Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 135 - Effetti del concordato.Effetti del concordato.
Il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla apertura del fallimento, compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo. A questi però non si estendono le garanzie date nel concordato da terzi. I creditori conservano la loro azione per l'intero credito contro i coobbligati, i fideiussori del fallito e gli obbligati in via di regresso. InquadramentoLa fase esecutiva successiva all'omologazione. Tradizionalmente si afferma che gli effetti del concordato derivino dalla legge e non dalla convenzione tra le parti. Ma è noto che tale tesi (maturata nel contesto del vecchio regime ex r.d. n. 267/1942) va ripensata alla luce dell'accentuata esaltazione della volontà negoziale delle parti coinvolte nel dissesto, conseguente alle riforme del 2006-2007, che hanno comportato una sorta di capovolgimento di prospettiva, finendo per mettere in discussione la tradizionale impostazione circa la natura giuridica dell'istituto (si rinvia al commento all'art. 124 l.fall.; v. anche Minutoli, 1822 e dottrina ivi citata). Cass. S.U., n. 3022/2015 evidenzia come l'art. 135 (così come l'art. 184, primo comma, in tema di concordato preventivo) trova la sua ragione giustificativa nella considerazione che i rapporti contrattuali, a carattere personale o reale, stipulati dai creditori della società con soggetti terzi estranei alla stessa e comportanti obbligazioni a carico di questi ultimi restano al di fuori del concordato e dei suoi effetti. Pertanto, poiché l'esclusione dell'effetto esdebitatorio opera in modo identico sia per i rapporti di coobbligazione e le garanzie personali sia per le garanzie reali, rientra senz'altro nell'ambito applicativo della menzionata disposizione il terzo datore di ipoteca, ma non anche il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che ha prestato ipoteca per un debito sociale, non potendo questi considerarsi terzo rispetto alla medesima società. Gli effetti del concordato fallimentare, con la modifica dell'assetto del fallimento (sostituendosi alla liquidazione fallimentare quella prevista nell'accordo: cfr. Fabiani, 1020) e con i conseguenti pagamenti o adempimenti, si producono, ai sensi dell'art. 130 l.fall., dal momento in cui scadono i termini per l'opposizione o si esauriscono le impugnazioni previste dall'art. 129 l.fall. Ed è solo con la definitività di quel decreto che il debitore torna in bonis e gli organi della procedura assumono un diverso ruolo, di vigilanza e controllo; ma l'obbligo di eseguire il concordato sorge già con il deposito del decreto di omologazione (Pacchi, 2060 s.). L'art. 135 non è stato formalmente novellato dal d.lgs. n. 5/2006, le cui modifiche, tuttavia, hanno inciso sugli effetti del concordato fallimentare: si pensi al novellato art. 124 l.fall., in relazione all'estensione dell'area dei soggetti legittimati alla presentazione della proposta ed alla possibilità, per il terzo proponente, di limitare gli impegni assunti ai soli creditori ammessi al pass., anche provvisoriamente, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta (Minutoli, 1822 e dottrina ivi citata). La riforma della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14)Per il commento v. sub art. 124. L'accertamento dei crediti nel fallimentoLa situazione risultante dallo stato passivo — L'obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori implica la liberazione del fallito dalle obbligazioni preesistenti (effetto esdebitatorio) ed il diritto nei confronti del fallito o dell'assuntore alla regolazione dei crediti nelle forme prevedute dall'accordo concordatario (effetto obbligatorio). Il diritto al conseguimento del soddisfacimento previsto dal concordato, sostitutivo del soddisfacimento originariamente spettante, suppone il previo accertamento del credito originario. Nel fallimento l'accertamento dei crediti avviene nelle forme della verifica disciplinata dagli artt. 93 ss. Intervenuto il concordato i crediti concorsuali possono risultare da statuizioni dello stato passivo divenute definitive, da statuizioni non definitive essendo state proposte opposizioni od impugnazioni o, ancora, possono non risultare affatto non essendo stata presentata la domanda di ammissione a stato passivo; nel caso poi di proposta anticipata (supra, sub art. 124) la verifica dello stato passivo può non esserci stata. Poiché il concordato, secondo quanto statuisce l'articolo commentato, è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all'apertura del fallimento, compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione a stato passivo, occorre stabilire quale rilevanza assumano ai fini del concordato le risultanze dello stato passivo e secondo quali criteri si devono accertare i crediti non accertati nel fallimento o accertati con