Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 45 - Formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento.

Angelo Napolitano
aggiornata da Francesco Maria Bartolini

Formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento.

 

Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori.

Inquadramento

La disposizione in commento offre un criterio generale di risoluzione dei conflitti tra i terzi che acquistano diritti dal debitore fallito ed i creditori concorsuali.

La disposizione è, in ambito fallimentare, omologa rispetto all'art. 2914 c.c., che stabilisce le diverse condizioni affinché un atto di trasferimento di un diritto o di un bene sia opponibile al creditore pignorante.

L'accostamento è, peraltro, il logico corollario dell'opinione secondo la quale il fallimento è un pignoramento generale sui beni del debitore, quale vincolo giuridico mediante il quale l'intero patrimonio del debitore è assoggettato alle ragioni dei creditori concorsuali.

Anche in giurisprudenza si è stabilito, ad esempio, che la locazione ultranovennale non trascritta non è opponibile, ancorché il contratto sia regolarmente registrato, al curatore fallimentare del locatore in ragione dell'effetto di spossessamento e di pignoramento generale dei beni del debitore derivante dalla dichiarazione di fallimento, che determina il subentro «ope legis» del curatore nel contratto nei soli limiti in cui lo stesso sia opponibile alla massa dei creditori. Ne consegue che il curatore, ferma l'opponibilità della data certa del contratto registrato anteriormente al fallimento, alla scadenza del novennio dalla stipulazione può farne valere l'inefficacia per il periodo eccedente tale limite temporale (Cass. III, n. 5792/2014). La giurisprudenza ha rilevato la sussistenza di un limite al principio, costituito dalla rilevanza delle situazioni meramente fattuali. Essa sul punto ha affermato che in tema di usucapione di bene immobile, il titolo di acquisto della proprietà trascritto successivamente alla dichiarazione di fallimento non è di per sé opponibile nei confronti della massa, ma può rilevare ai fini della prova della data di inizio del possesso "ad usucapionem", quale situazione fattuale che non viene interrotta dall'apertura della procedura concorsuale, né è impedita dal disposto degli artt. 42 e 45 l.fall. (Cass. I, ord. n. 17230/2022).

 

Sulla stessa scia, nell'ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stato trascritto da un creditore il sequestro conservativo su un bene immobile, successivamente ceduto dal debitore ad un terzo, con acquisto trascritto anteriormente alla conversione della misura cautelare in pignoramento, a seguito dell'inizio dell'espropriazione forzata sul predetto bene ed a norma dell'art. 107 della l.fall., il curatore si sostituisce al creditore istante, che perde ogni potere di impulso ai sensi dell'art. 51 della l.fall., e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento del curatore o un provvedimento di sostituzione del giudice dell'esecuzione; se il curatore interviene nell'esecuzione, si realizza un fenomeno di subentro nel processo, come manifestazione del più generale potere di disposizione dei beni del fallito ex art. 31 della l.fall., ma non una vera e propria sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., potendo perciò il curatore giovarsi degli effetti sostanziali e processuali del solo pignoramento, ex art. 2913 c.c., ma non sostituirsi nelle posizioni giuridiche processuali strettamente personali del creditore istante, dalle quali non deriva i propri poteri, che, invece, hanno fonte nella legge fallimentare. Ne consegue che mentre al curatore, come partecipante alla medesima esecuzione che con lui prosegue, sono inopponibili gli atti pregiudizievoli trascritti successivamente al pignoramento, egli non può giovarsi della inopponibilità degli atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata in quanto tale, trattandosi di effetti di cui si avvantaggia, ex art. 2906 c.c., solo il creditore sequestrante. Sicché, la Suprema Corte ha ritenuto opponibile al curatore fallimentare, intervenuto nell'esecuzione in precedenza promossa, il trasferimento immobiliare trascritto dal terzo dopo il sequestro ma prima della sua conversione in pignoramento (Cass. I, n. 25963/2009).

