Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 152 - Proposta di concordato.

Alessandro Nastri

Proposta di concordato.

 

La proposta di concordato per la società fallita è sottoscritta da coloro che ne hanno la rappresentanza sociale.

La proposta e le condizioni del concordato, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo o dello statuto:

a) nelle società di persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale;

b) nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, sono deliberate dagli amministratori1.

In ogni caso, la decisione o la deliberazione di cui alla lettera b), del secondo comma deve risultare da verbale redatto da notaio ed è depositata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell'articolo 2436 del codice civile2.

Inquadramento

La disposizione, dettata in materia di concordato fallimentare ma applicabile anche al concordato preventivo in virtù dell'espresso richiamo ad opera dell'art. 161 comma 4 l.fall. (nonché all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza e alla liquidazione coatta amministrativa: v., rispettivamente, l'art. 78 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e l'art. 214 comma 1 l.fall.), concerne il concordato proposto (in qualità di soggetto fallito) da società di persone, di capitali o cooperativa, regolando gli aspetti relativi alla legittimazione alla sottoscrizione della proposta, alle modalità di approvazione o deliberazione della stessa e, con specifico riferimento alla deliberazione della proposta per le società di capitali e cooperative, alle relative forme di pubblicità.

La norma, dal punto di vista sistematico, costituisce una conferma del fatto che la società continua ad esistere e a vivere per mezzo dei suoi organi pur dopo la dichiarazione di fallimento, che non scioglie il vincolo sociale (Cass. I, n. 11562/2008; Cass. I, n. 4584/1999; Cass. I, n. 12928/1992).

 L’attribuzione agli amministratori (o ai soci, nelle società di persone) del potere di deliberare il concordato rende evidente che il legale rappresentante di una società fallita non è certamente il curatore, e che l’organo amministrativo mantiene la legittimazione al compimento di alcune attività, poiché la dichiarazione di fallimento non è causa di estinzione della società, i cui organi continuano ad operare con i poteri residui compatibili con il perdurante fallimento, il che comporta, tra l’altro, che la società fallita ben può provvedere alla sostituzione dei propri amministratori (Fimmanò, 763).

Pur in mancanza di espressi riferimenti al riguardo nell'art. 182-bis l.fall., è diffusa l'opinione secondo cui la norma sarebbe applicabile anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti, in via analogica, stanti l'identità di ratio e la necessità di integrare la scarna disciplina di tali accordi con quella del concordato preventivo (Guerrera, 2205; Cagnasso, 46; contra Buccarella, 108-109, sulla base del duplice assunto della diversa natura degli accordi di ristrutturazione e della specialità di talune regole dettate dall'art. 152 l.fall. in deroga ai precetti comuni del diritto societario, e Trentini, 216, secondo il quale si deve far riferimento alle previsioni statutarie e, in mancanza, alle disposizioni civilistiche di carattere generale sui poteri degli organi sociali nonché  Nocera, 353, ad avviso del quale difettano i presupposti per ricorrere all’analogia, non essendovi un’effettiva lacuna normativa ma solo una disciplina logicamente differente degli oneri imposti al debitore che intenda accedere all’accordo di ristrutturazione).