provvedimento non definitivo; dovendosi considerare in proposito che non si possono ritenere accertati i crediti risultanti dall'elenco provvisorio approvato dal giudice delegato ai sensi dell'art. 124, primo comma, in caso di proposta anticipata. A tal fine occorre considerare che la verifica dello stato passivo è volta all'accertamento del diritto all'attribuzione di quote di riparto spettanti in esito alla liquidazione fallimentare. Il diritto al riparto nel concorso dei creditori viene perciò riconosciuto non soltanto sulla base dell'esistenza e validità del titolo del credito e dell'eventuale prelazione, ma anche sulla base dell'efficacia nei confronti dei creditori concorsuali; e vengono, quindi, esclusi dal passivo i crediti risultanti da documenti che non hanno data certa anteriore al fallimento, nonché crediti e prelazioni fondati su titoli inefficaci ex art. 64 o revocabili ex artt. 66 ss. Per l'esclusione del diritto al soddisfacimento nel differente contesto del concordato fallimentare viene però messa in discussione la rilevanza dell'esclusione fondata su di un'inefficacia relativa. Occorre peraltro considerare, nel contempo, che il concordato costituisce una alternativa alla regolazione dei crediti attraverso la liquidazione fallimentare — tant'è vero che è con riguardo a quanto i creditori potrebbero conseguire nel fallimento che viene valutata la proposta (cfr. art. 125, primo comma) e che si procede al cram down in caso di dissenso di classi e di opposizione ad omologa — e pare pertanto coerente assumere a base per l'attribuzione del soddisfacimento nel concordato la situazione spettante ai creditori nel concorso fallimentare. Gli stessi patti concordatari, del resto, si riferiscono al passivo con riguardo al momento della dichiarazione di fallimento e, proprio movendo da questa premessa, si era da tempo affermato che in sede di esecuzione del concordato «non vi è alcun margine per la possibilità che si tenga conto degli interessi maturati dopo tale data in corrispondenza della pendenza del processo fallimentare» (Cass. n. 460/1975; conf. Cass. n. 3960/1995). È stato così enunciato un principio di stabilità nel concordato della situazione conseguita nel fallimento. In realtà, poiché il fallimento cessa con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, è legittimo chiedersi quali siano il fondamento e la portata della stabilità della situazione risultante dallo stato passivo e, in particolare: a) quale sia la posizione dei creditori che si siano visti rigettare il ricorso per ammissione a stato passivo per inopponibilità al fallimento dei documenti dai quali il credito risulta o che si siano visti escludere una prelazione perché revocabile; b) quale sia la posizione di questi creditori, quando contro il provvedimento di esclusione abbiano proposto opposizione a stato passivo e questa non sia stata definita con provvedimento passato in giudicato; c) quale sia, infine, la posizione dei creditori che non abbiano chiesto l'ammissione allo stato passivo e che hanno, tuttavia, diritto al soddisfacimento nel concordato. Le statuizioni dello stato passivo definitive — Con riferimento alla revoca della prelazione con statuizione definitiva si è affermato che «il postulato della stabilità della situazione patrimoniale, in base alla quale fu disposto il concordato, urta contro il non meno significativo principio della relatività degli effetti della revocatoria» (Bonsignori, sub art. 135, § 4) e che della revoca può giovarsi l'assuntore quale successore della massa, non invece il fallito (Tarzia, 717). In caso di concordato con assunzione degli obblighi concordatari da parte del fallito, l'affermazione che la cessazione della procedura fallimentare, conseguente al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, implica il venir meno del necessario punto di riferimento per l'inopponibilità relativa, è certamente suggestiva. Cessata la procedura, a trovarsi di fronte sarebbero soltanto il debitore e i suoi creditori e l'inopponibilità al fallimento sembrerebbe non avere più senso. Se così fosse il fallito dovrebbe pagare anche i creditori esclusi per inopponibilità del titolo o per revoca dell'ipoteca, anche quando la statuizione del giudice delegato non fosse stata impugnata: il debitore, cessato il fallimento, non potrebbe invocare la revoca dell'ipoteca ancorché risultante da statuizione definitiva del giudice delegato, semplicemente perché revoca dell'ipoteca significa inefficacia della prelazione nei confronti del fallimento e la procedura di fallimento è ormai cessata. Anche nel sistema ante riforma e con riferimento al concordato con assunzione degli obblighi concordatari da parte del fallito si doveva considerare che il concordato, anche se determina la cessazione della procedura fallimentare, rimane uno strumento di regolazione dei rapporti fra creditori su quelle