Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 105 - Vendita dell'azienda, di rami, di beni e rapporti in blocco1.

Federico Rolfi

Vendita dell'azienda, di rami, di beni e rapporti in blocco1.

 

La liquidazione dei singoli beni ai sensi degli articoli seguenti del presente capo è disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell'intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori.

La vendita del complesso aziendale o di rami dello stesso è effettuata con le modalità di cui all'articolo 107, in conformità a quanto disposto dall'articolo 2556 del codice civile.

Nell'ambito delle consultazioni sindacali relative al trasferimento d'azienda, il curatore, l'acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e le ulteriori modifiche del rapporto di lavoro consentite dalle norme vigenti.

Salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento.

Il curatore può procedere altresì alla cessione delle attività e delle passività dell'azienda o dei suoi rami, nonché di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, esclusa comunque la responsabilità dell'alienante prevista dall'articolo 2560 del codice civile.

La cessione dei crediti relativi alle aziende cedute, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede al cedente.

I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestate o comunque esistenti a favore del cedente, conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario.

Il curatore può procedere alla liquidazione anche mediante il conferimento in una o più società, eventualmente di nuova costituzione, dell'azienda o di rami della stessa, ovvero di beni o crediti, con i relativi rapporti contrattuali in corso, esclusa la responsabilità dell'alienante ai sensi dell'articolo 2560 del codice civile ed osservate le disposizioni inderogabili contenute nella presente sezione. Sono salve le diverse disposizioni previste in leggi speciali.

Il pagamento del prezzo può essere effettuato mediante accollo di debiti da parte dell'acquirente solo se non viene alterata la graduazione dei crediti.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 92 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La previsione costituisce una novità, in primo luogo perché viene a contemplare espressamente quella possibilità di vendita dell'azienda che, prima della Riforma, era ammessa solo a livello giurisprudenziale (Barati, 1118; Fontana-Leuzzi, 2298; Miccolis, 727), e si riteneva potesse essere gestita applicando l'art. 106, ove l'azienda comprendesse solo beni mobili, e l'art. 108, in presenza di immobili (Barati, 1121; Fontana-Leuzzi, 2298)

Nel concreto, la norma mira a dettare una disciplina organica ma anche speciale della vendita dell'azienda in sede fallimentare, allo scopo di salvaguardare il potenziale valore dell'azienda come complesso, da un lato, ma di non rendere eccessivamente svantaggiosa o complessa la vendita nell'ambito della procedura concorsuale (Masturzi, 960). Non mancano precedenti normativi diretti della previsione (Nonno, 1431) — l. 3 aprile 1979, n. 95; d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385; d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 – peraltro dettati con riferimento a procedure concorsuali diverse da quella fallimentare, come l'amministrazione straordinaria o la liquidazione coatta amministrativa, laddove la norma in commento viene ad adottare i modelli dettati in tali per qualunque tipo di procedura fallimentare, indipendentemente dalle dimensioni e caratteristiche dell'impresa fallita.

È stato giustamente notato che la previsione viene a dettare una vera e propria disciplina programmatica (Nonno, 1431), al punto da poter essere qualificata quale Grundnorm della disciplina della liquidazione fallimentare (Nonno, 1431). La vera novità della previsione è quella di stabilire un «criterio gerarchico» che pone quale soluzione preferibile quella della vendita in blocco (Ambrosini, 641; Miraglia, 347). Lo scopo è quello, evidente, di salvaguardare i valori aziendali nel loro complesso, conservando quella continuità aziendale, c.d. going concern (Nonno, 1432), che rende l'azienda nel suo complesso più appetibile della mera sommatoria dei singoli beni e rapporti che la compongono, al punto che si è parlato di funzione protettiva e cautelare della vendita (Paluchowski, 1320), del resto anticipata (sul piano della gestione «funzionale» della procedura fallimentare) da una serie di previsioni, come le misure cautelari in limine previste dall'art. 15 in sede di istruttoria prefallimentare; nonché l'esercizio provvisorio e l'affitto di azienda di cui agli artt. 104 e 104-bis. Tali norme confermano l'esigenza che non si realizzino pericolose soluzioni di continuità nel funzionamento dell'azienda, al punto che anche la vendita dell'azienda può rientrare tra le attività urgenti (Paluchowski, 1322) se il ritardo espone l'azienda stessa a deprezzamento o disgregazione.

La vendita dell'azienda, peraltro, consente la salvaguardia di una serie di valori che invece la cessione disaggregata verrebbe a far perdere irrimediabilmente: subentro nei contratti di locazione; conservazione dell'utilizzo di segni distintivi e dell'avviamento; conservazione di licenze, autorizzazioni o concessioni amministrative (Nonno, 1431-1432).

Va però chiarito che lo scopo dell'opzione normativa permane quello di garantire un migliore soddisfacimento dei creditori (Ambrosini, 642; Barati, 1125; Nonno, 1432), secondo una clausola generale esplicitata, tra l'altro, dall'art. 186-bis, ma ormai individuata come principio guida in materia concorsuale. Rispetto a tale finalità, la conservazione dell'azienda e dei livelli occupazionali si presenta come strumento, e non come valore assoluto (Masturzi, 961, Paluchowski, 1319), dovendosi, da questo punto di vista, registrare una divaricazione tra la disciplina in esame e quella, ad esempio, dell'amministrazione straordinaria delle grandi aziende in crisi, dove la conservazione dei livelli occupazionali consente la vendita dell'azienda ad un prezzo inferiore a quello di mercato (Nonno, 1433). Apparentemente contrasta con tale affermazione la regola enunciata dall'art. 104-bis, laddove lo stesso prevede che la scelta dell'affittuario tenga conto «della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali», (Gallone, 2060), ed anzi proprio tale discrasia potrebbe, secondo alcuni, creare il rischio che le scelte operate in sede di affitto di azienda vadano ad impattare sulle successive prospettive di realizzo in sede di vendita (Gallone, 2063). In contrario si è obiettato che norma utilizza tale parametro come indice della maggior ambiziosità del piano industriale dell'aspirante affittuario, senza che, tuttavia, ciò possa tradursi nell'affermazione del principio per cui la tutela dei livelli occupazionali consente di intaccare, al momento della liquidazione, le prospettive di remunerazione dei creditori (Nonno, 1433).

