Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 44 - Atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento.

Angelo Napolitano
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento.

 

Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.

Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.

Fermo quanto previsto dall'articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma 1.

Inquadramento

L'articolo in questione disciplina il regime degli atti negoziali compiuti, dei pagamenti eseguiti e dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento.

Tale disciplina si colloca nel solco della c.d. «cristallizzazione» del patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento: aperto il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore, esso è tendenzialmente insensibile agli atti modificativi compiuti dal fallito in data posteriore alla dichiarazione di fallimento.

La disciplina dell'inefficacia è posta nell'interesse dei creditori: sicché il fallito, in relazione ad atti giuridici compiuti in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, non può eseguire pagamenti di suoi debiti in data posteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento, che violerebbero il principio della par condicio; parimenti non può ricevere pagamenti da suoi debitori, sempre in relazione ad atti giuridici posti in essere in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, in quanto anche quelle somme devono essere messe a disposizione dei suoi creditori per la soddisfazione delle loro ragioni in base alle cause legittime di prelazione, e, all'uopo, devono essere versate nelle mani del curatore, che dei beni e dei diritti del fallito ha l'amministrazione e la disponibilità.

Il primo comma dell'articolo in questione, tuttavia, si riferisce non solo a pagamenti eseguiti, ma anche ad atti compiuti.

Dunque, oltre agli atti estintivi di debiti del fallito o nei confronti del fallito, sono inefficaci, se compiuti in data posteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento, anche gli atti negoziali posti in essere dal fallito, siano essi a titolo gratuito o oneroso.

Senonché, mentre, nel caso in cui il debitore, dopo la dichiarazione di fallimento, disponga di suoi beni a titolo gratuito, la sanzione dell'inefficacia comporterà che il curatore potrà riacquisire il loro possesso nei confronti del terzo avente causa per liquidarli nell'interesse dei creditori concorrenti, nel caso in cui il fallito ponga in essere un atto a titolo oneroso il curatore, ai sensi del terzo comma dell'articolo in commento, introdotto dall'art. 42, comma 1, d.lgs. n. 5/2006, ma in applicazione di un principio di equità distributiva già evincibile dall'art. 42 l.fall., deve scegliere se acquisire all'attivo fallimentare il corrispettivo della vendita del bene venduto al terzo, nel caso in cui lo rinvenga nel patrimonio del fallito, o acquisire il possesso del bene alienato con atto inefficace nei confronti dei creditori concorsuali.

Allo stesso modo, nel caso in cui il fallito, dopo la dichiarazione di fallimento, acquisti un bene a fronte del pagamento di un corrispettivo, la disposizione di cui al terzo comma dell'art. 44 l.fall. consente al curatore di scegliere se acquisire il possesso del bene entrato nel patrimonio del fallito o se, invece, richiedere al terzo venditore la restituzione del prezzo pagato dal fallito quale corrispettivo.

La ragione della facoltà di scelta da attribuire al curatore sta nell'esigenza di evitare un indebito arricchimento a favore del fallimento ai danni del terzo contraente, e di consentire al contempo al curatore di scegliere di acquisire all'attivo del fallimento, tra i valori su cui si è basato lo scambio contrattuale che abbia visto come parte il fallito in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento, il bene di più facile liquidazione od economicamente più conveniente alla soddisfazione dei creditori concorsuali.

Il testo del vecchio art. 44 l.f. è stato sostanzialmente ed integralmente trasposto nell'ambito dell'art. 144 d.lgs. n. 14/2019- il nuovo "Codice della crisi e dell'insolvenza" (in vigore dal 15 agosto 2020), con uno snellimento stilistico consistito nella soppressione del secondo comma, inglobato nel primo comma.

Il regime dell'inefficacia degli atti e dei pagamenti

In giurisprudenza si è stabilito che in tema di espropriazione forzata presso terzi, l'attuazione delle ordinanze di assegnazione del giudice dell'esecuzione si compie non al momento della loro emissione, bensì quando il terzo, debitore del debitore, effettua il pagamento nei confronti del creditore assegnatario; ne consegue che se sopraggiunga la dichiarazione di fallimento del debitore esecutato il terzo deve pagare quanto dovuto al curatore del fallimento, poiché il debitore, dopo tale dichiarazione, perde, ai sensi dell'art. 44 l.fall., il diritto di disporre del proprio patrimonio e non può effettuare alcun pagamento (anche non volontario), restando irrilevante che all'epoca della pronuncia delle predette ordinanze il creditore conoscesse o meno lo stato di insolvenza dell'esecutato (Cass. I, n. 5994/2011).