basi che sono state fissate per effetto della procedura fallimentare (Guglielmucci, 968 ss.). Con la proposta di concordato, infatti, venivano — e vengono tuttora — stanziate risorse per il soddisfacimento dei creditori concorsuali e se, ove la proposta prevedesse l'adempimento da parte del fallito, questi dovesse soddisfare integralmente i crediti con prelazione revocata, finirebbero con il venir destinate a questi creditori risorse da sottrarre agli altri creditori. Dopo la riforma il concordato con assunzione degli obblighi concordatari da parte del fallito — al quale già in precedenza si preferiva il concordato con assunzione degli obblighi da parte di un terzo — è divenuto comunque un'ipotesi residuale. In un sistema nel quale il concordato può essere proposto da qualunque terzo con assunzione degli obblighi da parte sua — ed anzi può essere proposto dal fallito soltanto in limiti cronologici ristretti — non sembra possa essere seriamente contestata la funzione del concordato di strumento di regolazione del rapporto fra i creditori sulle basi che sono state fissate per effetto della procedura fallimentare. Il principio di stabilità della situazione conseguita nel fallimento, richiamato con riguardo all'esclusione della prelazione per revoca è, poi, operante anche in caso di rigetto del ricorso per ammissione a stato passivo, fondato sul difetto di data certa dei documenti (ad esempio una cambiale) invocati dal ricorrente: la circostanza che l'inopponibilità al fallimento dipenda da carenze formali della documentazione (mancanza di data certa) o dell'essere stato l'atto compiuto «in frode ai creditori» non può legittimare una differente conclusione, posto che la pronuncia è sempre e soltanto una pronuncia di inefficacia nei confronti dei creditori. Le statuizioni dello stato passivo non definitive — Se con riferimento alla revoca della prelazione la giurisprudenza aveva recepito il principio di stabilità dalle statuizioni definitive, aveva nel contempo affermato il diritto del creditore al soddisfacimento integrale in caso di revoca con statuizione non definitiva per pendenza di opposizione a stato passivo (Cass. n. 575/1967). Per le statuizioni non definitive è stata così riproposta la differenziazione di disciplina del concordato con assunzione degli obblighi concordatari da parte del fallito e concordato con cessione dei beni ad un assuntore. In quest'ultimo caso, essendo pacifico che l'assuntore è avente causa dalla massa e non dal fallito, l'inopponibilità dei documenti privi di data certa non poteva essere messa in discussione, mentre sembrava doversi escludere la possibilità di avvalersi della revocabilità della prelazione in assenza di una clausola di cessione delle azioni revocatorie. Si era però osservato che l'esigenza di una espressa previsione della cessione delle azioni revocatorie è avvertita in relazione al carattere della revoca, di strumento di reintegrazione della garanzia patrimoniale. Il «recupero», attraverso l'azione revocatoria, di beni dei quali il fallito avesse disposto si presta a speculazioni, da parte dell'assuntore, che devono essere attentamente valutate in sede di esame della proposta e di omologazione del concordato al fine di stabilire quale sia l'entità delle «attività» cedute. La revoca dell'ipoteca è, invece, diretta a regolare il rapporto fra i creditori concorsuali ed a ripristinare la par condicio creditorum lesa dall'acquisizione di una prelazione «in frode ai creditori». Si era perciò prospettata una diversità di trattamento fra revocatorie dirette a incrementare il patrimonio ceduto (esperibili, senz'ombra di dubbio, solo in presenza di una espressa cessione delle revocatorie) e revocatorie dirette a regolare il rapporto fra i creditori (suscettibili, in ipotesi, di essere invocate, in via di eccezione, dall'assuntore, ancorché non cessionario delle azioni revocatorie) (Guglielmucci, 970). In caso di concordato con cessione dei beni all'assuntore è comunque possibile prevenire possibili incertezze interpretative inserendo nella proposta la clausola di cessione delle revocatorie. Rimane il problema del concordato con assunzione degli obblighi concordatari da parte del fallito, con riguardo al quale occorre considerare da un lato che non sembra congruo far dipendere il trattamento nel concordato del creditore assistito da prelazione revocabile dalla circostanza che abbia o meno assunto, magari pretestuosamente, l'iniziativa di proporre opposizione a stato passivo; dall'altro che, interrotto il giudizio di opposizione a stato passivo per passaggio in giudicato della sentenza di omologa e conseguente cessazione della procedura fallimentare, la verifica della fondatezza o meno della pretesa al riconoscimento della prelazione dovrebbe essere effettuata in contraddittorio non con un terzo assuntore, come nel concordato con cessione dei