Va però aggiunto che la valutazione di miglior soddisfacimento dei creditori non può fermarsi a livello elementare della comparazione dei prezzi di realizzo (tra cessione dell'azienda e cessione atomistica), ma può tenere conto della sommatoria degli interessi dei creditori concorsuali (Fimmanò, 1736; Fontana-Leuzzi, 2300; Miraglia, 347).

È stato, del resto, rilevato che un'opzione normativa rigida per la vendita dell'azienda in blocco, indipendentemente dai concreti esiti per le prospettive di soddisfacimento dei creditori, si sarebbe tradotta in un aiuto di stato, entrando in conflitto con la disciplina comunitaria (Nonno, 1432).

L'opzione della cessione unitaria dell'azienda, peraltro, non è incompatibile con la cessione separata di suoi singoli assets non essenziali e privi di funzionalità rispetto al complesso aziendale (Barati, 1126; Fontana-Leuzzi, 2305).

L'opzione tra cessione in blocco e cessione disaggregata

Le premesse sino svolte vengono ad esplicare la regola generale espressa dal primo comma della norma, che disciplina il criterio per esercitare l'opzione tra vendita dell'azienda in blocco e cessione disaggregata, stabilendo che tale seconda soluzione deve essere seguita laddove un giudizio prognostico consenta di escludere che la cessione in blocco condurrà ad un maggiore soddisfazione dei creditori (Nonno, 1432). Compito del curatore, quindi, sarà compiere una valutazione preliminare e prognostica delle prospettive di realizzo dell'azienda comparando le prospettive di una cessione in blocco, con quella di una vendita dei singoli beni o rapporti (eventualmente raggruppati, secondo la previsione del quinto comma). Tale valutazione dovrà essere svolta necessariamente nel programma di liquidazione che, in tal modo, rivela il suo ruolo di fondamentale atto di programmazione strategica dell'attività di liquidazione (Nonno, 1433).

La vendita fallimentare dell'azienda

Per la vendita dell'azienda in sede fallimentare la norma contempla in ogni caso una disciplina speciale, che tuttavia richiama espressamente sia l'art. 107 sia l'art. 2556 c.c.

Le concreta determinazione delle modalità di cessione dell'azienda è, come già ricordato, oggetto del programma di liquidazione, nel quale deve essere prevista una specifica sezione (Paluchowski, 1324). La determinazione potrà avvenire anche sulla base di scenari condizionati (scelta delle cessione aggregata, con opzioni successive in caso di mancato successo della medesima) e dovrà essere approvata dal comitato dei creditori, fermo il controllo di legalità del g.d. da esercitarsi sia a priori sul programma, sia a posteriori sulle concrete modalità con cui viene operata la vendita (Paluchowski, 1324).

Nella previsione rientra anche la cessione di singoli rami dell'azienda, la quale presuppone la possibilità di frazionare l'insieme produttivo aziendale in coacervi che possano costituire un autonomo strumento di impresa (Paluchowski, 1321). Tale ipotesi va comunque distinta dall'ipotesi – disciplinata dal quinto comma – della cessione «aggregata» di beni o rapporti giuridici «individuabili in blocco», in quanto, mentre nell'ipotesi della cessione del ramo di azienda comunque viene considerato il vincolo organizzativo e funzionale tra i beni e rapporti che compongono il ramo medesimo (Nonno, 1437), nell'ipotesi del quinto comma la cessione concerne beni e rapporti non funzionalmente connessi, anche se individuati in blocco. Tale individuazione, infatti, non concerne un vincolo di funzionalità (Masturzi, 963), ma ha solo scopo di raggruppare entità omogenee fatte oggetto di cessione allo stesso soggetto, sulla base di un valore che resterà comunque derivante dalla sommatoria dei singoli cespiti, senza il surplus che, nella cessione di azienda (o di suo ramo) deriva dal vincolo funzionale ed organizzativo che lega beni e rapporti, quand'anche tale vincolo sia ormai solo potenziale (Nonno, 1437).

Con la vendita dell'azienda il fallimento non è tenuto a prestare alcuna garanzia per i beni, a parte quella della loro esistenza e disponibilità materiale, operando l'art. 2922 che lascia spazio alla sola ipotesi di aliud pro alio (Masturzi, 965; Paluchowski, 1326).

La procedura di vendita.

Il richiamo all'art. 107 comporta anche per la vendita di azienda l'abbandono del vincolo ante-Riforma di utilizzo della vendita con incanto, e l'adozione del principio della libertà di forme, nell'ambito, tuttavia, dei limiti dettati dallo stesso art. 107 (Paluchowski, 1323), e ferma restando la possibilità che il curatore opti comunque per l'impego dei meccanismi previsti dal codice di procedure civile (Gallone, 2057; contra Miccolis, 729, secondo il quale il codice di rito non disciplina la vendita dell'azienda).

In concreto il curatore potrà optare sia per la procedura di cui al primo comma – effettuata direttamente dal curatore anche avvalendosi di soggetti specializzati – sia per la procedura di cui al secondo comma e cioè l'effettuazione diretta da parte dal giudice delegato (Nonno, 1435). L'opzione andrà operata nel programma di liquidazione, individuando anche le ragioni concrete della scelta (complessità della vendita, profili di «delicatezza» della stessa, valore complessivo dell'azienda, etc.), finendo per essere sottoposta all'autorizzazione del comitato dei creditori ma anche al controllo di legittimità del g.d. (Paluchowski, 1324).

