Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 55 - Effetti del fallimento sui debiti pecuniari.Effetti del fallimento sui debiti pecuniari.
La dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'articolo precedente 1234. I debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento. I crediti condizionali partecipano al concorso a norma degli articoli 96, 113 e 113-bis. Sono compresi tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale5. [1] La Corte costituzionale, con sentenza 19 dicembre 1986, n. 300, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non estende il privilegio agli interessi dovuti sui crediti privilegiati di lavoro nella procedura di concordato preventivo del datore di lavoro. [2] La Corte costituzionale, con sentenza 20 aprile 1989, n. 204, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui estende la prelazione agli interessi dovuti sui crediti privilegiati da lavoro nella procedura di fallimento del datore di lavoro. [3] La Corte costituzionale, con sentenza 18 luglio 1989, n. 408, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui, nelle procedure di fallimento del debitore e di concordato preventivo, non estende la prelazione agli interessi dovuti sui crediti privilegiati delle società o enti cooperativi di produzione e di lavoro, di cui all'articolo 275-bis, n. 5, c.c., che rispondono ai requisiti prescritti dalla legislazione in tema di cooperazione. [4] La Corte costituzionale, con sentenza 22 dicembre 1989, n. 567, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non estende la prelazione agli interessi dovuti sui crediti privilegiati da lavoro nella procedura di amministrazione straordinaria. [5] Comma modificato dall'articolo 51 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoIl secondo comma dell'articolo in questione dispone che «i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione di fallimento». Tale disposizione è considerata un'applicazione del principio generale di cui all'art. 1186 c.c. (Ragusa Maggiore, 319; Inzitari, 105 ss.). Altri autori, invece, pur rinvenendo una affinità tra le rationes delle due previsioni, sottolineano le diversità delle due norme: quella civilistica avrebbe una funzione lato sensu cautelare, tesa a rendere immediatamente esigibile l'obbligazione nel caso in cui il debitore sia divenuto incapiente rispetto al credito sottoposto a termine; quella fallimentare, invece, avrebbe più precisamente la funzione di rendere assoggettabile al concorso il credito esistente già, anche se non scaduto, alla data della dichiarazione di fallimento, a prescindere dalla incapienza patrimoniale del debitore, cioè anche nell'eventualità in cui, pur non riuscendo ad adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni per mancanza di disponibilità liquide, il debitore dichiarato fallito sia titolare di un patrimonio liquidabile sufficiente a soddisfare il credito non ancora scaduto alla data della dichiarazione di fallimento (Vassalli, 341). La disposizione in commento fa il paio con quella dell'art. 59 l.fall., a norma della quale «i crediti non scaduti, aventi per oggetto una prestazione in danaro determinata con riferimento ad altri valori o aventi per oggetto una prestazione diversa dal danaro, concorrono secondo il loro valore alla data della dichiarazione di fallimento». Tali disposizioni hanno efficacia limitata all'ambito concorsuale: chiuso o revocato il fallimento, i crediti non soddisfatti ritorneranno soggetti al termine iniziale e, se questo non sarà ancora scaduto, non saranno immediatamente esigibili, salva la decadenza in danno del debitore comminata dall'art. 1186 c.c. I crediti condizionaliAi sensi del terzo comma dell'art. 55 l.fall «i crediti condizionali partecipano al concorso a norma degli articoli 96, 113 e 113-bis. Sono compresi tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale». Secondo la giurisprudenza, tale disposizione costituisce una deroga al principio di cristallizzazione del passivo, in base al quale partecipano al concorso i crediti già esistenti in tutti i loro elementi identificativi e costitutivi, anche se non ancora scaduti alla data della dichiarazione di fallimento. Ne consegue che, al di fuori dei casi previsti dall'art. 96 l.fall., non sono ammessi al concorso crediti dei quali nessun elemento costitutivo si sia ancora verificato alla data della dichiarazione di fallimento. La Suprema Corte, in particolare, si è occupata del patto di lottizzazione, stabilendo che l'art. 55, terzo comma, legge fall., nel prevedere la partecipazione al concorso con riserva (a norma degli artt. 95 e 113 della stessa legge) dei crediti condizionali, è norma eccezionale, che devia dal principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell'imprenditore, e come tale non suscettibile di applicazione analogica a diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione, in tal caso versandosi in ipotesi, non già di mera inesigibilità della pretesa, ma di credito non ancora sorto ed eventuale. Pertanto, in presenza di un patto, qualificabile di garanzia impropria, con il quale l'originario proprietario del terreno da lottizzare a scopo edilizio, successivamente fallito, assuma su di sé l'onere di tutte le spese di urbanizzazione, in tal senso obbligandosi verso l'acquirente del singolo lotto, deve escludersi l'ammissione con riserva