Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 121 - Casi di riapertura del fallimento.

Valentino Lenoci

Casi di riapertura del fallimento.

 

Nei casi preveduti dai nn. 3 e 4 dell'articolo 118, il tribunale, entro cinque anni dal decreto di chiusura, su istanza del debitore o di qualunque creditore, può ordinare che il Fallimento già chiuso sia riaperto, quando risulta che nel patrimonio del fallito esistano attività in misura tale da rendere utile il provvedimento o quando il fallito offre garanzia di pagare almeno il dieci per cento ai creditori vecchi e nuovi.

Il tribunale, con sentenza in camera di consiglio, se accoglie l'istanza1:

1) richiama in ufficio il giudice delegato ed il curatore o li nomina di nuovo;

2) stabilisce i termini previsti dai numeri 4) e 5) del secondo comma dell'articolo 16, eventualmente abbreviandoli non oltre la metà; i creditori già ammessi al passivo nel fallimento chiuso possono chiedere la conferma del provvedimento di ammissione salvo che intendano insinuare al passivo ulteriori interessi2.

La sentenza può essere reclamata a norma dell'articolo 183.

La sentenza è pubblicata a norma dell'art. 17.

Il giudice delegato nomina il comitato dei creditori, tenendo conto nella scelta anche dei nuovi creditori.

Per le altre operazioni si seguono le norme stabilite nei capi precedenti.

Inquadramento

Le peculiarità della disciplina dei singoli casi di chiusura si riverberano pure nel caso di riapertura. I presupposti per farsi luogo alla riapertura della procedura fallimentare sono che: non siano trascorsi più di cinque anni dalla chiusura del fallimento [in proposito la giurisprudenza (Cass. n. 11654/1993) ha ritenuto che il limite temporale dei cinque anni dalla chiusura del fallimento non vada determinato rispetto alla presentazione dell'istanza ex art. 121 l.fall., ma piuttosto al momento entro il quale la sentenza di riapertura deve essere pronunciata]; la chiusura sia avvenuta per compiuta ripartizione finale o insufficienza di attivo [art. 118, nn. 3) e 4) l.fall.] e non invece per gli altri motivi previsti; nel patrimonio del fallito esistano attività in misura tale da rendere utile il provvedimento, ovvero il fallito offra garanzie idonee a soddisfare almeno il dieci percento dei creditori vecchi e nuovi; vi siano tuttora creditori insoddisfatti in tutto o in parte al momento della riapertura della procedura.

È stato sostenuto che in occasione della riapertura del fallimento potrebbero trovare soddisfazione, ovviamente nei limiti dell'attivo disponibile, anche i titolari di crediti antecedenti all'originaria dichiarazione di fallimento che, tuttavia, non abbiano partecipato al concorso nell'ambito della procedura cessata, nonché i titolari di pretese creditorie traenti titolo da atti posti in essere dal debitore in seno alla medesima procedura (Capo, 540). Si dubita, invece, che la procedura possa riaprirsi quando la società sia stata cancellata ai sensi dell'art. 118, comma 2, l.fall., o nel caso in cui sia stata concessa l'esdebitazione ai sensi dell'art. 142 l.fall. (Lo Cascio, 1190).

Altra ipotesi in cui si potrà avere riapertura del fallimento è nel caso di risoluzione e annullamento del concordato (artt. 137 e 138 l.fall.). Ed ancora, analizzando l'inciso della norma, si evince la possibilità che «il fallimento già chiuso sia riaperto», ossia che si ripristino gli effetti della precedente dichiarazione di fallimento, alle condizioni e coi limiti stabiliti dalla stessa norma e da quelle che seguono; quindi, la lettera della norma lascia chiaramente intendere che con la riapertura «non si fa luogo ad un nuovo fallimento, ma ad una prosecuzione della precedente procedura» (Lo Cascio, 769).

A tale tesi ha aderito la Corte di Cassazione, chiarendo che l'accoglimento dell'istanza ex art. 121 l.fall. determina la reviviscenza dell'originario procedimento concorsuale, a nulla rilevando che possano essere ammessi a partecipare anche creditori successivi alla chiusura e che gli atti compiuti medio tempore dall'imprenditore possano essere revocati (Cass. n. 16656/2008); la riapertura è quindi considerata, generalmente, come una nuova fase dello stesso fallimento e non come un nuovo fallimento (Di Cecco, 750; Pajardi, 889)

La giurisprudenza di merito, peraltro, precisa che la riapertura non può essere considerata né una mera prosecuzione del fallimento precedente, né un procedimento nuovo e distinto tout court, con la conseguenza che l'ulteriore attività da svolgere dopo la riapertura è autonoma e trova regolamentazione nella disciplina vigente al momento della riapertura (Trib. Roma, 1 luglio 2009).

