Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 39 - Compenso del curatore.

Alessandro Farolfi
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Compenso del curatore.

 

Il compenso e le spese dovuti al curatore, anche se il fallimento si chiude con concordato, sono liquidati ad istanza del curatore con decreto del tribunale non soggetto a reclamo, su relazione del giudice delegato, secondo le norme stabilite con decreto del Ministro della giustizia 1.

La liquidazione del compenso è fatta dopo l'approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l'esecuzione del concordato. È in facoltà del tribunale di accordare al curatore acconti sul compenso per giustificati motivi.

Se nell'incarico si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti. Salvo che non ricorrano giustificati motivi, ogni acconto liquidato dal tribunale deve essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale2.

Nessun compenso, oltre quello liquidato dal tribunale, può essere preteso dal curatore, nemmeno per rimborso di spese. Le promesse e i pagamenti fatti contro questo divieto sono nulli, ed è sempre ammessa la ripetizione di ciò che è stato pagato, indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale 3.

Inquadramento

L'art. 39 contiene la disciplina fondamentale relativa alla liquidazione del compenso del curatore, pur se per gli elementi di dettaglio essa rinvia ad un apposito regolamento ministeriale, l'ultimo dei quali, tutt'ora vigente, è rappresentato dal d.m. 25 gennaio 2012, n. 30. La norma attribuisce la competenza a provvedere in tema di compensi, così seguendo l'impianto tradizionale, al tribunale fallimentare, che vede così riconfermato il proprio ruolo centrale in tema di nomina, revoca e determinazione del compenso del curatore. Anche questa scelta corrisponde alla preoccupazione di evitare un troppo penetrante e stringente rapporto fiduciario con il solo g.d., mantenendo le decisioni più importanti relative al curatore ad appannaggio dell'organo collegiale. Le uniche modifiche riguardanti la disposizione in commento si sono concretizzate (con il d.lgs. n. 5/2006) l'inserimento di un nuovo terzo comma che prevede che se nell'incarico si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti. Come si è notato (Vassalli, 283) tale modifica non ha avuto un particolare impatto, limitandosi a recepire principi espressi da una costante giurisprudenza. Criticata in dottrina, come si vedrà infra, la circostanza che l'introduzione del reclamo per i provvedimenti del tribunale, ad opera della novella dell'art. 26 operata dal d.lgs. n. 5/2006, non si sia accompagnata ad una modifica dell'art. 39, che continua a prevedere la non reclamabilità del decreto di liquidazione die compensi, come pure l'assenza di coordinamento con il nuovo art. 37-bis l.fall. Una ulteriore novità ha inoltre riguardato il tema degli acconti sul compenso complessivamente dovuto al curatore (v. infra).

In termini generali si è osservato che il compenso spettante al curatore deve qualificarsi non già come mero debito della massa, al pari delle obbligazioni contratte dal medesimo curatore nel corso della procedura ed in funzione della medesima, bensì come «costo» necessario ed ineliminabile della procedura, in quanto «condicio sine qua non» della procedura stessa, che, senza il curatore, non potrebbe aver corso. È proprio per questa ragione che il compenso del curatore, al pari delle spese di giustizia, deve essere pagato prima dei debiti della massa, non nell'ambito di un progetto di riparto, ma sulla base della sola liquidazione operata dal tribunale ed immediatamente, trattandosi di liquidazione giudiziale di un ausiliario di giustizia, esecutiva ex art. 53 disp. att. c.p.c. Non senza ragione, quindi, la legge fallimentare impone che la liquidazione del compenso in questione avvenga subito dopo il rendiconto e prima del riparto finale, rendendo chiaro come quest'ultimo debba attuarsi distribuendo le somme realizzate al netto di quanto spettante al curatore a titolo di compenso. Tale conclusione si rende a maggior ragione evidente nei casi di parziale insufficienza dell'attivo, nei quali, operando diversamente, ossia destinando l'attivo prioritariamente ai crediti prededucibili e lasciando non pagate le spese di giustizia, si arrecherebbe un danno ingiusto all'Erario, ponendo dette spese a carico della collettività pur in presenza di risorse sufficienti a farvi fronte (Trib. Milano, 9 gennaio 2014). Secondo un principio oggi espressamente sancito dall'articolo 39, comma 3, l.fall., ma già ampiamente condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza formatasi prima della riforma della legge fallimentare di cui al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, quando in un fallimento si avvicendano due o più curatori, il compenso deve essere liquidato una sola volta, tenendo conto dell'attivo complessivamente realizzato e del passivo accertato e ripartendo la somma così determinata in base all'opera prestata da ciascun curatore, alla durata di ciascun incarico e ai risultati ottenuti, tenuto conto della sollecitudine e della diligenza con cui sono state espletate le diverse prestazioni. In base al principio di cui all'articolo 111-bis, comma 3, l.fall., espressamente sancito dall'articolo 39, comma 3, l.fall., ma già ampiamente condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza formatasi prima della riforma del 2006, da ritenersi pienamente condivisibile, in quanto conforme ai principi di buona e prudente amministrazione, non può disporsi il pagamento immediato dei crediti prededucibili di cui sia contestata la collocazione o l'ammontare. (Nel caso affrontato, il Tribunale ha ritenuto condivisibile il provvedimento del Giudice delegato che ha riservato l'emissione del mandato di pagamento del compenso liquidato al curatore cessato all'esito del giudizio di cassazione avente ad oggetto il provvedimento di liquidazione e ciò in ragione del principio di unitarietà della liquidazione dei compensi e delle spese dovute ai curatori che si sono avvicendati nello stesso fallimento) (Trib. Roma, 14 ottobre 2014).

