Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 143 - Procedimento di esdebitazione 1 2 .Art. 143 Il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, verificate le condizioni di cui all'articolo 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. Il ricorso e il decreto del tribunale sono comunicati dal curatore ai creditori a mezzo posta elettronica certificata3. Contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo a norma dell'articolo 264. [1] Articolo sostituito dall'articolo 128 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] A norma dell'articolo 19, comma 1, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 , comma 1, del citato D.Lgs. 169/2007, le disposizioni del presente Capo si applicano anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. Vedi, anche, l'articolo 22, comma 4, del medesimo D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169. [3] Comma modificato dall'articolo 17, comma 1, lettera p), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179. Per l'applicazione del presente comma vedi quanto disposto dai commi 4 e 5 del medesimo articolo 17. [4] La Corte Costituzionale con sentenza 30 maggio 2008 , n. 181 (in Gazz. Uff., 4 giugno 2008, n. 24) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente articolo, nel testo introdotto a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione attivato, ad istanza del debitore gia' dichiarato fallito, nell'anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevedeva la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonche' del decreto col quale il giudice fissa l'udienza in Camera di consiglio. InquadramentoCon l'art. 143 si delineano le regole fondamentali del procedimento di esdebitazione. La norma appare chiaramente incompleta e si limita a fornire una disciplina di contenuto assolutamente minimale, che deve essere integrata dall'interprete. Infatti, letteralmente è previsto che il tribunale provveda con decreto, ma nulla dice circa le regola processuali da applicare. Inoltre, viene esteso a questa fattispecie, come strumento di impugnazione e controllo sulla decisione stessa il reclamo di cui all'art. 26 l.fall., che il legislatore della riforma ha tratteggiato come una sorta di paradigma dei controlli endo concorsuali, nonostante in questo caso il provvedimento venga normalmente assunto a procedura concorsuale già chiusa (più raramente nella pratica viene utilizzata la possibilità di ricorrere all'esdebitazione in pendenza di fallimento, laddove in tal caso la decisione viene emessa con il decreto che dispone al chiusura della procedura concorsuale). Dopo la riforma ci si è chiesti se l'esdebitazione potesse essere disposta d'ufficio con il decreto che dispone la chiusura del fallimento. Se la risposta negativa è stata in un primo tempo sostenuta in correlazione al venir meno della possibilità di pronuncia d'ufficio del fallimento, e come portato dell'applicazione del principio della domanda anche in sede fallimentare (cfr. artt. 6 e 95), a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della presente disposizione, sancita da Corte cost. n. 181/2008, nella parte in cui non prevedeva un contraddittorio più completo ed esteso a tutti i creditori non soddisfatti interamente, l'interrogativo ha assunto un contenuto puramente scolastico. Infatti, deve ritenersi che la fissazione di un'udienza in cui assumere eventuali informazioni e consentire ai creditori insoddisfatti di formulare le proprie opposizioni od osservazioni, sia oggi un adempimento indispensabile. Va ancora ricordato che l'articolo in commento, già inciso dalla Consulta al fine di consentire un contraddittorio più ampio, è stato recentemente modificato con il d.l. n. 179/2012 convertito con mod. dalla l. n. 121/2012, consentendo che le comunicazioni possano avvenire mediante posta elettronica certificata, così da risolvere sul piano pratico molte delle difficoltà, soprattutto nel caso di precedenti procedure con numerosi creditori. L'art. 390 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, dispone: sono definiti ancora con le norme del r.d. n. 267/1942 i ricorsi per l'apertura del concordato preventivo depositati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. (15 luglio 2022); sono definite secondo le norme del r.d. n. 267/1942 le procedure di concordato preventivo pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. nonchè le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di concordato preventivo. ContraddittorioL'art. 142, nella sua formulazione letterale, si limita a stabilire che il tribunale decide «sentito il curatore e il comitato dei creditori». Almeno nella sua formulazione iniziale, quindi, la norma prevedeva un contraddittorio limitato ai precedenti organi della procedura (tanto che in assenza del comitato dei creditori l'unico ad essere di fatto sentito in ordine alla richiesta di esdebitazione sarebbe stato il curatore). Tuttavia, si è subito evidenziato il carattere decisorio del decreto