Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 217 - Bancarotta semplice.Bancarotta semplice.
È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; 2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; 3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; 4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa; 5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni. InquadramentoL'art. 217 l.fall. è stato ripetutamente posto al vaglio della Corte costituzionale sotto molteplici aspetti, ma le relative questioni di legittimità sono state finora ritenute infondate. Tra gli interventi più significativi si ricordano l'ordinanza 14 aprile 1988/453 e le sentenze 27 luglio 1972/145 e 1466 del 1982, nelle quali si è ritenuta manifestamente infondata la questione relativa alla generica individuazione del reato di irregolare tenuta di scritture contabili di cui all'art. 217 l.fall. Da ricordarsi l'ordinanza del 30 dicembre 1987/636 con la quale si sono ritenute manifestamente infondate le questioni di legittimità dell'art. 217, nonché degli artt. 1,42 e 43 c.p., 14 preleggi e 21 c.p.p. nella parte in cui tali norme prevedono che il reato di bancarotta semplice per omessa tenuta venga punito indifferentemente a titolo di colpa o dolo, considerando la sentenza dichiarativa di fallimento un elemento costitutivo del reato e non una condizione di punibilità. In tema di reati fallimentari, il reato previsto dagli artt 16, n. 3 e 220 legge fall., relativo all'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, nonché il delitto di bancarotta documentale semplice, devono ritenersi assorbiti dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili, qualora i fatti addebitati abbiano ad oggetto le medesime scritture contabili, in quanto, a fronte dell'omogeneità della struttura e dell'interesse sotteso alle predette figure di reato, prevale la fattispecie più grave connotata dall'elemento specializzante del dolo specifico (Cass. V n. 16744/2018). Il soggetto attivoPer le problematiche riguardanti l'individuazione del soggetto attivo del reato si rimanda a quanto commentato in relazione all'art. 216. Nei reati di bancarotta in ambito societario, soggetto attivo può essere anche colui che svolga in via di mero fatto le funzioni di amministratore, poiché le fattispecie legali non introducono alcuna distinzione tra ruolo corrispondente ad una carica formale ed analoga funzione esercitata in via di fatto (in motivazione la Corte ha negato che una tale distinzione sia stata introdotta dal testo riformato dell'art. 2639 c.c. — modificato dall'art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 — ove la responsabilità di colui che svolga in via di mero fatto le funzioni tipiche del diritto societario è stata espressamente prevista quanto alle relative fattispecie criminose, giacché il legislatore ha semplicemente inteso fornire un riscontro letterale ad una soluzione già consolidata in via interpretativa, e d'altra parte la materia fallimentare è disciplinata in via autonoma, così restando suscettibile di autonoma ricostruzione) (Cass. pen. V, n. 36630/2003). Se il giudice civile ha dichiarato il fallimento di persona insolvente, ritenuta imprenditore ai sensi dell'art. 2082 c.c., il giudice penale deve bensì verificare la sussistenza della sua pronuncia, per accertare un elemento costitutivo indefettibile della fattispecie di reato fallimentare. Ma, poiché la sentenza dichiarativa di fallimento non fa stato nel processo penale, tale accertamento è insufficiente ad integrare la prova della qualità di imprenditore, e cioè di soggetto attivo del reato, della persona dichiarata fallita, se essa è controversa ai fini dell'art. 2221 c.c. e 1 r.d. 267/42 per emergenze che inducano ad attribuire all'imputato lo svolgimento dell'attività di piccolo imprenditore, prevista dall'art. 2083 c.c. (Cass. V, n. 5544/1999). La bancarotta semplice patrimonialeAnche nella previsione della bancarotta semplice il legislatore ha adoperato il sistema casistico, elencando una serie di comportamenti particolari, ciascuno dei quali costituisce una diversa ipotesi di reato (Antolisei, 93). L'oggetto materiale e l'elemento oggettivo Le ipotesi contenute ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell'articolo in esame sono accumunate dal fatto che tutte comportano una diminuzione del patrimonio dell'imprenditore e, dunque, della garanzia creditoria. Mentre per le ipotesi di cui ai nn. 1 e 2 può astrattamente configurarsi la