Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 236 - Concordato preventivo e, accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, e convenzione di moratoria e amministrazione controllata 1 2 .Concordato preventivo e, accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, e convenzione di moratoria e amministrazione controllata 1 2.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni l'imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di ottenere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria o di amministrazione controllata, siasi attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti 3 4. Nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si applicano: 1) le disposizioni degli artt. 223 e 224 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società; 2) la disposizione dell'art. 227 agli institori dell'imprenditore; 3) le disposizioni degli artt. 228 e 229 e al commissario del concordato preventivo o dell'amministrazione controllata; 4) le disposizioni degli artt. 232 e 233 ai creditori5 . Nel caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria, nonché nel caso di omologazione di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182-bis quarto comma, terzo e quarto periodo, si applicano le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 46. [1] A norma dell'articolo 147, secondo comma del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 sono soppressi tutti i riferimenti all'amministrazione controllata contenuti nel presente Regio Decreto. [2] Rubrica modificata dall'articolo 10, comma 1, lettera a), numero 1), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132. [3] A norma dell'articolo 147, secondo comma del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 sono soppressi tutti i riferimenti all'amministrazione controllata contenuti nel presente Regio Decreto. [4] Comma modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera a), numero 2), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132. [5] A norma dell'articolo 147, secondo comma del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 sono soppressi tutti i riferimenti all'amministrazione controllata contenuti nel presente Regio Decreto. [6] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera a), numero 3), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 e successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147. InquadramentoOccorre ricordare l'ordinanza del 18 maggio 1989/268 della Corte costituzionale, nella quale è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 236, comma 2, l.fall., con riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui la predetta norma, estendendo, limitatamente all'ipotesi di bancarotta patrimoniale commessa in caso di amministrazione controllata cui non abbia fatto seguito la dichiarazione di stato di insolvenza, le disposizioni previste dagli artt. 223 e 224 l.fall., opererebbe una ingiustificata disparità di trattamento. La Corte ha specificatamente sottolineato che l'estensione della normativa predetta ai fatti commessi anteriormente e posteriormente all'ammissione del procedimento di amministrazione controllata è preordinata alla conservazione dell'integrità del patrimonio dell'impresa, costituendo la garanzia per i creditori della medesima, in vista della mera eventualità del loro non pieno soddisfacimento. Va aggiunto che i riferimenti all'amministrazione controllata sono soppressi con decorrenza dal 16 luglio 2006 ai sensi dell'art. 147, comma 2, del d,lgs. 5/2006. Le disposizioni in oggetto hanno quasi esclusivamente natura di norme di rinvio alle disposizioni contenute negli articoli precedenti, ed hanno lo scopo di chiarire quali disposizioni penali, fra quelle disciplinate nei Capi I e II sono applicabili nelle procedure di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa. L'art. 20 del d.l. 24 agosto 2021, n. 118 (in attesa di conversione), ha sostituito il terzo comma dell'art. 236 all'evidente scopo di renderne più precisa la disposizione che esso conteneva. E' ora precisato che nel caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria, nonché nel caso di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182-bis quarto comma, terzo e quarto periodo, si applicano le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4). Ne risulta una norma anche più ampia nella sua applicazione: gli accordi di ristrutturazione sono presi in considerazione in quanto siano ad efficacia estesa (e non solo se intrattenuti con intermediari finanziari); e l'ambito di applicazione è stato esteso alle procedure di omologa degli accordi di ristrutturazione nei casi di cui all'art. 182-bis, quarto comma (adesione o mancata adesione dell'amministrazione finanziaria o di enti gestori di forme di previdenza o di assistenza obbligatorie).Si è trattato di un completamento doveroso, in considerazione dell'evoluzione normativa che ha determinato l'introduzione di nuovi istituti di favore verso l'imprenditore intenzionato a risolvere la crisi delle sue attività. L'applicazione delle modifiche esclude il commissario giudiziale, che non viene nominato nelle procedure cui esse si riferiscono (n. 3 del secondo comma); e segue le regole di cui all'art. 2 codice penale. Nelle ipotesi di reato richiamate in tali procedure, il decreto di ammissione alla procedura sostituisce la sentenza dichiarativa di fallimento. Unica eccezione alla disciplina di rinvio è la disposizione di cui al comma 1 dell'art. 236, che disciplina una fattispecie di reato del tutto autonoma rispetto a quelle formulate nelle altre norme incriminatrici (Antolisei, 221). Il comma 1 dell'art. 236Il reato previsto dall'art. 236 l.fall. punisce, con la dizione «attribuzione di attività inesistenti e simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti», anche l'omessa indicazione di debiti e la sopravvalutazione di immobili, e, dunque, la simulazione o la dissimulazione, anche parziali, dell'attivo o del passivo (Cass. pen. V, n. 3736/2000). La sopravalutazione di beni effettivamente esistenti nel patrimonio del fallito non è prevista come reato dall'art. 236 legge fallimentare, la cui norma si riferisce alla condotta dell'imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si sia attribuito attività inesistenti (Cass. pen. V, n. 9392/1991). Soggetto attivo dalle condotte criminose ipotizzate nel