Le preclusioni

È stato detto che, essendo possibile la riapertura, solo nei casi di cui ai numeri 3 (compiuta ripartizione dell'attivo) e 4 (mancanza di attivo) dell'art. 118 l.fall., ad essa non può farsi luogo, qualora il fallimento si sia chiuso per i casi di cui ai numeri 1 (mancata presentazione di domande di ammissione) e 2 (pagamento o estinzione dei crediti ammessi) dello stesso art. 118 l.fall. o comunque quando non vi siano più crediti ammessi al passivo non ancora interamente soddisfatti.

Nel caso di società iscritta nel registro delle imprese, peraltro, la disciplina della riapertura deve essere coordinata con quella relativa alla cancellazione dal suddetto registro. Pertanto, se la società è stata cancellata, come previsto dall'art. 118, comma 2, l.fall., poiché l'istituto della riapertura del fallimento presuppone che l'ente non si sia estinto con la chiusura del fallimento, la riapertura sarebbe preclusa dopo la scadenza del termine annuale di cui all'art. 10 l.fall. (Limitone, 1702).

Diversamente, può essere riaperto il fallimento di un singolo socio illimitatamente responsabile, dichiarato per estensione ex art. 147 l.fall., quando esso non si sia chiuso per «ripercussione» della chiusura del fallimento sociale nei casi di cui ai nn. 1) e 2) dell'art. 118 l.fall., ma si sia, a sua volta, chiuso per i casi di cui ai numeri 3) e 4), e sempreché ancora sussistano, al momento della riapertura, obbligazioni della società delle quali il socio debba rispondere (LiccardoFederico, 695).

Quanto all'esdebitazione è stato precisato (Norelli, 692 ss.) che questa ha in comune con la riapertura un presupposto, ovvero la permanenza dopo la chiusura dei crediti ammessi ancora da soddisfare (in parte); ma ciò implica anche che l'operare della prima non consente di far luogo alla seconda: con la pronuncia di esdebitazione i crediti residui divengono «inesigibili» (art. 143 l.fall.), ed allora, non essendovi più crediti ammessi ancora da soddisfare, viene meno il presupposto della riapertura. Diversamente, nella ipotesi di riapertura, non vi sarebbe la preclusione della successiva esdebitazione: questa è concedibile quanto il fallimento (riaperto) di chiuda per compiuta ripartizione dell'attivo (Norelli, 692).

L'utilità del provvedimento

La riapertura del fallimento può alternativamente conseguire al riscontro dell'obbiettiva utilità del provvedimento, stante la consistenza patrimoniale del debitore, ovvero al profilarsi per i vecchi e nuovi creditori della prospettiva, confortata dalla prestazione di garanzie ad hoc da parte del fallito di veder soddisfatti i loro crediti nella misura di almeno il dieci percento (Capo, 541).

La norma in commento subordina la riapertura del fallimento a due condizioni: a) che «nel patrimonio del fallito esistano attività in misura tale da rendere utile il provvedimento»; b) che il fallito offra «garanzia di pagare almeno il 10 percento ai creditori vecchi e nuovi».

Tali condizioni sono fra di loro alternative, per cui è sufficiente che se ne realizzi una sola.

Quanto all'esistenza di attività, queste devono essere esistenti nel patrimonio del fallito, sicché possono essere non solo sopravvenute, ma anche preesistenti alla chiusura.

Queste possono anche consistere in beni di qualunque natura, ovvero nell'incremento di valore di beni preesistenti (ad es., un terreno inappetibile che diventa edificatorio), ovvero nel realizzo di crediti futuri ed incerti al momento della chiusura. Può anche trattarsi di semplici azioni tendenti all'acquisizione di beni, purché di titolarità del fallito (e perciò esistenti nel suo patrimonio), sicché sono escluse (dall'ambito di valutazione del tribunale ai fini del giudizio di utilità) le azioni di pertinenza della massa (art. 124, comma 4, l.fall.), cui il fallito non è legittimato (spettando la legittimazione al solo curatore).

Sul punto è stato evidenziato che non sembra necessario che le attività siano in misura tale da rendere utile la riapertura per tutti i creditori, ossia che tutti possano ricevere un qualche soddisfacimento in sede di ripartizione, potendo, invece, bastare che la riapertura consenta di pagare (almeno in parte) anche solo taluni creditori muniti di prelazioni.

