Procedimenti possessori
05 Settembre 2017
Inquadramento
Gli artt. 703, 704 e 705 c.p.c. delineano i profili processuali dell'azione di spoglio e dall'azione di manutenzione, i cui contenuti sostanziali, sono invece regolati, com'è noto, dagli artt. 1168. 1169 e 1170 c.c.. Il codice di procedura civile disciplina il procedimento possessorio come un rito sommario, che costituisce una figura intermedia tra il processo di merito a cognizione piena ed il processo puramente cautelare: esso non accerta, né costituisce diritti soggettivi, e neppure tende a preservare diritti al fine di assicurare la fruttuosità del giudizio di merito. L'oggetto sostanziale delle azioni possessorie ha, infatti, una sua piena autonomia rispetto alla situazione petitoria, mirando alla protezione della situazione di fatto, con la conseguenza che la relativa tutela processuale non è strumentale, né, quindi, cautelare: il giudizio possessorio è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale. Le differenze fra l'oggetto della tutela possessoria e quello della tutela petitoria si riverberano sull'efficacia dei rispettivi giudicati, nel senso che la sentenza resa sulla domanda possessoria non può avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio, essendo diversi sia il "petitum" e la "causa petendi". Il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è, quindi, sempre privo di efficacia nel giudizio petitorio (Cass. 30 giugno 2016, n. 13450), quand'anche questo concerna l'accertamento dell'avvenuto acquisto della proprietà per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire deve avere requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori (Cass. 5 ottobre 2009, n. 21233). L'azione possessoria è volta soltanto al ripristino dello stato di fatto, e perciò culmina in un provvedimento suscettibile di giudicato sostanziale indipendentemente dall'esistenza o meno del diritto al quale il possesso corrisponde. L'esame dei titoli costitutivi dei diritti fatti valere dalle parti è compiuto nel procedimento possessorio al solo fine di ricavarne elementi sulla sussistenza del possesso, restando impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione di fatto oggetto di tutela. Un eventuale contrasto del giudicato possessorio sul “fatto” col giudicato petitorio sul “diritto” va quindi risolto attraverso le opportune "restitutiones in integrum" (Cass. 5 febbraio 2016, n. 2300; Cass. 16 luglio 2015, n. 14979). Fase interdittale e giudizio di merito
Le ragioni di urgenza, che sono proprie della tutela della situazione possessoria, comportano l'articolazione del giudizio in due fasi, di cui la prima culmina con l'adozione di un interdetto cautelare e provvisorio, che deve essere poi confermato o revocato nella sentenza finale. Non è, tuttavia, configurato un giudizio sul merito retto da propri criteri di competenza, sicché anche la seconda fase (il cui oggetto coincide con quello della prima) viene istruita e trattata dallo stesso tribunale competente a norma dell'art. 21 c.p.c. L'attuale disciplina del procedimento possessorio è dettata dall'art. 703 c.p.c., come modificato nel secondo comma ed integrato con un terzo ed un quarto comma dal d. l. n. 35/2005, conv. in l. n. 80/2005. La Riforma del 2005 discende da Cass., Sez.Un., 24 febbraio 1998, n. 1984, sentenza nella quale si era affermato che l'iniziale riformulazione del medesimo art. 703 c.p.c., operata dalla l. n. 353/1990, con il rinvio agli artt. 669-bis e ss., non avesse eliminato la duplicità strutturale delle fasi del procedimento possessorio, di cui una primaria, volta all'emanazione dei provvedimenti immediati, ed una successiva, a cognizione piena, sul merito della pretesa possessoria, comprensiva delle impugnazioni ordinarie. Sicché, concesse dal giudice del segmento sommario, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio sarebbe dovuto proseguire per l'esame del merito innanzi allo stesso giudice all'udienza all'uopo fissata, senza necessità di notificare una nuova citazione ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c. Questa ricostruzione aveva ricevuto adesione unanime dalla giurisprudenza di legittimità degli anni a venire. Con riguardo a procedimento possessorio cui era ancora applicabile l'art. 703 c.p.c. nella formulazione risultante dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, ma prima delle modifiche apportate dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ed alla luce dell'insegnamento dettato da Cass. Sez.Un. n. 1984/1998, e poi precisato da Cass. Sez.Un. n. 480/1999, si è ribadito così, ancora di recente, come l'ordinanza del giudice designato che aveva rigettato la domanda possessoria, statuendo sulle spese processuali, senza rimettere le parti dinanzi a sé per la trattazione della causa, dovesse qualificarsi come vera e propria sentenza di primo grado, impugnabile mediante appello. Di conseguenza, ove un siffatto provvedimento non fosse stato tempestivamente appellato, nel susseguente giudizio, avente ad oggetto la stessa pretesa possessoria, si sarebbe dovuto rilevare, anche d'ufficio ed in ogni stato e grado, la formazione del giudicato (Cass. 19 luglio 2016, n. 14762). Sempre con riferimento alla duplicità di fasi del procedimento possessorio originariamente introdotta dalla l. n. 353/1990, ed in ipotesi in cui il giudice adito con ricorso ex art. 703 avesse concluso il procedimento con ordinanza, provvedendo sulle spese, senza fissare l'udienza di prosecuzione del giudizio di merito, è stato ancora da ultimo riaffermato che il convenuto doveva poter espletare in appello tutte quelle attività difensive che avrebbe potuto compiere nella fase omessa del cd. merito possessorio (Cass. 21 aprile 2016, n. 8101). Per effetto degli interventi della Riforma del 2005, il richiamo dell'intera disciplina dei procedimenti cautelari è stato attenuato con una clausola di compatibilità prima mancante; peraltro, i commi terzo e quarto del novellato art. 703 c.p.c. sanciscono la reclamabilità dell'ordinanza possessoria, come la soggezione della stessa alla conseguenza dell'inefficacia nelle ipotesi di cui all'art. 669-novies, comma 3, c.p.c. Si è precisato come il diniego di reintegra o manutenzione nel possesso, anche quando motivato in base al ravvisato difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sia reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., integrando quella decisione che "respinge la domanda" di cui all'art. 703, comma 3, né sussiste, in tale ipotesi, a carico del giudice che abbia denegato la concessione dell'interdetto possessorio, alcuna necessità di fissare "ex officio" il termine per la prosecuzione del giudizio di merito (Cass., Sez.Un., 20 novembre 2013, n. 26037) La novità più significativa della Riforma del 2005 è, tuttavia, nell'ulteriore contenuto del comma 4 dell'art. 703 c.p.c., ove si dispone che, soltanto se richiesto con apposita nuova istanza dalla parte interessata, entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento finale della fase interdittale (di accoglimento o di rigetto), il giudizio prosegua per il merito, il quale diviene, pertanto, prolungamento eventuale e non automatico. In caso di mancato prosieguo per la cognizione piena della vicenda, l'ordinanza rimane la statuizione definitiva sulla vicenda possessoria, senza, però, acquisire efficacia di giudicato (Cass. 3 ottobre 2016, n. 19720; in dottrina, A.D. De Santis, La fase sommaria, in I procedimenti possessori, a cura di A. Carratta, Bologna 2015, 122 ss.). Il ricorso introduttivo è, peraltro, atto unico capace di instaurare entrambe le fasi del procedimento, mentre l'istanza di fissazione dell'udienza di trattazione della causa, a norma dell'art. 183 c.p.c., rivela natura di mero impulso endoprocessuale. L'istanza per la prosecuzione del giudizio di merito può pervenire anche da chi era resistente nel giudizio interdittale, e non necessita di apposito mandato alle liti, bastando a tal fine la procura conferita al difensore per l'introduzione di un giudizio possessorio, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della parte (Cass. 26 marzo 2012, n. 4845). Procedimento