L'inefficacia dei pagamenti eseguiti e ricevuti è funzionale alla cristallizzazione del patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento, allo scopo di far sì che il curatore subentri nella disponibilità e nella amministrazione dei beni del debitore insolvente.

Presupposto dell'inefficacia dei pagamenti ex art. 44 l.fall., quindi, è che essi siano stati fatti con provvista prelevata dal patrimonio del fallito, cosa che non si verifica nel caso in cui il fallito datore di lavoro prelevi dalle retribuzioni spettanti ai lavoratori le somme per pagare gli acconti Irpef a titolo di sostituto d'acconto (Cass. V, n. 4957/2000).

In tema di ripetizione dell'indebito, il soggetto pignorato che, in sede di espropriazione presso terzi, e dopo la dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, in qualità di "debitor debitoris", versi al creditore pignorante le somme a lui assegnate, ha diritto a ottenere da quest'ultimo la restituzione di quanto corrisposto, ma il termine di prescrizione della relativa azione decorre dalla data del pagamento, e non dal passaggio in giudicato della sentenza che, su domanda del curatore, pronunci l'inefficacia ex art. 44 l.fall. del pagamento stesso, avendo quest'ultima natura meramente dichiarativa (Cass. I, n. 621/2022).

I requisiti di opponibilità ai creditori degli atti compiuti e dei pagamenti eseguiti e ricevuti dal fallito

Per individuare il discrimine dell'inefficacia nei confronti dei creditori concorsuali degli atti giuridici compiuti dal fallito ai sensi dell'articolo in commento, occorre distinguere gli atti negoziali, i pagamenti eseguiti e i pagamenti ricevuti.

Prima dell'entrata in vigore delle modifiche recate agli artt. 16 e 17 l.fall. dalle riforme del 2006-2007, la giurisprudenza era ferma nel ritenere che la data della dichiarazione di fallimento, quale dies a quo, ai sensi degli artt. 42 e 44 del r.d. n. 267/1942, del verificarsi dello spossessamento del fallito e dell'inefficacia degli atti da lui compiuti, ovvero dei pagamenti da lui effettuati o ricevuti (nella specie, ordini su rapporti di conto corrente bancario, e correlativi atti esecutivi degli ordini stessi da parte della banca) si identifica nel giorno in cui la sentenza dichiarativa di fallimento è depositata in cancelleria, mentre restano irrilevanti, al fine indicato, gli ulteriori adempimenti pubblicitari prescritti dall'art. 17 del citato decreto, così come ogni indagine sulla concreta conoscenza del fallimento da parte dei destinatari di quegli atti, ovvero sull'idoneità o meno di questi ultimi ad arrecare pregiudizio alla massa. Questa interpretazione delle norme menzionate non le porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 23, 24 e 41 Cost., in relazione al sacrificio che ne risulterebbe imposto al terzo che senza colpa abbia ignorato il fallimento, come conseguenza della sanzione di inefficacia dei suddetti atti per il solo fatto di essere stati compiuti dopo quella data, giacché si verte in tema di scelte del legislatore, giustificate da obiettive esigenze pubblicistiche proprie della procedura fallimentare, le quali non incidono sulla tutela processuale dei diritti dei terzi né si traducono in un'imposizione di prestazioni a loro carico, ma operano sul piano degli effetti sostanziali di determinati atti, relativamente ai rapporti con i creditori del fallito (Cass., I, n. 6777/1988).

Dopo le modificazioni dei richiamati articoli, e pur non essendo stati sul punto toccati i commi primo e secondo dell'art. 44 l.fall., si è posto il problema di raccordare i requisiti di opponibilità degli atti compiuti dal fallito con il disposto dell'art. 16, ultimo periodo, l.fall.

Si deve a tal proposito rilevare che se gli effetti del fallimento nei riguardi dei terzi si producono a far data dalla iscrizione della sentenza nel registro delle imprese, il terzo che contratti col fallito rende opponibile il suo acquisto alle ragioni dei creditori trascrivendo l'atto in data antecedente rispetto all'iscrizione della sentenza nel registro delle imprese.

Quindi, agli effetti dell'art. 44 l.fall., l'atto negoziale compiuto dal fallito sarà inefficace se la trascrizione dello stesso è successiva alla iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese.

Con riferimento ai pagamenti ricevuti dai debitori per causa anteriore alla dichiarazione di fallimento, vi è da dire che anche essi sono terzi rispetto al fallimento, in quanto non subiscono alcuna modificazione riguardo ai propri diritti per effetto della dichiarazione di fallimento del loro creditore.

