Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 80 - Contratto di locazione di immobili 1.Contratto di locazione di immobili 1.
Il fallimento del locatore non scioglie il contratto di locazione d'immobili e il curatore subentra nel contratto. Qualora la durata del contratto sia complessivamente superiore a quattro anni dalla dichiarazione di fallimento, il curatore ha, entro un anno dalla dichiarazione di fallimento, la facolta' di recedere dal contratto corrispondendo al conduttore un equo indennizzo per l'anticipato recesso, che nel dissenso fra le parti, e' determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. Il recesso ha effetto decorsi quattro anni dalla dichiarazione di fallimento. In caso di fallimento del conduttore, il curatore puo' in qualunque tempo recedere dal contratto, corrispondendo al locatore un equo indennizzo per l'anticipato recesso, che nel dissenso fra le parti, e' determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. Il credito per l'indennizzo e' soddisfatto in prededuzione ai sensi dell'articolo 111, n. 1 con il privilegio dell'articolo 2764 del codice civile. [1] Articolo sostituito dall'articolo 66 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dall'articolo 4, comma 12, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. InquadramentoL'art. 80 è stato profondamente rivisitato dal decreto correttivo di cui al d.lgs. n. 169/2007. In precedenza la norma si limitava a stabilire due regole: a) nel caso di fallimento del locatore il curatore subentra nel contratto; b) nel caso di fallimento del conduttore il curatore può recedere in qualunque tempo dal contratto, corrispondendo alla controparte un indennizzo. Mentre il secondo principio è stato confermato, il primo è stato contemperato con l'esigenza che la presenza del contratto non costituisca un ostacolo alla migliore e più efficiente liquidazione dell'immobile su cui il contratto insiste. Ed infatti una nuova cultura della liquidazione più rapida dell'attivo patrimoniale, nell'interesse della massa dei creditori, che emerge in norme come l'art. 104-bis, comma 4 l.fall. o nella nuova formulazione dell'art. 104-ter l.fall. (programma di liquidazione), non poteva tollerare la presenza di «pesi» come un contratto di locazione spesso concluso dal locatore in una situazione di crisi finanziaria ed a condizioni inique (come una durata pluriennale od un canone misero rispetto a quello di mercato), che avrebbe potuto demotivare potenziali acquirenti dell'immobile. Pertanto, la norma contiene un comma secondo di nuovo conio che dà la possibilità al curatore subentrato al locatore fallito di sciogliersi dal contratto di locazione quando questo abbia un orizzonte temporale superiore a quattro anni a decorrere dalla dichiarazione di fallimento. È stato inoltre confermato come il credito indennitario previsto dalla norma abbia natura prededucibile in quanto discende da una manifestazione di volontà del curatore ed il credito è altresì assistito dal privilegio speciale di cui all'art. 2764 c.c. Il fatto che ciò possa oggi avvenire anche in caso di fallimento del locatore spiega come la disciplina dell'indennizzo sia contenuta in termini più generali nel nuovo quarto comma. Il presupposto perché si verifichi il subentro del curatore è comunque dato dal fatto che alla data del fallimento vi sia un contratto di locazione non risolto, ancora in corso di esecuzione, opponibile al fallimento. Dovrà quindi trattarsi di un contratto avente data certa e registrato, mentre se di durata ultranovennale dovrà altresì essere stato trascritto, dovendosi altrimenti ritenere opponibile nei limiti del novennio. Naturalmente il contratto di locazione preesistente è sottoposto, per la sua durata, alla legge n. 392/1978 per le locazioni commerciali ed alla legge n. 431/98 per quelle abitative. Nonostante la norma configuri un subentro automatico del curatore nel rapporto locatizio, salva successiva dichiarazione di volontà contraria, il contratto stesso costituisce possibile oggetto di azione revocatoria, se ricorrono le condizioni di cui all'art. 67 l.fall. (in particolare si pensi al contratto concluso a condizioni decisamente sfavorevoli); del pari possono risultare revocabili gli stessi pagamenti del canone, ove sussistano i presupposti dello stesso art. 67 l.fall. (potrebbe infatti darsi il caso in cui il privilegio speciale dell'art. 2764 c.c. sia inoperante per mancanza alla data del fallimento di arredi o beni