L'azione si propone, per il caso in cui non penda il giudizio petitorio, nella forma del ricorso al giudice competente. Indubbiamente, la forma del ricorso diretto al giudice consente una maggior speditezza nella procedura ed una più rapida emissione dei provvedimenti urgenti. Tale forma non è però richiesta a pena di nullità del procedimento possessorio, potendo questo instaurarsi anche con citazione, nel qual caso rimane esclusa soltanto la possibilità di emanazione dei provvedimenti interinali inaudita altera parte (Cass. 4 febbraio 1988, n. 1988). La competenza per territorio spetta al tribunale del luogo in cui è avvenuto il fatto denunziato (art. 21, comma 2, c.p.c.), che si identifica con il luogo ove si sia svolta la condotta che abbia determinato la concreta privazione della relazione di fatto tra il soggetto e la cosa posseduta, ovvero con il luogo in cui si sia svolta l'attività pregiudizievole di contestazione del possesso, prescindendosi dal luogo ove si realizzano gli effetti dannosi conseguenti alla stessa attività (Cass. 10 marzo 2005, n. 5317). La legittimazione attiva all'azione di reintegrazione spetta al possessore, ovvero a chi vanti un pregresso esercizio di un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o di un altro di diritto reale, come anche al detentore qualificato, ovvero a chi alleghi, e provi, la titolarità di un potere di fatto accompagnato dal riconoscimento di una prevalente situazione giuridica altrui, in forza di rapporto con la cosa posto in funzione di un interesse proprio (escludendo dalla tutela l'art. 1168, comma 2, c.c. il detentore per ragioni di servizio o di ospitalità). Legittimato a proporre l'azione di manutenzione ex art. 1170 c.c. è, invece, il solo possessore, e non anche il detentore. La legittimazione passiva rispetto all'azione di reintegrazione spetta, poi sia all'autore materiale che all'autore morale dello spoglio, ovvero al mandante o a colui che abbia utilizzato a proprio vantaggio il risultato dello spoglio stesso, sostituendo il suo possesso a quello dello spogliato. Analogamente, in tema di azione di manutenzione del possesso, è legittimato passivo sia l'autore materiale che l'autore morale della turbativa. Peraltro, poiché sia lo spoglio che la turbativa determinano la responsabilità individuale dei singoli autori degli stessi, la concorrente legittimazione passiva di costoro non determina un'ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la pretesa possessoria essere coltivata anche nei confronti di uno solo dei responsabili. Il litisconsorzio necessario nelle azioni a difesa del possesso si impone, piuttosto, qualora la reintegrazione o la manutenzione comportino la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un'opera di proprietà o nel possesso di più persone. Il decorso del termine di decadenza annuale, di cui all'art.1168, comma 1, c.c., ed all'art. 1170, comma 1, c.c., non è rilevabile d'ufficio dal giudice, giacché, vertendosi in materia di diritti disponibili, deve essere eccepito, ai sensi dell'art. 2969 c.c. dalla parte interessata, ed è quindi soggetto al regime delle preclusioni tipico delle eccezioni in senso proprio. Alla presentazione del ricorso introduttivo segue una fase preliminare, strumentale rispetto alla successiva fase di cognizione. Il giudice può, infatti, immediatamente provvedere in ordine all'azione proposta, assumere sommarie informazioni e, sulla base delle stesse, ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., ove sussista l'obiettiva urgenza di contenere una lesione in atto o di evitare il pericolo di un danno o dell'aggravamento di esso, disporre con decreto, inaudita altera parte, i provvedimenti necessari. Si spiega, peraltro, che le dichiarazioni rese dai cd. «informatori» nella fase urgente del procedimento possessorio, pur non essendo assimilabili alla prova testimoniale, possono comunque essere utilizzate anche quali indizi, liberamente valutabili ai fini della decisione, dovendo, piuttosto, considerarsi alla stregua di vere e proprie prove testimoniali laddove assunte in contraddittorio tra le parti e sotto il vincolo del giuramento (Cass. 20 gennaio 2009, n. 1386; Cass. 21 novembre 2006, n. 24705). Con il decreto che contiene i provvedimenti immediati il giudice deve disporre ad udienza fissa la comparizione delle parti davanti a sé per confermare, modificare o revocare in contraddittorio i provvedimenti già resi (art. 669-sexies, comma 2, c.p.c.). Il ricorso introduttivo ed il decreto dovranno essere notificati alla parte avversaria a cura dello stesso ricorrente entro un termine perentorio. Se non ritiene di emettere l'interdetto inaudita altera parte, il giudice dispone la comparizione delle parti. La scadenza del termine che il giudice, senza adottare provvedimenti immediati, abbia assegnato per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza non impedisce all'istante, peraltro, di chiedere ed ottenere la fissazione di una nuova udienza di comparizione, integrando ciò non una proroga illegittima del