all'adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per tale scopo (Cass. III, n. 7747/2016). Però la regola per cui, a fronte dell'allegazione da parte del creditore dell'eventus damni, incombe sul debitore l'onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della controparte non trova applicazione nell'azione revocatoria orinaria esercitata dal fallimento in quanto il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito; e in quanto in base al principio della vicinanza della prova l'onere probatorio non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell'atto impugnato, che non è tenuto a conoscere la situazione patrimoniale del suo dante causa (Cass. I. n. 9565/2018). Inoltre, in relazione ad un atto avente natura di atto a titolo gratuito è indifferente lo stato soggettivo del terzo (Cass. I, n. 28802/2018, in relazione alla costituzione di ipoteca successiva al sorgere del credito garantito con dilazione di pagamento del debito ritenuta inerente non alla causa dell'accordo di garanzia ma ad un motivo dell'atto). In ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili, il curatore del fallimento sociale è legittimato ad agire in revocatoria contro gli atti disposizione compiuti dal socio poiché l'accrescimento del patrimonio di quest'ultimo, in conseguenza dell'accoglimento dell'azione, produce risultati positivi ai fini del soddisfacimento non solo dei suoi creditori particolari ma anche dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero anche nel fallimento del primo (Cass. VI, n. 1103/2016). Le rimesse in conto corrente bancario consistenti in operazioni di accreditamento dirette al mero ripristino della provvista — e, dunque, insuscettibili di essere configurate come atti di pagamento ai fini dell'esonero previsto dall'art. 2901 — non sono revocabili ex art. 66, pena l'elusione del sistema revocatorio risultante dalle previsioni di cui agli artt. 65 e 67 (Cass. n. 23101/2015). Quanto al profilo dell'elemento soggettivo, è stato affermato che, per la sua posizione di osservatore privilegiato la banca plausibilmente possiede piena consapevolezza del pregiudizio che la cessione di un rilevante credito della società poi fallita produce per gli altri creditori (Cass. I, n. 1759/2006). Per contro nel caso di revocatoria nei confronti di fondo patrimoniale costituito successivamente all'assunzione del debito, è stata sufficiente la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass. III, n. 13343/2015). Passando alla casistica, la revocatoria ordinaria è stata ritenuta applicabile all'ipotesi di costituzione di ipoteca contestuale a una operazione di mutuo fondiario. Poiché, però, presupposto di tale revocatoria è l'inopponibilità alla massa fallimentare del contratto di mutuo fondiario, qualora il credito fondato sul mutuo stesso sia già stato ammesso allo stato passivo fallimentare, con conseguente riconoscimento dell'ipoteca contestualmente costituita, la revocatoria dell'ipoteca risulta preclusa (Cass. I, n. 23669/2006). Il limite derivante dal giudicato endo-falllimentare connesso all'ammissione al passivo è stato riaffermato anche quando la Suprema Corte ha escluso che il curatore possa agire ex art. 66 per far dichiarare inopponibile alla massa l'intervenuta risoluzione di diritto di un contratto di leasing relativo ad un macchinario allorquando, in sede di accertamento del passivo, sia stata già definitivamente accolta la domanda di rivendica del bene oggetto del menzionato contratto avanzata dal terzo acquirente, in quanto, non essendosi opposta in tale sede alla restituzione, la curatela fallimentare ha ormai riconosciuto la validità dell'atto d'acquisto del rivendicante e non può pretendere di tornare in possesso del medesimo bene attraverso l'esercizio dell'azione revocatoria (Cass. I, n. 20222/2013). Nella giurisprudenza di merito si registra invece un contrasto in ordine alla revocabilità della scissione societaria. Se un orientamento ha ritenuto l'azione ammissibile non ravvisando fattori ostativi nella presenza dello speciale meccanismo di opposizione ex art. 2503 c.c., e nella responsabilità solidale delle società partecipanti all'operazione ex art. 2506-quater c.c., in considerazione della diversità degli strumenti (Trib. Venezia, 5 febbraio 2016, Fall., 2017, 51), un altro orientamento ha invece ritenuto che l'ammissibilità della revocatoria contrasti con la regola della stabilità della scissione desumibile dall'art. 2504-quater c.c., che rende intangibili gli effetti