possibilità di verificazione durante la procedura fallimentare, non può rappresentarsi l'eventualità di ipotesi post-fallimentari di reato nei casi di cui ai nn. 3 r 4, come si desume dalla stessa lettera della norma (Antolisei, 93 e ss.). L'art. 217, n. 1 La fattispecie di bancarotta fallimentare semplice per spese personali eccessive, prevista dall'art. 217, comma primo n. 1, l.fall. non può essere integrata dall'amministratore di società di capitali, atteso che questi non è legittimato a compiere spese personali, neppure se non eccessive, e può, invece, essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti o delle altre ipotesi di cui all'art. 217, nn. 4 e 5, l.fall. (Cass. pen. V, n. 2799/2014). Sono «spese eccessive» le spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali e piu o meno connesse alla vita dell'azienda risultano sproporzionate alla capacita economica dell'imprenditore; mentre le «spese non necessarie», fatte dall'imprenditore a scopo voluttuario ovvero per soddisfare le esigenze di una vita viziosa o la propria vanita rientrano nel concetto di «dissipazione» (Cass. pen. V 103661/1967) (Cass. pen. V, n. 894/1971). L'art. 217, n. 2 La differenza tra le due ipotesi di bancarotta semplice previste all'art. 217, comma primo, n. 2 e 3 l.fall. (relative, rispettivamente, alla consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti ed al compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento) risiede nel fatto che la prima fattispecie riguarda operazioni «in genere», aventi ad oggetto il patrimonio dell'imprenditore, consumato, in notevole parte, in operazioni aleatorie od economicamente scriteriate, il cui effetto conclusivo è la diminuzione della garanzia generica dei creditori, costituita proprio dal patrimonio del debitore, ai sensi dell'art. 2740 c.c.; la seconda ipotesi riguarda, invece, operazioni finalisticamente orientate a ritardare il fallimento, ma ad un tempo caratterizzate da grave avventatezza o spregiudicatezza, che superino i limiti dell'ordinaria «imprudenza», che, secondo la comune logica imprenditoriale, può a volte giustificare il ricorso, da parte dell'imprenditore che versi in situazione di difficoltà economica, ad iniziative «coraggiose», da «extrema ratio», ma ragionevolmente dotate di probabilità di successo, al fine di scongiurare il fallimento. Inoltre, mentre la seconda ipotesi, per via dell'anzidetta finalizzazione che la connota, ha certamente carattere doloso, la prima è, invece, punibile a titolo di colpa (Cass. pen. V, n. 24231/2003). Vale, a proposito della detta seconda ipotesi, il principio affermato dalla giurisprudenza a proposito della bancarotta ex art. 223 l. fall.: una volta accertata la contrarietà agli interessi sociali dell'operazione posta in essere, con coscienza e volontà, dall'amministratore, non possano valere ad escludere la configurabilità del reato, sotto il profilo soggettivo, la finalità perseguita dall'agente di “salvare il salvabile” e, sotto il profilo oggettivo, la preesistenza di cause di per sé tali da dar luogo alla produzione o anche al solo aggravamento del dissesto, dovendosi tenere ben distinta, a quest'ultimo proposito, la nozione di “dissesto” , avente natura economica ed implicante un fenomeno in sé e per sé reversibile, da quella di “fallimento”, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la sentenza di merito con la quale era stato assolto dal reato “de quo”, con la formula “il fatto non sussiste”, l'amministratore della società fallita al quale il suddetto reato era stato addebitato per avere ceduto in affitto l'azienda a fronte della promessa corresponsione di un canone destinato, per lo più, a non essere incassato). Il combinato disposto dell'art. 224 e dell'art. 217 legge fallimentare prevede il reato di bancarotta semplice, o impropria, in cui l'attività criminosa degli amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di società fallite ha per oggetto il patrimonio sociale di cui i soggetti suindicati hanno la gestione ed il controllo, non assumendo il patrimonio personale dei soggetti medesimi alcuna rilevanza ai fini del reato in questione. Orbene, se è pur vero che il rinvio previsto dall'art. 224 non può estendersi a tutte le ipotesi contemplate dall'art. 217 che sono state definite per il fallimento di imprese individuali — rimanendovi dunque escluse le ipotesi non compatibili con la struttura societaria — non può ritenersi tuttavia che il rinvio operato dall'art. 224 non