Nel senso dell'applicabilità della norma agli accordi di ristrutturazione dei debiti si è espressa anche una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 11 novembre 2011, in Fall., 457 ss., che considera l'art. 152 l.fall. «implicitamente richiamato» dall'art. 182-bis l.fall.; contra App. Napoli, 26 luglio 2017, Trib. Palermo, 31 gennaio 2013). La problematica si interseca con quella relativa all'applicabilità dell'art. 152 l.fall. alla c.d. domanda di concordato preventivo «in bianco» di cui all'art. 161 comma 6 l.fall. che può preludere anche alla richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Secondo l'orientamento prevalente nella giurisprudenza di merito, infatti, le formalità di cui all'art. 152 l.fall. devono essere rispettate sin dalla presentazione della domanda «in bianco», per ragioni di certezza e pubblicità, ad onta del riferimento della norma alla proposta e alle condizioni del concordato (Trib. Massa, 29 luglio 2015, in Fall., 2016, 204 ss.; Trib. Mantova, 14 marzo 2013, e Trib. Modena, 30 novembre 2012; Trib. Roma, 14 novembre 2012, in Fall., 2013, 73; Trib. Napoli, 31 ottobre 2012, in Fall., 2013, 73; Trib. Terni, 8 ottobre 2012; v. altresì Trib. Nocera Inferiore, 21 novembre 2013, Trib. Benevento, 29 agosto 2013, e Trib. Benevento, 26 settembre 2012, nonché App. Napoli, 15 novembre 2012, in Foro it., 2013, I, 1535, secondo cui in caso di omessa produzione della delibera di cui al comma 2 dell'art. 152 l.fall. sarebbe ravvisabile un abuso del ricorso al concordato con riserva), ma alcune pronunce affermano il contrario, anche in ragione del fatto che tale domanda può sfociare nella richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (Trib. Milano, 17 giugno 2014, in Fall., 2015, 569, e Trib. Pistoia, 30 ottobre 2012, in Fall., 2013, 74). La Suprema Corte ha recentemente aderito a quest'ultimo orientamento, precisando che l'obbligo di sottoscrizione di cui al comma 1 (richiamato dal quarto comma dell'art. 161 l.fall.) non può riferirsi alla domanda “prenotativa”, per la quale è sufficiente la sottoscrizione del mandato alle liti (Cass. I, 598/2017), e che anche le altre formalità previste dall'art. 152 l.fall. (assunzione della decisione da parte dell'organo competente, verbalizzazione notarile e pubblicità) devono essere rispettate solo al momento del successivo completamento della domanda con il deposito della proposta (Cass. I, n. 20725/2017). Resta fermo che, anche in caso di delibera assunta prima della presentazione della domanda “in bianco”, la successiva proposta di concordato preventivo depositato entro il termine concesso dal Tribunale ai sensi del comma 6 dell'art. 161 l.fall. deve essere preceduta da una nuova deliberazione dell'organo competente che approvi o determini il contenuto della proposta e le condizioni del concordato (Trib. Massa, 29 luglio 2015, in Fall., 2016, 204 ss.). Si è peraltro ipotizzato che l'acquisizione di una nuova delibera sia necessaria anche dinanzi ad una modifica sostanziale della proposta concordataria dopo l'apertura del concordato (Cass. I, n. 2264/2017).

È stato giustamente evidenziato che la norma, riferendosi alla «proposta di concordato per la società fallita», non intende disciplinare l'ipotesi in cui (come consentito dall'art. 124 l.fall.) una società presenti una proposta di concordato non già nel proprio fallimento, bensì in qualità di soggetto terzo, e che pertanto in tale ipotesi si applicano le regole generali proprie dei singoli modelli societari (Fabiani, 09, 420; Montagnani, 290). Va tuttavia segnalata la diversa opinione di chi sostiene che l'art. 152 l.fall. sia applicabile anche alla proposta di concordato presentata da creditori o da terzi (Chionna, 265 ss., il quale fa notare che l'aggettivo fallita, presente nel comma 1, scompare nei commi successivi, e ritiene che la menzione di tale aggettivo nel solo comma 1 sia dovuta al fatto che solo rispetto alle società fallite vi è necessità di chiarire a chi tra amministratori e curatore spetti il potere di sottoscrizione della proposta; per una critica a tale posizione, si veda Blandino, Tomasso, 1795). È invece pacifico che la disciplina dell'art. 152 l.fall. sia inapplicabile nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria di cui al d.l. 23 dicembre 2003 n. 347, convertito in l. 18 febbraio 2004, n. 39, poiché alle società ammesse a tale procedura è sottratto il potere di presentare proposte di concordato (Guerrera, 2205, nt. 8; Montagnani, 289, nt. 2).

 Nessun dubbio sussiste circa la non applicabilità della disposizione al ricorso per la dichiarazione di fallimento in proprio (App. Genova, 20 ottobre 2016, in Fall., 2017, 235).

La sottoscrizione della proposta di concordato

Il comma 1, che non è stato modificato dalla riforma del 2006, stabilisce che la proposta di concordato deve essere sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della società.

La differente individuazione degli organi legittimati, rispettivamente, all'approvazione e alla sottoscrizione della proposta corrisponde alla diversità tra l'organo deliberativo, cui compete l'attività societaria sostanziale, e l'organo rappresentativo della società (ossia, a seconda dei casi: l'amministratore unico, ciascuno degli amministratori dotati di poteri disgiunti, tutti gli amministratori dotati di poteri congiunti, il presidente del consiglio di amministrazione, l'amministratore delegato o il liquidatore: Bertacchini, 1038; Blandino, Tomasso, 1785; Minutoli, 1950; Satta, 471; Provinciali, 74, 2178; Pacchi, 390; Fauceglia, 1307), cui spetta il potere di esternare la volontà concordataria (Adiutori, 1986 ss.; Bonsignori, 338) e di agire in giudizio (Blandino, Tomasso; Minutoli, 1950; Del Bene, Bonfante, 374-375). Invero, i poteri di approvazione e sottoscrizione della proposta si concentrano in un unico organo quando la gestione della società è affidata ad un amministratore unico o a più amministratori con poteri disgiuntivi ex art. 2257 o 2475 c.c. (Bertacchini, 1038; Minutoli, 1950). L'autorità giudiziaria è chiamata a verificare l'attuale sussistenza del potere rappresentativo in capo ai sottoscrittori, in assenza del quale la proposta è inammissibile (Guerrera, 2207; Bertacchini, 1038). Nulla pare precludere la sottoscrizione e la presentazione della proposta da parte di un procuratore speciale all'uopo nominato da coloro che hanno la rappresentanza della società, purché ciò avvenga nel rispetto delle condizioni stabilite dall'art. 77 c.p.c..