Ne consegue che se il debitore per causa anteriore al fallimento paga il debito nelle mani del fallito in data posteriore alla iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese, egli sarà costretto a ripetere il pagamento, a causa della inefficacia di quest'ultimo, nelle mani del curatore, a meno che non riesca a provare che di quel pagamento si siano comunque giovati i creditori concorsuali in quanto il curatore è riuscito a profittarne, ad esempio perché a lui riversato dalla banca presso la quale il fallito aveva aperto il conto corrente, ancora in corso alla data del pagamento.

La rilevanza dell'iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese fa sì che al debitore che, seppure in buona fede, paghi il debito nelle mani del fallito in data successiva alla detta iscrizione, non soccorra il disposto dell'art. 1189 c.c., in quanto il principio su cui si regge il sistema della pubblicità dichiarativa fa sì che, pubblicizzato un atto o un fatto, lo stato soggettivo dell'agente non rileva al fine di neutralizzare l'effetto di inopponibilità cui quella pubblicità è preordinata, come risulta palese, ad esempio, dal disposto del secondo comma dell'art. 2193 c.c.

Se, prima del compimento delle formalità pubblicitarie ex art. 17 l.fall., il debitore del fallito esegua il pagamento pur sapendo del fallimento del suo creditore, dovrebbe valere il primo comma dell'art. 2193 c.c., secondo il quale la prova della mala fede del terzo consente di rendergli opponibile il fatto costitutivo dell'inefficacia (dichiarazione di fallimento del creditore).

Viceversa, sembra essere confacente alla situazione del debitore che, pur dopo l'iscrizione della sentenza di fallimento del suo creditore nel registro delle imprese, estingue il debito pagando nelle mani del fallito, il disposto dell'art. 1190 c.c., anche se con riferimento al fallito la sua incapacità a ricevere i pagamenti non può essere ascritta all'incapacità di cui discorre l'art. 1190 c.c., quanto piuttosto ad una mancanza di legittimazione.

In tema di interferenze fra procedura concorsuale ed esecuzione forzata, nell'ipotesi patologica in cui il giudice di quest'ultima, ancorché reso edotto del fallimento del debitore, dichiari l'esecutività del progetto di distribuzione, qualora il curatore rimanga inerte e non reagisca tempestivamente con il rimedio oppositivo, subisce l'irretrattabilità della successiva esecuzione del medesimo progetto, cui consegue l'intangibilità delle somme concretamente attribuite e l'impossibilità di chiederne la restituzione mediante l'esercizio dell'azione di ripetizione di indebito (Cass. I, ord. n. 12673/2022). Le questioni concernenti l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore dichiarato fallito non sono questioni di competenza, ma attinenti al rito; pertanto, qualora una domanda sia diretta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta al regime del concorso, il giudice adìto è tenuto a dichiarare non la propria incompetenza bensì, secondo i casi, l'inammissibilità, l'improcedibilità o l'improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge e, quindi, inidonea a conseguire una pronuncia di merito (Cass. III, n. 2090/2023: nella specie la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza d'appello che, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione conseguente ad annullamento agli effetti civili della sentenza penale ex art. 622 c.p.p., aveva dichiarato improponibile la domanda risarcitoria in ragione del fallimento dell'imputato intervenuto prima della costituzione di parte civile, ritenendo non integrata la lamentata violazione della designazione del giudice del rinvio operata dalla Corte).

A seguito della dichiarazione di fallimento, divengono inefficaci, ai sensi dell'art. 44, secondo comma, l.fall., i pagamenti di crediti del fallito ricevuti da quest'ultimo, dovendosene disporre la restituzione al curatore alla stregua di debito di valuta, in quanto essi riguardano la reiterazione di un pagamento effettuato indebitamente a chi non era più legittimato a conseguirlo; ne consegue che l'eventuale maggior danno — nella specie, richiesto dalla curatela per la rivalutazione monetaria — derivante dal ritardo spetta solo ove chi agisce abbia allegato e provato specificamente tale ulteriore pregiudizio (Cass., I, n. 29873/2011).