In merito alla seconda condizione, il fallito deve offrire garanzia del pagamento di almeno il dieci per cento a creditori vecchi e nuovi. Data l'alternatività fra le due condizioni, pare evidente che questa seconda si realizza quando nel patrimonio del fallito non vi sono attività (quanto meno in misura tale da rendere «utile» la riapertura), sicché le «garanzie» non possono non provenire da terzi; invero, la formulazione della norma legittima il ricorso a garanzie di carattere personale o reale, gravanti su beni di proprietà del debitore ovvero di terzi (fermo restando che deve comunque trattarsi di garanzie incondizionate, documentate e dirette a supportare l'offerta del debitore) (Capo, 542). In questa prospettiva, sembra sufficiente che la percentuale minima del dieci per cento sia calcolata sull'ammontare complessivo del passivo, comprensivo dei crediti «vecchi» e «nuovi», indifferentemente chirografari o prelatizi che essi siano. Le attività, così acquisite al fallimento riaperto grazie alle «garanzie» dei terzi, saranno, poi, ripartite fra i creditori ammessi in base alle rispettive cause di prelazione. In altri termini, non sembra necessario che l'impegno dei terzi garanti debba coprire l'intero ammontare dei crediti muniti di prelazioni, oltre al dieci per cento dei crediti chirografari: infatti, la norma non riferisce tale percentuale ai soli creditori chirografari, ma a tutti i «creditori vecchi e nuovi».

Profili procedimentali della riapertura del fallimento

La legittimazione a chiedere la riapertura del fallimento, secondo quanto disposto dall'art. 121 l.fall., spetta in primis al debitore che può a tal fine attivarsi in funzione della tutela di un interesse proprio, anche di carattere morale; e deve altresì riconoscersi ai suoi eredi che, d'altra parte, possono ritenersi legittimati anche a proporre la domanda di concordato fallimentare (Capo, 544).

Dunque, legittimati all'istanza sono il debitore e qualunque creditore (vecchi e i nuovi) (Lo Cascio, 771). Più precisamente, il fallito può chiedere la riapertura sia nel caso di esistenza di attività nel suo patrimonio sia nel caso in cui offra garanzia di pagamento di almeno il dieci per cento; i creditori, invece, possono chiedere la riapertura solo nel primo caso, l'offerta della garanzia dipendendo dall'iniziativa del debitore. La riapertura del fallimento non può invece essere disposta dal tribunale d'ufficio o su istanza del pubblico ministero (Cass. n. 9527/2005), né su iniziativa dell'ex curatore fallimentare (Apice, 95).

Il procedimento di riapertura si svolge davanti al tribunale fallimentare, ossia lo stesso tribunale che ha dichiarato il fallimento già chiuso (essendo esso «investito dell'intera procedura fallimentare»: art. 23, comma 1, l.fall.), nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio (come si evince dalla disposizione del secondo comma per la quale il tribunale provvede «con sentenza in camera di consiglio»).

Il tribunale è chiamato ad accertare esclusivamente i presupposti della riapertura, e non, nuovamente, i requisiti di fallibilità e l'insolvenza dell'imprenditore. Ove il tribunale decida di accogliere l'istanza, pronuncia sentenza, con la quale dispone la riapertura del fallimento. Oltre a tale statuizione, di natura decisoria (Cass. n. 26688/2006) il provvedimento contiene, altresì, disposizioni a carattere ordinatorio, concernenti lo svolgimento della procedura riaperta. Difatti con tale provvedimento il giudice provvede a richiamare in ufficio il giudice delegato e il curatore o a nominarli ex novo, ed assegna nuovi termini per le insinuazioni e per la verifica dei crediti eventualmente abbreviandoli non oltre la metà.

Avverso la sentenza di riapertura può essere proposto reclamo a norma dell'art. 18 l.fall. dal debitore (se la riapertura non è stata da lui chiesta) e da «qualunque interessato» (perciò, non solo da coloro che sono legittimati all'istanza di riapertura). La previsione del reclamo (in luogo dell'appello, già previsto dalla riforma di cui al d.lgs. n. 5/2006) è stata introdotta dal d.lgs. n. 169/2007, in parallelo con l'analogo regime dettato per la sentenza di fallimento. Avverso la sentenza della corte d'appello, che accoglie o rigetta il reclamo (revocando o confermando la riapertura del fallimento), è esperibile il ricorso per cassazione (art. 18, comma 12, l.fall.).

Esaurite le impugnazioni, la sentenza di riapertura passa in giudicato (art. 323 c.p.c.) e non può essere revocata o modificata dallo stesso tribunale che l'ha pronunciata, né da alcun altro giudice (Cass. n. 26688/2006).

La sentenza di riapertura deve essere pubblicata a norma dell'art. 17 l.fall., e deve essere iscritta nel registro delle imprese.

Gli effetti della riapertura

Dal momento che la sentenza di riapertura ripristina gli effetti della sentenza dichiarativa del fallimento, deve ritenersi che la prima sia soggetta al medesimo regime della seconda. La riapertura ha sempre efficacia ex nunc (Lo Cascio, 772), quindi gli effetti del fallimento vengono ripristinati a partire dalla pronuncia della sentenza che la dispone e non già retroattivamente dal (precedente) decreto di chiusura della procedura. Di conseguenza, la riapertura non travolge gli atti compiuti dal debitore dopo la chiusura, gli effetti dei quali restano, perciò, fermi, salvo quanto stabilito dall'art. 123 l.fall.