Nel concordato fallimentare il giudice delegato è tenuto anzitutto a verificare l'ammissibilità della proposta, con particolare riguardo alla sussistenza degli elementi essenziali e, tra questi, del potere rappresentativo e della capacità di agire (in relazione alla preventiva approvazione dell'organo deliberativo) della persona che ha sottoscritto la proposta in nome della società (Trib. Terni, 26 novembre 1985, in Temi rom., 1986, 121, e Dir. fall., 1986, II, 939). In mancanza della sottoscrizione del legale rappresentante della società, la proposta va dichiarata inammissibile (App. Firenze, 31 agosto 2015). È in particolare inammissibile la domanda di concordato sottoscritta dal liquidatore della società prima che la sua nomina sia stata iscritta nel registro delle imprese, in ragione della nullità della procura alle liti conferita da soggetto privo di potere (Trib. Milano, 17 giugno 2014, in Fall., 2015, 569, la quale ha tra l'altro escluso, tra l'altro, la possibilità di una sanatoria con effetto ex tunc ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c.).

Circa il rapporto (sul piano logico-giuridico, oltre che cronologico) tra sottoscrizione e approvazione della proposta, viene in rilievo l'ipotesi in cui la proposta venga sottoscritta dall'organo rappresentativo in mancanza della preventiva delibera o determina dell'organo competente, ipotesi rispetto alla quale la dottrina appare divisa: ad un orientamento più rigoroso, secondo il quale la proposta sottoscritta e presentata in difetto di una precedente autorizzazione dell'organo deliberativo sarebbe tamquam non esset in quanto priva di un requisito essenziale, senza alcuna possibilità di sanatoria (Panzani, 93, 423 ss.; Del Bene, Bonfante, 375, e Bonsignori, 340, sull'assunto dell'inapplicabilità in tale ipotesi dell'art. 182, comma 2, c.p.c., inoperante al di fuori del processo ordinario di cognizione), si contrappone l'opinione di coloro che ammettono la possibilità di un'approvazione successiva alla presentazione, con effetto di ratifica ex tunc, purché ciò avvenga prima che la proposta sia comunicata ai creditori su ordine del giudice delegato ai sensi dell'art. 125 comma 2 l.fall. ovvero, in caso di concordato preventivo, prima che il tribunale si pronunci ai sensi dell'art. 162 o 163 l.fall. sull'ammissibilità della proposta (Guerrera, 2207; Cagnasso, 46; Bertacchini, 1038; Lenoci, 76; ma si veda Casa, 209, favorevole alla possibilità di ratifica solo nell'ipotesi di delibera viziata e non in caso di assenza della stessa).

In giurisprudenza, a fronte di un orientamento risalente più rigoroso (App. L'Aquila, 7 giugno 1996, in Dir. fall., 1996, II, 869; Trib. Ivrea, 10 gennaio 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, 1010; Trib. Roma, 15 luglio 1985, Dir. fall., 1986, II, 426), invero non del tutto abbandonato (v. recentemente Trib. Napoli, 14 aprile 2014, e Trib. Pisa, 21 febbraio 2013), è progressivamente prevalsa la tesi favorevole all'ammissibilità della ratifica da parte dell'organo deliberativo, ai sensi dell'art. 182 comma 2 c.p.c. (Cass. civ. I, n. 7347/1994; Cass. civ. I, n. 4045/1987; Trib. Mantova, 14 marzo 2013; Trib. Ancona, 15 ottobre 2012, in Fall., 2013, 79; Trib. Roma, 26 marzo 1998, in Vita not., 1999, 313; Trib. Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fall., 1995, 696 e in Gius, 1995, 1421; Trib. Roma, 5 ottobre 1992, in Fall., 1993, 405; Trib. Roma, 22 luglio 1991, in Fall., 1991, 1289; Trib. Roma, 16 marzo 1989, in Dir. fall., 1991, II, 154; Trib. Roma, 7 marzo 1989, in Temi rom., 1989, 73; App. Palermo, 6 ottobre 1984, in Giur. comm., 1987, II, 792).

L'approvazione o deliberazione della proposta: ampliamento dell'autonomia privata e la disciplina legale

La riforma di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha inciso in maniera rilevante sulla disciplina relativa alle modalità di approvazione della proposta di concordato. La principale novità è costituita dall'inserimento della previsione in base alla quale la disciplina legale può essere derogata da diverse disposizioni dell'atto costitutivo o dello statuto. Sono stati poi notevolmente differenziati, per le società di persone da un lato e per le società di capitali e cooperative dall'altro, i processi decisionali che conducono all'approvazione della proposta e del suo contenuto.