termine già scaduto, ma l'esercizio dell'autonomo potere di convocare le parti mediante un distinto decreto (Cass. 11 gennaio 1992, n. 248). Di seguito, in contraddittorio, il giudice procede senza alcuna formalità agli indispensabili atti di istruzione, come l'audizione degli informatori che gli vengono presentati dalle parti, ovvero individuati personalmente, quando a seguito di ispezione li trovi sul posto, e demandare, eventualmente, al consulente tecnico singole indagini: questa prima fase, definita dalla dottrina di «cognizione sommaria», si conclude con la pronuncia dei provvedimenti necessari con ordinanza. Se richiesto da una delle parti, poi, il giudice fisserà successiva udienza per procedere alla trattazione ed alla formale istruzione della causa (cosiddetta seconda fase del procedimento possessorio) e, quindi, statuire sul merito della situazione possessoria, intesa in senso stretto, atteso che il provvedimento interdittale è comunque destinato a perdere efficacia a seguito della decisione a cognizione piena ed è quindi inidoneo, come visto, a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato (Cass. 3 ottobre 2016, n. 19720; in dottrina, Basilico, Efficacia dell'interdetto possessorio, in I procedimenti possessori, a cura di A. Carratta, Bologna 2015, 210 ss.; Marinucci, Le nuove norme sul procedimento possessorio, in Riv. dir. proc. 2006, 827 ss.); solo il ristabilimento dell'originaria situazione conseguibile attraverso l'esecuzione coattiva della sentenza può, invero, consentire l'eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso spogliato (Cass. 11 aprile 2006, n. 8446). Le descritte due fasi non si devono intendere contrapposte tra di loro ed al tempo stesso vincolate da un nesso di successione inderogabile, al punto che, almeno nella struttura procedimentale antecedente alla Riforma del 2005, si sosteneva che le stesse potessero essere di fatto unificate, quando il giudice, non ravvisando la necessità o l'opportunità di provvedimenti immediati, avesse proceduto senz'altro, in contraddittorio tra le parti e con la piena osservanza delle norme di rito, all'istruzione e alla trattazione del merito (Cass. 11 novembre 2005, n. 22833). Se, tuttavia, l'attore, che invochi la tutela possessoria, intende ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, comma 4, c.p.c., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. 30 settembre 2014, n. 20635). Sul presupposto che i provvedimenti possessori, pur restando efficaci dopo la Riforma del 2005 indipendentemente dall'instaurazione del giudizio di merito, sono comunque inidonei ad acquisire efficacia di giudicato, non avendo carattere decisorio, viene abitualmente altresì negata la ricorribilità per cassazione avverso essi ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. In particolare, si dice inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l'ordinanza resa in sede di reclamo nel procedimento possessorio di cui all'articolo 703 c.p.c., in quanto priva dei necessari requisiti di definitività e decisorietà indispensabili affinché possa essere oggetto di ricorso per cassazione (Cass. 23 marzo 2017, n. 7565; Cass., 10 giugno 2014, n. 13044; Cass. 17 febbraio 2014, n.3629; Cass., SU, 20 novembre 2013, n. 26037). Si osserva come il vigente art. 703, comma 4, c.p.c., rimetta all'iniziativa di una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che conclude la fase sommaria diretta all'emissione del provvedimento interinale, la prosecuzione del giudizio per il c.d. merito possessorio con le forme delle cognizione piena. Di tal che, nel sistema attuale, la tutela possessoria può arrestarsi alla fase sommaria e all'ordinanza che la conclude, ovvero giungere fino alla sentenza di merito, a sua volta soggetta agli ordinari mezzi d'impugnazione. Qualora una delle parti introduca l'eventuale fase a cognizione piena, l'ordinanza interdittale rimane allora assorbita nella sentenza emessa all'esito di essa, mentre, nell'ipotesi in cui non venga tempestivamente domandata prosecuzione del giudizio, deve ritenersi che quell'ordinanza acquisisca una stabilità puramente endoprocessuale ed un'efficacia soltanto esecutiva, oppure che la mancata prosecuzione determini un'estinzione del giudizio possessorio, con conseguente preclusione esterna dovuta all'acquiescenza mostrata dalla parte interessata. Diverso è il problema dell'autonoma ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. della sola statuizione sulle spese della fase interdittale adottata dal tribunale con l'ordinanza sul reclamo, una volta sottratto al soccombente anche il rimedio dell'opposizione prevista dall'art. 669-septies c.p.c. Non sembra possa esservi più ragione alcuna per negare l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il capo dell'ordinanza possessoria relativo alla condanna alle spese del procedimento, inerendo esso a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame è stata adottato, ed avendo i connotati della decisione giurisdizionale e l'attitudine al passaggio in giudicato indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede. Né possono essere condivise le proposte interpretative che onerano il reclamante soccombente in fase interdittale, ove non intenda iniziare il giudizio di merito ma soltanto contestare la liquidazione delle spese ad essa inerente, di proporre opposizione al precetto intimato sulla base del provvedimento possessorio o all'esecuzione iniziata sulla base di esso, oppure di instaurare un apposito processo di cognizione ad hoc (con tutte le impugnazioni conseguenti): queste soluzioni (oltre a porsi contro il principio della competenza funzionale ed inderogabile in tema di spese attribuita al giudice cui spetta di conoscere il merito della causa, ed a superare i normali limiti di contenuto dei giudizi di opposizione all'esecuzione promossi in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, nei quali la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata non può essere fondata su vizi della decisione spettanti alla cognizione del giudice naturale della causa) si rivelano unicamente “idonee a moltiplicare il numero dei processi e dei giudici chiamati a conoscerne” (arg. da Cass. S.U. 2 febbraio 2016, n. 1914). È' infine ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel corso del procedimento possessorio, ancorché, nella fase sommaria o in sede di reclamo, sia stata risolta, in senso affermativo o negativo, una questione attinente alla giurisdizione, trattandosi di provvedimento che mantiene carattere di provvisorietà ed essendo comunque possibile richiedere la prosecuzione del giudizio, ai sensi dell'art 703, comma 4, c.p.c. per la rivalutazione della stessa questione. In difetto, tuttavia, di istanza di parte per la fissazione del giudizio di merito, non è proponibile il ricorso ex art. 41 c.p.c., in quanto l'interesse a promuovere l'accertamento sulla giurisdizione postula necessariamente la pendenza di un processo (Cass. Sez.Un., 20 luglio 2015, n. 15155). Giudizio possessorio e giudizio petitorio
L'art. 704 c.p.c. consente la proposizione del ricorso possessorio altresì davanti al giudice del procedimento petitorio, in deroga agli ordinari principi di competenza, deroga che però non trova applicazione quando i fatti lesivi del possesso siano stati commessi anteriormente all'instaurazione del giudizio petitorio; è fatta salva la possibilità di domandare la reintegrazione al tribunale individuato a norma dell'art. 21 c.p.c., che darà i provvedimenti temporanei indispensabili e rimetterà poi le parti davanti al giudice del petitorio. La deroga alla regola generale della competenza in materia possessoria, stabilita dall'art. 704 c.p.c., non è, quindi, applicabile, oltre i casi in esso considerati, che presuppongono la connessione oggettiva delle due cause, l'anteriorità del giudizio petitoriorispetto all'accadimento dei fatti dedotti come lesivi del possesso e l'identità soggettiva delle parti, la quale ricorre quando tutte le parti del giudizio possessorio siano presenti nel giudizio petitorio, essendo irrilevante soltanto che a quest'ultimo partecipino anche altri soggetti (Cass. 16 gennaio 2014, n. 810). L'art. 704c.p.c. non configura un'ipotesi di litispendenza o di continenza, nè tra le cause è ravvisabile un vincolo di subordinazione o di garanzia o di pregiudizialità, quanto unicamente un vincolo di connessione impropria, che giustifica la vis atractiva del secondo giudizio sul primo (Cass. 21 luglio 2003, n. 11346). L'art. 704 c.p.c. è, quindi, volto a consentire la decisione sulle distinte domande nello stesso processo, avendo i provvedimenti possessori, comunque emessi in pendenza di giudizio petitorio, carattere puramente incidentale ed essendo destinati ad essere assorbiti dalla sentenza definitiva