Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 129 - Giudizio di omologazione 1 .Giudizio di omologazione1.
Decorso il termine stabilito per le votazioni, il curatore presenta al giudice delegato una relazione sul loro esito. Se la proposta e' stata approvata, il giudice delegato dispone che il curatore ne dia immediata comunicazione a mezzo posta elettronica certificata al proponente, affinche' richieda l'omologazione del concordato e ai creditori dissenzienti. Al fallito, se non e' possibile procedere alla comunicazione con modalita' telematica, la notizia dell'approvazione e' comunicata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Con decreto da pubblicarsi a norma dell'articolo 17, fissa un termine non inferiore a quindici giorni e non superiore a trenta giorni per la proposizione di eventuali opposizioni, anche da parte di qualsiasi altro interessato, e per il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata col suo parere definitivo. Se il comitato dei creditori non provvede nel termine, la relazione e' redatta e depositata dal curatore nei sette giorni successivi2. L'opposizione e la richiesta di omologazione si propongono con ricorso a norma dell'articolo 26. Se nel termine fissato non vengono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarita' della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame. Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell'ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell'articolo 128, se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta, il tribunale puo' omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. Il tribunale provvede con decreto motivato pubblicato a norma dell'articolo 17. [1] Articolo sostituito dall'articolo 119 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e, successivamente, dall'articolo 9, comma 8, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [2] Comma sostituito dall'articolo 17, comma 1, lettera o), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179. Per l'applicazione del presente comma vedi quanto disposto dai commi 4 e 5 del medesimo articolo 17. InquadramentoApertura della fase di omologazione. La relazione del curatore sull'esito della votazione — Prima della riforma era previsto che, decorso il termine stabilito per le votazioni, il giudice delegato, accertato il raggiungimento o meno delle maggioranze previste dalla legge, doveva nel primo caso dichiarare aperto il giudizio di omologazione (avente ad oggetto anche la convenienza del concordato: Pagni, 1042), nel secondo respingere la proposta di concordato. Ove vi fosse stata la necessità di accertamenti in fatto, ad esempio su rapporti familiari di alcuni creditori con il fallito atti ad escludere i crediti dal voto e dal computo delle maggioranze, era il curatore ad essere chiamato a fornire al giudice delegato le relative notizie; e quando vi fosse stata la necessità di risolvere qualche problema di diritto, quale ad esempio quello delle regole per stabilire la data della cessione di crediti ai fini dell'esclusione dal voto di quelli ceduti dopo il fallimento, a provvedervi doveva essere il giudice delegato. La norma del primo comma dell'art. 129 che prescrive ora la presentazione al giudice delegato, da parte del curatore, di una relazione sull'esito della votazione, ha certamente un carattere innovativo (sulla portata del quale, anche alla luce di quanto testé osservato con riferimento alla disciplina previgente, v. infra,), che si giustifica in considerazione della maggiore complessità della verifica del raggiungimento delle maggioranze, in particolare quando vi sia stata suddivisione dei creditori in classi e della possibilità di più numerose dichiarazioni di dissenso, in specie quando alla votazione siano state sottoposte contemporaneamente più proposte in competizione fra di loro. La verifica, cui è chiamato il curatore per redigere la relazione al giudice delegato, continuerà spesso, anche nel nuovo sistema, a non presentare particolari difficoltà quando non vi siano che poche dichiarazioni di dissenso (e su di essa il giudice delegato potrà compiere una preliminare delibazione sulla correttezza delle conclusioni del curatore, richiedendo, eventualmente, chiarimenti ed integrazioni: Cristiano, 1776). In ogni caso il curatore deve, innanzitutto, verificare l'ammontare dei crediti ammessi al voto. A tal fine, salvo il caso in cui alla scadenza del termine per la votazione non sia stato ancora emanato il decreto di esecutività dello stato passivo, terrà conto delle risultanze del verbale di stato passivo; poiché, tuttavia, in caso di variazioni intervenute, ad esempio, in dipendenza dell'accoglimento di opposizioni a stato passivo, secondo una prassi consolidata prima della riforma il curatore teneva conto — sia pure ad altro fine, quello della predisposizione dei progetti di ripartizione dell'attivo — delle variazioni intervenute soltanto se annotate su richiesta della parte interessata in calce al verbale di stato passivo, occorre chiedersi se intervenuta una variazione anteriormente alla scadenza del termine per la votazione, ne debba tener conto ancorché non annotata in calce al verbale di stato passivo. Poiché, poi, dal verbale di stato passivo può risultare l'ammissione di creditori esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze ai sensi del quinto, sesto e settimo comma dell'art. 127 (v. supra, sub artt. 127-128) il curatore dovrà altresì verificare la sussistenza in fatto di situazioni che valgono ad escludere dal voto creditori ammessi a stato passivo. Potrebbero, poi, presentarsi problemi in diritto, come ad esempio quello del diritto di voto della classe di creditori chirografari alla quale è offerto il soddisfacimento integrale o quello dell'ammissibilità al voto dei creditori postergati (supra, sub artt. 127-128), sui quali il curatore dovrà esprimere le proprie valutazioni. Il curatore deve, poi, verificare l'ammontare dei crediti con riguardo ai quali sono pervenute dichiarazioni di dissenso ed, eventualmente, dichiarazioni di assenso da parte dei creditori con prelazione. Questa verifica, attraverso l'esame delle dichiarazioni pervenute in cancelleria, è certamente assai più semplice. È appena il caso di rilevare che eventuali errori di calcolo o di valutazione sono comunque privi di rilievo se non incidono sull'esito della votazione. Il provvedimento del giudice delegato — Mentre prima della riforma era preveduto, come si è già ricordato, che il giudice delegato se le maggioranze erano state raggiunte doveva dichiarare aperto il giudizio di omologazione e, in caso contrario, doveva dichiarare respinta la proposta di concordato, nel vigente secondo comma dell'art. 129 si statuisce che se la proposta è approvata il giudice delegato dispone che il curatore ne dia immediata comunicazione al proponente affinché richieda l'omologazione. L'art. 17, d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, è intervenuto per semplificare il sistema di comunicazioni tra il proponente e gli organi della procedura, novellando l'art. 129 l.fall. (con modifica in vigore in vigore dal 19 dicembre 2012; per i fallimenti nei quali a tale ultima data sia stata già effettuata la comunicazione ex art. 92, la norma sia applica dal 31 ottobre 2013): si è, infatti, previsto che la superiore comunicazione venga fatta a mezzo posta elettronica certificata al proponente, affinché richieda l'omologazione del concordato e ai creditori dissenzienti. Al fallito, se non è possibile procedere alla comunicazione con modalità telematica, la notizia dell'approvazione è comunicata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Ha altresì aggiunto che «con decreto da pubblicarsi a norma dell'art. 17, fissa un termine non inferiore a quindici giorni e non superiore a trenta giorni per la proposizione di eventuali opposizioni, anche da parte di qualsiasi altro interessato, e per il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata col suo parere definitivo». Nulla, invece, si prevede invece per il caso che la proposta non sia stata approvata, nel qual caso la procedura fallimentare riprenderà, dunque, il suo corso (Maffei