La scelta di rendere derogabile la disciplina sul punto, lasciando ampio spazio all'autonomia privata (in sede di predisposizione dell'atto costitutivo e dello statuto) circa i meccanismi decisionali relativi alla proposta di concordato (Caridi, 939; Castellano, 688; Blandino, Tomasso, 1786-1787), è coerente con l'impianto della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha inteso accentuare il ruolo della flessibilità statutaria nelle società di capitali e cooperative (Minutoli, 1951; Bertacchini, 1038; Montagnani, 292; Blandino, Tomasso, 1787), ed è al contempo finalizzata a rendere più agevole alle società il ricorso a procedure di composizione della crisi diverse dal fallimento (ma v. Montagnani, 293, secondo cui la possibilità di prevedere in via statutaria un quorum deliberativo anche elevato rischia di rendere particolarmente arduo l'accesso della società alla procedura di concordato). Le clausole dell'atto costitutivo o dello statuto possono disporre in merito ad una diversa individuazione dell'organo competente a decidere (es: assemblea dei soci, o un certo numero di soci, o quelli che hanno l'amministrazione della società), o stabilire un diverso quorum deliberativo, anche eventualmente con maggioranze calcolate secondo la partecipazione agli utili o per teste (Minutoli, 1951; Cagnasso, 49; Grossi, 1324; v. altresì Castellano, 688, secondo cui potrebbe addirittura derogarsi allo stesso principio maggioritario e alla competenza dei soci in quanto tali), e possono inoltre risolvere preventivamente e pattiziamente alcune problematiche, come quelle relative all'ammissione al voto del socio d'opera, alla necessità dell'unanimità nelle società con due soli soci aventi quote eguali, e al computo dei soci accomandanti nella maggioranza per l'approvazione del concordato nelle società in accomandita semplice (questioni sulle quali v. il successivo paragrafo 3). È stato peraltro osservato che, nelle società di capitali, l'opponibilità ai terzi delle eventuali limitazioni al potere degli amministratori di deliberare sulla proposta di concordato resta soggetta al regime degli artt. 2384 e 2475-bis c.c. (Guerrera, 2208; Bertacchini, 1038).

La deroga statutaria alla disciplina dettata dall'art. 152 l.fall. deve essere specifica ed espressa, non potendosi considerare tale un'eventuale clausola che preveda la preventiva e generica autorizzazione da parte dell'assemblea per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione (Trib. Massa, 29 luglio 2015, in Fall., 2016, 204 ss.).

Oggetto dell'approvazione o deliberazione sono «la proposta e le condizioni del concordato», sicché la decisione deve intervenire nella piena consapevolezza non solo della presentazione della proposta ma anche delle relative condizioni (Cass. I, n. 4919/1995), essendo inidonea una deliberazione assembleare con la quale si autorizzi semplicemente il rappresentante della società a sottoscrivere e depositare una domanda di concordato (Trib. Reggio Emilia, 23 giugno 1983, in Soc., 1984, 658), e tra la proposta e la sua deliberazione da parte del competente organo sociale vi deve essere coincidenza di contenuto (Trib. Roma, 29 luglio 2010, che nella specie ha dichiarato inammissibile una proposta basata sulla cessione dei beni ai creditori, a fronte della deliberazione del consiglio di amministrazione della società proponente che prevedeva la proposizione di un concordato preventivo implicante la continuazione dell'attività aziendale). Si è tuttavia giustamente evidenziato che in caso di organo monocratico coincidente con l’organo rappresentativo della società è sufficiente anche una determina generica di proporre il concordato, atteso che, poi, il contenuto della proposta è rinvenibile nel ricorso, anch’esso sottoscritto dal medesimo legale rappresentante, sicché in tale ipotesi non avrebbe alcun senso dichiarare inammissibile la proposta solo perché la determina riportata nel verbale notarile non ne indicasse il contenuto (Cass. I, n. 29741/2018)

L'approvazione della proposta per le società di persone

Il comma 2, lettera a), prevede che nelle società di persone la proposta e le condizioni del concordato (salva, come detto, diversa disposizione dell'atto costitutivo o dello statuto) sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale.

La generica espressione «società di persone», inserita dalla riforma in luogo del riferimento specifico alle società in nome collettivo e alle società in accomandita semplice, vale a sottolineare l'applicabilità della disciplina anche alle società irregolari (Guerrera, 2209; Adiutori, 1988 ss.; Caridi, 936; Bertacchini, 1038; Blandino, Tomasso, 1787-1788). In dottrina è stata criticata la scelta del legislatore di fare riferimento, con riguardo alla maggioranza che deve approvare la proposta, alla nozione di «capitale», che nelle società di persone ha un significato atecnico (Bertacchini, 1039).