che decide la controversia petitoria, la quale costituirà l'unico titolo in grado di regolare in via definitiva i rapporti in contestazione tra le parti, sulla base dell'accertamento dell'esistenza del diritto da cui si pretende derivare il possesso Il provvedimento possessorio emesso nel corso del giudizio petitorio non è, pertanto, idoneo al giudicato né assoggettabile ad esecuzione forzata, trovando esclusiva applicazione il procedimento di attuazione regolato dall'art. 669 duodecies proponibile davanti al giudice che ha emesso l'interdetto (Cass. 16 giugno 2008, n. 16220; Cass. 22 giugno 2007, n. 14607). L'art. 705 c.p.c. vieta, invece, al convenuto di intentare giudizio petitorio prima che il giudizio possessorio sia stato definito e, per quanto dipende da lui, eseguito. Il divieto trova la sua «ratio» nell'esigenza di evitare che la tutela possessoria chiesta dall'attore possa essere paralizzata, prima della sua completa attuazione, dall'opposizione diretta ad accertare l'inesistenza dello «ius possidendi». Allo stesso criterio del divieto di cumulo viene ricondotto anche il regime dell'eccezione feci sed iure feci, la quale è ammissibile, da parte del convenuto in sede possessoria, solo in quanto lo ius si riferisca ad un affermato possesso o compossesso che legittimi il suo operato e non con riferimento ad uno ius in senso petitorio o nel senso di ius possidendi (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2371; Cass. 25 giugno 2012, n. 10588; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1896). L'operatività di tale principio è stata limitata dalla sentenza della Corte cost. 3 febbraio 1992, n. 25, la quale dichiarò parzialmente incostituzionale l'art. 705 c.p.c. (nella parte in cui detta norma subordinava comunque la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed all'esecuzione della decisione, nel caso derivasse o potesse derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto), potendo il resistente in sede possessoria opporre le sue ragioni petitorie solo quando dall'esecuzione della decisione sulla domanda di interdetto potrebbe derivargli un danno irreparabile (ad esempio, allorché la tutela chiesta dal ricorrente sia da attuarsi mediante distruzione di un immobile), e sempre che l'eccezione sia finalizzata solo al rigetto della pretesa domanda di reintegrazione o manutenzione, e non anche ad un accertamento definitivo del diritto vantato (vedi anche Cass. 29 gennaio 2007, n. 1795). Peraltro, ad avviso di alcune sentenze (Cass. 20 aprile 2006, n. 9285; Cass. 13 agosto 2004, n. 15753), la pronuncia n. 25/1992 della Corte costituzionale ha infranto unicamente il divieto, per il convenuto in possessorio, di agire in petitorio ove ricorrano le indicate condizioni, senza estendere affatto i propri effetti nell'ambito del giudizio possessorio, in maniera da porre nel nulla la preclusione per il resistente di sollevare difese di natura petitoria (in argomento, si veda Cossignani, Il divieto di cumulo del petitorio col possessorio (art. 705 c.p.c.), in I procedimenti possessori, a cura di A. Carratta, Bologna 2015, 499 ss.). Esecuzione forzata o attuazione dei provvedimenti possessori
La giurisprudenza, quanto meno con riferimento al provvedimento possessorio emesso nel corso del giudizio petitorio, ha affermato la natura esclusivamente interinale dello stesso, giacché destinato ad essere assorbito dalla pronuncia che conclude il procedimento a cognizione piena nel quale è stato emesso. Ciò ha indotto ad escluderne l'assoggettabilità ad esecuzione forzata, trovando esclusiva applicazione il procedimento di attuazione regolato dall'art. 669-duodecies c.p.c., proponibile davanti al giudice che ha emesso l'interdetto (Cass. 16 giugno 2008, n. 16220). Parimenti, sempre partendo dal presupposto che per procedere all'esecuzione dei provvedimenti possessori di natura sommaria non deve essere seguita la disciplina normativa dell'esecuzione forzata relativa agli obblighi di fare stabilita negli artt. 612 - 614 c.p.c., si è esclusa la necessità della notificazione del precetto, bastando la notifica del titolo esecutivo, mentre, in caso di contestazione relativa alle modalità di attuazione del provvedimento, deve essere proposto ricorso, ai sensi dell'art. 669 duodecies c.p.c., allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento sommario (Cass. 12 marzo 2008, n. 6621). In realtà, le