su cui esercitarsi; in tal caso la revocatoria degli stessi pagamenti nel semestre precedente potrebbe rivelarsi una scelta opportuna nell'interesse della par condicio e degli stessi creditori concorsuali, posto che in tal caso la revocatoria porterebbe denaro alla procedura del conduttore fallito, mentre il locatore potrebbe insinuarsi tardivamente ex art. 70 comma 2, l.fall. ma ricevendo un soddisfacimento in moneta fallimentare). In termini generali, si è ritenuto che l'occupazione di un immobile di proprietà del fallito da parte di un terzo, ancorché risalente ad epoca anteriore all'apertura della procedura concorsuale, è inopponibile al fallimento, in difetto della prova della sua riconducibilità ad un rapporto di locazione, non potendo trovare applicazione in tal caso l'art. 2923, quarto comma, c.c. — dettato per l'esecuzione forzata, ma applicabile anche al fallimento, che costituisce un pignoramento generale dei beni del fallito — in quanto la certezza in ordine all'anteriorità della detenzione, alla quale la predetta disposizione conferisce rilievo, in linea con quanto previsto in via generale dall'art. 2704 c.c., non esclude la compatibilità della stessa con altri rapporti, ivi compreso quello di comodato (Cass. n. 17735/2009). Più recentemente si è ritenuto che sono devolute alla competenza del tribunale fallimentare, ai sensi dell'art. 24 l.fall., le controversie che traggano origine o fondamento nel fallimento, rientrando tra queste anche le azioni del curatore volte a far dichiarare l'inopponibilità alla massa del contratto di locazione immobiliare stipulato dal fallito a norma dell'art. 2923 c.c., ovvero la risoluzione del medesimo contratto ai sensi dell'art. 80 l.fall., in deroga alla previsione di cui agli art. 21 e 447-bis c.p.c. (Cass. n. 14844/2015). Il principio del naturale subentro del curatore nel contratto di locazione pendente ha portato le S.U. ad affermare che in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi degli artt. 28 e 29 l. n. 392/1978, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale; ne consegue che, in caso di pignoramento dell'immobile e di successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dal secondo comma dell'art. 560 c.p.c. (Cass. S.U., n. 11830/2013). Da tenere presente che il contratto di comodato non è mai opponibile al fallimento, a prescindere dalla sua durata ed anche quando sia di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, non essendo applicabile in via analogica la regola dell'opponibilità prevista per la locazione dall'art. 1599 c.c.; la dichiarazione di fallimento consente, pertanto, al curatore l'esercizio del recesso per urgente e impreveduto bisogno ai sensi dell'art. 1809 c.c. (Trib. Taranto, 21 maggio 2015). Con riferimento al contratto di locazione per la casa di abitazione del fallito si è sostenuto che la locazione, quando abbia ad oggetto un immobile destinato esclusivamente ad abitazione propria del fallito e della sua famiglia, non integra un rapporto di diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore, secondo la previsione dell'art. 43 l.fall., ma un rapporto di natura strettamente personale, ai sensi dell'art. 46 n. 1 del citato testo di legge, rivolto al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita, il quale è indifferente per il fallimento e resta correlativamente sottratto al potere di recesso del curatore; ne consegue che il conduttore fallito è da considerarsi legittimato all'esercizio, ex art. 79 l. n. 392/1978, dell'azione di ripetizione dell'eccedenza dei canoni convenzionali pagati rispetto a quelli dovuti, la cui relativa somma non può, peraltro, ritenersi acquisita al fallimento stesso prima che la suddetta azione sfoci in una sentenza di condanna del locatore (Cass. n. 20804/2009). Fallimento del locatoreLa regola generale è data dal subentro del curatore nel contratto di locazione che possa dirsi ancora pendente e, quindi, produttivo di effetti. Questo significa che il curatore si ritrova nella stessa posizione del locatore fallito, legittimato a far valere i diritti economici che derivano dal contratto (pagamento dei canoni, rimborso delle spese condominiali ed oneri connessi) come pure ad esercitare la disdetta nei termini contrattuali e con il preavviso previsti dallo stesso. Potrà altresì, in caso di mancato pagamento dei canoni da parte del conduttore, tutelare processualmente l'interesse della massa attraverso lo sfratto per morosità o, in caso