Eccezioni di fatto colposo del creditore

17 Maggio 2017

Sotto la denominazione “Concorso del fatto colposo del creditore” l'art. 1227 c.c. riunisce due fattispecie di corresponsabilità del danneggiato nella causazione del danno a suo carico, diverse tra loro per i presupposti e per gli effetti.
Inquadramento

Sotto la denominazione «Concorso del fatto colposo del creditore» l'art. 1227 c.c. riunisce due fattispecie di corresponsabilità del danneggiato nella causazione del danno a suo carico, diverse tra loro per i presupposti e per gli effetti.

La prima di esse (art. 1227, primo comma) si verifica allorchè il creditore (del risarcimento) con il suo comportamento colposo ha concorso a cagionare il danno; ed ha quindi luogo quando tale suo comportamento si inserisce nel nesso causale dell'evento lesivo e contribuisce a determinarlo. La conseguenza prevista dalla norma citata è che il risarcimento deve essere diminuito in corrispondenza dell'importanza del concorso: secondo la gravità della colpa e l'entità degli esiti che ne sono derivati.

La seconda fattispecie (art. 1227, secondo comma) esclude in radice il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. In questo caso il creditore non concorre, con l'autore del fatto, a porre in essere l'evento pregiudizievole, già avvenuto; ma è lui stesso l'autore di danni dei quali non può chiedere un indennizzo per averli lui stesso provocati.

La differenza tra le due fattispecie previste dall'art. 1227

Nell'interpretazione affermata in dottrina e in giurisprudenza, il primo comma dell'art. 1227 riguarda il caso in cui il danneggiato contribuisce al verificarsi del fatto a suo danno e si pone sul piano della causalità materiale: tutti gli antecedenti che sono insopprimibili dalla serie causale sono considerati cause dell'evento. Se la persona danneggiata pone in essere uno di questi antecedenti, per una condotta contrassegnata da colpa, essa concorre con l'altro coautore dell'evento lesivo. La fattispecie regolata riguarda l'area della ripartizione del risarcimento del danno, da effettuarsi in proporzione dei singoli apporti causali.

Il secondo comma della medesima disposizione, invece, disciplina il caso in cui, già verificatosi il fatto dannoso, colui che ne rimane colpito aggrava le conseguenze lesive con un proprio comportamento colposo (Cass. 5883/2000). In questo ambito la normativa non concerne una ipotesi di concorso di cause ma si riferisce ad una situazione in cui un danno esistente viene aggravato nella sua entità da un comportamento sopravvenuto e autonomo.

Ragioni giustificatrici delle disposizioni dettate dall'art. 1227

Sebbene tra loro diverse nella configurazione e negli effetti, le due situazioni disciplinate dall'art. 1227 rispondono ad un principio comune. L'autore di un fatto dannoso risponde delle conseguenze dei propri atti e deve risarcire il soggetto cui ha arrecato il danno; ma non deve rispondere delle conseguenze determinate dallo stesso danneggiato che, con la sua condotta, si è inserito nella serie causale o ha provocato danni che avrebbe potuto prevenire e impedire.

Nel caso del concorso colposo nella determinazione dell'evento, il pregiudizio che il soggetto leso cagiona a sé stesso, per aver contribuito con il suo concorso causale a determinarlo, non può essergli risarcito perchè non può essere posto a carico dell'altro soggetto che, in siffatta situazione, non è altri che un concorrente nel fatto. Nel diverso caso dell'aggravamento del danno la condotta dell'autore è, da sola, sufficiente a determinare questo evento di maggior nocumento: la circostanza costituita dall'essersi già prodotto un pregiudizio non autorizza il soggetto danneggiato a lasciare che le conseguenze si estendano in una misura che con l'ordinaria diligenza sarebbero state evitabili. Per esse, la richiesta di un indennizzo porrebbe a carico dell'autore del fatto, indebitamente, non soltanto le ripercussioni negative dirette del suo comportamento lesivo ma anche quelle ripercussioni che una qualsiasi persona dotata del senso comune avrebbe potuto impedire.