pronuce, nella disciplina anteriore alla Riforma del codice di procedura civile del 1990, si erano in un primo momento orientate nel senso che il provvedimento di reintegrazione nel possesso fosse un titolo esecutivo, la cui attuazione non potesse realizzarsi che nelle forme dell'esecuzione forzata (Cass. 19 febbraio 1957, n. 603), per poi mutare indirizzo, in maniera da escludere che l'attuazione dell'interdetto possessorio richiedesse l'osservanza delle forme proprie del procedimento esecutivo (Cass. 29 aprile 1965, n. 778; Cass. 24 febbraio 1970, n. 438; Cass. 6 dicembre 1972, n. 3520; Cass. 15 marzo 1976, n. 955; Cass. 27 aprile 1979, n. 2460). Invero, in astratto è certo che l'esecuzione di una sentenza o di altro provvedimento di condanna per violazione di obblighi di fare o di non fare debba essere attuato, in difetto di spontaneo adempimento, nelle forme previste dagli artt. 612 e 613 c.p.c., le quali demandano esclusivamente al giudice dell'esecuzione la concreta determinazione delle modalità dell'esecuzione e il potere di dirimere le contestazioni che al riguardo dovessero sorgere. Tuttavia, l'esecuzione di provvedimenti interinali, quali sono quelli di reintegrazione o manutenzione del possesso, si colloca al di fuori del processo di esecuzione previsto e regolato dal libro terzo del codice di rito ed è soggetta ad una diversa disciplina (Cass. 30 agosto 1991, n. 9276). La natura e la funzione proprie degli interdetti possessori consistono nel fatto che, come visto, gli stessi sono diretti a soddisfare in via temporanea ed urgente l'esigenza di tutelare il possessore dagli attentati, in forma di spoglio o di turbativa, che il suo potere di fatto sulla cosa abbia subito o stia subendo. Essi sono, pertanto, modificabili o revocabili dallo stesso giudice che li abbia emessi, per effetto del mutare della situazione di fatto o di una diversa valutazione della esistenza dei presupposti di invocabilità della tutela possessoria, a differenza dei provvedimenti oggetto dell'esecuzione regolata dagli artt. 612 e 613 c.p.c., caratterizzati dalla definitività del comando contenuto nel titolo esecutivo. Da ciò consegue che anche il meccanismo procedimentale volto ad assicurarne l'attuazione deve essere improntato ad un'estrema semplicità ed elasticità di forme, incompatibili con quelle proprie dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare - consistenti nella previa notifica del precetto, nel ricorso al giudice per la fissazione delle modalità della esecuzione, nell'audizione della parte obbligata e nella determinazione delle indicate modalità da parte del giudice - e caratterizzato dalla stessa speditezza cui è improntato il giudizio possessorio nella fase di cognizione (Cass. 16 aprile 1997, n. 3277). Viceversa, alla sentenza conclusiva del giudizio di merito possessorio instaurato ai sensi dell'art. 703 c.p.c. si applica la disciplina dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c. (Cass. 8 giugno 2014, n. 17845). Trovano altresì applicazione in tale fattispecie i limiti delle statuizioni contenute nella sentenza di condanna al “facere” o al "non facere", propri del procedimento di esecuzione coattiva disciplinato nell'art. 612 c.p.c. (Cass. 23 marzo 2011, n. 6665). In dottrina, la soluzione che l'esecuzione dei provvedimenti interinali debba collocarsi al di fuori del procedimento esecutivo è ritenuta valida, nel sistema vigente, ove il giudizio prosegua per il merito possessorio, operando l'art. 669-duodecies c.p.c., mentre si renderebbe necessario il ricorso alle norme sull'esecuzione forzata ove il giudizio possessorio si esaurisca con la pronuncia dell'interdetto (M. De Cristofaro, in Codice di procedura civile commentato, diretto da Consolo, IV ed., sub art. 704 c.p.c., Milano, 2010, 904-905; in senso analogo, C. Cecchella, Il nuovo processo possessorio, in Cecchella, Amadei, Buoncristiani, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Milano, 2006, 142 ss; per la soluzione propensa all'estraneità dell'esecuzione dei provvedimenti possessori al processo di esecuzione disciplinato dal Libro III del c.p.c., e per l'assoggettamento della stessa all'art. 669 duodecies c.p.c., G.G. Poli, L'attuazione dei provvedimenti possessori, in I procedimenti possessori, a cura di A. Carratta, Bologna 2015, 257 ss.). Riferimenti bibliografici
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