dell'operazione una volta eseguite le formalità pubblicitarie prescritte (Trib. Bologna, 01 aprile 2016, Fall. 2017, 47). Nel caso di concordato fallimentare con assunzione, che prevedeva la cessione delle azioni revocatorie, la Cassazione, prima della Riforma 2006, ha affermato che la chiusura del fallimento, conseguente al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, non determinava l'improcedibilità delle azioni stesse, bensì una successione a titolo particolare dell'assuntore nel diritto controverso, senza che fosse consentita la prosecuzione del processo tra le parti originarie, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., in quanto la chiusura della procedura, comportava il venir meno della legittimazione processuale del curatore, con la conseguenza che il processo doveva essere interrotto con una delle modalità previste dall'art. 300 c.p.c., giacché altrimenti il processo sarebbe proseguito legittimamente nei confronti del curatore (Cass. I, n. 4766/2007). Più di recente, invece, è stato affermato che, qualora il concordato fallimentare con assunzione preveda la cessione delle azioni revocatorie, la chiusura del fallimento conseguente alla definitività del provvedimento di omologazione determina una successione a titolo particolare dell'assuntore nel diritto controverso regolata dall'art. 111 c.p.c., sicché quest'ultimo, pur potendo intervenire nel giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione, ma non come parte necessaria né in sostituzione del curatore fallimentare, non è tuttavia legittimato a rinunciare al ricorso già proposto dalla curatela (Cass. I, n. 17339/2015). Nel caso, tuttavia, in cui il trasferimento dell'azione sia subordinato alla completa esecuzione del concordato, poiché l'effetto traslativo si produce soltanto a seguito del decreto con cui il giudice delegato, ai sensi dell'art. 136, procede al relativo accertamento, è a tale provvedimento che dev'essere ricollegata la perdita della legittimazione processuale del curatore (Cass. I, n. 4766/2007). La revocatoria individuale del creditoreUna delle tematiche più delicate poste dall'art. 66 è costituita dall'incidenza che detta azione e, prima ancora di essa, lo stesso fallimento può avere sulla revocatoria ordinaria eventualmente già instaurata da uno dei creditori del fallito quando questo era ancora in bonis. Un filone dottrinale e giurisprudenziale afferma che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il creditore originario attore perde la propria legittimazione attiva, mentre quest'ultima passa in via esclusiva al curatore (Porzio, 332), il quale avrebbe facoltà di riassumere il giudizio revocatorio ove questo si sia interrotto per effetto del fallimento, fatta salva, naturalmente, la facoltà di proporre il giudizio ex novo senza subire i vincoli determinatisi per effetto del cristallizzarsi di preclusioni processuali (Bonfatti, 455). Anche nell'escludere il persistere della legittimazione del creditore singolo, peraltro, non mancano variazioni processuali sul tema, oscillandosi tra la declaratoria di perdita di interesse ad agire per effetto della operatività dell'art. 51 e la declaratoria di improseguibilità (sul tema Limitone, 822). La tesi non ha ricevuto unanime consenso né in giurisprudenza né in dottrina, registrandosi voci favorevoli all'affermazione della legittimazione concorrente del curatore e dei singoli creditori, sulla base dell'argomentata diversità dell'azione promossa dal singolo creditore rispetto a quella proposta dal curatore, ponendosi le due azioni in rapporto di continenza (Pazzaglia, 108; Patti, 894; Riedi, 156; Vivaldi-Bosticco, 681), e rimarcandosi che l'esito conclusivo del venire meno della legittimazione del creditore si traduce nel trasferimento degli eventuali effetti positivi dell'azione dal singolo creditore alla massa, con effetti «solidaristici» (Bonfatti, 451). Si osserva da altri che l'eventuale incompatibilità non si pone tra le due azioni, ma, semmai, al momento dell'esecuzione, quando a prevalere dovrebbe essere l'interesse della massa (Corsi, 574). Si pone, poi, il problema se la prosecuzione dell'azione individuale da parte del curatore comporti il trasferimento della medesima innanzi al tribunale fallimentare, secondo la competenza inderogabile stabilità dallo stesso art. 66, oppure se persista l'originaria competenza territoriale (Bertacchini, 1449; Ronco, 1173; Riedi, 150). Un primo gruppo di precedenti della Suprema Corte ha affermato che, nell'ipotesi in cui sia