che provvedere sulla istanza di esdebitazione, in quanto provvedimento che incide su diritti soggettivi e che, rispetto ai terzi creditori che non fossero stati integralmente soddisfatti nel fallimento, si pone come definitivo ostacolo all'ulteriore esperimento di azioni a tutela di tali residui diritti dei terzi. Con la conseguente compressione dei diritti costituzionali di questi ultimi ed illegittimità della norma. Tale aspetto è stato quindi colpito da una pronuncia di incostituzionalità resa nel 2008, che ha reso il procedimento di avvio sicuramente più complesso e garantito. La pronuncia di accoglimento della Corte cost. ha infatti comportato la necessità che il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza siano notificati, a cura del debitore ricorrente, a tutti i creditori concorrenti non integralmente soddisfatti in sede fallimentare. Si è posto il dubbio se tale soluzione debba riguardare soltanto il caso della esdebitazione chiesta dopo la chiusura della procedura fallimentare o anche il caso in cui la relativa istanza sia proposta nel corso del fallimento e decisa unitamente al decreto di chiusura. Si è infatti sostenuto che, mentre nel primo caso l'esigenza di notifica ricorre certamente (posto che altrimenti i creditori neppur avrebbero la possibilità di conoscere del procedimento ed interloquire in esso), non così dovrebbe ritenersi nel secondo, in cui i creditori concorsuali sono già parti del procedimento, legittimati quindi a svolgere il reclamo di cui all'artt. 26 cit. Appare tuttavia preferibile l'interpretazione più garantista, che richiede che l'istanza di esdebitazione sia comunque comunicata ai creditori nel caso di fallimento ancora aperto, affinché questi ultimi possano effettivamente portare il proprio apporto conoscitivo ed eventualmente opporsi alla richiesta. Deve pertanto sotto questa luce vedersi positivamente la modifica apportata nel 2012 al comma 1, prevedendo che «il ricorso e il decreto del Tribunale sono comunicati dal curatore ai creditori con posta elettronica certificata». Ne deriva che: a) in caso di fallimento già chiuso il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza devono essere notificati dal ricorrente (a sua volta necessariamente assistito come si vedrà da un difensore) nelle forme ordinarie a tutti i creditori solo parzialmente soddisfatti; b) nel caso di istanza presentata a fallimento ancora aperto ed in vista della sua chiusura, invece, la presenza del curatore – organo obiettivo ed imparziale che rappresenta la massa e gli interessi della procedura — giustifica una semplificazione delle forme, nel senso che in questo solo caso sarà il curatore a trasmettere il ricorso ed il pedissequo decreto del Tribunale a mezzo posta elettronica certificata, valendo per i creditori concorsuali che non hanno dichiarato un proprio indirizzo PEC, l'ulteriore semplificazione del deposito equipollente in cancelleria, ex art. 31-bis l.fall. Va ancora considerato che la legittimazione ad impugnare la decisione del tribunale, concessa anche al pubblico ministero, implica necessariamente che lo stesso debba essere considerato contraddittore necessario anche nella prima fase: allo stesso pertanto gli atti andranno comunicati dal tribunale, al fine di consentirne l'intervento e la possibilità di rendere le proprie conclusioni. Si è ritenuto che in tema di esdebitazione, istituto previsto dagli artt. 142 a 144 della legge fall., nel testo novellato dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, la domanda con cui il debitore chiede di essere ammesso a tale beneficio va notificata, unitamente al decreto col quale il giudice fissa l'udienza in camera di consiglio, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e seguenti cod. proc. civ., ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, in applicazione della sentenza della Corte costituzionale del 30 maggio 2008, n. 181, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 143 legge fall.; né rileva la circostanza che detta pronuncia sia posteriore all'emanazione del decreto del tribunale di rigetto della domanda, trattandosi di sentenza additiva o manipolativa con cui, in sede di dichiarazione di illegittimità della norma, la Corte costituzionale ha enunciato, con effetti ex tunc, valevoli per i rapporti ancora non esauriti, quella previsione la cui assenza ha giustificato la pronuncia stessa (Cass. civ. n. 21864/2010). In precedenza, infatti, la Consulta aveva ritenuto che è costituzionalmente illegittimo l'art. 143 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel testo introdotto a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione attivato, ad istanza del debitore già dichiarato fallito, nell'anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonché del decreto col quale il giudice fissa l'udienza in camera di consiglio (Corte cost. n. 181/2008). L'esigenza del contraddittorio va osservata anche in fase di reclamo: nel procedimento di esdebitazione del fallito, la domanda