Alberti 867-868; Pagni 1043). Si discute se, in tale ipotesi, il giudice delegato possa limitarsi ad emettere un decreto di archiviazione della procedura, soggetto a reclamo (Blatti, 1798) ovvero se debba comunque riferire al Collegio, chiamato ex art. 129, quarto comma, a verificare la regolarità della procedura e l'esito della votazione (Cristiano, 1776). Si è affermato che non esiste più una pronuncia preventiva del giudice delegato, il quale, in caso di approvazione, deve soltanto fissare i termini per le eventuali opposizioni ad omologa; in caso di mancata approvazione, si è invece sostenuto che la dichiarazione di reiezione della proposta di concordato deve essere emanata dal tribunale (Blatti, sub art. 129, 1798 ss.). La previsione contenuta nel quarto comma dell'art. 129, della verifica, da parte del tribunale, della regolarità della procedura e dell'«esito della votazione» al fine dell'omologazione del concordato, non sembra tuttavia sufficiente a ridurre il giudice delegato a ruolo di mero passacarte, con il curatore chiamato a «verificare» l'esito della votazione e il tribunale ad accertare l'esito, anche se negativo. In realtà la norma disciplina soltanto l'iter da seguire in caso di esito positivo della votazione disponendo che il tribunale deve essere investito dell'omologazione su istanza del proponente e che il giudice delegato, a tal fine, deve far dare comunicazione dell'esito positivo della votazione al proponente, al fallito ed ai creditori dissenzienti e deve altresì fissare il termine per la proposizione di eventuali opposizioni. Poiché nulla è previsto in caso di esito negativo deve ritenersi che il giudice delegato possa dare atto dell'esaurimento del procedimento con un provvedimento che potrà, se del caso, essere impugnato con il reclamo ove si contesti il mancato raggiungimento della maggioranza. In ogni caso, sia stata o meno raggiunta la maggioranza, alla relazione del curatore non sembra potersi attribuire che un valore informativo ed ove da essa risulti che il concordato è stato approvato il giudice delegato deve avviare l'iter per l'omologazione previa verifica preliminare dell'esito della votazione (Ruosi, sub art. 129, § 6), sulla base delle informazioni contenute nella relazione del curatore e di quelle ulteriori che ritenesse di richiedere quando le conclusioni del curatore risultassero fondate su accertamenti in fatto incompleti o su valutazioni in diritto errate. A tali conclusioni induce la considerazione della funzione, attribuita in via generale al giudice delegato, di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura. Sarebbe, del resto, contrastante con esigenze di economia processuale l'avvio dell'iter dell'omologazione ove risultasse che le conclusioni del curatore sull'intervenuta approvazione del concordato sono errate. Il giudice delegato, oltre a disporre che venga data comunicazione dell'esito della votazione al proponente «affinché richieda l'omologazione del concordato», nonché al fallito ed ai creditori dissenzienti, deve altresì «con decreto da pubblicarsi a norma dell'art. 17», fissare un termine per la proposizione delle eventuali opposizioni ad omologa e per il deposito del parere definitivo del comitato dei creditori. È stato previsto, come si è detto, che il proponente il concordato deve richiedere l'omologa «con ricorso ai sensi dell'art. 26» (sulla fase introduttiva del procedimento e sulla necessaria sollecitazione all'introduzione del giudizio v. Fabiani, 584). Occorre ricordare, in proposito, che prima della riforma al procedimento di omologazione veniva attribuito carattere officioso, anche se occorreva pur sempre un atto di impulso rappresentato dalla iscrizione a ruolo, cui provvedeva ordinariamente il fallito proponente il concordato, in difetto del quale non era possibile la trattazione delle questioni relative all'omologa. Ricalcando la disciplina ante riforma l'art. 129, secondo comma, non dispone che il decreto di fissazione del termine per la proposizione delle eventuali opposizioni ad omologa debba essere emanato — come la logica vorrebbe — solo dopo la presentazione della richiesta di omologa (nel senso che la fissazione del termine interviene contestualmente alla disposizione della comunicazione dell'esito della votazione v. Ruosi, sub art. 129, § 5): sicché il procedimento di omologazione rimane avviato con il decreto del giudice delegato di fissazione del termine per la proposizione delle eventuali opposizioni e per il deposito del parere definitivo del comitato dei creditori, anche se il suo svolgimento rimane condizionato all'istanza di omologazione — la cui presentazione è apparsa evidentemente scontata — come prima della riforma era condizionato all'iscrizione della causa a ruolo. Con l'art. 17, d.l. n. 179/2012 (c.d. decreto CrescItalia), è stato novellato l'art. 129, secondo comma, introducendosi la previsione che, in caso di approvazione della proposta, la comunicazione del curatore al proponente, affinché richieda l'omologazione del concordato e ai creditori dissenzienti avvenga con posta elettronica certificata mentre per il fallito, se ciò non può avvenire, si provvederà mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Per la presentazione delle eventuali opposizioni ad omologa è espressamente previsto che sia il giudice delegato a fissare il termine, che non deve comunque essere inferiore a 15 giorni. Nulla è previsto, invece, per la presentazione dell'istanza di omologazione da parte del proponente il concordato: si è affermato in proposito che un termine deve essersi anche per detta istanza «per il dirimente motivo che non può esistere un procedimento senza scansioni temporali» e lo si è individuato in quello di 10 giorni, preveduto dall'art. 26, dovendosi estendere anche a tal fine il richiamo all'art. 26 contenuto nell'art. 129 (Cavalaglio, sub art. 129, § 2); in alternativa si è sostenuto che anche per la richiesta di omologazione il termine deve essere fissato dal giudice delegato (Guerrera, 832). Si può osservare che il termine di 10 giorni realizza la migliore scansione temporale, prescrivendo la presentazione della richiesta di omologazione anteriormente alla proposizione di eventuali opposizioni ad omologa. La riforma della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14)Per il commento v. sub art. 124. Il procedimento di omologazioneOmologazione in assenza di opposizioni — Se non vengono proposte opposizioni ad omologa alla decisione sulla richiesta di omologa si addiviene con una procedura semplificata e deformalizzata. La giurisprudenza (Trib. Piacenza 1 settembre 2011, in Fall. 2012, 1368), evidenzia la natura non contenziosa del giudizio, che ha perso, pressoché integralmente, il carattere di ufficiosità che aveva in precedenza, tanto che l'iscrizione a ruolo deve essere necessariamente effettuata da chi presenta la proposta di concordato e non dall'opponente). Dopo la presentazione della richiesta di omologazione da parte del proponente in concordato ed il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata con il suo parere definitivo, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione — senza assunzione di mezzi istruttori, che può essere disposta anche d'ufficio, ma solo se sono state presentate opposizioni ad omologa — omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame. Infatti, in tal caso al tribunale è sottratto qualsiasi potere di indagare sulla convenienza della proposta, essendo rimessa ogni valutazione di merito all'esclusivo giudizio dei creditori concorrenti (Cass. n. 19645/2015) e ciò anche nel caso in cui, in relazione all'incapienza dell'attivo, sia stata prevista soltanto una soddisfazione parziale dei creditori privilegiati ammessi al passivo, configurandosi invero la proposta concordataria totalmente remissoria per il creditori chirografari. È stato opportunamente rimarcato come, premessa l'assenza nel diritto dei contratti di un principio di giustizia contrattuale, è indifferente per l'ordinamento che l'assetto di interessi prospettato nella proposta e avallato dall'approvazione della maggioranza dei creditori sia equilibrato o giusto (Perrino 2558), pur se non