La prova dell'esito della notifica telematica ex art. 15 legge fallimentare
03 Maggio 2017
Massima
L'art. 15, comma 3, l. fall. non prevede particolari modalità attestative circa l'impossibilità di eseguire la notifica a mezzo PEC, né richiede la specifica allegazione del messaggio ritrasmesso dal gestore della posta elettronica certificata attestante l'esito negativo dell'invio, ben potendo l'esito della notifica essere attestato dal cancelliere al quale sia stato affidato il compito di procedere alla notifica in via telematica. Il caso
Il socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo ricorre in Cassazione contro la sentenza che ha respinto l'opposizione alla dichiarazione di fallimento della società e dei soci. Con il primo motivo sembra contestarsi la legittimità del passaggio dalla notifica telematica a quella analogica, non giustificata, secondo la prospettazione del ricorrente, dalla compiuta dimostrazione dell'impossibilità della prima. Si contesta, cioè, l'idoneità della prova della mancata consegna del messaggio PEC contenente il ricorso ed il provvedimento di comparizione del fallendo, prova che si deduce possibile solo mediante produzione della relativa ricevuta di (mancata) consegna del messaggio stesso e non con dichiarazione/attestazione del cancelliere. Dalla sintetica ricostruzione del fatto, è ipotizzabile che i tentativi di notifica previsti dall'art. 15, comma 3, l. fall. non siano andati a buon fine, nel senso che la società non sia stata raggiunta né dalla notifica alla casella di posta elettronica certificata, né presso la sede risultante dalla camera di commercio e che il procedimento si sia perfezionato con il deposito nella casa comunale. Secondo il ricorrente, quindi, nel giudizio di opposizione al fallimento non si è compiutamente formata la prova della mancata notifica a mezzo PEC, in quanto la curatela si è avvalsa dell'attestazione di cancelleria, non producendo il file della ricevuta di mancata consegna. La questione
La questione da affrontare riguarda le corrette modalità con cui dare la prova dell'attività notificatoria telematica della cancelleria: in concreto, se tale prova possa essere fornita solo con il deposito delle relative evidenze informatiche (i files .eml o .msg delle ricevute di accettazione e consegna – o mancata consegna), oppure anche a mezzo di una dichiarazione da parte della cancelleria che abbia effettuato la notifica a mezzo PEC. Le soluzioni giuridiche
Ancora una volta viene in esame l'art. 15 l. fall. e le modalità con cui viene portata a conoscenza del fallendo l'altrui iniziativa introduttiva del procedimento volto alla dichiarazione di fallimento. L'art. 15, comma 3, l. fall. stabilisce che «Il ricorso ed il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'art. 107, comma 1, d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona al momento del deposito stesso». Tale cadenza procedimentale è passata indenne al vaglio della Corte Costituzionale che, con sent., 16 giugno 2016, n. 146, l'ha ritenuta non lesiva degli artt. 3 e 24 Cost., sia per la specialità e complessità degli interessi alla cui tutela è preordinata la semplificazione del procedimento notificatorio; sia perché l'eventuale esito negativo dello stesso dipende solo da negligenza dell'operatore economico in rapporto al domicilio fisico e digitale in cui svolge l'attività d'impresa (principi applicati da ultimo da Cass., 21 aprile 2017, n. 10132). La Corte di Cassazione, ha poi, con sent. 7 luglio 2016, n. 13917, sottolineato la particolare cura ed attenzione che l'operatore economico, obbligato a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata (art. 16, comma 6, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179), deve porre nella gestione di tale domicilio digitale e gli obblighi di diligenza connessi alla sua manutenzione e controllo, che si estende anche alla posta indesiderata. Diversamente dal consueto, però, nella fattispecie in esame sembra contestarsi la legittimità del passaggio dalla notifica telematica a quella analogica, non giustificata, secondo la prospettazione del ricorrente, dalla compiuta dimostrazione dell'impossibilità della prima. Si contesta, cioè, che manchi la prova della mancata consegna del messaggio PEC contenente il ricorso ed il provvedimento di comparizione del fallendo, prova che si deduce possibile solo mediante produzione della relativa ricevuta di (mancata) consegna del messaggio stesso e non con dichiarazione/attestazione del cancelliere. La Corte di Cassazione ha respinto questo motivo di ricorso, affermando il principio di cui alla massima. Osservazioni