ed il decreto di fissazione dell'udienza innanzi al tribunale vanno notificati a tutti i creditori non integralmente soddisfatti i quali, in quanto litisconsorti necessari, non possono essere pretermessi neppure nella fase di reclamo, dovendosi escludere, a pena di nullità rilevabile d'ufficio della decisione assunta, che il contraddittorio possa essere circoscritto a coloro che si siano costituiti innanzi al primo giudice, sicché, in tal caso, la decisione va cassata con rinvio al giudice del reclamo per l'integrazione del contraddittorio (Cass. n. 23303/2015). L’esdebitazione del fallito è applicabile anche ai debiti IVA (Cass. V, n. 18124/2022). Ambito di applicazione temporaleLe norme contenute negli artt. 19 e 22 del d.lgs. n. 169/2007 hanno stabilito una complessa disciplina transitoria che può essere ricostruita nei termini che seguono: a) l'istituto dell'esdebitazione previsto dagli artt. 142 e ss l.fall. si applica anche ai fallimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006 (16 luglio 2006); b) si applica altresì alle procedure che, pendenti a tale data si siano chiuse successivamente, con l'ulteriore distinzione: b.1) se la chiusura è avvenuta prima dell'entrata in vigore del decreto correttivo (1° agosto 2008) il termine annuale per proporre l'esdebitazione decorre da tale ultima data; b.2) se invece la chiusura si è verificata successivamente l'anno decorre dalla chiusura stessa; c) l'esdebitazione non si applica invece alle procedure chiuse prima del 16 luglio 2006. Al di fuori di tale arco temporale il ricorso volto ad ottenere l'esdebitazione deve essere presentato entro l'anno successivo alla chiusura della procedura. A tale proposito occorre però ricordare che il d.l. n. 83/2015, convertito con mod. nella l. n. 132/2015, ha modificato l'art. 118 consentendo la chiusura del fallimento quando vi siano giudizi pendenti in cui la procedura è coinvolta. Per quanto qui interessa il curatore resta in carico nonostante la formale chiusura ed alla conclusione della o delle liti provvederà ad eseguire un riparto supplementare. In tali casi, imporre al fallito di chiedere la propria esdebitazione entro un anno dalla chiusura formale della procedura significherebbe rendergli potenzialmente più gravoso l'ottenimento del beneficio. Potrebbe infatti verificarsi che il riparto in quel momento eseguito dal curatore abbia riguardato pochi creditori e che ingenti somme siano state accantonate in attesa dell'esito del giudizio. La valutazione della parziarietà del soddisfacimento ai fini della concessione dell'esdebitazione rischierebbe, perciò, di condurre ad un esito ingiustamente negativo. Pertanto, in modo opportuno il legislatore del 2015 ha aggiunto un ultimo periodo all'art. 118 che così dispone: «qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell'impedimento all'esdebitazione di cui al comma secondo dell'articolo 142, il debitore può chiedere l'esdebitazione nell'anno successivo al riparto che lo ha determinato». In altri termini, di fronte ad una chiusura con liti pendenti del fallimento, il debitore può attendere anche oltre l'anno a presentare il proprio ricorso, purché all'esito del giudizio vi sia la possibilità di distribuire ulteriori somme ai creditori, così da rendere più favorevole la valutazione del presupposto oggettivo per fruire del beneficio. In tal caso il ricorso potrà essere presentato entro un anno da tale riparto supplementare. Poiché un riparto supplementare è in realtà sempre ipotizzabile anche in caso di sconfitta nella controversia pendente (in tal caso infatti quantomeno gli accantonamenti per spese dovranno comunque essere attribuiti agli aventi diritto), deve ritenersi che il termine previsto dall'ultimo comma dell'art. 118, ai fini della richiesta dell'esdebitazione, possa sempre applicarsi in ogni caso di chiusura del fallimento con liti pendenti, anche in caso di sconfitta della lite. L'istituto dell'esdebitazione, previsto dagli artt. 142 e seguenti l.fall., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006 e modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007, si applica, secondo quanto disposto dalla disciplina transitoria, anche alle procedure di fallimento aperte prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, purché ancora pendenti a quella data (16 luglio 2006), e, tra quest'ultime, a quelle chiuse alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007 (1° gennaio 2008), sempre che, in quest'ultimo caso, la relativa domanda sia presentata entro un anno dalla medesima data. La circostanza che l'esdebitazione non sia ammissibile per i fallimenti chiusi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006 non giustifica, peraltro, alcun dubbio di legittimità costituzionale della disciplina transitoria: né per contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto, come già statuito dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 61 del 2010, l'applicabilità ratione temporis dell'istituto corrisponde ad una