Addirittura l'accostamento del fallimento, quoad effectum, ad un pignoramento generale sui beni del debitore, è arrivato fino al punto di equiparare le rivendiche dei beni inventariati dal curatore a delle opposizioni di terzo all'esecuzione (art. 619 c.p.c.), con i conseguenti limiti di opponibilità dei diritti dei rivendicanti. Ebbene, poiché la dichiarazione di fallimento attua un pignoramento generale dei beni del fallito, le rivendiche dei beni inventariati proposte nei confronti del fallimento hanno la stessa natura e soggiacciono alla stessa disciplina delle opposizioni di terzo all'esecuzione, regolate per l'esecuzione individuale dagli artt. 619 e ss. c.p.c. Pertanto, il terzo che rivendichi la proprietà o altro diritto reale sui beni compresi nell'attivo fallimentare, deve dimostrare, con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, di avere acquistato in passato la proprietà del bene ed altresì che il bene stesso non era di proprietà del debitore per essere stato a lui affidato per un titolo diverso dalla proprietà o altro diritto reale, trovando applicazione l'art. 621 c.p.c., che esclude che il terzo opponente possa provare con testimoni (e quindi anche per presunzioni) il proprio diritto sui beni pignorati nell'azienda o nella casa del debitore, consentendo di fornire la prova tramite testimoni (o presunzioni) nel solo caso in cui l'esercizio del diritto stesso sia reso verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore (Cass. I, n. 16158/2007).

La norma dell'art. 45 della legge fallimentare, infatti, costituisce sostanzialmente, e non solo per gli atti in senso stretto, l'applicazione in sede fallimentare dei generali principi fissati dall'art. 2915 c.c., con l'effetto di rendere inopponibili al creditore pignoratizio, che abbia trascritto il pignoramento prima della sentenza dichiarativa di fallimento, le sentenze favorevoli alla massa, di cui all'art. 2652, n. 1, c.c. Nel caso di specie la trascrizione del pignoramento è avvenuta in epoca antecedente alla trascrizione della domanda, con cui la società, che in seguito sarebbe stata dichiarata fallita, reclamava la restituzione al suo patrimonio del bene immobile (Cass. III, n. 3987/2003).

Parimenti, con riferimento agli atti di cessione del credito, l'art. 2914 n. 2 c.c. — che sancisce l'inefficacia, nei confronti del creditore pignorante e di quelli intervenuti nell'esecuzione, delle cessioni di credito notificate al debitore o da lui accettate successivamente al pignoramento — opera anche in ipotesi di fallimento del creditore cedente, attesa l'equivalenza del fallimento al pignoramento (generale) del patrimonio del fallito in favore della massa fallimentare, con la conseguenza che al fallimento del creditore cedente possono essere opposte soltanto le cessioni di credito notificate al debitore ceduto, o da questi accettate, con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass. I, n. 4090/2001).

L'art. 145 d.lgs. n. 14/2019Codice della crisi e dell'insolvenza (in vigore dal 15 agosto 2020) rappresenta la trascrizione sostanziale dell'articolo in commento.

I fatti costitutivi dell'opponibilità degli atti ai creditori

La disposizione dell'art. 45 l.fall. subordina l'opponibilità degli atti ai creditori concorsuali alla priorità del compimento delle formalità per renderli opponibili rispetto alla data della dichiarazione di fallimento.

Tale disposizione non è cambiata dopo le riforme del 2005-2006, nonostante che l'art. 16 l.fall. oggi prescriva che gli effetti della sentenza nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese ex art. 17 l.fall.

Si pone allora il problema se dopo la modifica dell'art. 17 l.fall. la priorità del compimento delle formalità al fine di rendere opponibili gli atti ai creditori concorsuali debba essere valutata con riferimento alla data della dichiarazione di fallimento o alla iscrizione della sentenza nel registro delle imprese.

La giurisprudenza sembra ancorata, tuttavia, ad una interpretazione formale dell'art. 45 l.fall. svincolata dall'art. 17 l.fall.