stata proposta un'azione ex art. 2901 da un singolo creditore nei confronti del fallito ancora in bonis e, intervenuto il fallimento, il curatore abbia optato per il subentro, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l'interesse ad agire dell'attore originario vengono radicalmente meno, con conseguente improcedibilità della domanda originaria (Cass. S.U., n. 29420/2008; Cass. I, n. 18839/2012). Non mancano, tuttavia, precedenti che, invece, pur ribadendo la legittimazione esclusiva del curatore, hanno ammesso la possibilità per il singolo creditore di intervenire ad adiuvandum ex art. 105 c.p.c. (Cass. I, n. 3906/2009). Nonostante l'intervento delle Sezioni Unite, poi, diversi precedenti che affermano la possibilità per il creditore di proseguire la revocatoria «individuale» anche dopo il fallimento del debitore, con la conseguenza che, in caso di sopravvenuto fallimento del debitore dopo la sentenza di primo grado e di mancata costituzione del curatore nel giudizio d'appello, il creditore potrebbe comunque ottenere sentenza favorevole per procedere all'esecuzione forzata sul bene oggetto dell'atto dispositivo (Cass. I, n. 25850/2011; Cass. III, n. 5272/2008; Cass. III, n. 11763/2006). Una delimitazione del principio Cass. S.U., n. 29420/2008 va peraltro rinvenuta in una sentenza gemella, che ha chiarito che se il curatore fallimentare non interviene nel giudizio per sostituirsi al creditore e non propone altrove la stessa azione, l'iniziativa del creditore resta procedibile (Cass. S.U., n. 29421/2008). Più consolidata pare l'affermazione per cui il curatore che subentri già promossa dal creditore deve accettare la causa nello stato in cui si trova, con la conseguenza che la prescrizione decorre comunque dalla data dell'atto impugnato, ma che il curatore può giovarsi della interruzione della prescrizione posta in atto da uno creditori (Cass. VI n. 17544/2018; Cass. I, n. 12513/2009). Va, invece, chiarito che, qualora l'azione revocatoria sia stata originariamente proposta contro diversi soggetti, uno solo dei quali poi viene dichiarato fallito, ben potrà il creditore riassumere il giudizio nei confronti dei soggetti non falliti, nei cui confronti il fallimento non vanti alcuna pretesa (Cass. III, n. 8984/2011; Cass. III, n. 21810/2015). La sopravvenuta chiusura del fallimento comporta invece la cessazione della materia del contendere in ordine all'azione revocatoria ordinaria esperita dal curatore ai sensi dell'art. 66, venendo meno la possibilità di apprensione del bene per venderlo nell'interesse della massa, determinando, semmai, il riacquisto in capo ai singoli creditori del libero esercizio delle azioni individualmente loro spettanti ex art. 120 (Cass. I, n. 19443/2005). I terzi subacquirentiIl secondo comma dell'art. 66, prevede che la proponibilità dell'azione non solo nei confronti del contraente immediato ma anche dei suoi aventi causa, ove possibile, richiamando in sostanza il quarto comma dell'art. 2901 (Lucchini-Guastalla, 111; Vivaldi-Bosticco, 683). Presupposto imprescindibile per agire nei confronti del subacquirente è il previo accertamento della inefficacia del primo atto (Patti, 895; Vivaldi-Bosticco, 683) quale atto che è presupposto logico-giuridico dell'acquisto del subacquirente (Vivaldi-Bosticco, 683). Di qui l'espressione revocatoria «a cascata», considerato anche che la revoca del secondo acquisto, in quanto «inefficacia riflessa», non deriva dalla presenza dei presupposti dell'art. 2901 ma unicamente dalla declaratoria di inefficacia del primo atto di acquisto (Patti, 895; Vivaldi-Bosticco, 683), e dalla prova dello stato soggettivo del terzo subacquirente (Vivaldi-Bosticco, 683). La prova di tale elemento soggettivo in capo al subacquirente graverà sul curatore (Vivaldi-Bosticco, 683), anche se l'interpretazione della giurisprudenza tende a risolvere tale prova in quella della consapevolezza della revocabilità del primo atto di acquisto. Anche la revocatoria nei confronti dei subacquirenti può essere esercitata dal curatore davanti al tribunale fallimentare, a meno che egli non sia intervenuto in giudizio già pendente (Vivaldi-Bosticco, 684). Opera la regola del quarto comma dell'art. 2901 per cui l'inefficacia dell'atto non pregiudica i terzi di buona fede, che abbiano acquistato a titolo oneroso, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione (Vivaldi-Bosticco, 684), intendendosi per buona fede l'ignoranza della revocabilità dell'atto di acquisto del dante causa del subacquirente (Jorio, 408; Lucchini-Guastalla, 111; Limitone, 825; Patti, 896; Riedi, 175; Vivaldi-Bosticco, 684). I terzi subacquirenti a titolo gratuito del terzo, invece, risulteranno soccombenti anche in caso di buona fede (Vivaldi-Bosticco, 684). Qualora, invece, la «revocatoria a cascata» non sia possibile, il curatore dovrà agire nei confronti del primo acquirente per ottenere – mediante il meccanismo della c.d. «revocatoria risarcitoria» – il pagamento del valore del bene a titolo di risarcimento (Limitone, 825; Vivaldi-Bosticco, 684). Una pronunzia della Suprema Corte ha precisato quale sia il rapporto tra i due atti compiuti in sequenza, affermando che l'azione nei confronti dei terzi aventi causa dal primo acquirente del fallito non è propriamente subordinata all'esperimento o all'esperibilità della revocatoria fallimentare in relazione al primo atto; tuttavia, l'accoglimento dell'azione contro il terzo postula la prova sia della scientia decoctionis in capo al primo acquirente, sia della consapevolezza di tale presupposto soggettivo da parte del terzo subacquirente (Cass. I, n. 13182/2013). Secondo la Cassazione l'azione revocatoria esercitata nei confronti di terzi aventi causa del primo acquirente del fallito, è una revocatoria ordinaria, il cui accoglimento presuppone l'accertamento della mala fede del subacquirente, consistente nella consapevolezza della revocabilità, ai sensi dell'art. 67 del trasferimento intervenuto tra il primo dante causa ed il debitore fallito. L'azione revocatoria esercitata dal curatore fallimentare, ai sensi dell'art. 66, comma 2, l.fall., nei confronti dei terzi aventi causa del primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere dal fallito, che è all'origine della catena dei trasferimenti, e la conseguente dichiarazione d'inefficacia di tale atto, è una revocatoria ordinaria, il cui accoglimento, presupponendo l'accertamento della mala fede dell'acquirente, rende irrilevante, in presenza di tale accertamento, la mancata precisazione da parte del curatore del tipo di azione che ha inteso esercitare, rientrando nel potere - dovere di qualificazione giuridica spettante al giudice la riconduzione della domanda all'art. 2901 c.c. (Cass. I, ord. n.40872/2022). Non avrebbe invece rilevanza il fatto che la sentenza dichiarativa di fallimento o la domanda revocatoria del curatore siano state trascritte prima o dopo l'atto stipulato dai terzi aventi causa dal primo acquirente del fallito (Cass. I, n. 22550/2010; Cass. I, n. 27230; Cass. I, n. 28988/2008). Una giurisprudenza di merito, peraltro, ritiene che la prova dell'elemento soggettivo del terzo possa essere desunta dal fatto che nell'atto di acquisto del terzo venga fatto specifico richiamo al contenuto dell'atto compiuto dal fallito (Trib. Mantova 23 dicembre 2008). BibliografiaBertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milano, 2016; Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Didone (a cura di), La riforma delle procedure concorsuali, Milano, 2016; Corsi, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. – sez. III: L'azione revocatoria, in Vassalli-Luiso-Gabrielli, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino, 2014; Jorio, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Ambrosini, Cavalli, Jorio, Il Fallimento - Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2009; Limitone, Sub art. 66, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014; Lucchini Guastalla, Art. 66 – Azione revocatoria ordinaria, in Cavallini (diretto da), Commentario alla Legge Fallimentare, I, Milano, 2010; Nigro, Sub art. 66, in Nigro-Sandulli-Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Milano, 2010; Patti, Articolo 66 – Azione revocatoria ordinaria, in Jorio-Fabiani (diretto da e coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006; Pazzaglia, Art. 66 l.fall. L'azione revocatoria ordinaria in sede fallimentare, in Ghia-Piccininni-Severino (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, II, Torino, 2010; Porzio, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Buonocore-Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010; Riedi, L'azione revocatoria ordinaria nel fallimento. L'art. 66 L. Fall., in Vitalone, Patroni Griffi, Riedi (a cura di), Le azioni revocatorie: la disciplina, il processo, Milano, 2014; Ronco, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, I, Milano, 2016; Vivaldi-Bosticco, Art. 66, in Lo Cascio (a cura di), Codice Commentato del Fallimento, Milano, 2015. |