scelta non arbitraria del legislatore, costituendo il tempo un valido elemento di diversificazione tra le situazioni giuridiche; né per contrarietà alle norme antidiscriminatorie della CEDU, posto che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2008, la chiusura del fallimento, seppur dichiarata con decreto anteriore al 16 luglio 2006, determina la cessazione delle generali incapacità personali derivanti al fallito dall'apertura del fallimento, laddove l'esdebitazione riguarda la sua responsabilità patrimoniale, comportando la liberazione del fallito che ne risulti meritevole dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali insoddisfatti (Cass. n. 24727/2015). Tale pronuncia si muove sulla scia di quanto osservato dalla Consulta: è manifestamente infondata la q.l.c. degli artt. 19 e 22, comma 4, d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, censurati, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui, prevedendo la inapplicabilità della normativa in materia di esdebitazione alle procedure aperte prima del 16 luglio 2006, realizzerebbero una manifesta disparità di trattamento, posto che ad esse consegue che quanti sono stati dichiarati falliti prima della predetta data sono ammessi alla esdebitazione solo se alla medesima data la relativa procedura fallimentare era ancora pendente; analoga questione è stata dichiarata manifestamente infondata in quanto il criterio di discrimine nella applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento, poiché lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche (sentt. n. 197 del 2010, 273 del 2011; ordd. n. 31, 61 del 2010) (Corte cost. n. 49/2012). Circa la decorrenza del termine annuale si è osservato che in materia di esdebitazione ex art. 143 l.fall., ai fini dell'istanza, il termine decorre dalla pubblicazioneexart. 17 l.fall. del decreto di chiusura disposta a termini dell'art. 119 della legge de qua (Trib. Milano, 17 luglio 2012). Per le procedure fallimentari aperte prima della novella di cui al d.lgs. n. 5 del 2006, il termine annuale di decadenza, in caso di mancata notifica del provvedimento di chiusura del fallimento, non decorre dalla pubblicazione dello stesso nel registro delle imprese bensì dal momento in cui il decreto diviene definitivo con lo spirare del termine “lungo” di cui all'art. 327 c.p.c. (Cass. I, n. 3316/2023). ProcedimentoLa scarna disposizione dell'artt. 143 l.fall. in tema di aspetti procedurali dell'esdebitazione necessita di integrazione interpretativa. In primo luogo, va evidenziato che si tratta di un procedimento che, quantunque in forme camerali, ha natura contenziosa (come si evince con sicurezza dalla declaratoria di incostituzionalità contenuta nella sentenza della Consulta: Corte cost. n. 181/2008), in quanto la decisione incide su diritti soggettivi contrapposti (da un lato il diritto del debitore di essere liberato dei propri debiti per la parte non soddisfatta nel corso della procedura fallimentare, dall'altro, il diritto dei creditori non integralmente soddisfatti di poter contare sulla perpetua responsabilità ex art. 2740 c.c. del debitore e poter agire in executivis nei suoi confronti, anche dopo la chiusura del fallimento, per la parte non soddisfatta del proprio diritto di credito). Sussiste perciò un obbligo di difesa tecnica sia per il ricorrente che per gli eventuali creditori che intendano costituirsi per presentare opposizioni od osservazioni. Tale obbligo non si applica al curatore che si limiti a relazionare sulle vicende della procedura pregressa, come pure al comitato dei creditori che si limiti ad esprimere un proprio parere o considerazioni (ovviamente non vincolante in questo caso); naturalmente neppure si applica al P.M. che intervenga in udienza. Il contraddittorio, come si è visto al par. 2 deve intendersi pieno e va instaurato a cura del ricorrente con tutti i creditori non integralmente soddisfatti grazie ai riparti della procedura fallimentare. Si può quindi ritenere che tutti i creditori che si trovano in tale situazione siano contraddittori necessari, con quanto ne consegue anche in ordine alla necessità di vocarli in giudizio anche nella successiva fase di reclamo. L'audizione del curatore e del comitato dei creditori (se costituito nella procedura cessata o in corso di chiusura) appare obbligatoria, seppure non vincolante. Ugualmente non vincolanti sono eventuali opposizioni dei creditori, pur se il tribunale dovrà ovviamente tenere conto delle diverse posizioni e motivare in proposito. Le forme camerali implicano l'applicabilità analogica dell'art. 738 c.p.c., con la conseguente possibilità per il tribunale di assumere sommarie informazioni. La frase secondo cui il tribunale decide tenendo altresì conto dei comportamenti collaborativi del debitore, deve intendersi meramente rafforzativa delle valutazioni in ordine al possesso dei requisiti soggettivi richiesti dall'art. 742 l.fall. (su cui vds. commento al detto articolo). La legittimazione attiva spetta