In ogni caso vale il principio-cardine di cui all'art. 107, e cioè il ricorso a procedure competitive (anche se non necessariamente quelle previste dal codice di rito), previa perizia di stima dei beni – che dovrà avvenire preferibilmente utilizzando il criterio reddituale (Gallone, 20 66) e tenendo comunque conto dell'eventuale badwill (Paluchowski, 1324) e con ricorso a tutte le forme di pubblicità idonee a garantire la massima informazione e partecipazione degli interessati, in primis i canali internet, ex artt. 490 c.p.c. e 173-ter disp. att. c.p.c. (Fontana-Leuzzi, 2302). Si pone, semmai, il problema (Paluchowski, 1325) se, in presenza di offerte paritarie, possa darsi preferenza a quella che consenta il mantenimento del miglior livello occupazionale (Ambrosini, 643) – che in tal modo verrebbe indirettamente tutelato – o se si debba dare preferenza all'affittuario.

La forma della cessione

Per effetto del rinvio all'art. 2556 c.c. la vendita che non venga effettuata direttamente dal g.d. mediante decreto, ai sensi del secondo comma dell'art. 107, dovrà avvenire mediante notaio, con atto pubblico o scrittura privata autenticata (Nonno, 1435). La forma scritta risulta imposta unicamente ad probationem se l'azienda non abbia beni immobili o contratti di locazione ultranovennali, mentre è ad substantiam, in caso contrario (Nonno, 1435).

Sempre l'art. 2556 impone l'iscrizione della cessione nel registro delle imprese – a cura del notaio rogante o autenticante ma anche delle parti — entro tenta giorni (Nonno, 1436). Risulta del tutto convincente la tesi che ritiene che tale onere vada assolto, quale che sia la dimensione dell'impresa allo scopo di garantire un'adeguata informazione delle vicende di tutte le imprese (Nonno, 1436). L'iscrizione va presentata presso il registro delle imprese in cui ha sede l'impresa alienante, come nel caso in cui sia stato disposto l'esercizio provvisorio (Nonno, 1436). Se l'impresa alienante non era soggetta a registrazione (come nel caso in cui l'azienda sia alienata da soggetto non imprenditore), oppure il fallimento non aveva proceduto con l'esercizio provvisorio, l'iscrizione avverrà presso il registro delle Imprese del luogo ove ha sede l'acquirente (Nonno, 1436).

Ovviamente, nel caso in cui nell'azienda siano compresi beni immobili o mobili registrati, sarà necessario completare le formalità pubblicitarie con la trascrizione presso i relativi pubblici registri (conservatoria, P.R.A., etc.).

Non diverso è il regime pubblicitario del decreto adottato nel caso di vendita da parte del g.d.: anche il decreto dovrà essere iscritto presso il registro delle imprese e – in presenza di immobili – dovrà essere oggetto di trascrizione in conservatoria (Paluchowski, 1323).

In entrambi i casi resta fermo l'effetto purgativo di una vendita che, quale che sia la forma in concreto adottata, è vendita coattiva invito domino, con applicazione del meccanismo di cui all'art. 108 (Gallone, 2056; Paluchowski, 1324). In caso di vendita privatistica il decreto del g.d. che dispone la cancellazione dei gravami verrà emesso una volta riscosso interamente il prezzo (Gallone, 2056)

Nel caso di trasferimento di azienda che sia stata oggetto di esercizio provvisorio sarà necessario depositare al Registro delle Imprese la dichiarazione di cessazione dell'attività imprenditoriale da parte del fallimento e la correlata dichiarazione di inizio dell'attività imprenditoriale dell'acquirente (Nonno, 1436).

La prelazione d'acquisto

Qualora la vendita concerna un'azienda che era oggetto di affitto al momento della dichiarazione di fallimento, poi proseguito dal curatore, si apre lo scenario dell'esercizio di prelazione da parte dell'affittuario, peraltro esercitabile solo nel caso di cessione vera e propria e non per le altre forme di liquidazione, come il conferimento in newco (Paluchowski, 1326). La prelazione risulta disciplinata dall'art. 3 l. 23 luglio 1991, n. 223, ritenendosi, da questo punto di vista tuttora operanti i principi individuati prima della Riforma (Paluchowski, 1327). Laddove invece il curatore abbia optato per lo scioglimento dal contratto di affitto concluso ante fallimento, nessuna prelazione potrà essere esercitata nella successiva vendita (Paluchowski, 1327).

Diversa è, invece, l'ipotesi di affitto di azienda post fallimento ex art. 104-bis, nel quale sia stato convenuto il diritto di prelazione a favore dell'affittuario. In tale caso, esaurito il procedimento di determinazione del prezzo di vendita dell'azienda o del singolo ramo, il curatore, entro dieci giorni, lo comunica all'affittuario, il quale può esercitare il diritto di prelazione entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione. Si tratta di un diritto di natura meramente obbligatoria, e non assistito da meccanismi di retratto, con la conseguenza che, qualora nonostante la prelazione il g.d. emetta il decreto di trasferimento a favore di un terzo, il titolare della prelazione dovrà impugnare il decreto del g.d., potendo altrimenti agire per il solo risarcimento dei danni (Paluchowski, 1327).

Va rammentato in materia l'art. 11 d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito con modifiche l. 21 febbraio 2014, n. 917) che prevede – per il caso di affitto o di vendita di aziende, rami d'aziende o complessi di beni e contratti di imprese assoggettate a procedure concorsuali – la prelazione delle società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell'impresa sottoposta alla procedura.