Ad esempio, si è sostenuto che l'art. 45 l.fall., analogamente al precedente art. 42 di cui costituisce corollario, mira ad assicurare la completa cristallizzazione del patrimonio del fallito, preservandolo da pretese di soggetti che vantino titoli formatisi dopo la sentenza dichiarativa di fallimento ed impedendo che altre ne siano fatte valere, nel concorso fallimentare, rispetto a quelle facenti parte del suddetto patrimonio alla data della medesima dichiarazione. In coerenza con tale sua funzione, ed escludendosene la sua integrale assimilazione all'art. 2652, primo comma, n. 4, c.c., come la piena identità di contenuto con l'art. 2915, secondo comma, c.c., ne consegue che la non tempestività della trascrizione della corrispondente domanda giudiziale è da sola sufficiente ad escludere l'opponibilità della simulazione di un atto alla massa dei creditori, irrilevante rivelandosi il requisito soggettivo della buona fede (Cass. I n. 19025/2013). Cass. I, ord. n. 34474/2022 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 45 l.fall. e 647 c.p.c.,  formulata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,  nella parte in cui postulano la non opponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo privo di dichiarazione di esecutorietà anteriore alla dichiarazione di fallimento, essendo detta interpretazione coerente con il principio della cristallizzazione degli effetti del fallimento alla data della sua declaratoria e con un'esigenza di certezza dei rapporti giuridici patrimoniali delle parti e valendo, comunque, il procedimento di verificazione del passivo a garantire, anche attraverso l'appendice oppositiva ex art. 98 l.fall., la pienezza del contraddittorio processuale e l'esercizio del diritto di difesa in relazione al credito vantato.

In tema di azione revocatoria ordinaria, il divieto di azioni esecutive individuali posto dall'art. 51 l.fall. non osta alla procedibilità della revocatoria ordinaria già promossa dal creditore dell'alienante, ove la domanda ex art. 2901 c.c. sia stata trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'acquirente; diversamente, il creditore dell'alienante, pur trovandosi nella condizione di opponibilità alla massa, ai sensi dell'art. 45 l.fall., dell'azione proposta, resterebbe privo della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. e l'atto fraudolento gioverebbe ai creditori dell'acquirente fallito (per la sola sostituzione a questi dal curatore); l'azione revocatoria, infatti, pur se preordinata al soddisfacimento esecutivo del creditore, non può considerarsi un'azione esecutiva, volta com'è a rendere inopponibile al creditore l'atto dispositivo compiuto dal debitore (Cass. I, n. 25850/2011).

Con riferimento alla norma dell'art. 72 l.fall., la Suprema Corte aveva per lungo tempo prevalentemente sostenuto che l'esecuzione del contratto preliminare di compravendita, idonea ad impedire l'esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, si deve identificare o in quella che deriva dalla volontaria stipulazione del contratto definitivo, o nella statuizione giudiziale passata in cosa giudicata che tenga luogo di quella stipulazione, poiché soltanto in uno di tali modi si può verificare l'effetto traslativo della proprietà della cosa e l'esaurimento della situazione giuridica obbligatoria scaturente dal contratto preliminare, nella pendenza della quale può, invece, legittimamente inserirsi l'iniziativa di scioglimento del vincolo del curatore. Tale iniziativa, per conseguenza, non può trovare ostacolo né nella circostanza che sia già avvenuto il pagamento del prezzo, con l'immissione del promissario acquirente nel possesso del bene, trattandosi di effetto soltanto prodromico ed anticipatore del divisato assetto di interessi ma non già realizzatore di un effetto traslativo, né nella circostanza che, prima della dichiarazione di fallimento, la domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre del promissario acquirente sia stata trascritta ai sensi dell'art. 2652, numero 2), c.c., poiché l'adempimento di tale formalità non incide sulla facoltà del curatore di recedere «ex» art. 72 citato, ma determina soltanto — ai sensi dell'art. 45 l.fall. — l'opponibilità alla massa dei creditori della domanda stessa e della eventuale sentenza di accoglimento, sempre che il curatore abbia scelto l'esecuzione del contratto, invece che il suo scioglimento, configurandosi in questo secondo caso la scelta del curatore come elemento ostativo all'accoglimento di quella domanda (Cass., I, n. 7070/2004).

Questo orientamento, tuttavia, è stato recentemente abbandonato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, che ha stabilito che il curatore fallimentare del promittente venditore di un immobile non può sciogliersi dal contratto preliminare ai sensi dell'art. 72 l.fall. con effetto verso il promissario acquirente ove questi abbia trascritto prima del fallimento la domanda ex art. 2932 c.c. e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta, in quanto, a norma dell'art. 2652, n. 2, c.c., la trascrizione della sentenza di accoglimento prevale sull'iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese (Cass. S.U., n. 18131/2015).

