Valore giuridico di un messaggio di posta elettronica
30 Ottobre 2015
Massima
Lo scambio di messaggi di posta elettronica tra due soggetti si traduce nell'invio di documenti informatici, da ritenersi sottoscritti con firma elettronica c.d. semplice, in ragione dell'inserimento di username e password, la cui combinazione integra gli estremi di una sottoscrizione. Pertanto, il messaggio di posta elettronica inviato da una parte al proprio avvocato, in cui essa riconosce l'obbligo di corrispondere il compenso professionale, è idoneo a provare la sussistenza del credito. Il caso
Il caso sottoposto al vaglio del giudice di Termini Imerese concerne una questione di patrocinio legale: un avvocato conviene in giudizio, con procedimento ex articolo 702-bis del Codice di Procedura Civile, una propria cliente al fine di ottenere il compenso professionale a cagione della consulenza prestata per la stipula di un contratto di cessione di quote sociali. Il professionista ricorrente espone di aver ricevuto incarico da tre privati di assisterli dalla fase delle trattative sino alla stipula del contratto cessorio stesso. Riferisce, inoltre, di aver concordato, quale compenso, l'importo di € 5000,00 per ciascuna parte: tuttavia, la convenuta non corrisponde quanto pattuito, a differenza degli altri due soci. A supporto della domanda contro la socia inadempiente – regolarmente citata e dichiarata contumace – il ricorrente produce soprattutto copia di diversi messaggi di posta elettronica non certificata, aventi ad oggetto l'accordo sul compenso. Pertanto, nelle parole stesse del Giudice, “Al fine di stabilire il corretto assolvimento dell'onere probatorio relativamente alla prova dell'an del rapporto giuridico costitutivo della pretesa creditoria, occorre in primo luogo valutare la valenza probatoria di un documento informatico inviato tramite posta elettronica “semplice” ovvero non certificata”. La questione
La questione in esame è la seguente: un documento informatico, inviato mediante posta elettronica non certificata, è idoneo a provare la sussistenza e l'ammontare di un credito? Le soluzioni giuridiche offerte dal giudice
In prima analisi, il Giudice inaugura correttamente la fase iniziale del ragionamento, richiamando la nozione di documento informatico, come enunciata dall'articolo 1, lettera p), del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (cd. Codice dell'Amministrazione Digitale - CAD), secondo cui esso è “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Nell'inciso immediatamente seguente, invece, il Tribunale incappa in un primo errore, laddove asserisce che «L'art. 20 e 21 disciplinano il documento informatico e la sua valenza probatoria in base al tipo di firma apposta, mentre nell'intero codice dell'amministrazione digitale non è disciplinata la valenza probatoria dei documenti informatici non sottoscritti». Come si dirà in seguito, questo non corrisponde al vero. L'ordinanza prosegue subito dopo citando il testo dell'articolo 20 del CAD, a norma del quale «Il documento informatico da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all'articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge, secondo le disposizioni del presente codice. L'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall'articolo 21». Fermo restando il primo errore, il Giudicante, nel prosieguo, torna a seguire un tracciato normativo corretto, ripercorrendo condivisibilmente l'insieme delle firme elettroniche previste dal Codice dell'Amministrazione Digitale, soffermandosi in particolare sulla nozione di firma elettronica cd semplice o debole, di cui all'articolo 1, lett. q), ossia «l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica»: ne integra un preclaro esempio proprio l'accoppiamento di nome utente e password, caratteristico dei sistemi di autenticazione ed accesso ad una casella di posta elettronica (anche certificata, non è dato intuire per quale motivo la pronuncia tenga a evidenziare che trattavasi di posta non certificata, come ad intendere che la PEC attribuisca una firma diversa). Giova ricordare che le firme elettroniche, nonostante la denominazione, non sono la rappresentazione informatica-grafica della firma autografa: costituiscono un procedimento di associazione di dati finalizzato ad imputare effetti in capo ad un determinato soggetto. Ne risulta, di conseguenza, che il Giudice ritenga dirimente stabilire se l'e-mail – non certificata – sia da considerare sotto il genus di documento informatico non sottoscritto ovvero sotto quello di documento informatico sottoscritto con firma “leggera”: infatti, ritiene di privare di qualsivoglia valore probatorio le dichiarazioni rinvenibili in un documento informatico non sottoscritto. Aggiunge il Tribunale, anzi, che “i documenti, informatici o cartacei, non sottoscritti sono privi di qualsiasi valore probatorio, non essendo riconducibili ad alcun soggetto”. In seguito, reputando che il messaggio di posta elettronica sia accompagnato da una firma elettronica semplice, il Giudicante ne riconosce la natura di documento informatico