sia applicabile alle ipotesi di cui all'art. 217, primo comma n. 2. La circostanza che il testo di quest'ultima norma usi il possessivo «suo» — riferendosi al patrimonio che l'imprenditore individuale abbia consumato in notevole parte in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti — non è di per sé sufficiente per ritenere la norma non applicabile alle società, essendo evidente che il legislatore, mediante il rinvio dell'art. 224, ha inteso far riferimento al patrimonio della società e non certo ai patrimoni personali degli amministratori, direttori, sindaci o liquidatori, che non hanno rilevanza alcuna nelle ipotesi di bancarotta impropria. Ne consegue che ben può ritenersi ipotizzabile in astratto il reato di bancarotta semplice impropria nel caso in cui l'amministratore, ed i soggetti ad esso assimilati dall'art. 224, abbiano consumato una notevole parte del patrimonio sociale in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (Cass. pen. V, n. 894/1996). L'ipotesi di bancarotta fraudolenta per dissipazione si differenzia dalla fattispecie della consumazione di una notevole parte del patrimonio dell'imprenditore per effetto di operazioni manifestamente imprudenti, punita a titolo di bancarotta semplice, sia sul piano soggettivo, in quanto esige la coscienza e la volontà dell'agente di diminuire detto patrimonio per scopi del tutto estranei all'impresa, sia sul piano oggettivo, in quanto l'operazione fraudolenta è priva del pur minimo profilo di coerenza con le esigenze dell'impresa stessa. Ne consegue che il giudice può ritenere integrata «a fortiori» l'ipotesi di bancarotta semplice, qualora non sia raggiunta la prova del dolo tipico della dissipazione, anche nel caso di atti di gestione del tutto estranei alle esigenze di conduzione dell'impresa (Cass. pen. V, n. 38835/2002). La fattispecie di bancarotta fraudolenta per dissipazione si distingue da quella di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti, sotto il profilo oggettivo, per l'incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell'impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell'autore della condotta di diminuire il patrimonio della stessa per scopi del tutto estranei alla medesima (Cass. pen. V, n. 47040/2011). Non ricorre l'ipotesi di bancarotta semplice integrata da operazioni gravemente imprudenti poste in essere dall'imprenditore, ma quella più grave della bancarotta fraudolenta nel caso di sistematica e preordinata vendita sotto costo, o comunque in perdita, di beni aziendali. Invero, anche le operazioni manifestamente imprudenti, di cui al n. 3 dell'art 217 del r.d.16 marzo 1942 n. 267, devono presentare, in astratto, un elemento di razionalità nell'ottica delle esigenze dell'impresa, cosicché il risultato negativo sia frutto di un mero e riscontrabile errore di valutazione (nella fattispecie, la Corte ha precisato che è vendita in perdita anche quella a prezzo di costo) (Cass. pen. V, n. 2876/1998). Integra gli estremi del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione ogni Forma di diversa ed ingiusta destinazione volontariamente data al patrimonio rispetto ai fini che questo deve avere nell'impresa, quale elemento necessario per la sua funzionalità e quale garanzia verso i terzi. La cosciente e volontaria dispersione patrimoniale mediante il gioco costituisce dissipazione, intesa come sperpero o dilapidazione dei beni a scopi voluttuari estranei all'impresa e non operazione di pura sorte o manifestamente imprudente di cui all'art. 217 legge fallimentari il quale presuppone l'Esercizio di Atti di imprese connotati da errori di valutazione (Cass. pen. V, n. 12874/1989). Ai fini del reato di cui all'art. 217 comma primo n. 2 l.fall., operazioni di grave imprudenza sono quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico, le quali, avuto riguardo alla complessiva situazione dell'impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo di ritardare il fallimento (nel caso di specie, la S.C. ha condiviso l'interpretazione del giudice di merito che aveva considerato gravemente imprudenti alcune operazioni negoziali poste in essere da una società in stato di dissesto, e precisamente la locazione dell'intera azienda in favore di altra società, che non offriva peraltro serie garanzie di solvibilità, e per un canone locativo di gran lunga inferiore rispetto al valore dei beni locati; un contratto estimatorio mediante il quale la merce di magazzino era immediatamente consegnata