Acconti: le novità del 2015

La norma contempla espressamente la possibilità di riconoscere acconti al curatore rispetto alla futura ed unica determinazione del compenso finale. Da questo punto di vista la norma trova un'ulteriore conferma nell'art. 109 l.fall., che prevede che in esito alla vendita dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare, il tribunale possa con proprio decreto stabilire quale parte del ricavato possa assegnarsi al curatore «in conto del compenso finale da liquidarsi a norma dell'art. 39». Peraltro, il secondo comma lascia espressamente al tribunale questa facoltà, non prevedendo quindi alcun dovere al riguardo, e stabilendo invece che l'acconto possa liquidarsi (solo) se ricorrono giustificati motivi. Con il d.l. n. 83/2015, convertito con modifiche con la l. n. 132/2015 è stato inserito un ulteriore periodo al terzo comma che così recita: «salvo che non ricorrano giustificati motivi, ogni acconto liquidato dal tribunale deve essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale». Sicuramente la ratio della modifica va nel senso di indurre il curatore ad accelerare i tempi della liquidazione e, soprattutto, anticipare la fase del soddisfacimento dei creditori, così da evitare che il ricavato delle vendite o delle altre attività recuperatorie o risarcitorie resti «parcheggiato» per lungo tempo, incentivando il professionista a predisporre in modo effettivo dei riparti parziali a favore dei creditori. Pertanto, in linea di principio, soltanto l'effettiva predisposizione di un progetto di riparto parziale è idonea a consentire al curatore di percepire un acconto rispetto al compenso finale. La formulazione letterale della nuova disposizione non appare tuttavia felice, in quanto se il secondo comma consente la liquidazione di acconti in presenza di giustificati motivi e se al terzo comma si afferma che se non si presenta un progetto di riparto parziale è possibile liquidare un acconto solo a fronte di giustificati motivi, si potrebbe giungere a sostenere che nulla sia in realtà cambiato. Ma tale conclusione non può essere accolta in quanto contraria alla ratio legis che ha ispirato la riforma; pertanto, la presentazione del progetto di riparto parziale consente la liquidazione di un acconto sul compenso (a testimonianza che lo stesso è oramai agganciato ad un qualche seppur parziale soddisfacimento dei creditori e non al mero dispendio di attività), mentre in caso contrario solo motivi giustificati, da intendersi restrittivamente, consentono la erogazione di acconti. Fra i giustificati motivi possono farsi rientrare il caso di compensazione di un credito IVA endoconcorsuale, ciò che consente alla procedura di evitare esborsi monetari e valorizzare al 100% tale posta attiva, nonché il caso in cui la procedura richieda un'attività del curatore particolarmente impegnativa ed onerosa (può essere il caso, ad es. di un esercizio provvisorio iniziale), senza che tuttavia sia prevista una veloce chiusura della procedura. In ogni caso la liquidazione di un acconto corrisponde ad una facoltà del tribunale, senza che sia configurabile un diritto del curatore alla sua percezione prima della liquidazione finale del compenso.