pare potersi elidere l'unico limite — verificabile anche d'ufficio dal tribunale — costituito dalla meritevolezza della tutela del modello negoziale proposto, in base al principio generale fissato dall'art. 1322 c.c. (Trib. Udine 18 maggio 2012). La prassi giudiziaria ha fatto emergere la non necessità della fissazione di apposita udienza (orientamento, questo, criticato da chi, condivisibilmente, evidenzia come il giudizio, anche in carenza di opposizioni, non muta la sua natura e veste, con conseguente esigenza di assicurare il contraddittorio: Pagni, 1050). Questo procedimento semplificato è preveduto se non sono state presentate opposizioni «nel termine fissato». Se dopo la scadenza del termine, ma prima del provvedimento del tribunale, vengono presentate opposizioni, il tribunale, senza assunzione di mezzi istruttori, deve limitarsi a verificare la regolarità della procedura e l'esito della votazione e, se la verifica risulta positiva, deve omologare il concordato dichiarando inammissibile l'opposizione. L'eventuale reclamo proposto dall'opponente tardivo deve concludersi con la conferma della declaratoria di inammissibilità. Il curatore, pur essendo controparte necessaria, non è anche parte in senso sostanziale nel giudizio di omologazione, sicché gli è preclusa ogni facoltà di opposizione e di impugnazione, competendo i poteri di tutela degli interessi coinvolti nel concordato solo al fallito, ai singoli creditori, oltre che al proponente (v. Cass. n. 3274/2011, nonché Blatti, 1798 ss.). La formulazione del parere definitivo, cui doveva provvedere il curatore, con il decreto correttivo è stata affidata al comitato dei creditori, con una modifica che — come si legge nella Relazione — «è logica conseguenza della modifica dell'art. 125, terzo comma, nella parte in cui si prevede che spetta al comitato dei creditori, e non più al curatore, di dare il parere favorevole sulla proposta di concordato». Solo ove il comitato dei creditori non vi provveda nel termine assegnatogli, deve provvedervi il curatore nei sette giorni successivi, senza che ciò osti alla omologazione, trattandosi di mera irregolarità (Cass. n. 24026/2010). Attesi i limiti del parere preliminare (supra, sub artt. 125-126), nel parere definitivo il comitato dei creditori, oltre ad esprimersi sul successivo svolgimento della procedura, deve anche prendere definitivamente posizione sul merito della proposta e, in particolare, sulla fattibilità del piano concordatario (di funzione informativa del parere conclusivo del comitato parla Cass. n. 24026/2010, che evidenzia l'impossibilità che in tale parere si dia conto delle eventuali opposizioni, stante l'identità del termine per il loro deposito). Ma in assenza di opposizioni ad omologa, il tribunale dovrà tenerne conto solo per quei profili ai quali si estende il suo sindacato, che è quello della regolarità della procedura e dell'esito della votazione; ed è con riferimento a detti profili che è riferibile l'obbligo della motivazione (in senso critico sull'attribuzione al comitato dei creditori di un potere esercitabile al limite della discrezionalità, v. Cristiano, 1781). Si rinvia a Penta 785 sui limiti dell'ambito valutativo del tribunale in tale fattispecie. La norma si limita a prevedere l'omologa del concordato con decreto non soggetto a gravame, quasi a dare per scontato che la verifica della regolarità della procedura e dell'esito della votazione debbano dare esito positivo (Cass. n. 19645/2015: il controllo del tribunale è limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell'esito della votazione, salvo che non sia prevista la suddivisione in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti, con esclusione di qualsiasi controllo sul merito, devoluto ai creditori; per Cass. n. 3274/2011, il decreto di omologazione ex art. 129, quarto comma, non è, quindi, reclamabile ma ricorribile per cassazione, non essendo soggetto a gravame ed avendo i caratteri della decisorietà e definitività, posto che ex art. 135 l.fall. il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all'apertura del fallimento). Se, tuttavia, vengono riscontrate irregolarità il tribunale deve rilevarle, disponendo la rinnovazione degli atti invalidi (Cavalaglio, sub art. 129, § 2) o, se l'omologazione è definitivamente impedita, come nel caso di mancato raggiungimento delle maggioranze, deve rigettare la richiesta di omologa: nel qual caso al proponente del concordato, richiedente l'omologazione, va riconosciuta la legittimazione a proporre reclamo. È stato affermato (Cass. n. 16738/2011) che la mancanza di censure sostanziali in relazione alla formazione delle classi previste dalla proposta concordataria esclude l'interesse, da parte dei debitori opponenti, a far valere il vizio inerente la mancata presentazione della relazione giurata di cui all'art. 124, comma 3, l.fall.: si tratta, infatti, di un vizio che può essere preso in considerazione solo nell'ambito della valutazione, demandata al giudice ai sensi dell'art. 129, comma 7, l.fall., in ordine alla praticabilità di alternative idonee ad assicurare una percentuale più elevata di soddisfazione dei crediti e sempre che sia stata approvata la proposta con il dissenso di una o più classi di creditori e risultino opposizioni dei creditori dissenzienti. La Cass. n. 19645/2015 ha chiarito che il divieto previsto dall'art. 25, secondo comma, non si applica al giudizio di omologazione del concordato fallimentare, sicché non è preclusa al giudice delegato la partecipazione al relativo collegio, trattandosi di giudizio non assimilabile al reclamo avverso i provvedimenti del giudice stesso, il quale nella procedura concordataria non pone in essere atti dispositivi, ma svolge una funzione di coordinamento ed organizzazione delle varie progressive fasi.La decisione in presenza di opposizioni — Per effetto della proposizione di opposizioni il procedimento si struttura come procedimento contenzioso [sulla cui tecnicalità v. Fabiani 583], sia pure nelle forme del procedimento camerale, in contraddittorio fra il richiedente e l'opponente o gli opponenti ad omologa e l'eventuale partecipazione di intervenienti. In senso contrario [natura non contenziosa: Pagni 1053], è stato evidenziato che il giudizio di omologa non muta natura ed oggetto nonostante la presenza delle opposizioni (ampliando solo la portata del controllo giudiziale), poiché l'accertamento giurisdizionale non riguarda i diritti degli opponenti ma circostanze di fatto (relative all'esistenza dei crediti, alla regolarità delle votazioni, alla fattibilità della proposta e così via) che il tribunale dovrà esaminare per decidere in ordine alla soluzione della crisi]. La legittimazione a proporre opposizione ad omologa è riconosciuta, come prima della riforma, a qualunque interessato: ciò significa che, oltre ai creditori dissenzienti, possono proporre opposizione tutti coloro sulla cui posizione incide l'accordo concordatario. Si possono ricordare, esemplificativamente, il responsabile dei debiti del fallito per garanzie prestate, in relazione alla differente misura della sua esposizione finale in caso di soddisfacimento del credito da lui garantito nella liquidazione concorsuale; il convenuto in revocatoria, in caso di cessione dell'azione all'assuntore, in relazione alla differente misura del recupero ex art. 70 in caso di prosecuzione del fallimento (Cass. 8 agosto 1990); colui che abbia presentato una proposta alternativa di concordato, non approvata per avere ricevuto consensi inferiori all'altra (supra, sub artt. 125-126) o neppure messa in votazione perché presentata quando era già in corso la votazione sulla precedente proposta. Anche il fallito è legittimato ad opporsi all'omologa, in relazione alla possibile devoluzione all'assuntore anche di quella parte del suo patrimonio che, in caso di liquidazione, sarebbe stata eccedente le esigenze di soddisfacimento dei creditori. La giurisprudenza ha opportunamente statuito che la valutazione dell'interesse ex art. 129 l.fall. ai fini della legittimazione ad opporsi presuppone un accertamento in concreto dell'esistenza di una ragione oggettiva per proporre opposizione, in