Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 220 - Denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte del fallito.

Roberto Amatore

Denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte del fallito.

 

È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito, il quale, fuori dei casi preveduti all'art. 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli artt. 16, nn. 3 e 49.

Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno.

Inquadramento

Con riferimento all'incriminazione contenuta nell'ultima parte dell'ultimo comma dell'articolo in esame inerente agli obblighi del fallito imposti dall'art. 49, la Corte cost. è intervenuta con due significative sentenze: 16 marzo 1962/20 e 20 febbraio 1969/24. Nella prima decisione ha dichiarato non fondata in riferimento agli artt. 13 e 16 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49 e dunque dell'art. 220 per quanto concerne l'obbligo del fallito di non allontanarsi dalla sua residenza; nella seconda ha sottolineato la legittimità della norma in rapporto all'obbligo del fallito di presentarsi personalmente, qualora ne sia richiesto dal curatore, dal giudice delegato e dal comitato dei creditori. Sul punto, si rimanda al commento del novellato art. 49 l.fall., ricordando che Reggio Calabria 3 marzo 2006/2050, in Fall., 2006, 1443 ha assolto, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, in seguito alla modifica della regola civilistica sottesa alla norma incriminatrice, l'imprenditore che aveva trasferito la propria residenza senza la preventiva autorizzazione giudiziale, avendo la recente novella dell'art. 49 introdotto la libertà del fallito di trasferire residenza e domicilio, salvo l'obbligo di comunicazione al curatore.

Denunzia creditori inesistenti

L'elenco nominativo cui si riferisce la norma comprende, secondo la dominante dottrina, sia quello compilato dal curatore con l'assistenza del fallito di cui all'art. 89 l.fall., sia quello redatto ex art. 14, medesima legge (Antolisei, 182).

Per la configurabilità del reato occorre che il creditore sia inesistente; secondo una parte della dottrina, pertanto, se il creditore esiste ma il suo non esiste ovvero è minore la norma non sarebbe applicabile (Antolisei, 183). In tale secondo caso, si rende pertanto applicabile, qualora sussista il dolo specifico richiesto, il reato di bancarotta fraudolenta per esposizione di passività inesistenti (Cass. pen. 20 novembre 1963). L'elemento soggettivo del reato è il dolo generico, consistente nella volontà di denunziare i creditori sapendoli inesistenti, oppure per colpa, che ricorre nel caso di negligenza nell'ordine contabile (Antolisei, 184).

Quanto al soggetto attivo del reato, l'ipotesi criminosa in oggetto si estende agli amministratori e ai liquidatori, a questi equiparati, ai direttori generali, e agli institori, qualora siano all'uopo interpellati dal curatore e nei limiti della gestione moro affidata.

Omessa dichiarazione dell'esistenza di beni da comprendere nell'inventario

L'inventario cui si riferisce la norma è quello di cui all'art. 87 l.fall.

Si ritiene punibile la sola omessa dichiarazione di beni e non anche la falsa dichiarazione. Del pari irrilevante, stante la lettera della norma, è l'omissione che coinvolga esclusivamente i beni dei terzi detenuti dal fallito a qualsiasi titolo (Conti, 366).

L'interpello che il curatore deve rivolgere al fallito, ai sensi dell'art. 87, terzo comma, l.fall., costituisce il presupposto per la configurabilità del reato.

Secondo alcuni autori, il reato si perfeziona quando il soggetto qualificato sottoscrive l'inventario incompleto, pur senza la specifica domanda del curatore sulla sussistenza di altre attività (Conti, 366).

L'elemento soggettivo è il dolo generico ed è in base ad esso che il reato in questione si differenzia dall'ipotesi di bancarotta fraudolenta per dissimulazione di beni, nella quale deve sussistere invece l'intenzione di sottrarre beni alla garanzia dei creditori. L'ipotesi colposa si verifica invece in ogni caso in cui venga negligentemente dimenticata la dichiarazione di alcuni beni da inventariare. Quanto al soggetto attivo del reato, l'ipotesi si estende, oltre che agli amministratori e ai liquidatori, anche ai direttori generali ed agli institori, che sono tenuti a dichiarare l'esistenza di beni inventariabili dei quali sono venuti a conoscenza a cagione del loro ufficio.

Inosservanza degli obblighi imposti dall'art. 16 n. 3

In tema di reati fallimentari, l'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, ex artt. 16, n. 3, 220 l.fall., deve ritenersi assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, posto che, a fronte dell'omogeneità della struttura e dell'interesse sotteso ad entrambe le figure di reato, la seconda è più specifica, in ragione dell'elemento soggettivo (Cass. pen. V, n. 2809/2014). La previsione di cui all'art. 217 l.fall., che punisce l'omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili, ricomprende in sé — come norma di più ampia portata la cui sanzione, più grave, esaurisce l'intero disvalore oggettivo e soggettivo delle condotte di riferimento — anche la previsione di cui agli artt. 220 e 16 n. 3 della medesima legge, e ciò in quanto una volta accertata la mancata tenuta delle scritture risulta inesigibile l'obbligo, da queste ultime norme penalmente sanzionato, di consegna delle stesse al curatore fallimentare (Cass. pen. V, n. 13550/2011). In tema di reati fallimentari, l'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili (artt. 16, n. 3, 220 l.fall. deve ritenersi assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, risultando del tutto omogenea la struttura e l'interesse sotteso ad entrambe le figure di reato, ma più specifica, in ragione dell'elemento soggettivo, la seconda (Cass. pen. V, n. 4550/2010). La previsione di cui all'art. 217 della legge fallimentare, che punisce l'omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili, ricomprende in sé — come norma di più ampia portata la cui sanzione, più grave, ne esaurisce l'intero disvalore oggettivo e soggettivo — anche la previsione di cui agli artt. 220 e 16 n. 3 della medesima legge, e ciò in quanto una volta accertata la mancata tenuta delle scritture risulta inesigibile l'obbligo, da queste ultime norme penalmente sanzionato, di consegna delle stesse al curatore fallimentare (Cass. pen. V, n. 42260/2006).