di mancata liberazione del bene alla scadenza da parte del conduttore, attraverso la convalida per finita locazione. Dal subentro possono derivare anche oneri per il curatore, si pensi ad esempio all'obbligo di restituzione della cauzione, che dovrà essere adempiuto in prededuzione nel caso di contratto opponibile al fallimento. Il nuovo secondo comma dell'art. 80, come anticipato, affronta il caso in cui o perché il fallimento si è verificato nella fase iniziale del contratto di locazione, o perché questo era stato effettivamente concluso dal fallito per una durata molto significativa, la vita utile rimanente della locazione superi i quattro anni conteggiati dalla data del fallimento. In tal caso, soprattutto se era stato pattuito un canone modesto, la presenza del contratto di locazione opponibile potrebbe rivelarsi un peso eccessivo per la procedura, costretta a «svendere» l'immobile pur di trovare un acquirente di un bene così lungamente ancora occupato da terzi. Si è perciò previsto che in tale caso il curatore possa – a prescindere dalle condizioni contrattuali pattuite – recedere dal contratto entro un anno dalla dichiarazione di fallimento. Se il curatore deve comunicare tale dichiarazione recettizia entro un anno, tuttavia gli effetti del recesso si verificheranno alla scadenza del quadriennio. In tal modo la norma ha cercato di contemperare le opposte esigenze, assicurando al conduttore una relativa stabilità nell'ambito di un quadriennio a decorrere dall'apertura della procedura concorsuale a carico del proprio locatore. In caso di recesso è dovuta alla controparte un equo indennizzo con il beneficio della prededuzione che non può ovviamente, nel caso di locazione commerciale, raggiungere l'importo previsto dall'art. 34 della legge n. 392/1978 (18 mensilità e addirittura 21 per le attività alberghiere). Tale disposizione prevede che il conduttore di un locale ad uso commerciale abbia diritto ad una indennità per la perdita di avviamento in caso di recesso anticipato del locatore. La previsione legislativa mira, da un lato, a tutelare il conduttore, dai disagi e dalle difficoltà derivanti alla sua attività commerciale a causa della disdetta del contratto di locazione da parte del proprietario/locatore e, dall'altro, a disincentivare il locatore dal recesso anticipato spingendolo ad attendere la scadenza naturale del contratto per evitare di incorrere nell'obbligo del versamento delle somme a titolo di indennità. Ma si ritiene che tale disposizione non possa applicarsi al recesso del curatore (che si scioglie dal rapporto non per proprie valutazioni di mercato, ma alla luce della mutata e sopravvenuta procedura fallimentare e per le esigenze pubblicistiche connesse), mentre la tutela del conduttore è assicurata proprio dall'equo indennizzo, che in caso di contrasto è determinata dal giudice delegato, sentite le parti. In difetto d'accordo appare preferibile la tesi che consente al conduttore di proporre insinuazione allo stato passivo per il proprio credito indennitario prededucibile, come previsto dall'art. 52 comma 2 e 111-bis. In tal modo la decisione del g.d. risulterà impugnabile con le forme dell'opposizione allo stato passivo e, ulteriormente, con il ricorso in Cassazione. La locazione ultranovennale non trascritta non è opponibile, ancorché il contratto sia regolarmente registrato, al curatore fallimentare del locatore in ragione dell'effetto di spossessamento e di pignoramento generale dei beni del debitore derivante dalla dichiarazione di fallimento, che determina il subentro «ope legis» del curatore nel contratto nei soli limiti in cui lo stesso sia opponibile alla massa dei creditori; ne consegue che il curatore, ferma l'opponibilità della data certa del contratto registrato anteriormente al fallimento, alla scadenza del novennio dalla stipulazione può farne valere l'inefficacia per il periodo eccedente tale limite temporale (Cass. n. 5792/2014). Naturalmente, nella misura in cui il decorso del novennio si determini oltre il quadriennio dalla pronuncia di fallimento, il curatore è abilitato ad avvalersi della facoltà di recesso prevista dal secondo comma, che consente al curatore di non tollerare vincoli contrattuali che potrebbero rivelarsi di ostacolo alla liquidazione del patrimonio se di durata eccedente il quadriennio dall'apertura della procedura concorsuale. Fallimento del conduttoreNell'ipotesi in cui sia il conduttore a fallire, invece, il curatore può in