Corrispondentemente ai princìpi espressi, in caso di fallimento del compratore, il patto di riservato dominio non è opponibile ai creditori se non è coevo alla vendita e se non risulta, ex art. 1524 c.c. e 45 l.fall., da scrittura con data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento. Tale requisito non si realizza se, dopo la vendita ordinaria, i contraenti formino una scrittura, di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, con cui dichiarino fittiziamente di aver stipulato una vendita con riservato dominio, giacché tale scrittura documenta, al più, un negozio ricognitivo, ma non una vendita con patto contestuale di riserva della proprietà (Cass. I, n. 3926/1075).

La mancata trascrizione delle domande giudiziali di simulazione o di revocatoria ordinaria, proposte nei confronti del debitore e del terzo avente causa, successivamente fallito, non è rilevabile «ex officio» dal giudice, bensì dal curatore fallimentare costituitosi in giudizio, in quanto l'inopponibilità, ai sensi dell'art. 45 l.fall., delle formalità compiute dopo la dichiarazione di fallimento tutela l'interesse della massa dei creditori, al cui rappresentante spetta dunque l'onere di eccepire la mancata trascrizione (Cass. III, n. 2383/2016).

Con riferimento alla priorità della trascrizione della domanda di risoluzione rispetto alla domanda di fallimento, si è ritenuto che qualora la domanda diretta a ottenere la risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell'acquirente e di restituzione delle cose in base ad esso consegnate sia stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento del convenuto, la sentenza che l'accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori in conseguenza della retroattività tra le parti della risoluzione del contratto, che si traduce nell'obbligo di restituzione della cosa acquisita dal contraente ancora «in bonis» prima della dichiarazione di fallimento, da considerarsi, pertanto, come mai entrata a far parte della massa attiva fallimentare (Cass. I, n. 2439/2006).

La distinzione fra beni mobili ordinari e beni mobili registrati per i quali vige la speciale disciplina della pubblicità (art 2683 c.c.) è — relativamente agli autoveicoli — fondata sul fatto dell'avvenuta iscrizione del bene al PRA, per cui, ove questa non sia ancora avvenuta per la prima volta, trattandosi di autovettura di nuova costruzione, i relativi rapporti giuridici, nelle more del procedimento per l'immatricolazione e l'iscrizione al PRA, sono soggetti alla disciplina prevista per i beni mobili ordinari. Pertanto, nel caso di alienazione di un autoveicolo non ancora iscritto al PRA, il cui possesso sia stato trasmesso anteriormente al fallimento del venditore, non si configura l'ipotesi di inefficacia della vendita a termini dell'art 45 l.fall. per la mancata perfezione della pubblicità richiesta dall'art 2683 c.c. ed il predetto veicolo non può essere compreso nella massa fallimentare avendone il fallito dismesso la proprietà anteriormente al fallimento con un atto pienamente opponibile alla curatela (Cass. I, n. 3537/1977).

In caso di fallimento dell'acquirente di un bene immobile, il creditore dell'alienante, che, per ottenere pronuncia di inefficacia relativa della compravendita, abbia trascritto domanda ex art. 2901 c.c. anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'acquirente, ove l'azione sia accolta, viene a trovarsi, rispetto all'immobile ormai acquisito all'attivo fallimentare, in posizione analoga a quella del titolare di diritto di prelazione su bene compreso nel fallimento e già costituito in garanzia per credito verso debitore diverso dal fallito, rappresentando il diritto tutelato in revocatoria, analogamente al detto diritto di prelazione, una passività dalla quale il patrimonio del fallito deve essere depurato prima della ripartizione dell'attivo fra i creditori concorsuali; pertanto, l'attore vittorioso in revocatoria, che non è creditore diretto del fallito e non partecipa quindi al concorso formale, può tuttavia ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita fallimentare dell'immobile, la separazione della somma corrispondente al suo credito verso l'alienante, per esserne soddisfatto in via prioritaria rispetto ai creditori concorsuali. (Cass. I, n. 25850/2011).