Si è affermato che l'approvazione non deve necessariamente intervenire mediante una delibera assembleare, essendo sufficienti le dichiarazioni della maggioranza (per capitale) dei soci che attestino di aver approvato la presentazione della domanda di concordato (App. Salerno, 4 giugno 1999, menzionata in Cass. I, n. 13773/2002).

La maggioranza assoluta richiesta dalla norma va calcolata con riferimento al capitale sociale costituito dalle quote di partecipazione dei soci, che ai sensi dell'art. 2263 c.c. si presumono proporzionali ai conferimenti, e non in base ai diversi criteri della parte attribuita a ciascun socio negli utili o della parte di ciascun socio nei guadagni, rispettivamente previsti dall'art. 2257 comma 3 c.c. e dall'art. 2282 comma 1 c.c.. (Cass. civ. I, n. 4669/1990).

Quanto alla posizione del socio d'opera, prevale l'opinione favorevole alla sua inclusione nel novero dei partecipanti al capitale (Vassalli, 201; Bonsignori, 342; Del Bene, Bonfante, 379; Chionna, 252; Bonfatti, Censoni, 455; contra Maisano, 81 ss.; v. altresì Guerrera, 2209, nt. 26, il quale aggiunge che in presenza di soli soci d'opera dovrebbe farsi riferimento al criterio suppletivo della partecipazione agli utili).

La giurisprudenza di merito ha affermato che nelle società in accomandita semplice sono ammessi al voto anche i soci accomandanti (Trib. Napoli, 19 gennaio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 365, e Giur. nap., 2000, 230).

In dottrina, pur non mancando le adesioni a tale posizione (Maisano, 87, e Pisani, 367 ss.), prevale invece l'opinione secondo cui, in assenza di diverse disposizioni pattizie, nelle società in accomandita semplice deve tenersi conto dei soli soci accomandatari (Castellano, 689), in virtù di una deroga implicita alla norma (Bonsignori, 340), basata sulla considerazione dei diversi oneri e delle diverse responsabilità che gravano sui soci accomandanti (Ragusa Maggiore, 592) e del ruolo centrale che i soci accomandatari assumono nella gestione del dissesto (Chionna, 255 ss.). Si è d'altronde rilevato che la tesi estensiva, pur apparentemente più conforme al dettato della norma, potrebbe portare ad una decisione assunta da chi è escluso dalle scelte gestionali (Montagnani, 293-294) e soprattutto, per quanto attiene specificamente all'approvazione della proposta di concordato preventivo, non vede pendere sopra di sé la «spada di Damocle» del fallimento automatico in estensione ai sensi dell'art. 147 l.fall. (Spiotta, 1331).

La domanda di concordato di una società di persone con due soci di pari quota deve essere proposta, a pena di inammissibilità, da entrambi i soci (Trib. Napoli, 19 gennaio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 365, e in Giur. nap., 2000, 230; App. Firenze, 23 dicembre 1982, in Dir. fall., 1983, II, 704; ma v. Trib. Milano, 8 giugno 2000, Fall., 2000, 1299, secondo cui la proposta può essere presentata anche da uno solo dei due soci quando l'altro sia irreperibile e sia previsto il pagamento integrale dei creditori con conseguente effetto liberatorio per entrambi i soci, potendosi così escludere qualsiasi interesse dell'altro socio a proporre opposizione; per la necessità dell'unanimità anche nelle società di fatto o irregolari costituite da due soci, si vedano rispettivamente App. Firenze, 14 dicembre 1973, in Dir. fall., 1974, II, 714, e Trib. Roma, 27 febbraio 1953, in Dir. fall., 1953, II, 219), mentre il socio rimasto unico a seguito dell'esclusione dell'altro socio prima del fallimento è legittimato da solo a presentare la proposta di concordato per sé e per la società, fermo restando che il concordato omologato produce in tal caso l'effetto liberatorio anche per il socio escluso (Trib. Lanciano, 24 luglio 1986, in Foro it., 1988, I, 298; contra Trib. Cosenza, 14 maggio 1980, in Fall., 1981, 110, con riferimento al caso in cui uno dei due soci sia receduto prima della dichiarazione di fallimento).

La regola della maggioranza assoluta del capitale pare in effetti implicare che nel caso in cui vi siano due soli soci con quote eguali sia necessario il consenso unanime (Guglielmucci, 310, nt. 21), anche se vi è chi ritiene che in caso di dissidio tra i due soci sul punto debba invece essere nominato un curatore speciale che decida se presentare o meno la proposta (Provinciali, 70, 1982; contra Guerrera, 2210, Panzani, 223, e Del Bene, Bonfante, 377-378), fermo restando che il problema può essere risolto da una clausola statutaria che preveda che la decisione possa essere assunta anche da un solo socio (Caridi, 940; Bertacchini, 1038-1039; Blandino, Tomasso, 1790; contra Guerrera, 2209, secondo cui una tale clausola non sarebbe valida).

