Giuramento decisorioFonte: Cod. Civ. Articolo 2736 | Cod. Civ. Articolo 2737 | Cod. Civ. Articolo 2738 | Cod. Civ. Articolo 2739 | Cod. Proc. Civ. Articolo 233 | Cod. Proc. Civ. Articolo 234 | Cod. Proc. Civ. Articolo 235 | Cod. Proc. Civ. Articolo 236 | Cod. Proc. Civ. Articolo 237 | Cod. Proc. Civ. Articolo 238 | Cod. Proc. Civ. Articolo 239
24 Gennaio 2017
Inquadramento
Il giuramento è una prova costituenda – la cui disciplina è ripartita tra il codice civile ed il codice di procedura civile - all'esito dell'espletamento della quale il giudice decide la controversia ritenendo accertati i fatti oggetto delle dichiarazioni pro se del giurante. Questa definizione, sebbene di carattere generalissimo, rende peraltro immediatamente ragione della comune opinione per la quale il giuramento si pone agli antipodi della confessione, la cui efficacia probatoria legale dipende, invero, dalla regola d'esperienza in base alla quale, nell'ipotesi in cui un soggetto dichiari l'esistenza di fatti a sé sfavorevoli, è molto probabile che tali fatti siano veri. In particolare, il giuramento decisorio è un mezzo di prova finalizzato alla decisione della causa rimesso ad un'iniziativa di parte, poiché, in totale armonia con il principio dispositivo, è una parte che lo deferisce all'altra per farne dipendere la decisione, totale o parziale, della controversia. Ciò rende ragione dell'opinione secondo cui, in realtà, il giuramento in questione costituisce strumento di decisione della causa e ciò, in particolare, nelle ipotesi in cui alla parte che effettua il deferimento non resti che tale strumento per dimostrare il fondamento dei fatti allegati non avendo a disposizione altro mezzo di prova e rimettendosi, in sostanza, all'eventuale volontà della controparte di evitare lo “spergiuro” e, comunque, le conseguenze sul piano penale correlate alla prestazione di un falso giuramento. La circostanza che, laddove i fatti siano comuni ad entrambe le parti, il giuramento decisorio possa anche essere riferito, induce del resto ad avallare la tesi di coloro i quali ritengono che lo stesso abbia natura transattiva, in quanto, in definitiva, la decisione della lite viene fatta dipendere essenzialmente da un accordo tra le parti. Deferimento
L'art. 233, primo comma, c.p.c. stabilisce che il giuramento decisorio può essere deferito «in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore». Pertanto, non vi è alcuna preclusione né nel giudizio di primo grado né in appello (per quanto espressamente previsto, peraltro, anche dagli artt. 345, comma terzo, c.p.c. per il processo ordinario di cognizione e dall'art. 437 c.p.c. per il processo del lavoro), anche in sede di rinvio, rispetto al deferimento del giuramento decisorio, stante, del resto, l'effettiva natura dello stesso di strumento alternativo per la decisione della controversia. Tuttavia, l'espresso riferimento operato dall'art. 233 c.p.c. al «giudice istruttore» comporta che il deferimento debba avvenire entro l'udienza di precisazione delle conclusioni, e non, quindi, in comparsa conclusionale (cfr. Cass., sez. II, 23 dicembre 2003, n. 19727). Si ritiene, a seguito della modifica dell'art. 345, comma terzo, c.p.c. ad opera della legge n. 353/1990 che, invece, nel corso del giudizio di appelloil giuramento decisorio possa essere deferito, in qualsiasi momento della causa, e quindi anche durante la discussione orale e fino al compimento di questa, restando quindi escluso che l'appellante, il quale intenda deferire il giuramento, abbia l'onere di individuare la relativa formula sin dall'atto introduttivo del gravame (Cass., sez. III, 30 maggio 2002, n. 7923, in Giust. Civ., 2003, I, 123, con nota di SCALAMOGNA ed in Rass. loc. cond., 2003, 267, con nota