relazione ad una effettiva incidenza negativa del concordato sulla posizione giuridica del soggetto rispetto al fallimento (Cass. n. 22045/2016; secondo App. Trieste 15 luglio 2011, va esclusa la legittimazione ad opporsi all'omologazione in capo alla società che abbia partecipato alla fase di selezione tra le plurime proposte senza risultarne vincitrice. Difetta in capo ad essa la qualità di «interessato» in quanto l'accoglimento dell'opposizione, e la non omologazione del concordato, determinerebbero solamente la ripresa della procedura fallimentare con onere per l'opponente di proporre una nuova domanda di concordato: rivestendo con ciò l'opponente la stessa posizione di un quisque de populo esterno alla procedura, che ha un interesse di mero fatto al venir meno della procedura concordataria, per aver poi lui l'opportunità di depositare una propria proposta di concordato). Il termine per proporre opposizione decorre dalla comunicazione del cur. relativa all'approvazione del concordato (App. Napoli 29 luglio 2010). Poiché tutti coloro i cui interessi sono coinvolti sulla soluzione concordataria hanno diritto al rispetto delle regole del giuoco, i motivi di opposizione che possono essere sollevati da qualunque opponente sono quelli attinenti alla regolarità della procedura e all'esito della votazione. Si tratta degli stessi profili che costituiscono oggetto della verifica officiosa da parte del tribunale anche in assenza di opposizioni, ma la deduzione di questi vizi di legittimità con opposizione ad omologa consente quegli approfondimenti in fatto, attraverso l'assunzione di mezzi istruttori, in assenza dei quali il vizio di legittimità nel procedimento senza opposizioni può non emergere; si pensi al caso di contestazione del raggiungimento delle maggioranze con l'assenso determinante di creditori in conflitto di interessi, laddove la situazione conflittuale non sia in precedenza emersa o rilevata. Più limitata è la rilevabilità di motivi attinenti al merito (sull'oggetto del giudizio e sulla funzione che svolgono le opposizioni e, di converso sul ruolo del tribunale, v. Pagni, 1051 s.). Già la contestazione della fattibilità del piano concordatario è dubbio possa essere sollevata da chi non riveste la qualità di creditore, attesa la correlazione tra fattibilità del piano e adempimento degli obblighi concordatari e la limitazione ai soli creditori della legittimazione a chiedere la risoluzione del concordato fondata sull'inadempimento. Quella comunque che sicuramente non può essere censurata con opposizione ad omologa è la non convenienza della soluzione concordataria, quando sia stata raggiunta la maggioranza dei crediti e, nel concordato con suddivisione dei creditori in classi, la maggioranza in tutte le classi. Se prima del decreto correttivo era sostenibile, ancorché tutt'altro che pacifica, l'opinione dell'ammissibilità di opposizione ad omologa da parte di qualunque creditore dissenziente che deducesse la possibilità di conseguire un soddisfacimento migliore nella liquidazione concorsuale, con il decreto correttivo l'interesse del singolo creditore è stato espressamente subordinato alle scelte della maggioranza, statuendosi che la convenienza della proposta concordataria può essere contestata da un creditore appartenente ad una classe dissenziente e in tal caso «il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili». Questa valutazione del tribunale — cram down secondo la terminologia statunitense — che in caso di approvazione del concordato da parte della maggioranza, ma non della totalità delle classi, prima del decreto correttivo doveva essere effettuata su richiesta del proponente del concordato anche in assenza di opposizioni ad omologa, è ora consentita solo quando venga proposta opposizione ad omologa e questa sia stata presentata da un creditore appartenente ad una classe dissenziente. Si è detto che questa valutazione «è oggi circoscritta al credito vantato dall'opponente appartenente ad una classe dissenziente», mentre in precedenza era estesa «alla convenienza del concordato per l'intera classe dissenziente» (Blatti, 1802-1805). Movendo, peraltro, dalla considerazione dell'identità di posizione giuridica ed omogeneità di interessi economici dei creditori della medesima classe, una valutazione di non convenienza per il singolo opponente dovrebbe trovare rispondenza in una non convenienza per l'intera classe. Vero è piuttosto che la valutazione di non convenienza presenta particolari difficoltà quando implica il raffronto fra modalità di soddisfacimento non omogenee, come il prevedibile conseguimento di una determinata percentuale entro un certo tempo con le prospettive di soddisfacimento attraverso l'assegnazione di partecipazioni in una newco assuntrice del concordato. Le parti del procedimento di omologa sono il richiedente e l'opponente (o gli opponenti) fra i quali si deve instaurare il contraddittorio (Fabiani, 586). Al procedimento partecipano, inoltre, il fallito ed il curatore (ex art. 131, quinto comma). Il fallito, anche quando non sia parte richiedente od opponente, deve comunque partecipare al procedimento, dall'esito del quale dipende la sorte del suo patrimonio acquisito al fallimento e la sua esdebitazione. Il curatore partecipa quale organo del fallimento al procedimento dall'esito del quale dipende la sorte del patrimonio affidato alla sua amministrazione, ma non è chiamato ad assumere conclusioni quale portatore dell'interesse della collettività dei creditori; può, tuttavia, essere sentito per fornire al tribunale i chiarimenti che venissero ritenuti necessari in relazione a contestazioni della regolarità della procedura o del raggiungimento delle maggioranze. Non è più parte, invece, il pubblico ministero, essendo stata abrogata la norma dell'art. 132, che lo prevedeva. Si devono considerare, poi, ammissibili interventi ad adiuvandum, sia del richiedente che dell'opponente, come si affermava, del resto, già prima della riforma (Bonsignori, § 9). Il procedimento, secondo la disciplina anteriore al decreto correttivo, era regolato, in conformità ad espressa previsione, dall'art. 26, comma quinto, sesto, settimo e ottavo, in quanto compatibili. Con il decreto correttivo è rimasta la previsione della proposizione della richiesta di omologa e dell'opposizione ad omologa «con ricorso a norma dell'art. 26», ma è sparito il richiamo ai vari commi dell'art. 26, che regolano il procedimento. La correzione, probabilmente influenzata dai rilievi relativi all'insufficienza del richiamo ad alcuni soltanto dei commi dell'art. 26, non è tuttavia incompatibile con un'applicazione della disciplina contenuta nell'art. 26, non più limitata ai commi in precedenza richiamati (Blatti, 1800) ed è anzi rispondente all'intendimento, espresso nella Relazione, di proporre uno schema uniforme di rito camerale. In effetti, la mancata specificazione del termine entro cui il proponente deve richiedere l'omologazione ha portato a varie opzioni interpretative (sintetizzate da Blatti, 1799), mentre di recente Cass. n. 3274/2011 ha chiarito che il richiamo complessivo al citato art. 26 implica che per il proponente deve farsi riferimento al termine ivi previsto di dieci giorni, anche perché solo per gli opponenti viene previsto un termine particolare — quindici giorni — e quindi derogatorio di quest'ultimo. Occorre, soltanto, avvertire che la disciplina dell'art. 26 può trovare applicazione solo in dipendenza della proposizione di opposizioni ad omologa e, pertanto, l'udienza di comparizione va fissata dopo la presentazione del ricorso per opposizione, che dovrà essere notificato, unitamente al decreto di fissazione di udienza, ai sensi dell'art. 26, quarto comma. L'attribuzione al Tribunale del potere di disporre d'ufficio i mezzi istruttori ritenuti necessari imprime al procedimento un parziale profilo inquisitorio, comune a tutti i procedimenti strutturati sul rito camerale (così Frascaroli, 1281). Dopo l'espletamento dell'istruttoria (sulla quale v. Fabiani, 588 ed a cui fa riferimento il quinto comma dell'art. 129, la cui disciplina si sovrappone a quella dell'art. 26, comma dodicesimo, preveduta anche