all'altra società, con facoltà per quest'ultima di acquistarla per sé, venderla a terzi o restituirla alla controparte; una cessione di contratti relativi a beni oggetto di locazione finanziaria detenuti dalla stessa società cedente) (Cass. pen. V, n. 24231/2003). L'art. 217, n. 3 Sono operazioni di grave imprudenza tutti quegli espedienti più o meno rovinosi con i quali l'imprenditore in stato di dissesto cerca di rinviare il fallimento, nella speranza di riuscire a procastinarlo od evitarlo (Antolisei, 101). La giurisprudenza le definisce operazioni di grande avventatezza o spregiudicatezza che superino, secondo la comune logica imprenditoriale, il concetto di operazioni «coraggiose» adottate con possibilità di successo. La grave imprudenza va valutata con riferimento allo stato di crisi dell'impresa e ha, pertanto, valenza relativa: operazioni del tutto lecite in una situazione aziendale ordinaria possono, invero, assumere rilevanza penale se poste in essere da un'impresa insolvente (Innaro, La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali. I nuovi incentivi per le procedure di composizione negoziale della crisi: profili penalistici, in La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali, Bonfatti, Falcone, Milano, 2011, 154). Vengono normalmente fatti rientrare nella previsione normativa in oggetto i ricorsi sistematici alle svendite, i pagamenti mediante datio in solutum per tacitare i creditori, le richieste di mutui con interessi usurai, la concessione in pegno di preziosi di elevato valore a garanzia di crediti notevolmente inferiori (Pajardi, Paluchowscki, 1031). L'art. 217 n. 4 Nel reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, oggetto di punizione è l'aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell'instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti (Cass. pen. V, n. 13318/2013). Nel reato di bancarotta semplice, la condotta della mancata tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento è punibile se caratterizzata da colpa grave (Cass. pen. V, n. 43414/2013). Nel reato di bancarotta semplice, la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell'amministratore (anche di fatto) della società è punibile se dovuta a colpa grave che può essere desunta, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma. in concreto, da una provata e consapevole omissione (Cass. V n. 18108/2018). I sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 217, comma primo, n. 4, e 224 l. fall., per avere omesso di attivarsi per rimediare all'inerzia dell'amministratore che non ha chiesto il fallimento in proprio della società, così aggravando il dissesto, quando la situazione di insolvenza è rilevabile dagli atti posti a loro disposizione; il giudice deve verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, si sarebbe comunque realizzato l'aggravamento del dissesto (Cass.pen. V, n. 28848/2020). L'aggravamento del dissesto punito dagli artt. 217, comma primo, n. 4, e 224 l. fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell'impresa fallita, non essendo sufficiente a integrarlo l'aumento di alcune poste passive (Cass. pen. v, n. 27634/2019). L'elemento soggettivo È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 217 comma primo n. 4 l.fall., per violazione del diritto di difesa, sancito dall'art 24 della Costituzione, sotto il profilo della mancanza di tipicità dei comportamenti sanzionati. Invero, la norma indica concreti elementi atti a specificare sufficientemente la condotta incriminata, tanto sotto il profilo oggettivo, quanto sotto quello soggettivo, con la conseguenza che gli indicati parametri costituzionali risultano rispettati (Corte cost. n. 453/1988) (Cass. pen. V, n. 7598/1999). Il reato di bancarotta semplice è un reato di pericolo punibile anche a titolo di colpa, e pertanto è irrilevante che l'agente si sia mantenuto estraneo all'amministrazione dell'azienda, in quanto in ogni caso è obbligato ad esercitare un controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, ancorché affidata a tecnici specializzati (Cass. pen. V, n. 12765/1989). La giurisprudenza della Suprema Corte si è consolidata nel senso che per la punibilità del reato di bancarotta semplice documentale è indifferente che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa, essendo sufficiente questa sola (Cass. pen. n. 2006/6769). La bancarotta semplice documentaleAnche nell'art. 217, così come nel 216, il legislatore diversifica il reato nelle sue due