La sentenza, che accolga la domanda di revocatoria ordinaria della vendita di bene immobile o bene mobile iscritto in pubblico registro, è inopponibile non solo al terzo acquirente in base ad atto trascritto prima della data di trascrizione della domanda stessa (art. 2652 c.c.), ma anche al creditore che abbia promosso esecuzione in danno del convenuto compratore (ed al creditore intervenuto nell'esecuzione) in base a pignoramento anteriore alla suddetta data, stante l'espressa equiparazione di tale creditore al terzo acquirente, contemplata, al fine indicato, dall'art. 2915 secondo comma c.c.. Parimenti, in caso di fallimento di quel convenuto, la predetta sentenza resta inopponibile alla massa quando la relativa domanda sia stata trascritta dopo la dichiarazione di fallimento, dato che l'art. 45 della legge fallimentare, facendo applicazione delle indicate regole in sede di esecuzione concorsuale, sancisce l'inefficacia rispetto ai creditori delle formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo detta dichiarazione (Cass. I, n. 4915/1987).

Con riferimento alla vendita con patto di riservato dominio la giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che il patto che sia munito di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del compratore è opponibile alla massa fallimentare anche se stipulato successivamente alla vendita del bene mobile, salva l'inefficacia del patto derivante dall'eventuale esercizio dell'azione revocatoria fallimentare volta a far valere la menzionata non contestualità quale indice della gratuità del patto ai fini di cui all'art. 64 l.fall. (Cass. I, n. 1999/1998).

Con riferimento alla vendita dei beni mobili iscritti in pubblici registri, si è stabilito che nella vendita di autoveicoli (o mobili soggetti a trascrizione), per la quale vi è necessità dell'atto scritto, la sentenza che accolga la domanda dell'acquirente (volta a far dichiarare l'avvenuta vendita), se trascritta, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite dopo la trascrizione della domanda giudiziale, e pertanto rende opponibile al fallimento del venditore il negozio giuridico da essa accertato e fatto valere dall'acquirente ove la domanda giudiziale sia stata trascritta anteriormente alla data della dichiarazione del fallimento (Cass. I, n. 3715/1991).

Con riferimento ai mobili non registrati, i conflitti tra i creditori concorrenti sul patrimonio del venditore e l'acquirente degli stessi si risolvono in base al principio dell'art. 2914 comma 1 n. 4 c.c.: la trasmissione del possesso in data anteriore alla trascrizione della sentenza di fallimento, come deve ritenersi dopo la riforma dell'art. 17 l.fall., fa salvi i diritti dell'acquirente, così come il criterio dettato dall'art. 2914, primo comma, n. 2 c.c. si applica alle cessioni dei crediti (Cass. I, n. 19199/2014; Cass. I, n. 9831/2014). La sentenza, pronunciata ai sensi dell'art. 45 l.fall., che dichiara l'inopponibilità ai terzi degli atti compiuti dal fallito e dispone la condanna al trasferimento di somme di denaro al fallimento (nella specie, amministrazione straordinaria), producendo l'effetto giuridico del recupero alla procedura concorsuale di beni che ne erano in precedenza assenti e realizzando un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, è soggetta ad aliquota proporzionale, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, che assoggetta ad imposta proporzionale i provvedimenti dell'autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori (Cass. V, ord. n. 6875/2023).

Con riferimento alla cessione di quote di srl, il conflitto tra l'acquirente e il fallimento del cedente si compone secondo la priorità delle registrazioni rispettivamente della cessione e della sentenza nel registro delle imprese, alla stregua dell'art. 2470, terzo comma, c.c.

Prima dell'assoggettamento a registrazione della cessione delle quote di s.r.l., la Suprema Corte aveva stabilito che il trasferimento della quota di una società a responsabilità limitata è opponibile al fallimento dell'alienante quando risulti da scrittura di data certa anteriore all'apertura della procedura concorsuale, tenuto conto che tale atto è riconducibile fra le alienazioni mobiliari contemplate dall'art. 2914 n. 4 c.c.m non fra le cessioni di credito di cui al precedente n. 2 della stessa norma, investendo la cessione della quota tutti i diritti sociali e non i soli crediti inerenti agli utili ed alla ripartizione dell'attivo, e che, inoltre, il trasferimento medesimo è valido ed efficace «inter partes» indipendentemente dalla sua iscrizione nel libro dei soci (rilevante solo nel diverso rapporto con la società) (Cass. n. 1355/1985).

Con riferimento alla cessione dei titoli azionari, si fa riferimento alla consegna dei titoli e all'annotazione del nome del comparatore sul titolo e nel registro dell'emittente.