Premesso quanto esposto, la procedura riaperta si svolge come quella già chiusa: infatti, salvo quanto diversamente stabilito dalle specifiche disposizioni degli artt. 121-123 l.fall., per tutte le operazioni fallimentari «si seguono le norme stabilite nei capi precedenti», come detta il comma sesto dell'articolo in commento. Difatti quanto alla massa attiva, questa è costituita da tutti i beni che si trovano nel patrimonio del fallito al momento della riapertura (art. 42 l.fall.) oltre a quelli messi a disposizione dai terzi «garanti», in caso di offerta di «garanzie» di pagamento della percentuale minima del dieci per cento. Quanto agli organi, con la sentenza che apre il fallimento, il tribunale richiama gli organi a suo tempo nominati (giudice delegato e curatore), procede alla nomina del nuovo comitato dei creditori con l'inclusione di quelli nuovi (art. 121, comma 5, l.fall.), stabilisce nuovi termini per l'esame del passivo e la presentazione della domanda in cancelleria. Infine con la riapertura, oltre a riprendere vigore tutti gli effetti che si determinano con la dichiarazione di fallimento, è data la possibilità di impugnare, ai sensi degli artt. 65, 67 e 67-bis l.fall., gli atti pregiudizievoli posti in essere dal debitore dopo la chiusura del fallimento. I termini però sono computati dalla data della sentenza di riapertura (art. 123 l.fall.). Sono, altresì, considerati inefficaci gli atti a titolo gratuito e quelli di cui all'art. 69 l.fall. disposti dal debitore dopo la chiusura e prima della riapertura del fallimento (art. 123 l.fall.). Potendo concorrere nella procedura riaperta creditori vecchi e nuovi, gli effetti utili dell'esperimento di tali azioni andranno distribuiti tra tutti i creditori concorrenti (Lo Cascio, 1201).

Qualora venga disposta la riapertura di un fallimento sottoposto al regime del c.d. «vecchio rito» (fallimento dichiarato prima del 16 luglio 2006), troverà applicazione, per la fase successiva di riapertura, la disciplina in vigore in quel momento, cioè il nuovo rito fallimentare (Trib. Roma 1 luglio 2009, in Fall. 2010, 248; Nisivoccia 2010, 727).

I creditori già ammessi al passivo

Sotto la previgente disciplina si riteneva che i provvedimenti di ammissione allo stato passivo restassero efficaci anche nel fallimento riaperto, sicché i vecchi creditori non dovevano presentare una nuova domanda di ammissione (Pajardi, 893).

In base all'art. 121, comma 2, n. 2), l.fall., nel testo modificato dall'art. 111, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 5/2006, i creditori già ammessi al passivo possono chiedere la conferma del provvedimento di ammissione, evidentemente al g.d. (Riso, 266), salvo che essi intendano insinuare al passivo ulteriori interessi.

Sembra, dunque, che, nel caso di mancata domanda di conferma, i «vecchi» creditori non possano essere presi in considerazione ai fini dei nuovi riparti (Di Cecco, 755), anche se la soluzione non appare così pacifica, in quanto, secondo una parte della dottrina, l'ammissione al passivo resta ferma dopo la riapertura, senza la necessità di una nuova domanda, se non per gli interessi maturati successivamente: Grande, 594; De CrescienzoMatteiPanzani, 135).

I creditori presenti nel vecchio stato passivo, in ogni caso, possono chiedere di essere ammessi nel nuovo stato passivo per gli interessi maturati nel frattempo; per i creditori chirografari, dalla data del primo fallimento alla data della riapertura; per i creditori privilegiati, tutti gli interessi non pagati e spettanti secondo le regole proprie di ciascun credito (Limitone, 1705).

Nel caso di creditori che abbiano proposto opposizione allo stato passivo nel precedente fallimento poi chiuso, e con accantonamento ai sensi dell'art. 113, n. 3), l.fall., questi potranno, in caso di esito vittorioso del giudizio di cassazione, riscuotere direttamente la somma oggetto di accantonamento, e chiedere inoltre, nel fallimento riaperto, l'ammissione per gli ulteriori interessi nel periodo intanto trascorso (Limitone, 1705).

Possono presentare domanda di ammissione nello stato passivo del fallimento riaperto anche i creditori anteriori alla prima procedura, che non si erano mai insinuati, nonché i creditori successivi all'apertura del primo fallimento, per crediti sorti durante la procedura, ed anche successivamente alla chiusura.

Bibliografia

v. sub art. 118.

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