nell'art. 129 in quanto si è avvertita la necessità di premettere che all'istruttoria si provvede solo in presenza di opposizioni ad omologa e di disciplinare il cram down) — il tribunale provvede, con decreto motivato, ad omologare il concordato, stabilendo le modalità di sorveglianza del suo adempimento (infra, sub art. 136) o, in alternativa, a rigettare la richiesta di omologa in accoglimento di opposizioni ed anche senza espressa censura quando vengano rilevate irregolarità di procedura o il mancato raggiungimento delle maggioranze. Sulla controversa questione dei poteri del tribunale nel giudizio di omologa tra controllo di legittimità formale e sostanziale, v. ampiamente Blatti, 1802-1805 e Bellé, 844-853 nonché Pagni, 1051 s., tenendo conto che, secondo un'opzione interpretativa, il concordato può essere delibato anche ai sensi dell'art. 1418 c.c., in quanto la proposta, quale atto unilaterale tra vivi, sarebbe soggetto alle regole di cui all'art. 1324 c.c. (sul punto, si rinvia all'analisi di Fabiani, 195). In tema di valutazione del merito e della convenienza del concordato per l'opponente, di recente Penta, 788 ha sintetizzato i termini della questione, richiamando Cass. n. 3274/2011 in tema di esclusione di un esame nel merito della proposta, essendo il tribunale tenuto ad effettuare un controllo di legalità più incisivo, dovendo esaminare e valutare i fatti costitutivi dedotti a sostegno dell'opposizione. In definitiva, può concordarsi con chi (Frascaroli, 1282) ritiene che al tribunale non è precluso entrare nel merito della proposta, ma tale potere può e deve essere esercitato solo quando si richieda, nel rispetto di un interesse più generale, la tutela dei diritti di coloro che potrebbero essere pregiudicati dal prevalere delle ragioni della maggioranza: ciò può avvenire preliminarmente, in sede di esame della proposta, quando occorre verificare il corretto utilizzo dei criteri di formazione delle classi, sotto il profilo della legittimità dello svolgimento del procedimento; e può avvenire successivamente, quando con le opposizioni si introducono questioni di merito, soprattutto in caso di opposizione da parte di un creditore appartenente ad una classe dissenziente. L'omologazione del concordato fallimentare trova la propria disciplina nell'art. 129 l.fall., il quale prevede che il giudizio di omologazione possa svolgersi con due diverse modalità: (attraverso un procedimento contenzioso, in camera di consiglio, nel caso in cui siano formulate delle opposizioni alla proposta; (attraverso un procedimento semplificato e non contenzioso di approvazione e verifica della regolarità della procedura e della votazione, in caso di mancanza di opposizioni. All'esito delle votazioni sulla proposta di concordato, il curatore informa il giudice delegato circa il loro esito, per mezzo di una apposita relazione (art. 129, comma 1, l.fall.). La relazione del curatore dovrà, pertanto, contenere: l'indicazione delle modalità con le quali i creditori sono stati informati della proposta; l'indicazione dei crediti ammessi al voto; le osservazioni sulla validità dei voti (tenendo conto delle limitazioni di cui all'art. 127 l.fall.); in particolare il curatore indicare eventuali situazioni di fatto che comportino l'esclusione di alcuni creditori dal voto; l'indicazione dell'ammontare dei crediti per i quali sono pervenute dichiarazioni di dissenso; il risultato delle votazioni, sia in termini assoluti che in termini percentuali; eventuali errori di calcolo, se non incidono sull'esito della votazione, sono da ritenersi privi di rilievo. Nel silenzio della legge, la dottrina è concorde nell'affermare che, in mancanza della relazione del curatore, il giudice delegato non possa autonomamente ottenere le informazioni necessarie e avviare la procedura di omologazione. In una simile situazione, in ogni caso, verrebbero a crearsi i presupposti per la revoca del curatore (art. 37 l.fall.). Pertanto, se la proposta non è approvata: il collegio, a ciò informato dal giudice delegato, dovrà ordinare l'archiviazione del procedimento, con reviviscenza della procedura di fallimento (Guglielmucci, 1250). Se la proposta è approvata, ai sensi dell'art. 129, comma 2, l.fall. il giudice delegato: dispone che il curatore dia comunicazione dell'esito delle votazioni al fallito, ai creditori dissenzienti e al proponente, affinché quest'ultimo richieda l'omologazione del concordato; la comunicazione dovrà avvenire a mezzo posta elettronica certificata; se non è possibile procedere alla comunicazione al fallito in via telematica, la notizia dell'approvazione verrà a quest'ultimo comunicata a mezzo raccomanda con avviso di ricevimento; (con decreto da pubblicarsi secondo le forme previste dall'art. 17 l.fall., fissa un termine non inferiore a quindici giorni e non superiore a trenta giorni per la proposizione delle opposizioni all'omologazione. Entro il medesimo termine, il comitato dei creditori dovrà depositare in cancelleria una relazione contenente il parere definitivo circa la proposta di concordato. Se il comitato non provvede nel predetto termine, sarà onere del curatore redigere e depositare la relazione nei sette giorni successivi alla scadenza del termine. Il parere del comitato dei creditori ovvero, in difetto, quello del curatore, non ha carattere vincolante, avendo una mera funzione informativa diretta ad agevolare la decisione del Tribunale e deve riferire sulla regolarità della procedura e sull'esito delle votazioni; non può contenere alcuna novità di carattere sostanziale in ordine ai contenuti della proposta, che è immodificabile una volta ottenuto il voto di approvazione (cfr. Cass. n. 24026/2010). La decorrenza degli effetti dell'omologaPoiché la sentenza di omologazione del concordato costituisce titolo diretto e immediato del trasferimento dei beni del fallimento nel patrimonio dell'assuntore, segnandone, conseguentemente, il dies a quo, l'individuazione dei beni ceduti a questi deve essere effettuata con esclusivo riguardo a quanto era stato disposto nel titolo di omologazione (Cass. n. 15698/2016). Omologa in presenza di opposizioni — L'omologazione del concordato l'obbligo di dare esecuzione agli accordi concordatari e determina inoltre la cessazione della procedura fallimentare. Nel sistema ante riforma — nel quale il soddisfacimento dei creditori poteva intervenire esclusivamente con il pagamento di somme di denaro — il provvedimento di omologazione era costituito da una sentenza provvisoriamente esecutiva, ma la provvisoria esecutorietà comportava soltanto l'obbligo per l'assuntore o per i garanti di versare alle scadenze pattuite (e per i creditori con prelazione non erano ammesse dilazioni) gli importi necessari all'adempimento, che venivano però depositati presso un istituto di credito; peraltro, solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologa i creditori potevano riscuotere gli importi loro dovuti e cessava la procedura fallimentare con il ritorno in bonis del debitore o il trasferimento dei beni dell'assuntore. Quando l'opposizione ad omologa si trascinava, ordinariamente a lungo, attraverso un giudizio di appello ed un successivo giudizio di cassazione, i garanti o l'assuntore per effettuare i versamenti dovuti, dovevano sopportare un onere finanziario spesso rilevante, mentre il patrimonio del debitore rimaneva assoggettato al vincolo fallimentare; ed i creditori non potevano nell'immediato beneficiare dei versamenti, rimanendo i relativi importi depositati sino al passaggio in giudicato della sentenza di omologa. Era così invalsa la prassi di escludere convenzionalmente la provvisoria esecutorietà della sentenza, con una clausola di dubbia legittimità, ma che aveva ricevuto l'avallo della giurisprudenza (Cass. n. 5818/1996). Con la riforma la provvisoria esecutorietà del decreto di omologa è stata esclusa, statuendosi che «la proposta di concordato diventa efficace... dal momento in cui si esauriscono le impugnazioni previste dall'art. 129». La soluzione appare razionale atteso che, in dipendenza dell'ampia autonomia delle pattuizioni concordatarie, gli effetti dell'esecuzione dell'accordo concordatario