Per converso, il pagamento ricevuto dal creditore in forza della provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo inefficace a causa della dichiarazione di fallimento è ripetibile, non trovando più alcuna giustificazione nel titolo, divenuto inefficace, né nel credito, contestato e non accertato (Cass. I, n. 377/2018). Per una fattispecie particolare Cass. I, n. 377/2021 ha affermato il seguente principio: In tema di fallimento, una volta ritenuto improduttivo di effetti nei confronti della procedura ex art. 44 l. fall. l'atto traslativo dell'immobile già oggetto di assegnazione come casa familiare in favore del coniuge o del convivente affidatario di figli minori (o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti), la declaratoria di inefficacia non travolge il diritto personale di godimento "sui generis" sorto in capo all'assegnatario, che, in quanto contenuto in un provvedimento di data certa, è suscettibile d'essere opposto, ancorché non trascritto, anche al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione medesima, ovvero, qualora il titolo sia stato in precedenza trascritto, anche oltre i nove anni.

Nei casi di versamento mediante bonifico o bancogiro, il quale consiste nell'accreditamento di una somma di denaro da parte di una banca a favore del correntista beneficiario e nel contemporaneo addebitamento della stessa somma sul conto del soggetto che ne ha fatto richiesta, al fine di verificare l'anteriorità o la posteriorità dell'operazione bancaria rispetto alla dichiarazione di fallimento del beneficiario stesso, è rilevante la cosiddetta «data contabile» e cioè quella in cui è avvenuta l'annotazione dell'accredito sul conto. L'accreditamento successivo alla dichiarazione di fallimento deve ritenersi inefficace nei confronti dei creditori in applicazione dell'art. 44 l.fall., con la conseguente impossibilità per la banca di operare alcun conguaglio con sue eventuali precedenti ragioni. Nè può invocarsi da parte della banca la compensazione, in quanto, ai fini dell'applicabilità dell'art. 56 l.fall., dovendo necessariamente risalire i fatti costitutivi dei reciproci crediti alla fase precedente all'apertura del fallimento, ogni evento successivo è improduttivo di effetti rispetto alla massa per la tutela della «par condicio». D'altra parte, a seguito del fallimento, risultando ormai sciolto il conto corrente in virtù dell'art. 78 l.fall., l'impossibilità di eseguire l'obbligo di accreditamento determina la mancata coesistenza dei due debiti e preclude, per ciò solo, il ricorso all'art. 56 l.fall. (Cass. I, n. 3519/2000).

Con riferimento all'inefficacia di pagamenti confluiti in conti bancari, si è ritenuto che i prelievi dal conto corrente bancario fatti dal correntista fallito e i pagamenti eseguiti dalla banca a terzi sullo stesso conto sono, a norma dell'art. 44 l.fall., inefficaci verso i creditori, per cui la banca, nei confronti degli organi della procedura, non può sottrarsi alla restituzione invocando l'uso fatto delle somme versate nel conto ed è tenuta a restituire quanto ricevuto dal fallito a qualsiasi titolo, senza poter dedurre dall'obbligo di restituzione — nei limiti delle somme ricevute — i prelievi e i pagamenti eseguiti per conto del fallito, in ciò differenziandosi dall'ipotesi regolata dall'art. 42 l.fall. che, ove le rimesse costituiscano proventi di un'attività d'impresa (autorizzata), legittima la curatela a reclamare dalla banca la restituzione del solo saldo attivo del conto, corrispondente all'utile di impresa (Cass. I, n. 26501/2013).

Il principio di autonomia contrattuale consente che il fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario possa estinguere il proprio debito fideiussorio, oltre che in modo diretto (ossia mediante versamento alla banca personalmente), altresì in modo indiretto (cioè mediante accreditamento della somma sul conto del garantito, perché la banca se ne giovi); ne consegue che, quando un terzo versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una somma a riduzione dello scoperto (del conto stesso) per il quale esso terzo aveva prestato fideiussione, e non risulti la sussistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che questi abbia adempiuto il proprio debito fideiussorio, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui all'art. 44 l.fall. ovvero all'azione revocatoria di cui al successivo art. 67 della medesima legge. (Cass. VI, n. 13458/2019; Cass. I, n. 10004/2011).

L'inefficacia dell'ordine di pagamento espresso con assegno bancario, discendente dalla posteriorità della sua emissione rispetto alla dichiarazione del fallimento dell'emittente, implica, in caso di pagamento dell'assegno medesimo da parte della banca trattaria in favore del prenditore, il carattere indebito di tale pagamento, ed altresì la legittimazione all'azione di ripetizione non dell'emittente, ma della banca medesima, in proprio (quindi all'infuori delle disposizioni di cui all'art. 1271 c.c. in tema di eccezioni opponibili dal delegato), e nei limiti dell'effettiva entità dell'esborso subito (nella specie, ridotto da transazione intervenuta fra la banca e la curatela per una restituzione solo parziale della provvista costituita dal fallito sul conto corrente). (Cass. I, n. 9167/1992).