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, il deposito nella procedura fallimentare delle scritture contabili in copia non è sufficiente ad evitare l'addebito di sottrazione delle stesse (Cass. pen. V, n. 11796/2014).

Il reato di cui all'art 220 in relazione all'art 16 n 3 della legge fallimentare si configura come inosservanza dell'ordine di deposito del bilancio e delle scritture contabili, e, quindi, come trasgressione di un Obbligo imposto con la sentenza dichiarativa del fallimento. Come tale la sussistenza di questo Obbligo non puo farsi retroagire ad un periodo anteriore all'emanazione della sentenza stessa. L'omissione o l'irregolare tenuta dei libri e delle altre scritture contabili, prescritti dalla legge durante l'esercizio del commercio, integra una delle ipotesi del delitto di bancarotta semplice di cui e possibile il concorso materiale col reato previsto dall'art 220, in relazione all'art 16 n 3 della legge fallimentare (Cass. pen. V, n. 107/1966).

La mancata ottemperanza all'ordine del Tribunale di depositare i bilanci e le altre scritture contabili entro ventiquattro ore dalla comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento presuppone l'avvenuta rituale comunicazione di questa al fallito, con l'esclusione di ogni equipollente (nella specie la Corte ha ritenuto erronea la decisione dei giudici di merito i quali anziché procedere all'accertamento dell'avvenuta rituale notifica al fallito della sentenza dichiarativa di fallimento, aveva basato l'affermazione di responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 220 l.fall. sulla presunzione di conoscenza fondata sulla circostanza che non risultava provata la mancata notifica) (Cass. pen. V, n. 40816/2005).

Sussiste il reato previsto dagli artt. 220 e 16, comma secondo n. 3 l.fall. qualora, entro ventiquattro ore dalla comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, il fallito non ottemperi all'ordine di deposito dei bilanci e delle scritture contabili contenuto nella stessa sentenza, dovendo escludersi che per la configurabilità del reato sia necessaria una espressa richiesta ovvero un invito al deposito da parte degli organi della procedura concorsuale (Cass. pen. V, n. 42618/2004).

La previsione incriminatrice di cui all'art. 220 legge fallimentare che prevede l'obbligo di procedere al deposito dei bilanci e della scritture contabili non si applica all'imprenditore soggetto a liquidazione coatta amministrativa, sia che si abbia riguardo alla disciplina previgente alla novella introdotta con decreto legislativo n. 270 del 1999, sia che si abbia riguardo alla nuova regolamentazione della materia introdotta con il nuovo testo dell'art. 237 l.fall. (Cass. pen. V, n. 9724/2004).

Il reato di omesso deposito del bilancio costituisce reato omissivo proprio a carattere permanente, la cui consumazione si protrae sino al tardivo adempimento dell'obbligo, o alla presentazione del bilancio da parte del curatore a norma dell'art. 89 secondo comma l.fall., o all'emanazione di sentenza anche non irrevocabile (Cass. pen. V, n. 9395/1998).

L'art. 220 l.fall. sanziona l'obbligo di depositare i bilanci e le scritture contabili entro ventiquattro ore, in forza dell'ordine contenuto nella sentenza dichiarativa di fallimento (art. 16, primo comma, n. 3 l.fall.). Il suddetto termine è fissato allo scopo di ottenere un regolare e tempestivo adempimento, ma non esclude che il deposito possa utilmente avvenire anche in un momento successivo. Conseguentemente, il reato può assumere carattere permanente (Cass. pen. V, n. 5896/1995).

Inosservanza agli obblighi imposti dall'art. 49

In tema di reati fallimentari, l'allontanamento del fallito dal luogo di residenza, in assenza dell'autorizzazione del giudice delegato, non è più assoggettata a sanzione penale, considerato che il testo previgente dell'art. 49 l.fall. è stato sostituito ad opera dell'art. 46 del d.lgs. n. 5 del 2006, il quale — prevedendo che gli imprenditori di cui sia dichiarato il fallimento nonché i legali rappresentanti di società o enti soggetti alla procedura fallimentare «sono tenuti a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio» — ha determinato la abolitio criminis della condotta integrata dalla mera formale violazione dell'obbligo di munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato in vista di un cambiamento di domicilio, sostituendo, peraltro, tale obbligo con la previsione di un onere di comunicazione delle variazioni del domicilio o della residenza al curatore (Cass. pen. V, n. 13812/2007).

Bibliografia

Antolisei, Manuale di diritto fallimentare. Leggi Complementari, 1998, Milano, 153; Conti, Diritto penale commerciale. I reati fallimentari, in Conti, Il diritto penale dell'impresa, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 2001,337.

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