beni all'assuntore, ma con il fallito e che una pronuncia di revoca a favore del fallito sembra inconciliabile con il principio della cedibilità delle revocatorie ai terzi, non al fallito. La soluzione del problema, secondo la tesi che appare preferibile, passa attraverso la già prospettata differente funzione dell'azione revocatoria, a secondo che costituisca strumento di reintegrazione della garanzia patrimoniale e, quindi, di implementazione dell'attivo o di strumento di regolazione del concorso attraverso la revoca della prelazione o del titolo del credito. Se è ovvio che il fallito non possa beneficiare del recupero dei cespiti attivi attraverso la revoca, che è strumento di recupero alla garanzia patrimoniale e non al patrimonio del debitore, non altrettanto ovvio è che le risorse messe a disposizione del concordato debbano essere attribuite ai creditori in dispregio alla regola della par condicio: se, infatti, il fallito proponendo il concordato dovesse prevedere il soddisfacimento integrale dei crediti con prelazione revocabile, ma revocata con provvedimento non definitivo, anziché limitarsi a tener conto dell'alea connessa alla pendenza del giudizio di opposizione a stato passivo, dovrebbe proporre agli altri creditori un soddisfacimento minore; o, in alternativa, procurarsi risorse aggiuntive, che potrebbero anche influire sulla convenienza se non addirittura sulla stessa percorribilità della soluzione concordataria. Solo per completezza occorre considerare che gli interessi in conflitto si atteggiano in modo diverso quando l'esclusione sia stata disposta per difetto di data certa anteriore del titolo del credito. Il fallito è, infatti, obbligato — a differenza dell'assuntore — per i debiti assunti dopo il fallimento ed anzi è obbligato a pagarli integralmente, sicché in caso di opposizione del creditore contro l'esclusione ha piuttosto interesse al riconoscimento dell'anteriorità del credito e, quindi, della possibilità di soddisfarlo in moneta concordataria, anziché integralmente. Poiché l'obbligazione di pagare i debiti postfallimentari non attiene all'esecuzione del concordato, è semmai il garante ad avere interesse ad avvalersi della declaratoria di inopponibilità ed occorre, quindi, chiedersi se, a fronte della richiesta di pagamento da parte del creditore che abbia proposto opposizione all'esclusione fondata sulla non anteriorità del credito, possa provare la fondatezza dell'esclusione ancorché risultante da statuizione non definitiva. I crediti non assoggettati a verifica — Come si è ricordato il concordato è obbligatorio anche quando il credito non sia stato verificato ai sensi dell'artt. 93 ss. perché il creditore non ha presentato domanda di ammissione a stato passivo od anche perché, dopo la proposizione del concordato sulla base dell'elenco provvisorio approvato dal giudice delegato, alla verifica dello stato passivo non si sia proceduto (in senso conforme, da ultimo, Ruosi, 1815). Poiché la proposta anticipata può provenire soltanto da uno o più creditori o da un terzo è possibile che contenga la duplice clausola della cessione delle azioni revocatorie e della limitazione della responsabilità dell'assuntore. Ma la cessione può avere ad oggetto soltanto le revocatorie autorizzate con specifica indicazione dell'oggetto e del fondamento della pretesa. Quando però la pretesa revocatoria abbia ad oggetto il titolo del credito o della prelazione occorre che la domanda di ammissione a stato passivo sia stata presentata; e l'assuntore può bensì limitare la propria responsabilità ai creditori che hanno presentato domanda di ammissione a stato passivo al momento della proposta, ma quando il termine per la presentazione tempestiva di domande di ammissione non sia ancora scaduto, non può essere pregiudicato il diritto del creditore di chiedere la partecipazione al concorso ed il riconoscimento di quanto possa spettargli in base ad una proposta di concordato. Sembra, in tal caso, che sia praticamente impossibile ottenere l'autorizzazione a far valere la revocatoria del titolo del credito o della prelazione. In ogni caso — ed a questo punto il problema si pone negli stessi termini anche in caso di presentazione della proposta da parte del fallito, con l'assunzione dell'obbligo di adempiere da parte sua — si ripropone il problema della irrazionalità di una disparità di trattamento del creditore che abbia richiesto l'ammissione e si sia acquietato, di quello che viceversa abbia proposto opposizione e, infine, di quello che, prefigurandosi la presentazione di una proposta di concordato per altra ragione non abbia chiesto l'ammissione a stato passivo. L'unica soluzione razionale appare quindi quella di considerare il creditore comunque esposto all'eccezione di revocabilità, diretta ad offrirgli, in sede di esecuzione del concordato fallimentare, quello stesso trattamento, che