di CARRATO): in sostanza, nel giudizio di gravame, il giuramento può essere deferito anche dopo la conclusione della fase istruttoria. Tuttavia il deferimento del giuramento in appello non può vertere su fatti la cui deduzione in tale grado di giudizio risulti preclusa (Cass., sez. lav., 27 febbraio 1995, n. 2250). Il giuramento decisorio non può, invece, trovare ingresso nel giudizio di cassazione, neppure allo scopo che la causa venga rinviata al giudice del merito per l'ammissione e l'espletamento del giuramento non deferito nella fase istruttoria (Cass., sez. lav., 3 luglio 2001, n. 8998). L'art. 233, primo comma, c.p.c. prevede, inoltre, che il giuramento decisorio può essere deferito mediante «dichiarazione fatta all'udienza dalla parte o dal procuratore munito di mandato speciale o con atto sottoscritto dalla parte». Pertanto, è inammissibile il giuramento decisorio deferito con atto non sottoscritto personalmente dalla parte o da difensore munito di mandato speciale, come richiesto dall'art. 233 c.p.c., bensì soltanto dell'ordinaria procura alle liti (Cass., sez. III, 11 maggio 2006, n. 10965). Più in generale, stante la peculiare natura del giuramento decisorio e la fondamentale importanza attribuitagli dal vigente sistema processuale, l'omessa sottoscrizione della dichiarazione con la quale esso viene deferito, da parte del deferente, comporta la nullità della delazione: tuttavia, il giudice, quando la mancata sottoscrizione sia attribuibile ad omissione dell'ufficio nel curare la rituale formazione dell'atto, deve disporne la rinnovazione ai sensi dell'art. 162 c.p.c. (Cass., sez. III, 21 dicembre 1993, n. 12619, in Giur. it., 1994, I, 1, 1323, con nota di DALMOTTO). Formula
La formula del giuramento, affinché lo stesso sia ammissibile, deve soddisfare, il requisito della decisorietà, i.e. avere ad oggetto circostanze dalle quali dipende la decisione di uno o più capi della domanda (Cass., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1634), in relazione ai quali al giudice non resti che accertare l'an iuratum sit e, di conseguenza, accogliere o rigettare la domanda stessa (Cass. 8 giugno 2007, n. 13425). Ne deriva che i capitoli del giuramento decisorio devono essere formulati in modo tale che il destinatario possa, a sua scelta, giurare e vincere la lite o non giurare e perderla, sicché il giuramento decisorio, che deve avere ad oggetto fatti principali e non secondari delle questioni di lite, è inammissibile quando non pone il soggetto chiamato a giurare nell'alternativa tra il prestare giuramento, e così vincere la causa, o rifiutare e così soccombere (Cass., sez. III, 15 aprile 2010, n. 9045; Trib. Reggio Calabria, 3 dicembre 2003, in Giur. Merito, 2004, 1393). Purché il contenuto del giuramento abbia il carattere della decisorietà in ordine al thema decidendum oggetto della controversia, il giudice di merito deve sempre disporre il giuramento decisorio, benché deferito in via subordinata, anche se i fatti con esso dedotti siano stati già accertati o esclusi in base alle risultanze probatorie (Cass. 17 maggio 2010, n. 11964) e ciò persino dell'ipotesi in cui da una prova di carattere privilegiato risulti dimostrata una situazione di fatto contraria a quella che si intende provare con il giuramento (Cass. 7 ottobre 1998, n. 9912). Sotto un più generale profilo, si è evidenziato che, comunque, (cfr. Cass. 8 aprile 2003, n. 5509, che nella fattispecie concreta, relativa ad una controversia avente ad oggetto adempimento per forniture, il giudice del merito aveva disposto la correzione degli estremi di una bolla di consegna su cui verteva il giuramento, avvenuta su indicazione della stessa parte che aveva chiesto l'ammissione di tale mezzo istruttorio).