qualunque tempo recedere dal contratto corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, per la cui determinazione vale quanto già detto precedentemente. La ratio è evidente: si vuole infatti impedire che la curatela resti legata da un contratto che comporterebbe l'onere di pagare tutti i canoni successivi al fallimento in prededuzione, con un evidente svantaggio per la procedura (salvo forse il caso, da valutarsi attentamente in concreto e con tempistica celere, dell'esercizio provvisorio a scopo conservativo e della cessione dell'azienda tramite procedura competitiva e, con essa, dello stesso contratto di locazione della sede aziendale, se costituisce motivo di appetibilità per i potenziali interessati). Il recesso del curatore del fallimento del conduttore produce effetto immediato, non dovendo egli attendere il periodo di preavviso eventualmente previsto contrattualmente (ed infatti il recesso stesso è esercitabile anche laddove fosse contrattualmente escluso). Per il caso di fallimento del conduttore si è osservato che qualora il curatore non si avvalga della facoltà di sciogliersi anticipatamente dal contratto egli subentra automaticamente ai sensi dell'art. 80 l.f. nel rapporto locatizio ed assume per l'effetto l'obbligo di pagamento dei canoni sino al recesso, essendo inefficace la clausola che eventualmente preveda la risoluzione di diritto del contratto di locazione in caso di fallimento della parte conduttrice; gli importi così maturati dovranno pertanto essere ammessi al passivo in prededuzione, trattandosi di obblighi sorti in occasione oltre che in funzione della procedura concorsuale (Trib. Udine, 7 novembre 2012). Il subentro automatico nel contratto di locazione da parte del curatore, in caso di fallimento del conduttore, si verifica soltanto se il rapporto contrattuale non fosse già cessato prima della dichiarazione di fallimento: infatti, in caso di fallimento del locatario, l'effetto risolutivo del contratto deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando il relativo accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo (Cass. n. 10087/2015). Con riferimento all'equo indennizzo, che può essere dovuto alla parte non fallita dalla curatela, sia in caso di fallimento del locatore che nell'ipotesi in cui l'insolvenza riguardi il conduttore, si è ritenuto che l'equo indennizzo contemplato dall'art. 79 l.fall. in riferimento alla facoltà concessa al curatore di recedere anticipatamente dal contratto di affitto d'azienda, analogamente all'equo indennizzo previsto dall'art. 80, comma 2, per il recesso dal contratto di locazione, appare avere natura indennitaria (equitativa) e non risarcitoria, costituendo il corrispettivo dell'esercizio della facoltà di recesso concessa dalla legge. Pertanto, tale indennizzo dev'essere commisurato al danno emergente, relativo al pregiudizio derivante dall'interruzione delle lavorazioni in corso, dalle eventuali penalità da pagare a terzi e dall'entità degli investimenti effettuati, e al lucro cessante, derivante dal mancato incasso degli utili netti che possono maturare nel periodo rimanente di vigenza del contratto (ma non dell'avviamento, che è una qualità intrinseca dell'azienda non indennizzabile, non rientrando fra le consistenze d'inventario dei beni materiali e immateriali ex artt. 2561 e 256 c.c. e non essendovi una previsione analoga a quella in materia di locazioni a favore del conduttore), essendo rimessa in primis all'accordo delle parti la determinazione del quantum, previa autorizzazione del comitato dei creditori e, in caso di superamento della soglia di valore, previa informazione al giudice delegato (salvo il suo intervento in caso di disaccordo); l'indennizzo equitativo ex artt. 79 e 80 l.fall. dev'essere tenuto distinto dai canoni dovuti per l'occupazione del bene, attesa la netta distinzione dei relativi titoli, l'uno di tipo indennitario, volto a ristorare il locatore per l'anticipata risoluzione del contratto, l'altro di natura contrattuale, scaturente dallo stesso negozio di locazione e relativo a somme ancora dovute dal fallimento per il protrarsi dell'occupazione del bene. Sotto tale profilo la lieve differenza lessicale introdotta dal legislatore della riforma, tanto nell'art. 79, quanto nell'art. 80 l.fall., (in precedenza l'indennizzo era definito «giusto compenso»), non appare aver mutato la sua predetta natura (Trib. Udine, 3 maggio 2013). 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