Con affermazione che può applicarsi pacificamente anche al curatore, si è recentemente osservato che i provvedimenti con i quali il tribunale concede o nega acconti sul compenso richiesti dal commissario giudiziale è espressione di un potere discrezionale ed interviene in una fase processuale anteriore alla presentazione ed approvazione del conto; tali provvedimenti, pertanto, non hanno efficacia di cosa giudicata e non pregiudicano la futura definitiva decisione sul compenso che il tribunale liquida dopo la presentazione del rendiconto con decreto ex articolo 39 l.fall. ricorribile per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost. (Cass. n. 19580/2015).

Determinazione del compenso

La normativa di dettaglio ed i criteri da seguire nella liquidazione del compenso del curatore sono contenuti nel d.m. 25 gennaio 2012, n. 30 al quale la disposizione in commento rinvia. Tale decreto è vigente dal 27 marzo 2012 ed ai sensi dell'art. 8, comma 1, dello stesso articolato normativo si applica a tutti i compensi da liquidarsi successivamente all'entrata in vigore del decreto, ivi compresi quelli concernenti le procedure concorsuali ancora pendenti a tale data. Il decreto prevede che la determinazione del compensa debba avvenire sulla scorta di alcuni criteri generali, testualmente indicati dall'art. 1, tenendo conto dell'opera prestata, dei risultati ottenuti, dell'importanza del fallimento, nonché della sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni. In concreto detti criteri devono guidare l'organo giudicante nella individuazione delle percentuali da applicare, entro un minimo ed un massimo e secondo una percentuale di applicazione decrescente all'aumentare del valore, sia per l'attivo che per il passivo della procedura.

 Nella liquidazione del compenso il giudice può limitarsi a indicare quali elementi, tra quelli indicati nella relativa istanza, lo abbiano convinto ad assumere il provvedimento richiesto senza doverli riportare tutti, essendo comunque tenuto, in ottemperanza all’obbligo di motivazione, a prendere in esame anche per implicito tutta la materia controversa (Cass. I, n. 4713/2021).

Per l'attivo si applicano i seguenti scaglioni e percentuali di determinazione del compenso:

Dal 12% al 14% quando l'attivo non superi i 16.227,08 euro;

dal 10% al 12% sulle somme eccedenti i 16.227,08 euro fino a 24.340,62 euro;

dall'8,50% al 9,50% sulle somme eccedenti i 24.340,62 euro fino a 40.567,68 euro;

dal 7% all'8% sulle somme eccedenti i 40.567,68 euro fino a 81.135,38 euro;

dal 5,5% al 6,5% sulle somme eccedenti i 81.135,38 euro fino a 405.676,89 euro;

dal 4% al 5% sulle somme eccedenti i 405.676,89 euro fino a 811.353,79 euro;

dallo 0,90% all'1,80% sulle somme eccedenti i 811.353,79 euro fino a 2.434.061,37 euro;

dallo 0,45% allo 0,90% sulle somme che superano i 2.434.061,37 euro.

Per il passivo invece si prevede che il compenso sia così determinato:

dal 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 euro;

dal 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra.

L'art. 2 del regolamento contiene una importante precisazione. Nel caso in cui il fallimento si chiuda con un concordato fallimentare, pur applicandosi le precedenti percentuali, l'attivo deve determinarsi sull'ammontare complessivo di quanto col concordato stesso viene attribuito ai creditori. Tenuto conto che solitamente la proposta concordataria prevede vantaggi economici rispetto all'alternativa fallimentare, appare evidente come il compenso sia destinato ad aumentare in relazione agli eventuali apporti del proponente o del terzo assuntore; ciò si giustifica in quanto il curatore seppure non compie al riguardo alcun atto di amministrazione o liquidazione, è comunque chiamato a valutare l'effettività dello stesso, giudicare la fattibilità della proposta di concordato e non di rado chiedere ed ottenere delucidazioni e finanche la prestazione di garanzie. In caso di continuazione dell'attività economica dell'impresa fallita al curatore è corrisposto, oltre ai compensi precedentemente indicati, un ulteriore compenso dello 0,50% sugli utili netti e dello 0,25% sull'ammontare dei ricavi lordi conseguiti durante l'esercizio provvisorio. Al curatore spetta, inoltre, un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 5% sull'importo del compenso liquidato nonché il rimborso delle spese vive effettivamente sostenute ed autorizzate dal giudice delegato, purché documentalmente provate. Se nella misura massima il compenso non può superare quanto ottenuto applicando le aliquote massime precedentemente riportate, l'art. 4 precisa che lo stesso non può neppure essere inferiore nel minimo alla somma di 811,35 euro.