egli avrebbe avuto nel fallimento. Il concordato è una fase della procedura fallimentare diretta al soddisfacimento dei creditori non mediante il riparto del ricavato, bensì mediante pagamento da parte del debitore o dell'assuntore. La misura del soddisfacimento non può essere fatta dipendere dalla circostanza, meramente casuale (e, perché no, strumentale) che sia stata proposta un'opposizione a stato passivo o che il credito sia stato o meno insinuato; né i rapporti reciproci fra creditori concorrenti possono mutare solo perché il concordato implica cessazione della procedura fallimentare. Solo quando il fallimento si chiude altrimenti è logico che perdano ogni significato addirittura anche le declaratorie di inefficacia derivanti da provvedimento divenuto definitivo; ma perché il concorso dei creditori è definitivamente cessato e non permane, invece, in prospettiva di soddisfacimento dei creditori, come avviene nella fase di esecuzione del concordato. La verifica dei crediti nella fase di esecuzione del concordatoLe posizioni sub iudice — La cessazione della procedura fallimentare comporta l'interruzione di tutti i procedimenti (con il subentro del fallito (o dell'assuntore) nelle cause civili pendenti, previa dichiarazione di interruzione della causa stessa: in dottrina da ultimo Ruosi, 1818-1819), compresi quelli di opposizione ed impugnazione di statuizioni dello stato passivo. La definizione dei giudizi di impugnazione dei crediti ammessi è dubbio possa escludere il diritto al soddisfacimento nel concordato, che non si realizza attraverso la distribuzione del ricavato della liquidazione, ma con i pagamenti promessi dal fallito o dall'assuntore o nelle altre forme previste dalla proposta di concordato. Perciò si è affermato che il creditore che ha proposto impugnazione non ha interesse alla riassunzione se non al limitato fine di ottenere la condanna alla rifusione delle spese (Cass. n. 2019/1982; ma nel senso che a coltivare i giudizi di impugnazione dei crediti ammessi sarebbe l'assuntore v. Cass. n. 28492/2005). Dalla definizione dei giudizi di opposizione a stato passivo dipende invece il diritto dell'opponente al soddisfacimento nel concordato. Il procedimento, interrotto a seguito della cessazione della procedura fallimentare, va definito in contraddittorio con il fallito o con l'assuntore e, secondo la giurisprudenza anteriore alla riforma, per il principio della perpetuatio iurisdictionis va riassunto avanti allo stesso giudice e deve svolgersi con il medesimo rito col quale si era iniziato (da ultimo Cass. n. 8521/1998; Cass. n. 3151/1996). Nel nuovo sistema il decreto di esecutività dello stato passivo viene emanato in un procedimento camerale strutturato come giudizio di primo grado e l'opposizione contro le statuizioni del giudice delegato vanno proposte, sempre nelle forme del procedimento camerale, con ricorso alla corte d'appello. La tesi della perpetuatio iurisdictionis appare vieppiù fondata. Se il creditore non riassume tempestivamente il procedimento e lo lascia estinguere si è affermato che può instaurare un nuovo procedimento con il rito ordinario (Cass. n. 3478/1969). L'estinzione del giudizio di appello dovrebbe tuttavia comportare la definitività del provvedimento impugnato e, quindi, la definitiva esclusione del diritto al soddisfacimento nel concordato. Al riguardo, v. Cass. n. 20885/2008, secondo cui i giudizi di opposizione allo stato passivo debbono essere riassunti innanzi al giudice fallimentare, originariamente competente, con l'osservanza delle forme speciali per il processo fallimentare e con decorrenza dei termini ex art. 163-bis c.p.c. dalla ordinanza di interruzione. I crediti non assoggettati a verifica — Atteso che il concordato è obbligatorio per tutti i creditori compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione allo stato passivo, per questi creditori — e per quelli risultanti dall'elenco provvisorio approvato dal giudice delegato per consentire la proposizione di proposta anticipata ove non si sia poi proceduto alla verifica — l'accertamento, in caso di contestazione, deve intervenire, in contraddittorio con il fallito o con l'assuntore, nelle forme del giudizio ordinario. Può accadere che il creditore proponga domanda di accertamento o anche di condanna e che il petitum riguardi l'intero credito. Si disputava se in tal caso vi fosse o meno un onere di opporre la parziale estinzione dell'obbligazione per effetto dell'accordo concordatario. Il contrasto giurisprudenziale è stato composto dalle sezioni unite, che hanno affermato l'opponibilità della riduzione concordataria del credito con opposizione all'esecuzione della sentenza di condanna al pagamento dell'intero credito (Cass. S.U., n. 7562/1990). Nel nuovo sistema, nel quale la proposta di concordato può prevedere una riduzione dei crediti, ma anche, in alternativa, il