In tema di appalto di opere pubbliche stipulato da imprese riunite in associazione temporanea, ai sensi degli artt. 23 e 25 del d.lgs. n. 406 del 1991, qualora intervenga il fallimento di una delle società mandanti, i pagamenti per lavori eseguiti in antecedenza vanno effettuati nei confronti della curatela fallimentare, con obbligo dell'amministrazione, che abbia invece pagato alla mandataria, di rinnovare tale adempimento; il fallimento della mandante, invero, pur non comportando lo scioglimento del contratto d'appalto, alla cui esecuzione resta obbligato il mandatario, determina invece, ex art. 78 l.fall. (nel testo anteriore al d.lgs. n. 5 del 2006, applicabile «ratione temporis»), lo scioglimento del rapporto di mandato e la conseguente venuta meno, nei suoi confronti, dei poteri di gestione e rappresentanza già in capo alla mandataria capogruppo, né è invocabile la irrevocabilità del mandato, stabilita nell'interesse non del mandatario ma dell'amministrazione appaltante che, in base alla citata disciplina, può proseguire il rapporto di appalto solo con un'impresa diversa da quella fallita. (Cass. VI, n. 17926/2010).

Con riferimento alle obbligazioni cambiarie, in caso di emissione di assegno circolare su richiesta di persona già dichiarata fallita, l'inefficacia di tale atto, al pari di quella degli atti che determinano la successiva circolazione del titolo di credito — se compiuti in pagamento di un credito o di un debito del fallito — può essere dichiarata, ai sensi dell'art. 44 legge fall., nei confronti di tutti i creditori, ma solo a seguito di azione promossa dal curatore fallimentare, trattandosi di inefficacia relativa; in difetto di detta azione del curatore, la banca non può sottrarsi al pagamento dell'assegno circolare, invocando l'inopponibilità alla procedura concorsuale dei trasferimenti per girata del titolo, poiché essa, quando emette un assegno circolare, adempie ad un'obbligazione di provvista nei confronti del richiedente e contestualmente assume, ex artt. 82 e 83 del r.d. n. 1736/1933, un'obbligazione cambiaria nei confronti di chiunque risulterà legittimo portatore del titolo, ma solo il primo atto è inefficace e sempre che ricorrano le citate condizioni (Cass. I, n. 17310/2009).

In caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, l'azione con la quale il curatore fa valere l'inefficacia, ai sensi dell'art. 44 l.fall., del pagamento eseguito dal «debitor debitoris» al creditore assegnatario, ha ad oggetto un atto estintivo di un debito del fallito, a lui riferibile in quanto effettuato con il suo denaro e in sua vece, sicché va esercitata nei soli confronti dell'«accipiens», ossia di colui che ha effettivamente beneficiato dell'atto solutorio (Cass. I, n. 14779/2016).

Con riguardo al contratto di factoring, si è stabilito che esso, ove postuli una cessione dei crediti a titolo oneroso in favore del «factor», attribuisce a quest'ultimo la titolarità dei crediti medesimi e, quindi, la legittimazione alla loro riscossione in nome e per conto proprio, e non in qualità di semplice mandatario del cedente, sicché il pagamento eseguito dal debitore ceduto si configura quale adempimento di un debito non del cedente verso il «factor» ma proprio del debitore ceduto verso quest'ultimo, per cui, seppur eseguito dopo il fallimento del cedente, non comporta alcuna sottrazione di risorse alla massa e non è sanzionato con l'inefficacia prevista dall'art. 44 l.fall. (Cass. I, n. 19716/2015).

Con riferimento al pagamento di debiti da parte del fallito verso terzi creditori, vi è da ritenere che, essendo i creditori parti rispetto alla procedura fallimentare, presupposto dell'inefficacia del pagamento da parte del fallito è il mero deposito della sentenza di fallimento del debitore, non già la sua iscrizione ai sensi dell'art. 17 l.fall. nel registro delle imprese.

I creditori, infatti, soggiacciono al principio della par condicio, sicché per loro sarà inefficace il pagamento effettuato nelle loro mani dal debitore fallito, non essendovi in capo a loro interessi o aspettative da tutelare in base al principio della buona fede, reale o presunta, per non essere state ancora curate le formalità pubblicitarie della sentenza di fallimento.

Bibliografia

Bassi, Lezioni di diritto fallimentare, Bologna 2009; Jager-Sacchi, Fallimento (Effetti per il fallito), in Enc. giur, Roma, 1989; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974.

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