La norma non si applica nel caso di vendite disaggregate di singoli beni (mentre si applica anche alle vendite o all'affitto di blocchi di beni o rapporti), ma sembrano poco verosimili i timori di tentativi di elusione della norma da parte del curatore prospettati da alcuni (Nonno, 1435), ferma restando la necessità della vigilanza del g.d.

I rapporti pendenti ed il divieto di concorrenza

L'art. 105 non richiama espressamente l'art. 2558 c.c. in materia di successione nei contratti nella cessione d'azienda, ma deve ritenersi che la norma sia comunque applicabile nei limiti della sua compatibilità (Masturzi, 967; Vattermoli, 1461), ed in particolare del coordinamento tra tale previsione ed il regime dei contratti pendenti nel fallimento (Nonno, 1439).

Va premesso che l'art. 2558 non trova applicazione alle ipotesi in cui una parte abbia integralmente eseguito le prestazioni su di essa gravanti, sicché residuino unicamente prestazioni a carico della controparte (Gallone, 2119), in quanto in tale ipotesi si assiste, semmai, alla cessione di un credito ex art. 2559 o di un debito ex art. 2560 c.c.

Rimane poi salva per il terzo in bonis la facoltà di recedere entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, a condizione della sussistenza di una giusta causa, salve le ipotesi speciali di legge, come quella di cui all'art. 36 l. 27 luglio 1978, n. 392 (Nonno, 1440), e fermo restando che l'eventuale responsabilità del fallimento alienante per aver provocato il recesso costituirà debito prededucibile (Gallone, 2121).

Sono, poi, individuabili alcune regole: 1) le parti potranno comunque escludere – in tutto o per singoli rapporti — l'applicazione dell'art. 2558, in quanto norma derogabile; 2) in caso di silenzio delle parti sul punto la successione costituisce naturale negotii (Fontana-Leuzzi, 2313; Gallone, 2125); 3) ove sia stato disposto l'esercizio provvisorio o sia stato concluso contratto di affitto d'azienda la norma interesserà tutti i contratti, eccezion fatta per quelli da cui, nell'esercizio provvisorio, il curatore abbia dichiarato di sciogliersi ex art. 104; 4) ove non sia stato disposto esercizio provvisorio, ed abbia quindi trovato la disciplina dei rapporti pendenti ex artt. 72 ss., la successione riguarderà i soli contratti che non si siano sciolti ex lege o per effetto del fallimento, o dai quali non siano sciolti il curatore o il contraente in bonis, e quindi i soli contratti che siano proseguiti ex lege o nei quali il curatore abbia dichiarato di subentrare (Nonno, 1439).

Più discussa è la sorte dei contratti che, all'atto della cessione di azienda, risultino ancora sospesi. Secondo una tesi, detti contratti si trasferirebbero automaticamente al cessionario (Barati, 1133; Masturzi, 967; Vattermoli, 1465), realizzando la cessione una sorta di dichiarazione implicita di subentro. Secondo un'altra tesi il cessionario subentrerebbe nella facoltà di proseguire o sciogliere il rapporto, mentre un'ultima tesi esclude che in questo caso il contratto venga ceduto (Gallone, 2122).

Restano esclusi dalla successione, secondo la previsione dell'art. 2558 c.c., i contratti con carattere personale, come l'assicurazione sulla vita dell'imprenditore individuale fallito, il contratto di leasing dell'autovettura del fallito etc. (Paluchowski, 1325).

Si ritiene da una dottrina che nel caso di cessione dei contratti, il cessionario subentri nei debiti contrattuali anche maturati anteriormente alla cessione – con liberazione del fallimento — a ciò non ostando il disposto di cui al quarto comma dell'art. 105, che riguarderebbe la sola successione nei debiti e non nei contratti. Né vi sarebbe violazione della par condicio perché, trattandosi di successione in rapporti proseguiti, i suddetti debiti avrebbero natura prededucibile (Gallone, 2125). Farebbero invece eccezione i contratti di durata nei quali il fallimento sia subentrato, e nei quali la scindibilità cronologica dei corrispettivi maturati progressivamente escluda l'insorgenza di un obbligo di pagamento in prededuzione dei debiti pregressi sorti antecedentemente al fallimento. In tal caso il cessionario non risponderebbe dei debiti pregressi al trasferimento dell'azienda (Gallone, 2126).

Altra norma non direttamente richiamata dall'art. 105 è l'art. 2557 c.c., che stabilisce, a carico dell'alienante dell'azienda, l'obbligo di astenersi dall'attività concorrenziale per cinque anni dal trasferimento. Nel caso del curatore fallimentare la domanda sull'applicabilità della previsione avrebbe senso solo per l'ipotesi di cessione di un ramo di azienda e prosecuzione del resto dell'attività, ma si ritiene che il divieto non operi per il curatore (Paluchowski, 1329), anche perché la previsione vieta di intraprendere una nuova attività, ma non di proseguirla (Gallone, 2130). Per ciò che concerne il fallito, una volta tornato in bonis (Nonno, 1441), manca un orientamento dottrinale univoco, in quanto alla tesi positiva (Masturzi, 970; Paluchowski, 1329) — motivata anche dall'esigenza di salvaguardare l'acquirente da un rischio prospettico di deprezzamento dell'azienda (Gallone, 2130), disincentivando, quindi, l'acquisto — si contrappone la tesi negativa basata sulla considerazione che la cessione di azienda è comunque una vendita invito domino che, come tale non potrebbe vincolare il fallito che non partecipato alla vendita stessa.

La responsabilità dell'acquirente per i debiti

Una espressa deroga è invece apportata dall'art. 105 con riferimento alla responsabilità dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta, sorti prima del trasferimento, escludendo l'accollo cumulativo ex lege del cessionario previsto dal secondo comma dell'art. 2560, e prevedendo, conseguentemente, la responsabilità del cessionario per i solo debiti esplicitamente accollati, con effetto liberatorio per il fallimento (Paluchowski, 1329).