soddisfacimento dei crediti in forme diverse, non par dubbio che l'accertamento del credito nella misura originaria non possa che attribuire il diritto al soddisfacimento in conformità alla proposta di concordato. Sembra invece inammissibile una pronuncia di condanna, anziché di accertamento quando la forma di soddisfacimento prevista dal concordato sia diversa dal pagamento di una somma di denaro: ove il creditore abbia richiesto non il semplice accertamento del credito, ma la condanna e l'inammissibilità della condanna non sia stata eccepita, non è agevole valorizzare l'argomento della citata pronuncia delle sezioni unite, volto a conciliare la pronuncia sull'intero credito con il diritto all'attribuzione solo di quanto spetta in base al concordato; l'affermazione cioè che «l'accertamento non solo non postula (né lo potrebbe) alcun giudizio sulla falcidia, ma tende proprio a rendere possibile l'applicazione della percentuale concordataria in sede di esecuzione del concordato nei confronti di tutti i creditori anteriori». I diritti contro i coobbligati, i fideiussori del fallito e gli obbligati in via di regressoGaranti del fallito e garanti del concordato — I garanti del concordato rispondono soltanto delle obbligazioni concordatarie ed anzi rispondono soltanto nei confronti di coloro che hanno chiesto l'ammissione allo stato passivo, a differenza dell'assuntore che risponde anche nei confronti dei creditori non insinuati, salvo deroga con apposita clausola, peraltro abitualmente inserita nelle proposte di concordato. Coloro che hanno anteriormente prestato garanzie personali per i debiti dell'imprenditore successivamente fallito, al pari dei coobbligati e degli obbligati in via di regresso, continuano invece a rispondere per l'intero nei confronti di quei creditori a favore dei quali le hanno prestate. La persistenza della responsabilità si colloca in apparente contrasto con il principio di accessorietà che caratterizza ordinariamente le garanzie ed anche con la disciplina delle obbligazioni solidali. Viene spiegata affermando che il concordato non determina l'estinzione delle obbligazioni, ma la degradazione ad obbligazione naturale della quota di obbligazione della quale non è preveduto il pagamento nel concordato (Cass. n. 1500/1978; Cass. n. 3120/1974). La possibilità, prevista con la riforma, di proporre anziché il pagamento di una quota di credito, il soddisfacimento dei crediti in altre forme, per effetto della conservazione della regola contenuto nel secondo comma dell'articolo commentato ha come conseguenza la coesistenza dell'obbligazione originaria, vincolante per coobbligati, fideiussori ed obbligati in via di regresso, con la nuova obbligazione derivante dall'accordo concordatario. Secondo l'opinione prevalente, fondata sulla dizione letterale della norma, il principio di accessorietà dovrebbe invece operare per le garanzie reali prestate da terzi, con le quali il garante non rimane obbligato, ma soltanto assoggettato all'azione esecutiva del creditore (Pacchi, sub art. 135, § 6; Minutoli, sub art. 135, 1826). L'estensione della salvaguardia anche alle garanzie reali prestate da terzi, in altri ordinamenti espressamente preveduta, è stata, tuttavia, prospettata in considerazione dell'identità di ratio (Presti 227 ss.) e, con riferimento alla corrispondente norma dettata per il concordato preventivo, è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 5424/1992). La responsabilità del coobbligato e del fideiussore con riferimento al soddisfacimento nel concordato del credito garantito — La disciplina ante riforma, che prevedeva come forma di soddisfacimento dei creditori unicamente il pagamento di una percentuale, non poneva particolari problemi per la verifica della misura in cui il garante rimaneva definitivamente esposto in forza alla garanzia prestata: che era rappresentata dalla differenza fra l'importo del credito, comprensivo degli interessi il cui decorso era rimasto sospeso solo ai fini del concorso e quindi per il debitore non anche per i garanti, e la percentuale attribuita con il concordato. La possibilità, ora offerta, di prevedere il soddisfacimento dei crediti in qualunque forma rende meno agevole questa verifica, rendendosi necessario quantificare la misura del soddisfacimento attribuito nelle forme di volta in volta prevedute dall'accordo concordatario. Si può ricordare, in proposito, che nel concordato Parmalat, nel quale il soddisfacimento dei creditori chirografari è stato preveduto attribuendo loro partecipazioni nella società assuntrice del concordato costituita dal commissario straordinario, ai creditori sono state attribuite azioni del valore nominale corrispondente ad una determinata (per verità modesta) percentuale del credito da essi originariamente vantato. È peraltro evidente che il valore di queste azioni è suscettibile di variazione