La deliberazione della proposta nelle società di capitali e cooperative e la relativa pubblicazione

A norma del novellato comma 2, lettera b), nelle società di capitali e cooperative la proposta e le condizioni del concordato sono deliberate dagli amministratori. Notevole è la diversità con la disciplina previgente, che riservava l'approvazione della proposta all'assemblea straordinaria salvo delega agli amministratori. Anche per tali società è comunque fatta salva la possibilità di inserire diverse disposizioni nell'atto costitutivo o nello statuto. Il comma 3 stabilisce poi, con previsione inderogabile, che la decisione o deliberazione deve risultare da un verbale redatto da notaio, che va iscritto nel registro delle imprese a norma dell'art. 2436 c.c.

In dottrina la novità legislativa è stata interpretata nel senso di un'assimilazione della decisione sulla presentazione della proposta di concordato ad un atto di gestione (Caridi, 953 e 938 ss.; Blandino, Tomasso, 1791; Castellano, 688; Fauceglia, 1308; v. altresì Sacchi, 116, secondo cui la scelta di accedere alla procedura e la predisposizione della proposta sono rimesse all'autonomia dell'ufficio amministrativo quale «manifestazione del potere di impresa», ma anche come ridimensionamento del ruolo dei soci rispetto a quello dei creditori nelle società di capitali in crisi, anche nell’ottica di una maggior rapidità delle decisioni necessarie al perseguimento del prioritario interesse del miglior soddisfacimento dei creditori (Sacchi, 18, 1284; contra Vattermoli, 860, secondo il quale l’apertura del concordato si pone come evento neutro rispetto all’organizzazione dei poteri e alla distribuzione delle competenze tra gli organi della società). La scelta del legislatore ha tuttavia suscitato perplessità con particolare riferimento alle società a responsabilità limitata, stante l'incongruenza della previsione rispetto al diverso e più diretto rapporto tra soci e amministratori (Zanarone, 58 ss.; Blandino, Tomasso, 1791; Castellano, 688) e, in particolare, alla disposizione di cui all'art. 2479 comma 2 n. 5, c.c., che riserva alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti dei soci (Guerrera, 2211; Bertacchini, 1039; Blandino, Tomasso, 1792; Fabiani, 14, 874-875; Fauceglia, 1308; Casa, 208). Taluno ha sostenuto che l'impatto della novità normativa sarebbe in realtà molto ridotto, poiché l'utilità della decisione dell'organo gestorio resta subordinata alle scelte assembleari comunque necessarie (salvo diverse previsioni statutarie) per l'approvazione delle operazioni indispensabili per l'attuazione delle condizioni del concordato (Guerrera, 2212; Montagnani, 292; Leozappa, 884, Vattermoli, 860). Si è d'altro canto evidenziato, da una prospettiva speculare, che un'eventuale clausola statutaria con la quale i soci si «riapproprino» del potere deliberativo riservato dalla legge agli amministratori determinerebbe un'esigenza di coordinamento con la competenza esclusiva degli amministratori in ordine alla gestione, sancita dall'art. 2380-bis c.c. (Caridi, 940; Bertacchini, 1039). Non vi è dubbio che gli amministratori possano delegare il potere di deliberazione della proposta ad un amministratore delegato o al comitato esecutivo (Cagnasso, 49; Bertacchini, 1039-1040; Casa, 208; v. tuttavia Guerrera, 2211, nt. 36, che giudica «estrema» tale opzione). Con riferimento alle società in liquidazione, si è osservato che da una corretta ricostruzione dell'assetto delle competenze gestorie in fase di liquidazione non può che discendere l'attribuzione ai liquidatori del potere di deliberare una proposta di concordato (senza la necessità di una delibera assembleare attributiva di tale potere), rientrando quest'ultima, specie se inerente ad un concordato con cessio bonorum, tra gli “atti utili per la liquidazione della società” che l'art. 2489 c.c. affida alla competenza del liquidatore (Turelli1567).  Quanto al contenuto della proposta, si è giustamente sottolineato che la deliberazione e presentazione di una proposta di concordato che preveda la continuazione dell'attività aziendale da parte di una società in liquidazione presuppone necessariamente la preventiva revoca dello stato di liquidazione da parte dell'assemblea ai sensi dell'art. 2487-ter c.c. (Castellano, 690; Minutoli, 1953).