Preliminarmente va specificato che per rendere possibili queste notifiche ai soggetti contro cui è proposta un'istanza di fallimento, i sistemi informatici di cancelleria sono stati collegati al pubblico registro INIPEC, da cui attingono gli indirizzi di posta elettronica certificata mediante il codice fiscale attribuito all'operatore economico obbligato a dotarsi di PEC (art. 17 Provv. 16 aprile 2014). L'esito della notifica viene, poi, comunicato automaticamente al domicilio digitale del ricorrente che può, in caso di esito negativo, provvedere alla notifica ai sensi dell'art. 107, comma 1, d.P.R. n. 1229/1959. La relativa comunicazione non contiene l'avviso di mancata consegna di cui all'art. 8, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'art. 27, l. 16 gennaio 2003, n. 3), ma solo l'indicazione dell'esito negativo della notifica. Ciò significa che l'evidenza informatica della mancata notifica (l'avviso di mancata consegna) rimane nella disponibilità dei sistemi di cancelleria (art. 16, comma 5, d.m. 21 febbraio 2011, n. 44). Nell'analisi di questa decisione si deve partire dalla considerazione che nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, l'opponente da un lato e la curatela dall'altro, non hanno, per quanto sopra evidenziato, la disponibilità delle evidenze informatiche inerenti la notifica a mezzo PEC, che, come detto, rimangono nella disponibilità della cancelleria, all'interno del fascicolo informatico relativo al procedimento pre fallimentare. E' inevitabile, pertanto, che il soggetto che debba dimostrare la correttezza dell'iter notificatorio, nella specie la curatela, non avendo a disposizione l'avviso di mancata consegna, non possa far altro che chiedere alla cancelleria un'attestazione di quanto risulti dai registri, così come avviene nelle ipotesi in cui si debba certificare la pendenza o meno di un giudizio, l'interposizione, o meno, di un'impugnativa (art. 124, disp. att., c.p.c.), di un reclamo e simili. E ciò sulla base del generale potere di documentazione delle attività proprie e di quelle degli altri organi giudiziari e delle parti, prevista dall'art. 57 c.p.c. e della qualità di pubblico ufficiale rivestita dal cancelliere nell'esercizio delle sue funzioni (fra le quali, appunto, rientra la notifica in questione). Più in particolare, ciò di cui necessita la parte che deve dare prova del corretto passaggio dalla notifica telematica (a cura della cancelleria) a quella analogica (a cura del ricorrente) sembra essere una “certificazione”, intesa come «l'attestazione scritta, anche su moduli preordinati di dati o elementi risultanti da registri o documenti ufficiali delle cancellerie e segreterie giudiziarie». In effetti, la ricevuta di mancata consegna risiede nei sistemi informatici della cancelleria, sì che piuttosto che un'attestazione, «nel quale il pubblico ufficiale dichiara l'esistenza di situazioni giuridicamente rilevanti, desunte da altri atti», sembra più corretto parlare di certificazione (per tali concetti si veda W. Caglioti, Spese di Giustizia, Testo Unico e Servizi di Cancelleria Appunti e Aspetti pratici normativa e circolari ministeriali). Attestazioni di cancelleria circa l'esistenza della notifica a mezzo PEC fatta dall'ufficio sono state utilizzate dalla Cassazione nella recente sent. 10 aprile 2017, n. 9231: a fronte dell'eccezione di parte circa la mancanza di evidenza delle ricevute di accettazione e consegna, la Suprema Corte si è avvalsa di attestazioni con cui la cancelleria certificava che nei registri informatizzati consultati erano presenti le evidenze informatiche, di cui venivano forniti i riferimenti identificavi. Peraltro, le evidenze informatiche dell'attività notificatoria della cancelleria, essendo conservate nel fascicolo informatico, dovrebbero essere a disposizione della Cassazione una volta chiesta la trasmissione del fascicolo d'ufficio ai sensi dell'art. 369, comma 4, c.p.c.. Quando, poi, sarà possibile il trasferimento del fascicolo informatico al giudice superiore, tali evidenze saranno di immediata consultazione, sicchè sarà più agevole il controllo di tempestività in relazione a comunicazioni e notificazioni di cancelleria. Le perplessità che, a tutta prima, si sarebbero potute avere a fronte di una pronuncia che sembra ignorare la natura di documento informatico della ricevuta di mancata consegna, vengono meno in considerazione del fatto che la prova della mancata notifica telematica era, nella specie, a carico di un terzo soggetto (la curatela del fallimento opposto), estraneo al procedimento notificatorio in questione. Non può, quindi, ricavarsi dalla pronuncia in esame un principio di generale apertura a modalità di dimostrazione delle comunicazioni telematiche in forme diverse dal deposito delle relative evidenze informatiche. In altri termini, i soggetti direttamente coinvolti nel procedimento notificatorio non potrebbero dimostrare i relativi eventi con mezzi diversi dal deposito delle inerenti evidenze informatiche, come previsto dalla l. n. 53/1994; non si potrebbe, quindi, surrogare un simile onere con altri mezzi di prova, come il deposito della stampa delle ricevute o la prova per testi che in un certo giorno, ad una certa ora, si siano azionati in un computer i comandi necessari all'invio della notifica a mezzo PEC. |