Se invece le azioni non siano incorporate in titoli, si fa riferimento alla priorità temporale dell'atto dispositivo ex art. 2914, comma 1, n. 4 c.c.; se sono azioni dematerializzate, si tiene conto della specifica disciplina per le stesse prevista.

Questioni sulla data certa

L'effetto di cristallizzazione del passivo che produce la sentenza dichiarativa di fallimento, con la conseguente necessità di ammettere al concorso solo i crediti con radice causale anteriore all'apertura del concorso, comporta che la prova della data certa sia essenziale per ottenere in sede di verifica l'ammissione dei crediti nello stato passivo del fallimento.

Sicché, in materia di amministrazione straordinaria, si è stabilito che l'insinuazione al passivo di una procedura di amministrazione straordinaria di un credito fondato su di un contratto di conto corrente bancario, per la validità del quale è prevista la forma scritta «ad substantiam», postula l'accertamento dell'anteriorità della data di quest'ultimo, ex art. 2704, comma 1, c.c., rispetto alla sentenza dichiarativa dell'insolvenza, in ragione della terzietà dell'organo gestore della procedura verso i creditori concorsuali ed il debitore, senza che la banca possa avvalersi, a fini probatori del credito invocato, degli estratti del conto stesso (Cass. I, n. 17080/2016).

Il mandato professionale per l'espletamento di attività di consulenza e, comunque, di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, «ad substantiam» ovvero «ad probationem», poiché può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e il giudice (nella specie, in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare), tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, può ammettere l'interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto; inoltre, l'inopponibilità, per difetto di data certa ex art. 2704 c.c. non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, sicché il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall'ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall'oggetto del negozio stesso» (Cass. I, n. 2319/2016).

Con riguardo ai limiti probatori della anteriorità della data, ancora, si è detto che in assenza delle situazioni tipiche di certezza contemplate dall'art. 2704, comma 1, c.c., la data della scrittura privata è opponibile ai terzi se sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della formazione del documento; la relativa prova può essere fornita anche per testimoni o in via presuntiva, atteso che, a differenza di quella vertente direttamente sulla data, i limiti probatori previsti dalla citata norma riguardano la natura del fatto idoneo a stabilire con certezza l'anteriorità, non anche le modalità di prova di tale fatto (Cass. I, n. 19656/2015).

Con riferimento alla cessione dei crediti di impresa, essa, a norma degli artt. 5 e 7 della legge 21 febbraio 1991, n. 52, è opponibile al fallimento del cedente non già dal momento del perfezionamento dell'atto contrattuale ma dalla data del pagamento del corrispettivo della cessione da parte del cessionario, sempre che il pagamento abbia data certa anteriore al fallimento (Cass. I, n. 14260/2015).

In tema di simulazione, la quietanza priva di data certa non è opponibile al curatore del fallimento che agisca per il recupero del corrispondente credito sorto in favore dell'imprenditore «in bonis», assumendone la simulazione del relativo pagamento (Cass. III, n. 7263/2013).

La mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all'accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice, e la rilevazione d'ufficio dell'eccezione determina la necessità di disporre la relativa comunicazione alle parti per eventuali osservazioni e richieste e subordina la decisione nel merito all'effettuazione di detto adempimento (Cass. S.U., n. 4213/2013).

Ancora, con la stessa sentenza ora citata, la Suprema Corte ha chiarito che in sede di formazione dello stato passivo il curatore deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l'istanza di ammissione, conseguendone l'applicabilità della disposizione contenuta nell'art. 2704 c.c. e la necessità della certezza della data nelle scritture allegate come prova del credito.

Nella verifica del passivo fallimentare, l'accertamento dell'anteriorità della data della scrittura privata che documenta la pretesa creditoria è soggetto alle regole dell'art. 2704, primo comma, c.c., essendo il curatore terzo rispetto ai creditori concorsuali e allo stesso fallito, e la questione può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tuttavia, la domanda proposta dal curatore in un separato giudizio per sentir accertare l'inadempimento del medesimo creditore alle pattuizioni trasfuse nella scrittura implica il riconoscimento dell'anteriorità della scrittura stessa, atteso che il dovere di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c. non consente alla parte di scindere la propria posizione processuale a seconda della convenienza. Ne consegue che, in tale ipotesi, il giudice dell'opposizione allo stato passivo, tenuto a verificare anche d'ufficio l'anteriorità del credito insinuato, deve considerare certa la data della scrittura, pur in difetto di un'espressa rinuncia del curatore all'eccezione concernente il difetto di data certa (Cass. I, n. 13282/2012).