dell'acquirente al passivo fallimentare subordinatamente all'avvenuto pagamento, da parte sua, degli oneri in questione, giacché detto pagamento costituisce elemento costitutivo della fattispecie, e non condizione di efficacia del patto di garanzia impropria, di tal che prima di esso non è ipotizzabile un diritto dell'acquirente in attesa di divenire operativo (Cass. n. 11953/2003). Il fideiussore del fallito Tra le ipotesi più controverse di credito condizionale si annovera quello del fideiussore del fallito. A rigore, infatti, il diritto di regresso del fideiussore sorge solo dopo che quest'ultimo abbia pagato il creditore. Orbene, siccome prima di tale pagamento nessun elemento della fattispecie costitutiva del credito si è ancora perfezionato, il fideiussore non potrebbe partecipare al concorso in quanto non è titolare di un credito condizionale. La giurisprudenza di legittimità più remota, tuttavia, opinava diversamente, nel senso che il fideiussore che non ha pagato il creditore prima della dichiarazione di fallimento del debitore principale è considerato, a norma degli artt. 61 comma secondo e 55 comma terzo legge fallimentare, creditore condizionale in relazione all'eventuale esercizio dell'azione di regresso nei confronti del debitore fallito e va pertanto ammesso al concorso dei creditori con riserva che potrà ritenersi sciolta soltanto quando si sia verificato l'integrale soddisfacimento «ex parte creditoris» delle ragioni del creditore nel corso della procedura fallimentare (Cass. I, n. 6355/1998; Cass. I, n. 4419/1988). Tuttavia, l'orientamento appare criticabile, in quanto dal tenore dell'art. 61 l.fall sembra emergere il principio secondo il quale, una volta che un creditore sia stato ammesso allo stato passivo per un credito, un altro soggetto può subentrarvi solo dopo che quel credito sia stato interamente soddisfatto. In altre parole, non possono essere ammessi più soggetti allo stato passivo per lo stesso credito, sebbene una delle ammissioni sia stata disposta con riserva (Inzitari, 123; Fabiani, 301; Guizzi, 1104 ss.). Non vi sarebbe, inoltre, a favore della tesi che consente l'ammissione con riserva del credito del fideiussore o del coobbligato, nemmeno l'esigenza di rispettare il principio della cristallizzazione della massa passiva e, di conseguenza, di consentire l'ammissione al passivo, sebbene con riserva, di un credito futuro di regresso che, nascendo dopo il pagamento da parte del fideiussore o del coobbligato del fallito, e dunque in costanza di fallimento del debitore, non avrebbe natura concorsuale. Si è da più parti sostenuto, infatti, che il diritto di regresso del fideiussore o del coobbligato del fallito ha comunque ad oggetto un credito concorsuale in quanto sorto con il sorgere della garanzia, rinveniente dunque il fatto giuridico costitutivo in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. La giurisprudenza più recente, tuttavia, pur non ritenendo inammissibile espressamente l'ammissione con riserva del credito di regresso del fideiussore, parlando piuttosto di una inesistenza di un obbligo in tale senso, ha chiarito che, fino a quando il creditore non sia interamente soddisfatto del suo credito verso il debitore fallito, il fideiussore non può insinuare al passivo il suo credito di regresso. Il principio della cristallizzazione della massa passiva non impedisce, di regola, la sostituzione del credito spettante, in via di surrogazione o regresso, al coobbligato solidale, il quale abbia pagato in data successiva alla dichiarazione di fallimento del debitore principale, operando il pagamento come causa estintiva del credito vantato da quest'ultimo nei confronti del debitore principale, con la conseguente esclusione di qualsiasi duplicazione di crediti; ne deriva quindi che il coobbligato non è tenuto ad insinuare al passivo il proprio credito con riserva, potendo farlo valere in sede fallimentare con l'ordinaria istanza di ammissione, tempestiva o tardiva. Tuttavia, è inammissibile la surrogazione, allorché il pagamento effettuato dal coobbligato o dal fideiussore non risulti interamente satisfattivo della pretesa del creditore, ostando a ciò l'art. 61, secondo comma, l.fall., il quale costituisce una norma speciale che introduce un'eccezione al principio dell'opponibilità al creditore comune dei pagamenti parziali ricevuti, e, nel subordinare l'esercizio dell'azione di rivalsa alla condizione che il creditore comune sia stato soddisfatto per l'intero credito ove il pagamento sia effettuato successivamente alla dichiarazione di fallimento, detta una disposizione applicabile non solo all'azione di regresso, specificamente contemplata dalla norma in esame, ma anche a quella di surrogazione, posto che, ai fini dell'ammissibilità tanto della surrogazione, quanto del regresso, ciò che rileva non è la circostanza che attraverso il pagamento il coobbligato abbia totalmente assolto la propria obbligazione, ma che l'adempimento risulti integrale «ex parte creditoris», cioè idoneo ad estinguere la pretesa che il creditore comune abbia insinuato o possa insinuare al passivo del fallimento (Cass. I, n. 3216/2012). Condizione sospensiva e condizione risolutivaPrima della riforma, tra i crediti condizionali erano espressamente annoverati solo quelli sottoposti a condizione sospensiva, come risultava dall'art. 113 n. 3 l.fall., ditalché