Riferimento
Finché la parte non dichiara di essere pronta a giurare, può deferire a propria volta il giuramento alla controparte (cfr. Cass. 10 febbraio 1999, n. 1111), rimettendo di conseguenza alla scelta della stessa la definizione della controversia secondo il criterio dell'an iuratum sit (ed, in sostanza, riversando, quindi, sull'altra parte le conseguenze correlate alla prestazione o meno del giuramento stesso). Peraltro, il riferimento del giuramento già deferito all'altra parte potrà essere effettuato soltanto ove il fatto oggetto dello stesso sia comune ad entrambe e ciò vale anche nell'ipotesi in cui il riferimento comporti una conversione del giuramento de scientia in giuramento de veritate essendo invero il fatto proprio della parte alla quale viene riferito. Sulla questione in giurisprudenza si è evidenziato che non costituisce ostacolo al deferimento del giuramento decisorio la circostanza che il fatto in ordine al quale il giuramento è deferito non sia comune ad entrambe le parti, essendo sufficiente e necessario che il giuramento sia deferito sopra un fatto proprio della parte cui si deferisce, o sulla conoscenza che essa ha di un fatto altrui (Cass. 23 marzo 1977, n. 1138, la quale ha precisato che se il fatto non è comune ad entrambe le parti, o la parte che lo ha deferito non ne ha conoscenza, l'unica conseguenza che ne deriva è l'impossibilità di riferimento alla parte che lo ha deferito). Né, peraltro, stante l'espressa previsione in tal senso contenuta nell'art. 234 c.p.c., è possibile riferire il giuramento superando le limitazioni previste dall'art. 2739 c.c. , ossia per la decisione di cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre, né sopra un fatto illecito o sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta, né per negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l'atto stesso. Revoca della delazione
L'art. 2735 c.c. consente alla parte la quale abbia deferito o riferito il giuramento decisorio di revocarlo laddove l'avversario non abbia dichiarato di essere pronto a prestarlo. La revoca non deve essere necessariamente effettuata dalla parte personalmente ovvero dal procuratore speciale della stessa (essendo sufficiente, invero, che provenga dal difensore munito di mandato alle liti) ed ai fini della stessa non occorrono formule sacramentali (cfr., tra le altre, Cass. 6 settembre 1963, n. 2449; Cass. 6 luglio 1961, n. 1621). Inoltre, il potere di revoca del giuramento decisorio, spettante alla parte che lo ha deferito fino a quando l'altra parte non ha dichiarato di essere pronta a prestarlo, implica anche la facoltà di modificare l'originario deferimento, del giuramento stesso, subordinandolo al caso in cui la domanda non sia ritenuta sufficientemente provata alla stregua delle altre risultanze istruttorie (Cass., sez. II, 30 aprile 1982, n. 2720). Per converso, se la parte non si avvale della facoltà, prevista dalla disposizione in commento, di revocare il deferimento del giuramento consentendone quindi la prestazione, l'irrevocabilità della delazione non consente l'ulteriore riesame del giuramento prestato anche in relazione ad eventuali modifiche alla formula originaria (Cass., sez. II, 9 febbraio 2001, n. 1865). In giurisprudenza è stato chiarito che la dichiarazione di essere pronto a prestare il giuramento decisorio, che, a norma dell'art. 235 c.p.c. esclude il potere di revoca della parte che lo ha deferito, può essere esternata anche per facta concludentia, quale è una richiesta di rinvio dell'udienza giustificata a un impedimento a comparire, perché l'art. 235, a differenza dell'art. 233 c.p.c., concernente la forma dell'atto che deferisce il giuramento, non richiede una dichiarazione formale proveniente dalla parte personalmente o da un suo procuratore munito di mandato speciale (Cass., sez. III, 14 aprile 1992, n. 4536). L'art. 236 c.p.c. consente, poi, alla parte che ha deferito il giuramento decisorio di revocare la delazione compiuta nell'ipotesi di modifica della formula ad iniziativa del giudice. La modifica, ad opera del giudice, della formula del giuramento decisorio, che ne consente la revoca è tuttavia solo quella che incide sulla sostanza della formula stessa, e non si limiti, pertanto, a renderla più chiara ed agevole (cfr., tra le altre, Cass., sez. I, 8 aprile 1981, n. 2006). Pertanto, qualora il giudice, al solo fine di rendere più chiara la formula del giuramento, si limiti ad apportare ad essa delle variazioni meramente formali, la parte non è abilitata a revocare il giuramento, in quanto non si verte nell'ipotesi di cui all'art. 236 c.p.c., la quale presuppone che la modifica della formula incida sul contenuto della prova (Cass. 3 luglio 1971, n. 3751). In ogni caso, qualora la parte non si sia comunque avvalsa (anche non comparendo all'udienza fissata) della facoltà di revocare il deferimento del giuramento decisorio a seguito della modifica (richiesta dal deferito e) apportata dal giudice alla formula originaria, ed abbia conseguentemente consentito che il deferito stesso prestasse così giuramento, l'irrevocabilità sancita dall'art. 235 c.p.c. non consente l'ulteriore riesame