Si tratta di una deroga finalizzata ad evitare che la previsione codicistica disincentivi la circolazione delle aziende, tenuto conto che l'azienda fallita conserva valore solo se liberata dai debiti che ne hanno condotti all'insolvenza (Nonno, 1441; Paluchowski, 1322). Sono state, peraltro, individuate altre due concrete ragioni alla base della norma: 1) la possibilità di aggredire l'acquirente in bonis verrebbe a aggirare i meccanismi della par condicio consentendo ad alcuni creditori di vedere il proprio credito soddisfatto in prededuzione (Masturzi, 971; Nonno, 1441), o per effetto dell'aggressione del cessionario,o per effetto indiretto della riduzione del prezzo di vendita ottenuta dal cessionario accollante (Barati, 1129); 2) la corresponsabilità dell'acquirente contrasterebbe con l'effetto purgativo generale che accompagna la vendita fallimentare invito domino, e che comporta, tra l'altro, l'estinzione dei privilegi gravanti sui beni che compongono l'azienda (Gallone, 2081; Nonno, 1442).

Si ritiene che l'espressione utilizzata dall'art. 2560 («per i debiti inerenti l'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento») comporti che la relativa deroga apportata dall'art. 105 interessi non solo i debiti concorsuali, ma anche i debiti maturati in prededuzione durante l'eventuale svolgimento dell'esercizio provvisorio (Nonno, 1442).

La deroga all'art. 2560 è – tuttavia – a propria volta resa derogabile dallo stesso art. 105 che consente una diversa pattuizione delle parti, nel qual caso si assisterà ad un effetto di accollo. peraltro operante per i soli debiti già ammessi al passivo, oppure oggetto di impugnazione (Barati, 1130). Va rilevato che, sebbene il comma quarto non richiami la regola del rispetto della graduazione dei crediti (enunciata dall'ultimo comma della norma in commento per l'ipotesi in cui l'accollo costituisca modalità per la corresponsione del prezzo di cessione), quest'ultima deve comunque ritenersi operante (Barati, 1130), dovendosi anzi ritenere che le contrarie pattuizioni rendano la cessione nulla (Bruschetta, 1168). In questo caso l'accollo avrà effetto liberatorio per il fallimento, non realizzandosi un effetto di responsabilità cumulativa (Barati, 1131).

Altre ipotesi in cui il cessionario verrà a rispondere dei debiti sono costituite: 1) dalla cessione delle attività e delle passività dell'azienda, oltre che di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, contemplata dal quinto comma; 2) dall'ipotesi in cui l'accollo dei debiti da parte del cessionario costituisca modalità di corresponsione – totale o parziale – del prezzo di cessione (cfr. infra), consentendo all'acquirente di pagare direttamente i creditori in luogo del pagamento del prezzo alla curatela (Nonno, 1443).

Nella prima delle due ipotesi in esame, con soluzione «simmetrica», l'art. 105 esclude l'applicabilità dell'art. 2560, stavolta con riferimento alla posizione del fallimento alienante, sebbene si sia notato che in questo caso non ci si trova neppure di fronte ad una cessione di azienda, che quindi la norma non avrebbe comunque trovato applicazione (Nonno, 1443; Vattermoli, 1466-1467). L'effetto concreto della previsione è di escludere la solidarietà tra fallimento alienante e acquirente in bonis, con la conseguenza che il creditore titolare della passività ceduta non potrà più rivolgersi al fallimento ma potrà avanzare pretese solo nei confronti dell'acquirente, con un effetto che è stato ritenuto affine a quello di un concordato fallimentare per assunzione dei debiti o con cessione dei beni senza che tuttavia i creditori abbiano modo vi esprimersi mediante un voto (Bruschetta, 1171; Nonno, 1443).

Laddove la cessione concerna debiti assistiti da garanzia reale o privilegio iscrizionale sui beni oggetto dell'azienda si pone il problema di conciliare la tutela della garanzia del creditore «ceduto» con l'effetto purgativo connesso alla vendita fallimentare, che dovrebbe condurre alla eliminazione del gravame senza certezza per il creditore ceduto di ottenere il prezzo realizzato per il bene. È stato da taluni suggerito come rimedio il rilascio di una garanzia a prima richiesta per il pagamento della quota di prezzo che dovrebbe essere imputata a pagamento del bene oggetto del gravame destinato a cancellazione (Nonno, 1443).

Nel caso dei debiti di natura tributaria si ritiene che non trovi applicazione la norma speciale di cui all'art. 14, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con conseguente esclusione della responsabilità del cessionario dell'azienda per i debiti tributari (Fimmanò, 1756; Gallone, 2097), valendo la previsione specifica del terzo comma dell'art. 105.

La cessione dei crediti ed il subentro nelle garanzie

Il regime della cessione dei crediti è disciplinato dal sesto comma della norma in commento, il quale, peraltro, riproduce letteralmente il disposto di cui al primo comma dell'art. 2559 c.c., stabilendo che la cessione dei crediti relativi alle aziende cedute, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Rimane salva anche la previsione dell'effetto liberatorio per il debitore che paghi in buona fede al cedente, e cioè al fallimento, che in tal caso resterà responsabile nei confronti del cessionario a titolo di indebito (Paluchowski, 1330) soggettivo ex latere accipientis. Di qui il suggerimento di stabilire espressamente nella cessione criteri temporali certi per l'attribuzione degli incassi (Paluchowski, 1330). Giustamente, peraltro, si evidenzia che la previsione in esame richiama l'art. 2559, nella parte in cui esclude che l'iscrizione della cessione di azienda nel registro delle imprese renda la cessione medesima automaticamente opponibile ai debitori ceduti, giacché, diversamente opinando, il terzo debitore potrebbe pagare in buona fede solo nell'ipotesi di omessa o ritardata iscrizione (Masturzi, 974; Miccolis, 730; contra Gallone, 2107). Va notato che, anche se il pagamento del terzo non sia liberatorio, il Curatore sarà comunque tenuto a restituire la somma al solvens, oppure a girare la domma al cessionario (Miccolis, 730).