Il legislatore ha affermato nell'art. 146 del d.P.R. n. 115 del 2002 (c.d. testo unico spese di giustizia) che sono anticipate dall'erario (tra l'altro) le spese ed onorari ad ausiliari del magistrato (n. 3 lett. c). Originariamente gli ausiliari del magistrato ivi contemplati erano soltanto «il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio può nominare a norma di legge (art. 3 DPR cit)»; soltanto a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale con sentenza 28 aprile 2006, n. 174, è stato compreso fra i detti ausiliari anche il curatore. Pertanto in caso di fallimento incapiente l'onorario del curatore deve essere posto a carico dell'Erario, ma sussistono dubbi sulle modalità di calcolo. Il primo dubbio che si può porre è se in caso di fallimento incapiente (si pensi per semplicità al fallimento totalmente privo di attivo) il compenso vada liquidato al minimo che si è visto sopra, di Euro 811,35 oppure vada determinato secondo le percentuali dianzi viste, che ad esempio pure applicate al solo passivo potrebbero determinare un compenso più elevato. Una recente decisione ha chiarito tale primo problema interpretativo: il compenso del curatore fallimentare va determinato, in forza dei criteri di cui all'art. 1 del d.m. n. 570 del 1992, applicando le percentuali sull'attivo (se esistente) e quelle sul passivo, mentre la somma minima liquidabile ex art. 4 del citato decreto ministeriale va riconosciuta, a garanzia dell'organo del fallimento, solo se i menzionati criteri conducano alla liquidazione di un compenso inferiore a quello minimo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio il provvedimento del tribunale il quale, in un fallimento con attivo di soli euro 46,64 ma con passivo pari ad euro 70.000.000,00, ha liquidato il compenso minimo sebbene il criterio basato sull'entità dell'attivo e del passivo comportasse una liquidazione superiore) (Cass. n. 20111/2015). Nel caso in cui l'attivo sia solo parzialmente capiente, la procedura risponderà fino alla concorrenza dell'attivo ed il residuo, come sopra calcolato, potrà essere posto a carico dell'erario. Norma spesso dimenticata è l'art. 130 del predetto t.u. spese di giustizia, che prevede la dimidiazione, fra l'altro, dei compensi dovuti all'ausiliare. Le medesime ragioni sostanziali richiamate dalla citata Cass. n. 20111/2015 spingono a ritenere che la dimidiazione vada applicata solo (in caso di incapienza parziale) sulla quota del compenso posto a carico dell'Erario: es. fatto 100 il compenso e 70 la residua disponibilità della procedura, questa va attribuita al curatore e la dimidiazione applicata solo sul residuo 30, in modo da porre a carico dell'Erario la somma di 15. La sommatoria della parte capiente con quella posta a carico dell'erario (pur dimezzata) non dovrà comunque essere inferiore al limite minimo di cui sopra, e così nel caso di incapienza totale. In altri termini si deve ritenere, pur se vi è contrasto nella pratica, che laddove applicata la dimidiazione si ottenga un importo inferiore ad Euro 811,35 sia quest'ultimo importo a dover essere posto a carico dell'Erario.

Spese

La disciplina delle spese è contenuta nell'art. 4 del citato d.m. 25 gennaio 2012, n. 30, in base al quale al Curatore spetta innanzitutto un rimborso forfettario (in qualche modo equivalente nella funzione alle spese generali previste dai parametri professionali) del 5% sull'importo del compenso liquidato complessivamente dal tribunale in ossequio alle percentuali ed ai criteri dianzi osservati. Al curatore spetta inoltre il rimborso delle spese vive anticipate nell'interesse della procedura, purché autorizzate e documentate. A detto fine acquista rilievo la corretta tenuta del libro giornale di cui si è detto sub art. 38 l.fall. e rispetto al quale il curatore può essere tenuto, su richiesta del g.d. o del tribunale, a giustificare ogni uscita ivi annotata.