si discuteva se potevano ricomprendersi nei crediti ammissibili con riserva anche quelli sottoposti a condizione risolutiva. Coloro che sostenevano l'interpretazione più restrittiva facevano leva sull'argomento che in pendenza della condizione risolutiva l'acquirente del diritto ad essa sottoposto, e dunque, per quel che qui ci interessa, il creditore, può esercitarlo (Inzitari, 117 ss.; Bonsignori, 399; F. Vassalli, 341). Deve tuttavia osservarsi che il secondo comma dell'art. 1356 c.c., nell'attribuire all'acquirente di un diritto sotto condizione risolutiva il suo libero esercizio, tuttavia fa salva la possibilità dell'altro contraente di compiere atti conservativi. Orbene, l'accantonamento delle somme spettanti al creditore sotto condizione risolutiva avrebbe senz'altro cautelato il fallimento contro l'eventualità che si fosse verificata la condizione risolutiva e che non si fosse potuta ottenere, per sua insolvenza, dall'accipiens la somma a lui distribuita (sul punto, cfr. Satta, 191; Cass. I, n. 8428/1998, in obiter). Dopo la riforma organica delle procedure concorsuali, è scomparsa la distinzione tra condizione sospensiva e condizione risolutiva, stabilendo l'art. 96 l.fall che sono soggetti all'ammissione con riserva i crediti condizionali, dai quali dunque, anche dal punto di vista della formulazione letterale della norma, non vi è ragione di escludere i crediti sottoposti a condizione risolutiva. In contrario, non varrebbe (cfr. Guizzi, 291 s.) evidenziare che il tenore dell'art. 113-bis l.fall. sarebbe coerente solo con l'avveramento della condizione sospensiva. Lo stato di incertezza cui è soggetta l'ammissione al passivo di un credito sottoposto a condizione risolutiva, infatti, è simile a quello che caratterizza l'ammissione al passivo del credito sottoposto a condizione sospensiva. Ne consegue che la citata disposizione della legge fallimentare si deve leggere nel senso che lo scioglimento positivo della riserva e la definitiva ammissione al passivo del credito sottoposto a condizione risolutiva dovrà essere disposto nel caso in cui la condizione risolutiva non si sia verificata e non possa più verificarsi. Il nuovo "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza"Anche l'impianto dell'art. 154 d.lgs. n. 14/2019 - "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" (in vigore dal 15 agosto 2020) è simile, nella struttura, a quello dell'articolo in commento. Le varianti, pressoché formali, consistono nella rubrica dell'articolo, modificata in “Crediti pecuniari”, e nei richiami normativi disposti nei commi 1 e 3. Opportunamente, a differenza dell'art. 55 l.f., nel quale, al primo comma, si disponeva che la dichiarazione di fallimento sospendeva il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, oggi il primo comma dell'art. 154 del d.lgs. n. 14/2019, nell'attribuire lo stesso effetto di sospensione del corso degli interessi all'apertura della liquidazione giudiziale, pone quale dies ad quem della sospensione del corso degli interessi alternativamente la chiusura della procedura o l'archiviazione disposta ai sensi dell'art. 234, comma 7, dello stesso codice. Tale archiviazione viene disposta nel caso in cui, pur dopo la chiusura della procedura ai sensi del nuovo art. 233, comma 1, lett. c) del codice della crisi e dell'insolvenza, la liquidazione giudiziale di fatto continui per il recupero di ulteriore attivo, attraverso la continuazione o la nuova instaurazione di procedimenti di liquidazione dei beni, di processi di espropriazione forzata o di giudizi di cognizione, tesi alla formazione di un titolo esecutivo da porre in esecuzione, in cui la procedura è parte attiva (v. il vecchio art. 118, comma 2, l.f.). Il richiamo all'art. 54, comma 3, l.f., contenuto nell'art. 55, comma 1, della stessa legge è stato sostituito, nell'art. 154, comma 1, del nuovo Codice, dal richiamo all'art. 153, comma 3 dello stesso codice, come visto, per questa parte, assolutamente sovrapponibile al vecchio testo. Vi è, invece, una asimmetria tra le norme richiamate dal comma 3 del vecchio art. 55 l.f., circa le modalità di partecipazione al concorso dei crediti condizionali, e le norme richiamate, agli stessi effetti, dall'art. 154, comma 3, del Codice della crisi e dell'insolvenza. Mentre, infatti, l'art. 204 del codice riproduce sostanzialmente il contenuto del vecchio art. 96 l.f., e l'art. 227 del Codice riproduce sostanzialmente il contenuto del vecchio articolo 113 l.f., non si comprende il senso del rinvio all'art. 226 del Codice, che disciplina i diritti del creditore che presenta tardivamente domanda di ammissione al passivo. Probabilmente si è trattato di un refuso ed il rinvio dovrebbe intendersi fatto all'art. 228 del Codice della crisi e dell'insolvenza, che riproduce il vecchio art. 113 bis l.f. BibliografiaBonsignori, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 1986; Fabiani, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011; Guizzi, sub art. 55, in Commentario alla legge fallimentare diretto da Cavallini, Milano, 2010; Inzitari, Effetti del fallimento, in Commentario della legge fallimentare Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988; Ragusa Maggiore, Diritto fallimentare, Napoli, 1974; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996; Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 1994. |