dell'efficacia del giuramento così prestato in relazione alle modifiche della formula originaria (Cass., sez. II, 9 febbraio 2001, n. 1865). Distinto dal potere di revoca del deferimento (o riferimento) del giuramento decisorio ad iniziativa della parte disciplinato dall'art. 235 c.p.c. è il potere di revoca del provvedimento ammissivo del giuramento decisorio, invero esercitabile anche dopo che questo sia stato prestato, ove il giudice si convinca dell'insussistenza delle condizioni per la relativa ammissione, potere che, secondo quanto evidenziato dalla Cassazione, non trova deroga né nell'art. 2738, comma primo, c.c. che, pur vietando dopo la prestazione del giuramento all'altra parte di provare il contrario, non impedisce la rivalutazione delle condizioni per l'ammissibilità del giuramento, né, trattandosi di giuramento disposto sull'accordo delle parti, nell'art. 177, comma terzo, n. 1, c.p.c. che, nel sancire l'irrevocabilità (salvo accordo delle parti) delle ordinanze emesse sull'accordo delle parti se incidenti su materia di cui queste possono disporre, non si riferisce ai diritti o mezzi istruttori non disponibili dalle parti, come il giuramento decisorio (Cass. 9 luglio 1984, n. 4011). Il giuramento deve essere prestato personalmente dalla parte e ricevuto dal giudice istruttore. La necessità, espressamente contemplata dall'art. 238, primo comma, c.p.c., che il giuramento sia prestato personalmente dalla parte si correla alle conseguenze decisorie sulla controversia correlate alla prestazione o meno dello stesso (alla medesima stregua della previsione contenuta nell'art. 2739 c.c. secondo cui il giuramento deve vertere su fatti relativi a diritti rientranti nella disponibilità della parte cui lo stesso è deferito o riferito). Pertanto, il giuramento non può essere prestato da un terzo nella qualità di nuncius dell'interessato (Cass., sez. II, 19 marzo 1996, n. 2299). Il giudice istruttore, prima di ricevere il giuramento, deve ammonire il giurante sull'importanza morale dell'atto e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false e, quindi, invitarlo a giurare. L'omesso previo ammonimento del giudice al giurante non è mai stato considerato, comunque, un adempimento prescritto a pena di nullità insanabile. Invero, è stato affermato in giurisprudenza che è valido il giuramento decisorio anche se il giudice abbia omesso di fare al giurante le ammonizioni di rito a norma dell'art. 238 c.p.c., non essendo tale adempimento prescritto a pena di nullità (Cass., sez. III, 17 giugno 1986 n. 4052). Nella versione originaria dell'art. 238 c.p.c., sia in sede di ammonimento da parte del giudice che di prestazione del giuramento ad opera della parte erano contenuti riferimenti ormai anacronistici ed in contrasto, del resto, con il principio di laicità dello Stato affermato dalla Costituzione, di carattere religioso. In particolare, infatti, il giudice istruttore doveva ammonire la parte non solo circa l'importanza morale ma anche su quella religiosa dell'atto ed, al momento della prestazione, il giurante era tenuto a richiamare la responsabilità assunta con il giuramento “davanti a Dio e agli uomini” e quindi giurare, ripetendo le parole contenute nella formula. Sulla questione è peraltro ormai intervenuta con una decisione di carattere additivo la Corte Costituzionale affermando il principio per il quale sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli art. 2, 3 e 19 Cost., l'art. 238 comma secondo c.p.c., limitatamente alle parole "davanti a Dio e agli uomini" e l'art. 238 comma primo, seconda proposizione, c.p.c., limitatamente alle parole "religiosa e" (Corte Cost. 8 ottobre 1996, n. 334, in Giust. Civ., 1996, I, 28 ed in Foro it., 1997, I, 25, con nota di VERDE). E' per converso necessario un rigoroso rispetto da parte del giudice istruttore, avuto riguardo alle conseguenze correlate alla prestazione o meno del giuramento, delle altre formalità prescritte dall'art. 238 c.p.c.: infatti, il giuramento decisorio deve essere verbalizzato secondo le prescrizioni dell'art. 238 c.p.c. e la sua espressione da parte del giurante non può essere riassunta e riportata nel verbale di udienza nella forma del discorso indiretto: in tal caso il giuramento è nullo e non può essere, quindi, utilizzato per la decisione della causa, mancando la garanzia dell'assoluta certezza delle parole pronunciate dal giurante (Cass., sez. II, 27 agosto 1986, n. 5251). Il giuramento è una prova legale incontrovertibile poiché ex art. 2738 c.c. se la parte cui è deferito presta regolarmente lo stesso vince la causa. Pertanto, il giudice deve accertare soltanto se il giuramento sia stato o meno prestato in conformità alla formula con la quale è stato deferito (Cass., sez. II, 11 ottobre 2004, n. 20124). In sostanza, la rituale prestazione del giuramento decisorio è risolutiva della controversia, precludendo l'esame di qualsiasi ulteriore profilo tecnico-giuridico e vincolando il giudice a limitarsi a prendere atto dell'esito del giuramento stesso (Pret. Bologna 29 gennaio 1994, in GIUS, 1994, n. 14, 139). Riferimenti
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