possono anche essere irreversibili, come nel caso di conversione dei crediti in capitale o di assunzione del concordato da parte di una newco con attribuzione delle partecipazioni sociali ai creditori. Rimane un inconveniente — del resto già presente nel vecchio sistema, in quanto gli importi versati venivano depositati presso un istituto di credito e non corrisposti ai creditori — quello dell'alterazione dell'economia del concordato in conseguenza del differimento del soddisfacimento dei creditori al momento della definitività del decreto di omologa, essendo evidente il peso assunto nelle valutazioni di convenienza dei creditori dalla prospettiva di soddisfacimento in tempi brevi. Questo inconveniente è peraltro stemperato dalla prevedibile rapidità della fase del reclamo e della possibile riduzione in futuro dei tempi del giudizio di cassazione quando si cominceranno a risentire gli effetti della nuova disciplina dei ricorsi per cassazione introdotta con il d.lgs. n. 40/2006. Il momento in cui il decreto di omologazione acquista efficacia non segna, tuttavia, la produzione di tutti gli effetti. Infatti, secondo quanto dispone il secondo comma dell'art. 130, la chiusura del fallimento e quindi il ritorno in bonis del fallito o il trasferimento dei beni all'assuntore interviene solo in un momento successivo, dopo il rendiconto del curatore. Ma, essendo divenuto definitivo il decreto di omologa, la chiusura del fallimento è ormai certa ed i tempi per la presentazione ed approvazione del rendiconto del curatore sono ovviamente limitati. In ogni caso per ovviare alla discrasia fra insorgenza degli obblighi concordatari e cessazione degli effetti del fallimento è possibile prevedere nella proposta di concordato il differimento del termine iniziale per l'adempimento al momento della chiusura del fallimento. Omologa in assenza di opposizioni — Secondo quanto statuisce il primo comma dell'art. 130 «la proposta di concordato diventa efficace dal momento in cui scadono i termini per opporsi all'omologazione». Il riferimento alla «proposta di concordato» — anziché al «decreto», alla cui efficacia si riferisce la rubrica — si spiega perché il decreto può essere emanato solo dopo la scadenza dei termini per proporre opposizione ad omologa. Non è agevole comprendere in cosa consista questa efficacia della proposta di concordato ante omologa. Secondo una interpretazione «l'adempimento degli obblighi concordatari deve collocarsi alla scadenza del termine per proporre opposizioni e non dalla pubblicazione del decreto di omologazione» (Cavalaglio, sub art. 130, § 2; così anche Ruosi, sub art. 130, § 2, secondo il quale «l'emissione del decreto di omologazione rappresenta il presupposto per la definitività dei suddetti effetti e per la chiusura del fallimento, ma non è presupposto per l'efficacia»; contra, nel senso che il riferimento all'efficacia della proposta deve essere considerato frutto di un refuso Blatti, sub art. 130, 1810). In realtà, in assenza di opposizioni ad omologa ed in un procedimento comunque soggetto costantemente a controllo da parte degli organi della procedura può certamente venirsi a determinare un affidamento sull'omologa dell'accordo concordatario da parte del tribunale. Ma l'esito, costituente il presupposto dell'omologa, della verifica demandata al tribunale della regolarità della procedura e del raggiungimento delle maggioranze, non può essere aprioristicamente dato per scontato. L'esecuzione «provvisoria» degli obblighi derivanti da un accordo concordatario non ancora omologato non sembra, allora, compatibile con una valutazione sistematica della normativa; e potrebbe anzi anche avere l'inconveniente — già sottolineato — della irreversibilità in certi casi dell'esecuzione degli obblighi concordatari. In ogni caso si deve considerare possibile — come si è già visto — fissare nella proposta di concordato il termine per l'esecuzione con riferimento alla data di chiusura del fallimento, che è successiva a quella in cui il decreto di omologa diviene definitivo. Il procedimento di omologazione del concordato non prevede l'impulso d'ufficio, ma l'iniziativa da parte del proponente il concordato, che è l'unico soggetto legittimato a richiedere l'omologazione (Cass. n. 3274/2011). L'impugnazione del decreto di omologa o di diniego di omologaIl decreto impugnabile — La fase del reclamo è disciplinata con riguardo al caso di pronuncia sull'istanza di omologazione in presenza di opposizioni (che, secondo Trib. Pordenone 18 marzo 2011, in Fall. 2011, 752, non possono riguardare motivi attinenti alla fase antecedente alla votazione, rispetto ai quali sussiste il rimedio del reclamo exartt. 26 o 36 l.fall.). La Suprema Corte (Cass. n. 3585/2011) ha affermato che, in assenza di opposizioni, il decreto di omologazione non è suscettibile di reclamo, a solo ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., essendo «non soggetto a gravame» ed avendo indubbiamente i caratteri della decisorietà e definitività, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 129, comma 4, l.fall. Di contrario avviso Griffini, 820-827, secondo cui non può prospettarsi tale ultimo rimedio impugnatorio, posto che, come affermato da autorevole tesi, espressamente richiamata (Fabiani, 282 ss.), il decreto di omologazione senza opposizione difetterebbe proprio del carattere realmente decisorio. Peraltro, poiché la definizione del procedimento con decreto non soggetto a gravame è preveduto per il caso di omologa e non per quello di diniego di omologa, il reclamo in quest'ultimo caso si deve considerare proponibile. In presenza di opposizioni il decreto del tribunale può essere di rigetto delle opposizioni ed omologa del concordato o di accoglimento delle opposizioni e diniego di omologa. La disciplina del reclamo è la stessa salve le esigenze di adattamento al contenuto della decisione. La legittimazione — Sono legittimate a proporre reclamo le parti del giudizio di omologa risultate soccombenti (per un richiamo al principio di soccombenza v. Cavalaglio, sub art. 131, § 2): quindi il richiedente l'omologa in caso di accoglimento dell'opposizione e l'opponente in caso di rigetto dell'opposizione. La legittimazione del fallito dipende dal ruolo assunto nella fase avanti al tribunale, che può essere quello di richiedente o di opponente; ove non si sia costituito si deve considerare comunque legittimato a proporre reclamo contro il diniego di omologa. Si deve invece escludere la legittimazione del curatore per il ruolo spettantegli nella fase di omologa (supra). È stata altresì esclusa la legittimazione del soggetto che abbia presentato tardivamente la proposta concordataria rispetto al termine assegnato dal giudice ad una pluralità di proponenti per il deposito di offerte migliorative (Trib. Pordenone 18 marzo 2011). ).In tema di concordato fallimentare, il creditore che abbia avanzato una propria proposta e che, avendo ricevuto il parere negativo del comitato dei creditori ed il diniego di ammissione al voto dal giudice delegato, non abbia immediatamente reclamato tali atti, difetta di interesse a proporre opposizione alla omologazione di una diversa proposta di concordato fallimentare, in quanto non riveste posizione di proponente concorrente, diversamente dal caso in cui anche la sua proposta fosse stata ammessa al voto e risultasse perciò concretamente pregiudicato dall'omologazione della proposta preferita, considerato altresì che la nozione di "qualsiasi altro interessato", di cui all'art. 129, comma 2, l.fall., non può estendersi sino al punto da ricomprendere qualunque terzo contrario alla omologazione, ma privo di un interesse giuridicamente tutelato ad opporvisi (Cass. I, ord. n. 19707/2022). Il procedimento — L'art. 131 disciplina il procedimento secondo lo schema uniforme di rito camerale fallimentare. Il reclamo va proposto alla corte d'appello entro 30 giorni dalla notifica del decreto del tribunale e deve contenere i requisiti prescritti per il reclamo contro la sentenza di fallimento. Il reclamo ed il decreto di fissazione di udienza vanno notificati al curatore e alle altre parti. Con il decreto correttivo si è avuto cura