Si discute se la cessione dei crediti costituisca effetto automatico della cessione dell'azienda, oppure se richieda uno specifico accordo tra cedente e cessionario (Barati, 1132; Fimmanò, 1742; Fontana-Leuzzi, 2312; Gallone, 2105; Nonno, 1436). La questione evidenzia l'opportunità che il profilo della cessione dei crediti sia espressamente regolato nel bando della procedura competitiva della cessione di azienda, stabilendo anche se la cessione sia pro solvendo o pro soluto (Fontana-Leuzzi, 2312; Gallone, 2107).

Quanto ai privilegi ed alle garanzie, il comma settimo prevede la conservazione dei medesimi in favore del cessionario, ancora una volta riprendendo una norma del codice civile, l'art. 1263, stavolta (Masturzi, 974). In tal modo viene conservato un fattore di appetibilità dell'azienda in cessione, evitando una liberazione delle garanzie, e quindi conservando valore (Paluchowski, 1324).

Il versamento del prezzo

Il nono comma dell'art. 105 consente che il pagamento del prezzo avvenga anche mediante accollo dei debiti da parte del cessionario, ma alla condizione che tale accollo non alteri la graduazione dei crediti. La precisazione finale comporta che l'accollo deve avvenire negli stessi termini ideali in cui sarebbe distribuito tra i creditori un ricavato pecuniario della vendita (Nonno, 1443-1444).

Ciò significa che il cessionario dovrà accollare i crediti seguendo l'ordine dei privilegi e, qualora si accolli i debiti chirografari, dovrà farlo in proporzione per ciascuno di essi (Nonno, 1442). Tale meccanismo rende conseguentemente assai arduo il ricorso all'accollo, proprio per la difficoltà di evitare una simile violazione e per le complessità dei relativi calcoli (Nonno, 1442).

Si ritengono ammissibili soluzioni «miste», parte con pagamento, parte con accollo, (Nonno, 1444), ma è evidente che in questo caso le difficoltà prima evidenziate verrebbero anche accresciute.

I rapporti di lavoro

La disciplina degli effetti della cessione di azienda sui rapporti di lavoro viene dettata in via generale dall'art. 2112 c.c., il quale prevede in via generale la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario, con conservazione di tutti i diritti del lavoratore, in deroga all'art. 2558 c.c. Il cessionario è altresì vincolato ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, ed è tenuto in solido col cedente per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento, in deroga all'art. 2560.

L'ultima previsione si applica, però, esclusivamente ai rapporti in essere al momento della cessione, e non ai lavoratori il cui rapporto sia precedentemente cessato, tornando in questo ad operare la regola generale dell'art. 2560, con limitazione della responsabilità del cessionario ai debiti risultanti dalle scritture contabili (Nonno, 1445).

In questo quadro l'art. 105 l.fall., senza operare una deroga generale all'art. 2112 (Gallone, 2083), si limita a prevedere che «nell'ambito delle consultazioni sindacali relative al trasferimento d'azienda, il curatore, l'acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e le ulteriori modifiche del rapporto di lavoro consentite dalle norme vigenti», di fatto recependo la previsione di cui all'art. 63.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, ed in tal modo consentendo la conclusione di accordi tra cedente, cessionario ed organizzazioni sindacali che escludano il subentro del cessionario in tutti i rapporti di lavoro in blocco (Paluchowski, 1331), con permanenza di alcuni lavoratori in capo al fallimento, salvo ricorso agli ammortizzatori sociali. La procedura di accordo diviene in tal modo presupposto perché il trasferimento di azienda non accompagnato dalla cessione di tutti i rapporti di lavoro sia efficace (Caiafa, 2034; Paluchowski, 1332): La constatazione è che manca un regime specifico che sarebbe stato invece opportuno, in particolare con riferimento al pagamento dei debiti pregressi derivanti dal rapporto di lavoro.

Stante anche una certa ambiguità del tenore letterale della previsione speciale, si pone il dubbio circa la sua applicabilità indiscriminata di tale norma a tutte le aziende (Caiafa, 2031; Corrado – Corrado, 229), quali che ne siano le dimensioni. In senso contrario sii rileva un robusto orientamento dottrinale che limita l'operatività della previsione alle sole imprese che abbiano le dimensioni di cui all'art. 47 l. 29 dicembre 1990, n. 428 (Fimmanò, 1751; Fontana-Leuzzi, 2314; Masturzi, 979; Miccolis, 731; Gallone, 2083). Ove si seguisse tale interpretazione, dovrebbe concludersi che per le imprese che non rispettano tale requisito, la cessione dell'azienda comporti l'applicazione dell'art. 2112, senza possibilità di deroga, se non nei casi di rinuncia individuale dei lavoratori, adottata secondo il procedimento di cui agli artt. 410, 411, 412-ter e 412-quater (Fimmanò, 1751; Gallone, 2092).

Va rammentato che il fallimento non costituisce giusta causa di risoluzione dei rapporti di lavoro (Caiafa, 2004; Nonno, 1447), ma, semmai, una ipotesi di giustificato motivo oggettivo, salvo il ricorso alla C.I.G.S. ex art. 3 l. 23 luglio 1991, n. 223. In assenza di previsioni espresse, tuttavia, deve ritenersi che i rapporti di lavoro pendenti alla data del fallimento restino sospesi ex art. 72 (Fimmanò, 1748; Caiafa, 2003), ben potendo il curatore optare per lo scioglimento ex art. 72. In questo caso, al momento della successiva cessione dell'azienda il rapporto di lavoro dovrà considerarsi già cessato, e – per effetto della previsione di cui al quarto comma — il cessionario non risponderà dei debiti pregressi, mentre, qualora venga disposto l'esercizio provvisorio dell'azienda, i contratti di lavoro verranno a proseguire (salvo che il curatore decida di sospenderli o risolverli) ai sensi dell'art. 104, comma settimo (Masturzi, 976).