sottoscritto. Pertanto, inevitabilmente e giustamente dichiara di doverne verificare le caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, come richiesto dal Codice dell'Amministrazione Digitale: evidenzia, in verità, come già segnalato supra, che l'accostamento di nome utente e password per accedere alla casella di posta elettronica realizzi i requisiti di una firma elettronica “leggera”, costituendo quell'insieme di dati connessi per associazione logica ad altri dati a fini identificativi, come postulato dall'articolo 1 del Codice dell'Amministrazione Digitale. Richiama, a tal proposito, il precedente giurisprudenziale rappresentato dalla decisione del Tribunale di Mondovì del 7 giugno 2004, che enuncia in maniera tecnica le caratteristiche dell'email quale firma elettronica “debole”. Conseguentemente, il Giudice, ritenuto provato il credito vantato dal legale, ne accoglie la domanda. Osservazioni
L'esatta ricostruzione della disciplina normativa conduce a risultati differenti da quanto statuito nell'ordinanza in commento. La ricognizione operata dalla pronuncia è solo parzialmente corretta, atteso che rinvia alle giuste disposizione normative, tuttavia mal correlandole ed applicandole erroneamente. In primis, il Tribunale incorre in una svista enorme allorché afferma che il Codice dell'Amministrazione Digitale non conterrebbe disposizioni in ordine al valore del documento informatico non sottoscritto. Si tenga, peraltro, conto che nella stessa frase tale asserzione è seguìta – paradossalmente - dalla citazione dell'articolo 20 del CAD, che tratta proprio del valore del documento informatico non sottoscritto. La prefata norma, invero, non cita mai la firma o la sottoscrizione, a differenza del successivo articolo 21, il quale, invece, conferisce distinta efficacia probatoria al documento informatico, a seconda della gamma di firma elettronica che vi venga apposta (semplice, avanzata o qualificata). Semmai, detto articolo 21 in nulla differisce dal precedente nell'ipotesi di documento sottoscritto con firma elettronica cd semplice o leggera o debole: infatti, precisa che anche in questo caso esso è liberamente valutato dal giudice sulla base delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità. Pertanto, ne discende un conseguente secondo abbaglio da rilevare, preso dal Giudice ove riferisce che le dichiarazioni contenute in un documento informatico non sottoscritto non sarebbero munite di valenza probatoria: all'opposto, ne sono provviste nella misura in cui lo consente l'articolo 20, comma 1-bis, del CAD. Assolutamente non condivisibile, poi, l'idea del Tribunale secondo cui «i documenti, informatici o cartacei, non sottoscritti sono privi di qualsiasi valore probatorio, non essendo riconducibili ad alcun soggetto»; sussistono, invece, tali e grandi differenze tra il documento cartaceo e quello informatico, da rendere quest'ultimo idoneo ad essere riconducibile a taluno, anche in assenza di sottoscrizione. Descrivere la combinazione di username e password quale firma elettronica “debole” o “leggera”, è, invece, apprezzabilmente esatto, sottolineando che essa è idonea a sottoscrivere il documento informatico consistente nel messaggio di posta elettronica. Segue, tuttavia, un nuovo travisamento interpretativo in merito alla valutazione circa l'idoneità del documento a fornire in concreto la prova del rapporto giuridico che ne forma oggetto, in base alle già citate caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, richieste dal CAD. Il Tribunale non si preoccupa di motivare la sussistenza e il peso di tali caratteristiche, specificando ad esempio la presenza del nome dell'avvocato o del cliente nell'indirizzo mail o nell'header. Al contrario, il Giudice fa ricorso ad elementi e presunzioni estranee (quali il suo contenuto, le trattative, la conclusione del contratto di cessione, la lettera di mora, il pagamento degli altri due cedenti) rispetto alla morfologia tecnica del messaggio per valutarne il valore probatorio. Il problema, evidentemente, non è farvi ricorso, bensì utilizzare tali elementi esterni per valutare la congruità del documento informatico: pertanto, per uno scopo diverso da quello di corroborare un corredo probatorio già esistente. Le caratteristiche richieste dall'articolo 20 del Codice dell'Amministrazione Digitale, infatti, andrebbero esaminate alla luce dei criteri informatici, non già in virtù di accidenti esterni del mondo fisico. Per similitudine, l'operazione compiuta dal giudice di Termini Imerese somiglierebbe a stimare l'idoneità probatoria e l'adeguatezza a integrare la forma scritta di una raccomandata, non già per la presenza della carta e della firma e per la sua integrità, bensì sulla base di attività collaterali. Nonostante l'iter argomentativo del ragionamento sia fallace in alcuni aspetti, il Giudicante giunge egualmente alla giusta conclusione, ammettendo la natura di documento informatico sottoscritto con firma semplice in capo all'e-mail, reputata idonea a provare l'accordo ed il compenso con l'Avvocato, e condannando di conseguenza la convenuta. |