L'attribuzione all'organo amministrativo della società di capitali del potere di deliberare sulla proposta e sulle condizioni del concordato trova pur sempre un limite ove la proposta contenga profili di ristrutturazione ovvero operazioni tali da richiedere l'intervento dell'assemblea (Cass. I, n. 29741/2018, in cui si richiamano, a titolo esemplificativo, operazioni quali l'aumento di capitale sociale, l'emissione di obbligazioni, il compimento di operazioni straordinarie, lo scorporo dell'azienda). La Corte di Cassazione ha chiarito che il liquidatore non ha il potere di deliberare la proposta e le condizioni del concordato se tale potere non gli sia stato espressamente e specificamente attribuito dall'assemblea ai sensi dell'art. 2487 comma 1 lett. c) c.c. all'atto della sua nomina, poiché lo statuto legale dei liquidatori delle società di capitali e delle società cooperative non è identico a quello degli amministratori (atteso che i poteri di questi ultimi si presumono in base alla legge, mentre quelli dei secondi devono risultare dalla deliberazione dell'assemblea che li ha nominati), e dunque il potere di decidere di presentare la proposta di concordato e di determinarne il contenuto non può ritenersi compreso nell'atto di nomina, né può considerarsi rientrante tra gli atti utili per la liquidazione della società cui fa riferimento l'art. 2489 comma 1 c.c. (Cass. I, n. 12273/2016, richiamata dalla successiva Cass. I, n. 598/2017 ; ma si veda da ultimo Cass. I, n. 13867/2017, secondo cui quando l'assemblea che ha deliberato lo scioglimento della società e la nomina del liquidatore non abbia determinato i poteri attribuiti al medesimo alla stregua delle indicazioni contenute nell'art. 2487 c.c., il liquidatore è investito, a norma dell'art. 2489 comma 1 c.c., del potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, tra i quali deve ricomprendersi il conferimento ad un professionista dell'incarico di redigere un progetto economico finanziario di risanamento della società – nell'ottica di verificare la convenienza della prosecuzione dell'attività economica, sia pure mediante cessione ad altra società – da sottoporre al sistema bancario). In precedenza, la stessa giurisprudenza di legittimità aveva affermato che l'amministratore della società fallita posta in liquidazione prima della dichiarazione di fallimento non ha alcuna legittimazione a proporre la proposta di concordato fallimentare, poiché i poteri di rappresentanza della società in liquidazione appartengono ai liquidatori in via esclusiva, senza consentire alcuno spazio a residui poteri degli amministratori, per cui, anche a voler ritenere che il divieto per i liquidatori di compiere nuove operazioni implichi l'impossibilità di presentare una proposta di concordato, non potrebbe in ogni caso prospettarsi una reviviscenza dei poteri di rappresentanza degli amministratori (Cass. I, n. 6485/1995).

La disposizione che prescrive l'iscrizione nel registro delle imprese della decisione sul concordato da parte degli amministratori di società di capitali e cooperative, non derogabile con diverse previsioni statutarie (Pacchi, 390), è finalizzata a garantire la certezza e la pubblicità della decisione medesima (Bertacchini, 1039; Minutoli, 1953; Guerrera, 2210). La limitazione dell'adempimento alle sole decisioni o deliberazioni assunte per le società di capitali e cooperative è stata criticata da chi ritiene che un'analoga esigenza di certezza e pubblicità si ponga anche per la tutela dei creditori delle società di persone, quantomeno in relazione al concordato preventivo (Montagnani, 291). Il rinvio all'art. 2436 c.c. (che sottende un'assimilazione della proposta di concordato alle decisioni modificative dello statuto societario) implica che all'adempimento del deposito nel registro delle imprese debba provvedere il notaio verbalizzante, entro trenta giorni dalla decisione (Caridi, 941). Nel riferirsi alternativamente alla «decisione» e alla «deliberazione», il legislatore ha inteso chiarire che la verbalizzazione e la pubblicazione sono adempimenti necessari in ogni caso, sia quando l'organo amministrativo abbia composizione collegiale (consiglio di amministrazione o consiglio di gestione), sia in ipotesi di organo monocratico (amministratore unico ovvero, nelle società a responsabilità limitata, pluralità di amministratori con poteri disgiuntivi ex art. 2475 comma 3 c.c.), eliminando ogni dubbio al riguardo (Caridi, 941; Minutoli, 1953; Blandino, Tomasso, 1794).

Quanto all'applicabilità della disposizione anche al concordato preventivo, si è osservato (Boero, 137) che non vi ostano il tenore letterale del richiamo operato dall'art. 161, comma 4, l. fall. (circoscritto, in effetti, alle sole modalità di “approvazione” e “sottoscrizione” della delibera, e non anche, quindi, alle formalità pubblicitarie) e la previsione dell'art. 161, comma 5, l.fall. (che, nel prevedere la pubblicazione a cura della cancelleria della domanda depositata, non porta di per sé a ritenere implicitamente non necessaria l'iscrizione nel registro delle imprese della delibera testimoniante la volontà di accedere alla procedura, trattandosi di due formalità pubblicitarie diverse sia dal punto di vista dell'oggetto e delle conseguenze, sia per quanto attiene ai soggetti tenuti ad espletarle, e comunque sorrette da esigenze differenze e complementari).