primo comma dell'art. 236 legge fallimentare deve ritenersi solo l'imprenditore individuale e non anche i titolari di funzioni organiche nelle imprese sociali (Cass. pen. V, n. 14773/1989). L'art. 236 legge fallimentare non richiede, per la sussistenza del reato, il compimento di attività fraudolenta, ma solamente la mendace denuncia di creditori inesistenti, senza che sia necessaria la produzione di documenti atti a suffragarla (Cass. pen. V, n. 4343/1984). Risponde, a titolo di concorso, del reato di denuncia di creditori inesistenti colui che, sebbene non munito della qualità di imprenditore commerciale richiesta dalla legge per il soggetto attivo del reato, abbia tuttavia contribuito alla produzione dell'evento criminoso (Cass. pen. V, n. 4343/1984). Il reato di cui all'art 236 della legge fallimentare attiene alla simulazione di attivita inesistenti e non alla diminuzione dei cespiti dell'impresa, conseguente alla sottrazione, alla distrazione od allo occultamento di beni in essa effettivamente presenti (Cass. pen. V, n. 350/1967). Il reato è di mera condotta e di pericolo, e si consuma semplicemente con la mendace denunzia, e cioè nel momento in cui il soggetto si attribuisce attività o simula passività, presentando l'istanza di ammissione al concordato preventivo, senza che abbia rilevanza l'esistenza di un danno effettivo (Conti, 404). L'elemento soggettivo del reato è il dolo specifico che, nella prima ipotesi dalla norma, consiste nel fine di essere ammesso alla procedura, mentre, nella seconda ipotesi, è rappresentata dallo scopo di influire a proprio vantaggio sulla formazione della maggioranza (Antolisei, 226). Il capoverso dell'art. 236 n. 1Con riferimento al rinvio operato dalla norma in esame, è stata sottolineata la difficoltà a trovare giustificazione nell'esclusione della responsabilità dell'imprenditore individuale (Antolisei, 226). Sul punto, va aggiunto che più volte la Suprema Corte ha ritenute infondate le questioni di legittimità costituzionale per la disparità di trattamento dovuta alla mancata estensione degli artt. 223 e 224 anche agli imprenditori individuali (Cass. 7 dicembre 1983). La giustificazione dell'esclusione è stata ravvisata dalla dottrina nella maggiore severità con cui il legislatore ha inteso colpire chi amministra beni altrui (Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 232) e tutelare le imprese collettive rispetto a quelle individuali, per la maggiore pericolosità sociale della conduzione con mezzi illegali delle prime rispetto alle seconde (Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, 2487). In tema di reati fallimentari, le condotte distrattive poste in essere prima dell'ammissione al concordato preventivo rientrano nell'ambito previsionale dell'art. 236, comma secondo, l.fall. il quale, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 223 l.fall. punisce i fatti di bancarotta previsti dall'art. 216 l.fall., commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite (Cass. pen. V, n. 16504/2010). Le norme sulla bancarotta impropria, relative agli amministratori di società, sono applicabili, ai sensi del comma secondo dell'art. 236 della legge fallimentare, alla amministrazione controllata, anche nel caso in cui non intervenga successivamente il fallimento, essendo equiparato, agli effetti penali, il decreto di ammissione alla procedura di amministrazione controllata alla sentenza dichiarativa di fallimento. Invero, in caso di successivo fallimento della società ammessa alla amministrazione controllata, si realizzano le diverse ipotesi di bancarotta, previste dagli artt. 223 e 224 l.fall. (Cass. pen. V, n. 12897/1999). Per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta impropria ex art. 236 cpv. n. 1 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 è sufficiente il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, senza che sia necessaria la sentenza di omologazione passata in giudicato, essendovi equiparazione tra la sentenza dichiarativa di fallimento e il detto decreto, il quale presuppone pur sempre un accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, intervenuto il quale, si perfezionano i fatti di bancarotta (Cass. pen. V, n. 3330/1993). Il capoverso dell'art. 236, n. 2La dottrina ha sottolineato la singolarità e incongruenza della norma che, senza un ragionevole motivo, differenzia al posizione dell'istitore rispetto a quella degli amministratori, in relazione alla punibilità per i reati di ricorso abusivo al credito, denuncia di creditori inesistenti e per quelli previsti dagli artt. 218 e 220, richiamati attraverso l'art. 227 e che soprattutto, senza motivo, prevede che l'institore possa rispondere per fatti imputabili al preponente soltanto ove consegua il fallimento (Conti, 409). Il capoverso dell'art. 236, n. 3Considerata l'analogia fra le figure del commissario giudiziale e del curatore, entrambi pubblici ufficiali, non è agevole spiegarsi come mai la norma, a proposito dell'estensione al primo delle disposizioni penali applicabili, si limiti al rinvio agli artt. 228 e 229 l.fall., e non anche all'art. 230 (Punzo, 411). Il capoverso dell'art. 236, n. 4La dottrina ha criticato sotto diversi aspetti il difetto di coordinamento tra la norma in esame e le disposizioni degli artt. 232 e 233 richiamati. Più in particolare, mentre nell'art. 232 soggetto attivo del reato è chiunque, l'art. 236, 2 comma, n. 4, prevede un reato proprio del creditore; mentre l'art. 233 prevede espressamente la concorrente responsabilità del fallito e del terzo che abbia stipulato con il creditore nell'interesse del fallito, l'articolo in esame si riferisce solo ai fatti del creditore. Per effetto del divieto di analogia in malam partem, il terzo, che non sia creditore, non può essere punito, salvo che nel suo comportamento ricorrano gli estremi della compartecipazione nel reato del creditore o che la sua condotta non configuri una diversa ipotesi di reato (Antolisei, 233). BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto fallimentare. Leggi Complementari, Milano, 1986; Conti, Diritto penale commerciale. I reati fallimentari, Padova, 2001; Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 232; Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, 2487; Punzo, Limiti di applicazione dell'art. 236 della legge fallimentare, in Giur. pen., 1953, II, 411. |