articolazioni fondamentali, patrimoniale e documentale, prevedendo separatamente al secondo comma le omissioni, le irregolarità e incompletezze nelle scritture. Naturalmente le irregolarità non devono coprire integralmente il periodo di tre anni indicato nella norma, sussistendo la rilevanza penale anche se gli episodi si sono verificati in un arco temporale minore. In giurisprudenza: nel reato di bancarotta semplice documentale, la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non deve protrarsi per l'intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento, sussistendo il reato anche se tale condotta venga tenuta, durante il periodo di tempo indicato, per un arco temporale inferiore ai tre anni (in motivazione, la S.C. ha affermato che la «ratio» della norma incriminatrice risiede nell'esigenza di tutela della correttezza della tenuta delle scritture contabili, che può essere elusa in ogni momento ed anche per breve periodo, mentre la previsione del triennio vale a segnare il limite temporale sino al quale — secondo la scelta discrezionale di politica criminale del legislatore — può spingersi l'accertamento al riguardo). (Cass. pen. V, n. 38598/2008). Nel reato di bancarotta semplice documentale, la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non deve protrarsi per l'intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento, sussistendo il reato anche se tale condotta venga tenuta, durante il periodo di tempo indicato, per un arco temporale inferiore ai tre anni (fattispecie in cui i libri erano stati regolarmente istituiti, ma mai compilati) (Cass. pen. V, n. 8610/2011). L'oggetto materiale del reato Il delitto di bancarotta semplice (art. 217 l.fall.) è reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. Pertanto, la fattispecie incriminatrice — consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all'imprenditore dall'art. 2214 c.c.) — integra un reato di mera condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori. L'obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l'azienda non abbia formalmente cessato l'attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (Cass. pen. V, n. 20911/2011). Integra il reato di bancarotta semplice (art. 217, comma secondo, l.fall.) l'omessa tenuta dei registri contabili, in quanto l'art. 7, comma quarto ter, della legge n. 489 del 1994 — prevedendo che la contabilità può essere tenuta mediante il sistema informatico — non esime l'amministratore della società dall'adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall'obbligo del puntuale aggiornamento dell'esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché della loro conservazione, preordinata alla consultazione degli stessi (fattispecie in cui il libro degli inventari veniva tenuto per una sola annualità mentre il libro giornale non veniva tenuto, sussistendo passività insolute, fino alla data del fallimento) (Cass. pen. V, n. 20061/2014). L'oggetto del reato di bancarotta semplice documentale è rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma secondo dell'art. 2214 c.c. (nella specie, la S.C. ha ritenuto sussistente il reato, rilevata la mancanza delle fatture relative ad un'annualità compresa nel triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento) (Cass. pen. V, n. 23621/2016). L'art. 217 pone due limiti all'incriminazione: il primo concerne l'espresso riferimento ai libri e alle scritture contabili prescritte dalla legge; il secondo riguarda il riferimento temporale al periodo che precede di tre anni la dichiarazione di fallimento, o, in caso di minor durata dell'impresa, a tutto il periodo di attività stessa. Quanto al primo limite, il reato si può configurare solo con riferimento ai libri e scritture contabili assolutamente obbligatorie (artt. 2214, comma 1, c.c.) e relativamente obbligatorie (art. 2214, comma 2, c.c.). Sul punto: In tema di bancarotta fraudolenta documentale l'imprenditore non va esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche, posto che la qualifica rivestita non esime dall'obbligo di vigilare e controllare la attività svolta dal delegato. (Cass. pen. V, n. 11931/2005). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'imprenditore non è esente da responsabilità nel caso in cui affidi la contabilità dell'impresa a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche in quanto, non essendo egli esonerato dall'obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell'impresa (Cass. pen. V, n. 2812/2013). In tema di bancarotta fraudolenta documentale l'imprenditore non va esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche, posto che la qualifica rivestita non esime dall'obbligo di vigilare e controllare la attività svolta dal delegato (Cass. pen. V, n. 11931/2005). In tema di bancarotta semplice per omessa tenuta delle scritture contabili (art. 217, comma 2, l.fall.), l'art. 7, comma 4-ter, l. n. 489 del 1994 — prevedendo che la tenuta della contabilità può essere effettuata mediante il sistema informatico — non esime l'amministratore della società dall'adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall'obbligo del puntuale aggiornamento dell'esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché da quello della loro conservazione, preordinata alla consultazione degli stessi. Ne consegue che la perdita dello strumento informatico, anche se dovuta ad un intervento esecutivo posto in essere dai creditori per acquisire il valore commerciale del «computer», non determina il venir meno dell'obbligo di conservazione dei libri e delle scritture contabili, ma semplicemente la necessità di modificarne le modalità di conservazione, provvedendo al loro immediato trasferimento su carta o su altro «computer»; l'omissione di tale adempimento integra il delitto di bancarotta semplice documentale. (Cass. pen. V, n. 20729/2003). È configurabile il delitto di bancarotta semplice documentale nel caso di perdita, per comportamento negligente o imprudente, della «memoria» informatica del computer contenente le annotazioni delle indicazioni contabili (in motivazione, la S.C. ha richiamato la previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 2220 c.c., ai sensi del quale le scritture e i documenti di cui alla stessa disposizione possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagini, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti) (Cass. pen. V, n. 35886/2009). Integra il reato di bancarotta semplice (art. 217, comma secondo, l.fall.) l'omessa tenuta dei registri contabili, in quanto l'art. 7, comma quarto ter, della legge n. 489 del 1994 — prevedendo che la contabilità può essere tenuta mediante il sistema informatico — non esime l'amministratore della società dall'adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall'obbligo del puntuale aggiornamento dell'esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché della loro conservazione, preordinata alla consultazione degli stessi (fattispecie in cui il libro degli inventari veniva tenuto per una sola annualità mentre il libro giornale non veniva tenuto, sussistendo passività insolute, fino alla data del fallimento) (Cass. pen. V, n. 20061/2014). In tema di reati fallimentari, ai fini dell'integrazione del reato di bancarotta semplice documentale (art. 217, comma secondo, l.fall.) è necessaria l'omessa tenuta o l'irregolare e incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie previste dall'art. 2214, comma primo, c.c. e 2421 c.c. in caso di società, mentre con riguardo alle scritture di cui all'art. 2214, comma secondo, c.c. l'affermazione della loro obbligatorietà in concreto presuppone la valutazione dell'esistenza di una stringente esigenza dell'ulteriore e più articolato sistema di informazione e di estensione dei dati aziendali che si assume mancante, con la conseguenza che per ritenere integrato il reato in questione con riferimento anche a tali ulteriori scritture è necessario che siano specificamente individuate le scritture cui si riferiscono gli addebiti unitamente alle ragioni della necessità della loro istituzione (Cass. pen. V, n. 17426/2007). L'elemento oggettivo Si tratta di reato di pericolo e di pura condotta rispetto al quale rimane irrilevante l'effettiva lesione del bene tutelato. Il delitto di bancarotta semplice (art. 217 l.fall.) è reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. Pertanto, la fattispecie incriminatrice — consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all'imprenditore dall'art. 2214 c.c.) — integra un reato di mera condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori. L'obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l'azienda non abbia formalmente cessato l'attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (Cass. pen. V, n. 20911/2011). La disposizione di cui all'art. 217 legge fall., che punisce l'omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili, ricomprende in sé - come norma di più ampia portata la cui sanzione, più