al fallito persona fisica, mentre non può escludersi – purché nel rispetto del termine annuale di legge – una iniziativa da parte dell'erede dello stesso fallito. Il procedimento per esdebitazione introdotto dopo la chiusura del fallimento ha natura contenziosa (incide sulle posizioni soggettive del ricorrente e dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti che assumono la veste di contraddittori necessari) e richiede pertanto l'assistenza tecnica di un difensore (Trib. Pescara, 15 marzo 2009). L'onere della prova circa il rispetto dei requisiti per la concessione dell'esdebitazione spetta al fallito ricorrente: si è infatti osservato che non può essere accolta la domanda del fallito proposta ex art. 142 l.fall. quando non provi la sussistenza dei presupposti normativamente previsti (Trib. Arezzo, 17 luglio 2012). Non può tuttavia aprioristicamente escludersi che elementi positivi (oltre che negativi) in ordine alla valutazione del ricorso possano emergere dalla relazione del Curatore e, a parere dello scrivente, persino dall'acquisizione d'ufficio di documenti della procedura fallimentare (ad es. il piano di riparto ivi approvato). Da un lato, infatti, ciò corrisponde ad un superiore principio di acquisizione processuale e, dall'altro, non par dubbio che il procedimento si svolga con forme camerali, risultando perciò applicabile analogicamente quanto previsto dall'art. 738 ult. comma c.p.c., secondo cui il giudice può (sempre) assumere sommarie informazioni. Decisione e impugnazioneL'esdebitazione va trattata come procedimento autonomo nel caso di fallimento non più pendente, mentre si tratta di un subprocedimento qualora l'atto introduttivo sia depositato in vista della chiusura della procedura. Nel primo caso il ricorso è deciso (anche in assenza di apposita indicazione) con decreto motivato del tribunale, nel secondo caso con lo stesso decreto di chiusura del fallimento (pur se anche in tal caso, per identità di situazioni ed esigenza di controllo, deve ritenersi necessaria una motivazione su questo punto). Non appare accettabile la tesi che richiede che il collegio debba essere composto da magistrati diversi da quelli nominati per la procedura concorsuale, come dimostra il fatto che se il ricorso è presentato a fallimento pendente esso viene deciso con lo stesso decreto di chiusura (e quindi evidentemente proprio dallo stesso collegio assegnato alla procedura). D'altra parte non si vede, neppure dal punto di vista sostanziale, quale incompatibilità possa sussistere fra chi ha pronunciato il fallimento o la stessa chiusura della procedura (oltre ad intervenire in modo episodico nel corso della stessa) attesa, fra l'altro, la diversità dei profili in decisione nel procedimento di esdebitazione. Del pari nessuna incompatibilità appare ravvisabile rispetto allo stesso g.d., posto che l'esdebitazione non rappresenta – neppure in modo diretto – un'occasione di gravame di atti del giudice delegato monocratico. Il decreto che decide sull'istanza di esdebitazione (seppure emesso a seguito di un procedimento camerale) definisce un contrasto con effetto di giudicato, dovendosi perciò ritenere che in caso di rigetto esso debba provvedere sulle spese di lite. L'art. 143 rinvia al reclamo ex art. 26 per l'impugnazione della decisione del tribunale. Il reclamo, quindi, si deve proporre alla Corte d'appello e non è limitato a motivi di legittimità, potendo entrare nel merito (ad esempio della valutazione circa il contenuto di parzialità sufficiente del soddisfacimento dei crediti a meritare il beneficio). Vale perciò un termine di reclamo di 10 giorni che decorre dalla notificazione o comunicazione per il fallito e per chi è stato parte formale del procedimento di prime cure, ovvero dalla pubblicazione ex art. 17 l.fall. quando la decisione è contenuta nel decreto di chiusura, ovvero più in generale dall'adozione delle altre forme di pubblicità disposte dal Tribunale. Da ricordare, in ogni caso, che l'art. 26 prevede un termine lungo «abbreviato» di 90 giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria, decorsi i quali l'impugnativa non è più proponibile. Nel silenzio della norma, attesa la natura decisoria e potenzialmente definitiva, deve ammettersi il ricorso straordinario in cassazione, ex art. 111 Cost., avverso il decreto della Corte d'appello che decide sul reclamo. BibliografiaAmbrosini, L'esdebitazione del fallito fra problemi interpretativi e dubbi di costituzionalità, in Fall. Torino, 2009; Bonfatti – Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011; Bonfatti – Panzani, La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2008; Cordopatri, Riabilitazione ed esdebitazione, in Banca borsa tit. 2009, 559; Falcone, L'esdebitazione del fallito, Milano, 2008; Frascaroli Santi, L'esdebitazione del fallito: un premio per il fallito o un'esigenza di mercato?, in Diritto fall. e delle società comm. 2008, 34; Ghia, L'esdebitazione. 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