nel tempo in dipendenza dei risultati sull'attività di impresa della newco e, nel caso della Parmalat, anche in relazione all'esito delle azioni revocatorie delle quali la società assuntrice si è resa cessionaria. Tuttavia per poter beneficiare degli incrementi, sopportando nel contempo il rischio dei possibili decrementi, il garante ha unicamente la possibilità di soddisfare integralmente il creditore garantito, surrogandosi a lui nel diritto spettantegli in base al concordato. Pertanto, ogni qualvolta il soddisfacimento dei crediti nel concordato sia previsto in forme diverse dalla corresponsione in danaro di una percentuale, sarà necessario verificare a quale percentuale del credito corrisponde ciò che viene attribuito ai creditori. L'accertamento del credito garantito — Il garante — ed il coobbligato nella misura eccedente la sua quota interna — sopportano, dunque, le conseguenze dell'insolvenza del debitore garantito o del condebitore in misura corrispondente alla differenza fra l'entità del debito e la minor misura in cui esso viene soddisfatto nel concordato. L'accertamento del credito garantito è però intervenuto in un procedimento al quale egli è rimasto estraneo. Movendo allora dalla premessa che, secondo quanto statuisce l'art. 1306, primo comma, c.c., la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori, ove il fideiussore, o il coobbligato, contesti la sussistenza del credito accertato in sede di verifica dello stato passivo od anche in sede ordinaria quando verifica non vi sia stata, può pretendere che il creditore ottenga un titolo esecutivo nei suoi confronti. Occorre, tuttavia, ricordare che il riconoscimento giudiziale del credito non è privo di rilevanza per il fideiussore o il condebitore che non abbia partecipato al giudizio: si è infatti affermato che «per accertare, nei confronti del fideiussore, l'esistenza e l'ammontare del debito garantito, il giudice può utilizzare come validi elementi presuntivi, qualora il fideiussore si limiti ad inconsistenti o generiche contestazioni o alla deduzione di prove contrarie inconcludenti, il giudicato di condanna ottenuto dal creditore nei confronti del debitore principale, l'ammissione del credito al passivo del fallimento...» (Cass. n. 3315/1972). L'efficacia meramente endofallimentare dell'accertamento dello stato passivo non vale ad escludere la sua utilizzabilità nei confronti di coobbligati e fideiussori, che possano certamente metterlo in discussione, ma non con inconsistenti e generiche contestazioni o con la deduzione di prove contrarie inconcludenti. È appena il caso di aggiungere che la contestazione può investire non soltanto l'esistenza e validità del debito del quale il fideiussore o il coobbligato viene chiamato a rispondere, ma anche la correttezza dei criteri adoperati per quantificare la misura del soddisfacimento attribuito nel concordato in forme diverse dalla corresponsione di una somma di danaro. Gli effetti della cessazione della procedura fallimentareIl dies a quo della cessazione della procedura fallimentare — Mentre prima della riforma la cessazione della procedura fallimentare conseguiva automaticamente al passaggio in giudicato del provvedimento di omologa del concordato, nel sistema vigente — come si è ricordato (supra, sub artt. 129-130-131) — la procedura fallimentare cessa soltanto (dopo l'approvazione del rendiconto del curatore secondo le regole e le forme dell'art. 116), con il decreto di chiusura emanato dal tribunale ai sensi dell'art. 130. Quando la chiusura del fallimento viene disposta per una delle cause previste dall'art. 118 il decreto di chiusura è impugnabile ex art. 26. L'art. 130, secondo comma, non contiene invece alcuna indicazione sull'impugnabilità o meno del provvedimento. La possibilità che il presupposto della chiusura per concordato sia costituito da un decreto di omologa non soggetto a gravame renderebbe l'impugnativa — come si è giustamente osservato — «superflua ed illogica» (Cavalaglio, sub art. 130, § 3). Anche se, secondo quanto statuisce l'art. 26, quinto comma, il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento, il problema dell'ammissibilità o meno del reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento ex art. 130, secondo comma, non è privo di rilievo. Trattandosi, infatti, di provvedimento costitutivo, se il reclamo fosse ammissibile ne deriverebbe un ulteriore ritardo nella cessazione degli effetti del fallimento. La sorte del patrimonio del debitore — Con la chiusura del fallimento cessano gli effetti sul patrimonio del debitore: il fallito ritorna in bonis e in caso di assunzione del concordato da parte di un terzo i beni vengono trasferiti all'assuntore. Poiché l'accordo concordatario è bensì definitivamente approvato, ma non è ancora eseguito, è stato talora prospettato il differimento del riacquisto della disponibilità dei