Dunque, non pare possa dubitarsi che, quale che sia la composizione dell'organo gestorio (monocratico o collegiale), la decisione di proporre una proposta di concordato debba essere sempre assunta mediante verbalizzazione redatta da un notaio che ne cura l'iscrizione nel registro delle imprese (Cass. I, n. 29741/2018Cass. I,  n. 19009/2017, secondo la quale, peraltro, tale decisione può anche risultare, invece che da una determina ad hoc, dalla deliberazione di adesione da parte dell'assemblea dei soci, purchè dalla stessa risulti l'inequivoca volontà dell'amministratore di proporre la domanda di concordato, essendo in tal caso sufficiente l'iscrizione nel registro delle imprese di tale deliberazione ritualmente verbalizzata dal notaio). In una pronuncia di merito su una proposta di concordato preventivo è stato affermato che, essendo la funzione dell'iscrizione nel registro delle imprese della determina ex art. 152 l.fall. quella di rendere conoscibili la decisione del legale rappresentante della società e il contenuto della proposta e del piano, la norma proteggerebbe esclusivamente l'interesse dei soci (i quali, anche quando non abbiano riservato all'assemblea la decisione sull'accesso alla procedura, devono poter controllare l'operato dell'amministratore), dovendo conseguentemente escludersi che i creditori siano legittimati a dolersi dell'eventuale incompletezza o inadeguatezza della determina (Trib. Milano, 22 luglio 2015). Appare tuttavia più condivisibile l'orientamento secondo cui l'iscrizione della delibera nel registro delle imprese (per quanto attiene specificamente al concordato preventivo) è volta anche a mettere i creditori nelle condizioni di conoscere l'intenzione della società e i rischi che conseguentemente corrono nell'eventuale prosecuzione dei rapporti commerciali con la stessa, con particolare riferimento agli effetti di cui agli artt. 168 e 169 l.fall. che si producono a far data dalla presentazione della domanda di concordato (Trib. Bergamo, 19 ottobre 2011, in Foro pad., 2012, 3, 515). Va peraltro segnalata una recente pronuncia di merito secondo la quale, contrariamente a quanto affermato dall'orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario, la decisione o deliberazione dell'organo gestorio in merito alla proposta di concordato preventivo e alle relative condizioni non è iscrivibile nel registro delle imprese, poiché, da un lato, il comma 4 dell'art. 161 l.fall. richiama l'art. 152 l.fall. solo per quanto attiene alle modalità di approvazione e sottoscrizione della proposta, e dall'altro, a norma del comma 5 del medesimo art. 161 l.fall., soggetta a pubblicità nel registro delle imprese è soltanto la domanda di concordato (Trib. Torino, 14 luglio 2017).  La redazione e la pubblicazione del verbale notarile sono imposte unicamente per la proposta concordataria formulata dalla società fallita e non invece per quella presentata da un terzo (Trib. Mantova, 29 maggio 2007). In caso di erronea iscrizione nel registro delle imprese della determinazione ex art. 152 comma 2 lett. a) l.fall. assunta dai soci di società in nome collettivo, per la quale non è prevista tale forma di pubblicità, può essere disposta la cancellazione d'ufficio ai sensi dell'art. 2191 c.c. (Trib. Mantova, 19 luglio 2015).

Quanto all'ampiezza del controllo demandato al notaio in sede di verbalizzazione e prima della pubblicazione della decisione nel registro delle imprese, il richiamo all'art. 2436 c.c. induce taluni a ritenere che si tratti di una mera verifica di conformità alla legge dell'atto, anche sotto il profilo della competenza dell'organo deliberante e della corretta formazione della volontà sociale (Spiotta, 1330; Casonato, 899 ss.; Santagata, 355 ss.), dovendo escludersi qualsiasi sindacato di merito sul contenuto della proposta (Caridi, 942; Adiutori, 1991; Minutoli, 1953; Bertacchini, 1040; Tedeschi, 530; Blandino, Tomasso, 1794; ma v. Montagnani, 290-291, il quale ritiene «non facile» individuare i confini del controllo notarile, che potrebbe riguardare anche l'ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, con conseguente rischio di duplicazione delle verifiche demandate all'autorità giudiziaria).

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di merito, secondo cui il notaio deve limitarsi a verificare la conformità alla legge della decisione o deliberazione (Trib. Milano, 18 giugno 2001, in Soc., 2002, 369).

Bibliografia

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