Qualora, quindi, i rapporti di lavoro siano tuttora in corso (o ancora sospesi ex art. 72), alla data del trasferimento, si applicherà alla cessione di azienda la disciplina dell'art. 2112, con responsabilità del cessionario (in solido col cedente) piena ed estesa non solo alle retribuzioni arretrate ma anche al T.F.R. (Nonno, 1446), salva, appunto la deroga parziale consentita dal terzo comma dell'art. 105. Non osterebbe in tal senso la previsione del quarto comma dell'art. 105 – che, appunto, esclude la responsabilità del secondo comma dell'art. 2112, e cioè la responsabilità solidale del cessionario per i debiti anteriori alla cessione – in quanto la valenza di tale norma viene limitata ai soli debiti derivanti da rapporti di lavoro già cessati alla data del trasferimento (Nonno, 1447), anche se vanno ricordate altre opinioni che invece estendono la previsione dell'art. 105 anche ai debiti di lavoro, escludendo la responsabilità del cessionario (Barati, 1135).

È però possibile che il cessionario opti per l'accollo totale o parziale dei debiti verso i lavoratori (in special modo il T.F.R.), senza che ciò si traduca in lesione della par condicio in quanto a poter essere ceduti saranno solo i debiti che sarebbero stati pagati all'interno del fallimento essendo i rapporti proseguiti (Paluchowski, 1332).

Il quadro in tal modo ricostruito induce molti ad evidenziare come, nell'interesse della procedura, sia opportuno, prima di procedere alla liquidazione dell'azienda, procedere al licenziamento di tutti i lavoratori, in modo da evitare il funzionamento di un meccanismo che non può non incidere sul valore di realizzo dell'azienda (Fimmanò, 1753).

Resta escluso dalla tematica sin qui descritta il profilo dei debiti assunti dal fallito nei confronti degli enti previdenziali per omesso versamento dei contributi, in relazione ai quali riprende pieno vigore la disciplina generale sulla sorte dei debiti dell'azienda ceduta (Fimmanò, 1754; Gallone, 2094; Masturzi, 979).

Ancora di recente la Suprema Corte è venuta ad affermare la legittimità della deroga all'applicazione dell'art. 2112 c.c. in occasione del trasferimento dell'azienda di un'impresa insolvente, subordinatamente alla garanzia della conclusione di un accordo collettivo che limiti, nel rispetto delle condizioni e delle garanzie prescritte dalla legge, il passaggio alla società cessionaria dei dipendenti della cedente (Cass. sez. lav., 5180/2015).

In precedenza si era affermato che la deroga all'art. 2112 c.c., prevista dall'art. 47 l. 428/1990 era da ritenersi operante nell'ipotesi di fallimento quand'anche l'attività, non ancora cessata, fosse comunque sul punto di volgere a termine, alla luce della ratio della disciplina, da ravvisarsi nell'esigenza di salvaguardare l'occupazione (Cass. sez. lav., 24093/2009).

La diversità di posizione dei dirigenti comporta, in caso di trasferimento di azienda in stato di insolvenza, l'inapplicabilità della disposizione dettata dall'art. 47, comma quinto, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (Cass. sez. lav., 398/2007).

Le altre forme di liquidazione dell'azienda

In alternativa alla cessione unitaria dell'azienda, l'art. 105 prevede altre due forme di liquidazione, peraltro profondamente diverse. La prima è il conferimento in blocco dell'intera azienda in una società per procedere alla liquidazione o assegnazione delle quote della stessa. La seconda è, invece, la cessione «aggregata» di attività, passività, beni o rapporti, individuabili «in blocco». Nel primo caso ci si trova tuttora di fronte ad una ipotesi di conservazione dell'azienda nel suo complesso, sebbene il realizzo del controvalore non avvenga mediante la vendita diretta, ma per il tramite del realizzo delle quote della società conferitaria. Nel secondo caso – che presuppone che ogni modalità di realizzazione unitaria dell'azienda sia impraticabile o comunque non assicuri un maggior soddisfacimento dei creditori – si assiste invece ad una forma di liquidazione non ancora atomistica, ma comunque avente ad oggetto uno o più complessi di beni e rapporti ormai privi del vincolo funzionale aziendale.

Il conferimento in società

Il conferimento dell'azienda in una società anche di nuova costituzione (c.d. Newco) consente di operare una trasformazione dell'attivo fallimentare, in quanto l'azienda che lo compone viene ad essere sostituita dalle quote della società conferitaria. La diretta conseguenza è che il rischio della massa cessa di essere costituito dal potenziale depauperamento dei cespiti per essere sostituito dal potenziale depauperamento delle quote (Nonno, 1434), mentre il patrimonio aziendale viene ad essere inserito in un meccanismo di segregazione, divenendo patrimonio della newco. In tal modo, mentre il fallito diviene titolare delle quote della conferitaria, i creditori concorsuali vengono a soddisfarsi o mediante la vendita delle quote medesime (operata dal curatore in sostituzione del fallito quale gestore del sua patrimonio), oppure tramite la loro diretta attribuzione (Nonno, 1434).

È stato notato che invece l'opzione del conferimento in una società già esistente risulta complicata sia dai criteri di scelta della società conferitaria (scelta che dovrebbe avvenire mediante procedure competitive), sia dall'esistenza di una pluralità di soci (Nonno, 1435). Sul piano pratico, quindi, appare preferibile la scelta della newco che rende il fallito socio unico e non crea problemi di scelta della società.