di precisare che queste altre parti, se non sono reclamanti, «si identificano...nel fallito, nel proponente e negli opponenti». Se, tuttavia, nel procedimento avanti al tribunale sono stati dispiegati interventi, la notifica va fatta anche agli intervenienti. È prevista la possibilità di «intervento di qualunque interessato». Coloro che non abbiano dispiegato intervento nella precedente fase deve tuttavia ritenersi non possano dispiegare un intervento ad adiuvandum nella fase del reclamo. Dopo la costituzione delle parti e l'eventuale assunzione, anche d'ufficio, dei mezzi di prova, la corte provvede con decreto. Avverso il decreto della corte è proponibile ricorso per cassazione nel termine di 30 giorni dalla notifica. Disciplina tributariaLa chiusura del fallimento mediante concordato comporta l'obbligo per il curatore di redigere la dichiarazione finale di cui all'art. 5, d.P.R. n. 322/1998 sulla scorta delle norme analizzate nel commento all'art. 119, cui per brevità si rinvia, anche per quanto attiene ai criteri di valutazione delle attività e delle passività aziendali da restituire al fallito nell'ipotesi in cui l'impegno concordatario sia stato da lui assunto (naturalmente, le passività andranno valutate senza tener conto del bonus da concordato, trattandosi di componente fiscalmente irrilevante). Poiché nelle fattispecie di concordato con cessio bonorum ed in quello con assuntore nulla viene restituito al soggetto fallito, si ritiene comunemente che nell'uno e nell'altro caso non possa emergere alcun residuo attivo da assoggettare a tassazione. Ai sensi dell'art. 88, comma 4-ter, T.U.I.R., sono escluse dalla tassazione le sopravvenienze attive originate dalla riduzione dei debiti dell'impresa in sede concordataria. Per quanto riguarda il dies a quo per la presentazione della dichiarazione, sembra da preferire l'opinione che fa decorrere il termine in discorso dalla data di definitività del decreto di omologazione ai sensi dell'art. 130. Va avvertito, da ultimo, che, con risoluzione 26 ottobre 2009, n. 263/E, l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto, con riferimento alla fattispecie di concordato con assunzione, che il diritto allo scomputo delle ritenute d'acconto operate sugli interessi attivi maturati sui libretti di deposito della procedura fallimentare spetti all'assuntore (cfr. sul tema, Stasi, 1483). Per quanto riguarda la disciplina Iva, le disposizioni analizzate sub commento art. 119 sono applicabili anche all'ipotesi di chiusura del fallimento per concordato fallimentare, fatta eccezione per l'estinzione della partita Iva quando rimangano beni aziendali da liquidare dovendosi ancora concludere il ciclo impositivo dell'impresa. Naturalmente, le vendite di tali beni poste in essere dopo la chiusura della procedura di fallimento dovranno essere assoggettate ad Iva da parte del debitore ritornato in bonis. A diverse conclusioni dovrebbe invece pervenirsi nel caso di concordato con assuntore. Poiché gli affetti traslativi della proprietà dei beni compresi nel patrimonio fallimentare si producono, normalmente, nel momento in cui il decreto di omologazione o di approvazione del concordato diventa definitivo ed il fallimento ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 130 ancora non è chiuso, sembra corretto ritenere che, in tale evenienza, gli obblighi di fatturazione, registrazione, liquidazione, versamento e dichiarazione debbano essere assolti dal curatore (questa era anche l'opinione espressa, nel vigore della vecchia legge fallimentare, da Zenati-Mandrioli, 67 ss.), sempreché, naturalmente, il trasferimento non abbia ad oggetto un vero e proprio compendio aziendale, rendendosi in tal caso dovuta la sola imposta di registro. Quanto alla determinazione della base imponibile su cui applicare l'Iva, pare condivisibile il criterio proposto in dottrina di suddividere l'importo complessivo della cessione in proporzione al valore attribuito in sede di perizia ai beni mobili ed immobili (Zenati-Mandrioli 70). È appena ovvio che, qualora l'efficacia del trasferimento venisse differita all'avvenuto accertamento dell'integrale esecuzione del concordato, tutti gli adempimenti fiscali connessi alla cessione delle attività aziendali non potranno che fare capo al debitore concordatario ritornato in bonis. Secondo l'Amministrazione finanziaria (circolare 17 aprile 2000, n. 77/E), le note di variazione Iva ex art. 26, secondo comma, d.P.R. n. 633/1972 possono essere emesse, da parte dei creditori in tutto o in parte insoddisfatti, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di omologa del concordato (oggi a partire dal momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo), con il conseguente obbligo, da parte del debitore concordatario ormai ritornato in bonis, di contabilizzare detti documenti nei propri registri Iva. Questa opinione non manca, tuttavia, di suscitare qualche legittima perplessità dal punto di vista strettamente giuridico, soprattutto nel caso di concordato con cessio bonorum, perché — a parere di chi scrive — è solo con l'emissione del decreto che ai sensi dell'art. 136, terzo comma, l.fall., si accerta l'esecuzione del concordato e che il creditore acquisisce la certezza del definitivo ammontare della perdita subita (così Stasi, 530), tanto è vero che, per quanto attiene alla procedura di concordato preventivo, quella medesima circolare non ha mancato di precisare che, oltre alla sentenza di omologazione (ora sostituita dal decreto di cui all'art. 180), occorre avere riguardo «anche al momento in cui il debitore concordatario adempie gli obblighi assunti in sede di concordato». Per quanto riguarda, poi, il debito d'imposta nascente in capo al debitore concordatario, l'Amministrazione finanziaria, con risoluzione 17 ottobre 2001, n. 161/E, ha precisato, a proposito del concordato preventivo, che il debito di cui trattasi, trovando la sua radice causale in un'operazione compiuta prima dell'avvio della procedura concorsuale, non deve essere adempiuto, essendosi già prodotti gli effetti estintivi del concordato: pare, quindi, ragionevole ritenere che la medesima soluzione debba valere anche nel caso di concordato fallimentare (in senso conforme, v. Zafarana, 235). Quanto all'Imu, si ripropone la stessa situazione già esaminata sub commento art. 120 allorché l'immobile acquisito alla massa attiva non sia stato alienato nel corso della procedura e venga pertanto restituito al soggetto fallito. Alla luce delle considerazioni a suo tempo svolte, si ritiene che anche in questo caso il presupposto impositivo (costituito da una fattispecie complessa che ha come propri elementi costitutivi il possesso del bene immobile e la sua vendita) non si perfezioni e che, quindi, il tributo non sia dovuto (Stasi, 569 ss.; Zafarana, 236), salvo l'obbligo del fallito ritornato in bonis di adempiere l'obbligazione d'imposta rimasta sospesa durante il periodo fallimentare entro novanta giorni dalla chiusura del fallimento. Viceversa, nell'ipotesi in cui l'immobile venga trasferito al terzo assuntore, e la fattispecie costitutiva dell'obbligazione tributaria si sia quindi realizzata, l'imposta dovrà essere versata entro novanta giorni dalla data di definitività del decreto di omologazione del concordato con la liquidità esistente nelle casse del fallimento ovvero con i mezzi forniti dall'assuntore. Il trattamento tributario del provvedimento di omologazione del concordato costituisce un problema che è stato a lungo dibattuto e che, negli ultimi anni, appariva avviato ad una soluzione sempre più largamente condivisa. Muovendo da una concezione pubblicistica dell'istituto concordatario, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 4665/1990; Cass. n. 3917/1998; Cass. n. 21473/2004) sembrava ormai essersi fatto strada il convincimento che la sentenza di omologazione, in quanto atto giudiziale contenente l'assunzione di obblighi di pagamento, dovesse scontare l'imposta proporzionale del 3% ai sensi dell'art. 8, lett. a, tariffa di cui all'allegato A, d.P.R. n. 131/1986. Si discuteva, invece, sulla necessità di ricomprendere nella base imponibile tutti i crediti privilegiati e chirografari