 Nel riferirsi alla redazione dell’inventario, per la liquidazione delle spese al commissario giudiziale, il tribunale deve tener conto di quanto da lui effettuato, essendo l’atto uno strumento indispensabile alla procedura, e anche dell’inventario allegato dall’imprenditore alla domanda di ammissione al concordato né della relazione presentata all’adunanza dei creditori (Cass. VI, n. 26895/2020).

Decreto e impugnazione

Si è notata la distonia fra l'art. 18 ult. comma l.fall., il quale prevede che nel caso di fallimento revocato il decreto di liquidazione delle spese di procedura e del compenso del curatore è reclamabile ai sensi dell'art. 26 l.fall., mentre l'art. 39 testualmente prevede la non reclamabilità della decisione del tribunale fallimentare. Si è addirittura ipotizzato che tale disparità di disciplina possa dare luogo ad una questione di costituzionalità, ma allo stato si è concessa unicamente la possibilità di ricorso per cassazione, ex art. 111 l.fall., avverso il decreto emesso dal tribunale, ai sensi dell'art. 39 l.fall., in quanto provvedimento giudiziario potenzialmente definitivo e suscettibile di incidere su diritti soggettivi, quindi con carattere decisorio. Il decreto di liquidazione del compenso del curatore deve essere almeno succintamente motivato (ad es. riferimento ai valori dell'attivo e del passivo, durata della procedura, complessità, ecc.)

Si è affermato che il provvedimento emesso dal tribunale, ex art. 26 l.fall., avverso i decreti del giudice delegato non è suscettibile di ulteriore reclamo avanti alla corte di appello posto che solo i decreti emessi in prima istanza dal tribunale possono essere reclamati avanti a quella corte; come pure non è suscettibile di reclamo avanti alla stessa il provvedimento di liquidazione del compenso al curatore in caso di fallimento o al commissario giudiziale in ipotesi di concordato preventivo, in quanto trattasi di provvedimento espressamente reclamabile solo in sede di legittimità ai sensi dell'art. 39 l.fall. (App. Bologna, 6 maggio 2014). Differentemente per i compensi dei coadiutori del curatore si è affermato che il decreto del giudice delegato di determinazione del compenso spettante al coadiutore del curatore è suscettibile del reclamo ex art. 26 l.fall. e non già dell'opposizione ex art. 170 del T.U. sulle spese di giustizia (Cass. civ. n. 23086/2014). Pur se non reclamabile il decreto deve essere motivato a pena di nullità denunciabile con il ricorso in cassazione: la liquidazione del compenso del curatore fallimentare (ovvero del commissario giudiziale ndr) deve essere specificamente motivata mediante la indicazione dei criteri seguiti, ai sensi dell'articolo 39 della legge fall., in relazione alla disciplina regolamentare richiamata, risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione. (Cass. n. 4295/2014). Ancora, si è affermato che la valutazione del tribunale circa la diligenza e la sollecitudine con cui il curatore fallimentare abbia svolto la propria attività può incidere sulla misura del compenso da liquidarsi in suo favore dopo l'approvazione del conto della gestione, giustificandone la quantificazione tra l'importo minimo e massimo, ma non anche sulla spettanza stessa di qualsivoglia compenso per l'opera prestata, fermo restando che la sua effettiva erogazione può essere impedita dal definitivo accertamento di una responsabilità del curatore medesimo alla stregua dell'art. 38 legge fall. (Cass. n. 13805/2013). Cass. I, ord. n. 7070/2022 ha affermato che il curatore fallimentare, anche se cessato dall'incarico e sostituito da un nuovo professionista, ove intenda impugnare per cassazione il provvedimento di liquidazione del compenso, deve previamente richiedere, a pena di inammissibilità del ricorso, al primo presidente della corte di cassazione - e non al giudice delegato - la nomina del curatore speciale del fallimento, nei cui confronti sussiste comunque un potenziale conflitto di interessi, atteso che il compenso del curatore fallimentare, da liquidare in ogni caso al termine della procedura (salvo acconti), è unico anche nel caso in cui si siano succeduti più professionisti nell'incarico.

Bibliografia

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