Uno dei vantaggi del conferimento è quello di evitare la scelta sia dell'esercizio provvisorio, con conseguente maturarsi di costi in prededuzione (in quanto i risultati negativi di gestione restano nell'ambito della conferitaria: Paluchowski, 1335; Fontana-Leuzzi, 2319), sia di un affitto di azienda che non incentiva l'affittuario a valorizzare un'azienda di cui – ove partecipi alla successiva procedura competitiva – dovrebbe pagare tramite il prezzo anche l'incremento di valore (Gallone, 2110; Fimmanò, 523; Fontana-Leuzzi, 2320; Nonno, 1434). La complessità dell'operazione, comunque, impone che essa sia espressamente prevista (e descritta) nel programma di liquidazione, per quanto la lettera dell'art. 104-ter non contempli tale contenuto tra quelli del programma (Fontana-Leuzzi, 2318).

Per l'ipotesi di cessione anche di passività, peraltro, viene prevista l'esclusione della responsabilità dell'alienante prevista dall'art. 2560, con la conseguenza che il fallimento non risponderà dei debiti contratti prima del conferimento (Nonno, 1434), realizzandosi, in tal modo una sorta di ristrutturazione finanziaria dei debiti dell'impresa fallita (Masturzi, 981). Ciò comporta la preclusione all'utilizzo per la costituzione della newco di modelli che prevedano la responsabilità illimitata dei soci, atteso che ciò vanificherebbe l'espressa esclusione di responsabilità (Masturzi, 981).

La prospettiva dell'accollo da parte della newco di parte dei debiti che gravano sul fallimento – non esclusa in radice, e verosimile nel caso che alcuni dei beni conferiti siano gravati da diritti reali di garanzia o privilegi – pone il problema dell'applicabilità dell'ultimo comma dell'art. 105, che vieta che l'accollo dei debiti si traduca in alterazione della par condicio. Una tesi si pronuncia in senso negativo, evidenziando la complessità della verifica che in tal modo si imporrebbe, ed invocando il dato letterale per cui il vincolo in esame si applica alle ipotesi di versamento del prezzo, laddove in questo caso l'accollo sarebbe connesso ad un mero conferimento (Masturzi, 985).

La cessione aggregata di beni o rapporti

In questo caso la liquidazione non concerne più il complesso aziendale ancora conservato nella sua unitarietà, bensì una modalità di liquidazione che è intermedia rispetto alle cessioni atomistiche vere e proprie, le quali quindi costituiscono forma di liquidazione residuale (Masturzi, 963). È stato evidenziato che in tale ipotesi si assiste ad una ipotesi di sale of assets anziché di sale of business, in quanto la cessione non concerne più un insieme di beni o rapporti funzionalmente coordinati (azienda), ma comunque gruppi unitari di beni e/o rapporti che, nell'ottica del cessionario, ben possono essere inseriti in un'azienda preesistente (Fimmanò, 1735).

La cessione aggregata – che comunque consente un'accelerazione della liquidazione e dovrebbe garantire un miglior realizzo – appare da preferire, ove possibile (Nonno, 1443), ed appare mutuata dall'art. 90 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, che, nell'ambito della liquidazione coatta degli istituti di credito, consente la cessione degli sportelli, comprensivi di debiti, crediti e personale (Nonno, 1443).

Qualora la vendita comprenda anche la cessione di passività dell'impresa, è stato correttamente osservato che non dovrà in ogni caso prodursi un'alterazione dell'ordine delle cause di prelazione (Paluchowski, 1334), operando l'ultimo comma dell'art. 105, intesa quale norma di chiusura (Miraglia, 354).

Appare del tutto condivisibile la tesi favorevole ad una lettura estensiva del secondo comma dell'art. 105 anche alle cessioni aggregate, con conseguente applicazione dei vincoli dettati dall'art. 107 alle procedure di vendita (competitività e pubblicità) (Gallone, 2073).

Nell'ipotesi in esame, l'art. 105 esclude espressamente la irresponsabilità dell'alienante per le obbligazioni anteriori al trasferimento, derogando all'art. 2560, ma è agevole notare che la precisazione è pleonastica, in quanto esclude l'applicazione di una norma dettata per la cessione di azienda in una situazione in cui oggetto della cessione non è un azienda ma un coacervo di beni e/o rapporti (Fontana-Leuzzi, 2307; Masturzi, 964), operando, semmai, le norme in tema di cessione dei debiti, dei crediti (art. 1264), o dei contratti (art. 1406), e non le previsioni in materia di cessione di azienda (Barati, 1140; Fontana-Leuzzi, 2308; Gallone, 2100).

In realtà la previsione ha comunque ragion di operare solo nell'ipotesi di cessione delle passività, e nei limiti delle medesime, giacché negli altri casi genererebbe un ingiustificato nocumento per creditori che non potrebbero rivolgersi al fallimento, ma neppure al cessionario, esonerato dalla regola generale del quarto comma (Gallone, 2101). Si può, semmai, notare, che nella previsione in esame si verifica una sorta di rovesciamento del rapporto regola-eccezione rispetto al quarto comma, in quanto il subentro del cessionario nelle passività con effetto liberatorio per il cedente diviene un naturale negotti (Miraglia, 353). Nell'ipotesi di cessione delle passività garantire da garanzie reali o privilegi, si ritiene che debbano essere trasferiti all'acquirente anche i beni gravati da tali diritti, perché i creditori possano utilmente aggredirli in caso di inadempimento dell'aggiudicatario, senza possibilità di purgazione ex art. 108 (Fontana-Leuzzi, 2309; Gallone, 2103).

Bibliografia

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