oggetto di concordato (Caramazza, 1293 ss.; Vanadia, II, 1206) ovvero i soli crediti chirografari (Candiotto, 141; Laurini, II, 1113; Brighenti 139), fermo restando il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro enunciato nell'art. 40, d.P.R. n. 131/1986, con conseguente applicabilità della tassa fissa ai crediti originati da operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, e fermo restando in capo all'Amministrazione finanziaria il potere di rettificare i valori dichiarati degli immobili delle aziende trasferite, non essendo applicabile ai trasferimenti effettuati nell'ambito delle procedure di concordato il disposto dell'art. 44, d.P.R. n. 131/1986. Nel caso di concordato con garanzia, si riteneva che le garanzie reali o personali prestate dal terzo, data la loro natura obbligatoria, dovessero essere esonerate dal pagamento dell'imposta ai sensi dell'art. 6 della prima parte della tariffa. Nell'ipotesi di concordato con cessione dei beni si reputava, infine, che, non verificandosi alcun effetto novativo rispetto alla situazione obbligatoria pregressa e non producendosi alcun effetto traslativo dei beni messi a disposizione dei creditori, che rimangono di proprietà del fallito ancorché assoggettati ad un vincolo di destinazione al quale non possono essere sottratti, la sentenza di omologazione dovesse scontare la sola imposta fissa (Cass. n. 2957/1998). Sennonché, alcune recenti sentenze della Cassazione (Cass. n. 10351/2007; Cass. n. 11585/2007, cui adde, in tema di concordato preventivo, Cass. n. 19141/2007) sembrano avere modificato questo indirizzo. Valorizzando un criterio c.d. nominalistico di interpretazione, che meglio aderisce al dato letterale della norma, i giudici di legittimità hanno infatti sostenuto, con specifico riferimento alla fattispecie di concordato preventivo con garanzia ma con argomentazioni estensibili anche alle differenti figure di concordato senza garanzia e di concordato con cessio bonorum, che la sentenza di omologazione emessa sotto l'impero della legge previgente, non potendo essere inquadrata in alcuna delle fattispecie di cui alle lett. da a) ad f) del ridetto art. 8, debba necessariamente rientrare nella categoria sub g), che menziona genericamente gli atti «di omologazione». Secondo questo approccio interpretativo, dunque, rimarrebbe soggetta ad imposta proporzionale di registro, in base alle aliquote proprie dei beni ceduti e delle passività accollate, soltanto la pronuncia di omologazione del concordato con assuntore alla luce della previsione contenuta nella lett. a) dell'art. 8 cit., sempreché, naturalmente, beni oggetto di trasferimento non facciano parte del patrimonio aziendale e non debbano, quindi, scontare l'Iva (v. retro sub art. 106). Ancora, recentemente, la Suprema corte, Cass. n. 19596/2015, ha riconfermato il principio secondo il quale la sentenza di omologazione di concordato preventivo con cessione di beni ai creditori sconta l'imposta di registro in misura fissa e non già in misura variabile. Con risoluzione 26 marzo 2012, n. 27/E, l'Amministrazione finanziaria, che si era inizialmente espressa a favore della tassazione in misura proporzionale del provvedimento di omologazione del concordato (Ris. 31 gennaio 2008, n. 28), si è allineata all'orientamento dei giudici di legittimità. E con successiva Circ. n. 27/E del 21 giugno 2012 (per un breve commento a tale documento di prassi, v. Stasi, 1011), ha fornito una serie di indicazioni in merito all'applicazione dell'imposta di registro al decreto di omologazione del concordato fallimentare. Dopo aver ricordato che, alla stregua della Ris. n. 27/2012, i decreti di omologazione dei concordati con garanzia e con cessione dei beni ai creditori devono essere assoggettati ad imposta di registro in misura fissa, in quanto annoverabili tra gli atti di cui all'art. 8, lett. g) della Tariffa, parte prima, allegata al t.u.r., avente ad oggetto gli atti «di omologazione», con specifico riferimento alla fattispecie di concordato con assunzione ex art. 124 il documento di prassi in discorso osserva, anzitutto, come essa si caratterizzi, rispetto alle altre figure di concordato, per il fatto che l'assuntore si obbliga a soddisfare i crediti concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell'accollo (art. 1273 c.c.), in contropartita della cessione delle attività fallimentari. Ne consegue che il decreto di cui trattasi deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura proporzionale, in base a quanto stabilito dall'8, lett. a), della Tariffa, parte prima, allegata al T.u.r. Per quanto attiene alla determinazione della base imponibile, l'Amministrazione finanziaria ritiene applicabile, nel caso di specie, il disposto dell'art. 21, secondo comma, T.u.r., secondo cui se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse una sola disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa. Con riferimento alla cessione dei crediti al terzo assuntore, l'Agenzia rammenta che le cessioni di crediti in denaro, non aventi causa di finanziamento, sono escluse dal campo di applicazione dell'Iva ai sensi dell'art. 2, terzo comma, lett. a), d.P.R. n. 633/1972 e, pertanto, in virtù del principio di alternatività Iva/registro, le stesse debbono essere sottoposte ad imposta di registro con l'aliquota dello 0,50% ex art. 6 della Tariffa, parte prima, allegata al T.u.r. Allo stesso modo, la cessione all'assuntore dei crediti vantati verso l'Erario, quale cessione di crediti non aventi natura finanziaria, va assoggettata all'imposta di registro in misura proporzionale con l'aliquota dello 0,50% sul loro ammontare ai sensi degli artt. 49 T.u.r. e 6 della Tariffa, parte prima, allo stesso allegata. Sull'ammontare dei depositi bancari va applicata l'imposta di registro con l'aliquota dello 0,50%, atteso che la cessione di depositi bancari costituisce una cessione del credito. Infine, a proposito della cessione della titolarità di azioni giudiziarie pendenti di pertinenza della massa fallimentare, l'Amministrazione finanziaria, dopo aver posto in rilievo come l'oggetto di tali cessioni possa individuarsi nel diritto controverso, atteso che le stesse consentono la successione a titolo particolare dell'assuntore nel diritto stesso (ad esempio nel caso delle azioni revocatorie del diritto a far dichiarare l'inefficacia dell'atto revocato), conclude affermando che, non comportando alcuna cessione anticipata dei beni o diritti cui le stesse si riferiscono, la parte del decreto di omologa del concordato relativa alla cessione delle azioni di massa esula dall'ambito applicativo della disposizione di cui all'art. 8, lett. a), della Tariffa, parte prima, allegata al T.u.r. Da ultimo, si segnala che, secondo la Cassazione (Cass. n. 5474/2008), la risoluzione del concordato con garanzia farebbe nascere in capo al contribuente il diritto alla restituzione dell'imposta proporzionale in precedenza versata. Si segnala, infine, che la Circ. 17 giugno 2015, n. 24/E — contenente le nuove tabelle con la codificazione degli atti soggetti a trascrizione o a iscrizione e delle domande di annotazione, che sostituiscono quelle contenute nella circolare del Ministero delle Finanze — Dipartimento del Territorio, n. 128, Trib. del 2 maggio 1995 — rammenta che l'art. 129 l.fall. ante riforma prevedeva che l'omologa del concordato fallimentare venisse disposta dal tribunale con sentenza, per la cui trascrizione era stato previsto dalla circolare n. 128Trib. del 1995 l'utilizzo del codice 619. A seguito delle modifiche apportate alla legge fallimentare, da ultimo con l'art. 9, ottavo comma, d.lgs. n. 169/2007, il testo vigente prevede, all'art. 129, quarto comma, che l'omologa del concordato fallimentare è disposta dal Tribunale con decreto motivato. È stato dunque introdotto un apposito «codice atto» (cod. 635) che recepisce la modifica apportata alla forma del provvedimento di omologa. BibliografiaBellè, sub art. 129 l.fall., in La legge fallimentare, Padova, 2011; Blatti, sub art. 129 e 130, in La legge fallimentare, Padova, 2014; Bonsignori, sub art. 129, in La legge fallimentare. 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