L'anteriorità di un credito rispetto alla dichiarazione di fallimento può essere ritenuta provata anche se la relativa fattura non sia stata debitamente registrata nelle scritture contabili, quando tale anteriorità risulti inequivocamente in altro modo (Cass. VI, ord. n. 9175/2012).

Sulla tipicità dei fatti da cui desumere la data certa, in sede di accertamento dello stato passivo, ai fini della decisione circa l'opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, mediante la quale voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso, il giudice di merito, ove sia dedotto un fatto diverso da quelli tipizzati nell'art. 2704 c.c. (registrazione, morte o sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori, riproduzione in un atto pubblico), ha il compito di valutarne, caso per caso, la sussistenza e l'idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità (Cass. VI, n. 2299/2012).

A norma dell'art. 2719 c.c., il mancato disconoscimento della conformità all'originale della copia fotografica — cui va equiparata la copia fotostatica — di una scrittura privata ne rende relativamente incontestabile il testo ed eventualmente la sua provenienza dal sottoscrittore, ma non ne rende affatto certa la data rispetto ai terzi, i quali non sono tenuti al disconoscimento della scrittura per porne in discussione la data. La questione relativa all'autenticità di una scrittura privata è infatti distinta da quella della sua datazione certa, e l'accertata autenticità della scrittura non esime chi l'ha prodotta contro i terzi dall'onere di provare la data effettiva della sua redazione (Cass. I, n. 15954/2005).

In tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell'avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell'atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene (Cass. I, n. 14481/2005).

Con riferimento alla posizione del curatore che fa valere in giudizio un diritto di credito già spettante al fallito, la Suprema Corte ha stabilito che allorché agisca in giudizio per ottenere l'adempimento di un contratto stipulato dall'imprenditore prima del fallimento, il curatore non rappresenta la massa dei creditori, la quale pure si giova del risultato utile in tal modo perseguito, ma rappresenta il fallito, spossessato, nella cui posizione giuridica egli subentra, e dei cui diritti si avvale. Ne deriva che, in tal caso, il curatore non è terzo, e non può invocare l'inopponibilità ad esso delle pattuizioni del contratto dissimulato intervenuto tra le parti, sol perché il documento, recante la prova della simulazione relativa, è privo di data certa «ex» art. 2704 c.c. anteriore al fallimento (Cass. I, n. 9685/2004).

L'opponibilità alla curatela fallimentare della simulazione di un contratto di compravendita immobiliare deve essere provata per mezzo di controdichiarazione che deve avere data certa, ai sensi dell'art. 2704 c.c. che ne dimostri sia la formazione prima della dichiarazione di fallimento, sia il perfezionamento in epoca anteriore o coeva alla stipulazione dell'atto simulato, in quanto, qualora sia stata stipulata successivamente a quest'ultimo, integra una modifica del contratto originariamente stipulato e, quindi, è inidonea a dimostrare l'asserita simulazione (Cass. I, n. 18824/2003).

Ai fini dell'efficacia della cessione di crediti «futuri» in pregiudizio del creditore pignorante (e dunque del fallimento del cedente), ex art. 2914, n. 2, c.c., è sufficiente che la notifica — o l'accettazione — della cessione sia stata effettuata con atto avente data certa (art. 1265 c.c.) anteriore al pignoramento (o al fallimento), giacché per il successivo effetto traslativo della cessione (rinviato al momento del sorgere del credito), sottratto alla disponibilità delle parti, non si pone un problema di opponibilità ai sensi dell'art 2914 cit.; invece, per i crediti soltanto eventuali, non identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, la prevalenza della cessione richiede che la notificazione o accettazione siano non solo anteriori al pignoramento (o al fallimento), ma altresì posteriori al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza (Cass. I, n. 28300/2005).

Bibliografia

De Ferra-Guglielmucci, Commentario della legge fallimentare a cura di Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1986; Rocco di Torrepadula, in Comm. Jorio - Fabiani, Bologna, 2010; Caccavale, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2010.

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