grave, esaurisce l'intero disvalore oggettivo e soggettivo delle condotte di riferimento - anche quella di cui agli artt. 220 e 16, n. 3 della medesima legge, in quanto, una volta accertata la mancata tenuta delle scritture, risulta inesigibile l'obbligo, da queste ultime norme penalmente sanzionato, di consegna delle stesse al curatore fallimentare (Cass. V, n. 12050/2021). L'omessa tenuta dei libri si realizza ogni volta che tutti o anche soltanto alcuni dei libri e delle scritture contabili, assolutamente e relativamente obbligatorie non siano stati tenuti. L'irregolarità tenuta si ha quando i libri e le altre scritture contabili obbligatorie non presentino quelle regolarità formali e sostanziali prescritte dalla legge o dagli usi commerciali in rapporto agli scopi per cui sono tenute. L'incompleta tenuta si verifica quando non siano registrate alcune operazioni commerciali o manchi l'annotazione di alcune partite (Antolisei, 112). La circostanza che si rientri tra le imprese che possono adottare la contabilità semplificata non esime dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture di cui all'art. 2214 c.c. L'elemento soggettivo Ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice (art. 217, comma secondo, l.fall.), l'elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216, comma primo, n. 2, l.fall., l'elemento psicologico deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore. (Cass. pen. V, n. 48523/2011). In tema di bancarotta semplice documentale, la colpa dell'imprenditore non è esclusa dall'affidamento a soggetti estranei all'amministrazione dell'azienda della tenuta delle scritture e dei libri contabili, perché su di lui grava, oltre all'onere di un'oculata scelta del professionista incaricato e alla connessa eventuale culpa in esigendo, anche quella di controllarne l'operato (Cass. pen. V, n. 24297/2015). In tema di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma primo, n. 2 l.fall.), l'esistenza dell'elemento soggettivo non può essere desunto dal solo fatto, costituente l'elemento materiale del reato, che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, tanto più quando l'omissione è contenuta in limiti temporali piuttosto ristretti, poiché in detta ipotesi è necessario chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, atteso che, in quest'ultimo caso, si integra l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma secondo, l.fall.) (Cass. pen. V, n. 23251/2014; Cass. pen. V, n. 172/2006). La bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo, che, ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice ex art. 217, comma secondo, legge fall., può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2), legge fall., l'elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell'irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore (Cass. V n. 2900/2018). Il concorso di personeL'attenuante della partecipazione di minima importanza al reato (art. 114 c.p.) non può trovare applicazione sulla base della semplice graduazione della gravità delle condotte, ma comporta un esame dell'apporto causale delle condotte stesse; sotto tale profilo la condotta di colui che ricopre il ruolo formale di amministratore della società ed in tale veste omette qualsiasi controllo non solo favorisce la commissione di condotte di reato ma anche fornisce un contributo essenziale ed indefettibile per la realizzazione delle condotte criminose. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito, affermandone la responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, non ha concesso l'attenuante di cui all'art. 114 c.p. all'amministratore formale che rivendicava un ruolo minore rispetto all'amministratore di fatto) (Cass. pen. V, n. 40092/2011). Non integra il reato di bancarotta semplice documentale (art. 217 l.fall.) il mero ritardo, da parte dell'amministratore di diritto, nella trasmissione dei documenti contabili al commercialista, che può essere considerato solo un sintomo della irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili (Cass. pen. V, n. 36613/2010). BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale, 1987, 22 e seg.; Innaro, La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali. I nuovi incentivi per le procedure di composizione negoziale della crisi: profili penalistici, in La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali, Bonfatti - Falcone, Milano, 2011,154; Pajardi, Paluchowscki, Manuale di diritto penale, 1031. |