beni da parte del debitore o del loro trasferimento all'assuntore al momento dell'adempimento. Anche a voler considerare il «perdurante interesse dei creditori alla conservazione del patrimonio del debitore per il buon fine del concordato medesimo» (invocato da Cass. n. 953/1982, per giustificare la persistenza della legittimazione processuale del curatore) deve escludersi che il differimento della cessazione degli effetti del fallimento possa essere automatico od essere disposto dal tribunale come modalità di esecuzione del concordato e si deve considerare ammissibile solo in forza di clausola della proposta di concordato, atteso che «la legge non detta alcuna norma che possa limitare l'autonomia negoziale degli interessati» (Cass. n. 4159/1977; sull'ammissibilità del differimento dell'effetto traslativo a favore dell'assuntore in forza di clausola contrattuale v. anche Cass. n. 5147/1992). Su questa base un differimento del trasferimento ed anche la previsione di una liquidazione controllata ad opera del curatore quale garanzia suppletiva dell'esecuzione del concordato (v., sul punto, Guglielmucci, 194) è sicuramente ammissibile. In difetto il trasferimento (del potere di disposizione al fallito o della titolarità dei beni all'assuntore) opera automaticamente alla chiusura del fallimento, anche se per gli adempimenti pubblicitari, come la trascrizione nei registri immobiliari può rendersi necessaria la stesura d'un atto di identificazione dei beni ceduti all'assuntore. Solo nel caso in cui sia prevista la cessione dei beni ai creditori, o di determinati beni ad una classe di creditori, con la chiusura del fallimento si verifica il trasferimento del potere di disposizione a chi, secondo quanto previsto nella proposta di concordato o quanto disposto dal tribunale come modalità di sorveglianza dell'esecuzione, dovrà procedere alla liquidazione. I procedimenti pendenti — Con la cessazione della procedura fallimentare i procedimenti pendenti si interrompono: non soltanto quelli di impugnazione dello stato passivo, (cui si è fatto riferimento supra), ma tutti i procedimenti promossi dal curatore in sostituzione del fallito o in sostituzione dei creditori o, ancora, nell'esercizio di azioni che derivano dal fallimento (azioni della massa); nonché quelli promossi contro il curatore, ancorché non soggetti al rito dell'accertamento dello stato passivo e dei diritti reali o personali su beni mobili o immobili. Anche quando detti procedimenti — come le azioni della massa non cedute ex art. 124, quarto comma — non possono essere riassunti nella fase di esecuzione del concordato, i procedimenti si interrompono, non si estinguono, perché è pur sempre possibile che il fallimento venga riaperto a seguito di risoluzione od annullamento del concordato. Prima della riforma si dava per scontato che l'interruzione conseguente alla cessazione del fallimento per concordato non operasse automaticamente e fosse necessaria la dichiarazione dell'evento interruttivo (Cass. n. 3186/1983), così come veniva ritenuta la necessità della dichiarazione dell'evento interruttivo costituito dall'apertura del procedimento fallimentare. Con la riforma è stata espressamente sancita l'automaticità dell'interruzione per apertura del fallimento (art. 43, terzo comma). Correlativamente deve ritenersi operi automaticamente anche l'interruzione per cessazione della procedura di fallimento. I procedimenti interrotti vanno riassunti dal o nei confronti del debitore ritornato in bonis o dell'assuntore o nei confronti di entrambi quando le decisioni siano destinate a vincolare tutti e due, come quelle relative ad impugnazione dello stato passivo nel concordato con assunzione, ma senza liberazione immediata del fallito (Minutoli, sub art. 136). In caso di mancata riassunzione e conseguente estinzione del procedimento la pretesa va riproposta davanti al tribunale competente secondo le norme del codice di rito: così, ad esempio, l'assuntore cessionario di revocatorie già proposte dal curatore se ha lasciato estinguere il giudizio pendente — esattamente come nel caso intenda proporre un'azione autorizzata, ma non già promossa dal curatore — deve promuovere il procedimento non avanti al Tribunale competente secondo le regole del foro fallimentare, ma secondo le regole ordinarie del codice di procedura civile (Minutoli, sub art. 136). BibliografiaBonsignori, Del concordato, in Comm. S.B., Bologna, 1979; Cavalaglio, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna 2007; Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna 2010; Minutoli, La legge fallimentare, commentario teorico pratico, Padova 2011; Pacchi, Il concordato fallimentare, in Manuale di diritto fallimentare, Milano 2007; Guglielmucci, in Codice commentato del fallimento a cura di Lo Cascio G, Milano 2013; Ruosi, in La riforma della legge fallimentare, Torino 2006. |