Il concorso del fatto colposo del creditore

Anche nell'ambito del diritto civile l'interprete deve fare ricorso alle norme dettate dagli artt. 40 e 41 c.p., in difetto di disposizioni che regolino secondo principi autonomi il nesso causale e il concorso di cause. Pertanto, nell'applicazione dell'art. 1227 c.c., deve intendersi per concorso del fatto colposo del creditore quel comportamento che è unito da nesso eziologico con la produzione dell'evento determinata dalla condotta inosservante altrui, che costituisce uno degli antecedenti causali di tale evento e che, contestualmente, non si pone come causa esclusiva del fatto. Costituisce una siffatta causa esclusiva del nesso causale, ad esempio, il comportamento del danneggiato senza il quale i danni si sarebbero verificati ugualmente. Analogamente, il contributo causale del soggetto leso va escluso quando il suo comportamento colposo è stato connotato da eccezionalità e imprevedibilità tali da interrompere il nesso di causalità per la non prevenibilità del fatto (Cass. 19993/2016, in relazione ad un uso anormale di una cosa).

Il riferimento alla colpa, quanto al concorso del comportamento del danneggiato, è inteso generalmente come un richiamo ai doveri di attenzione, diligenza, perizia e prudenza che devono regolare la condotta di tutti negli ordinari rapporti con i terzi. La graduazione del risarcimento in dipendenza, tra l'altro, del grado della colpa risponde ad un principio che vige in ogni ambito del diritto, per il quale, in caso di plurime condotte di responsabilità, il risarcimento va proporzionato anche al rimprovero che può muoversi a ciascuno degli autori. Il cennato riferimento è inteso, inoltre, nel suo significato oggettivo, indicativo di un comportamento oggettivamente contrario a una regola di condotta: sì che, ad esempio, la normativa in argomento si applica anche nel caso in cui la vittima concorrente è un minore o un incapace (Cass. 14548/2009).

E' giurisprudenza costante che l'accertamento del concorso del fatto colposo del creditore nella produzione del danno e la determinazione del grado di efficienza causale di ciascuna colpa rientrano nel potere di indagine del giudice di merito e sono incensurabili in sede di legittimità, se sorretti da adeguata e logica motivazione (Cass. 272/2017; Cass. 6481/2017; Cass. 13231/2007; Cass. 5511/2003).

Sul piano processuale, la sussistenza del concorso del fatto colposo del danneggiato costituisce una situazione rilevabile d'ufficio (Cass. 2372/2013; Cass. 12714/2010; Cass. 24080/2008). L'istanza rivolta al giudice per sollecitargli l'esercizio dei suoi poteri officiosi non è pertanto sottoposta a decadenze e preclusioni.

La giurisprudenza avverte che anche l'esposizione volontaria al rischio è idonea a costituire una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre l'entità del risarcimento (per un principio di solidarietà sociale: Cass. 11698/2014); l'esposizione deve essere idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante con l'autore del fatto, occorrendo, a tale scopo, che la sua condotta costituisca una concreta concausa dell'evento dannoso (Cass. 1295/2017). Di particolare interesse sono le pronunce della giurisprudenza a proposito delle fattispecie in cui vengono a confrontarsi la responsabilità del danneggiato concorrente con quella dei soggetti che si trovano in una posizione di “protezione” in quanto assumono speciali doveri di prevedere le possibili condotte colpose altrui e sono tenuti ad adottare le misure necessarie ad impedirne le conseguenze pregiudizievoli. Una delle fattispecie di maggior rilievo è rappresentata dalla posizione della pubblica amministrazione, tenuta alla custodia e alla manutenzione delle vie pubbliche, lungo le quali circolano persone che possono subire danni anche per effetto di un comportamento ad esse imputabile. E' stato escluso, ad esempio, il concorso del pedone caduto per disattenzione nella buca di una strada dissestata, posto che tale fatto, non ascrivibile al novero dell'imprevedibilità, non esimeva l'ente proprietario dalla presunzione legale di sua responsabilità (Cass. 15761/2016); a fronte dell'obbligo della pubblica amministrazione di mantenere le strade è stato ritenuto superfluo per il giudice indagare se una insidia nella carreggiata costituiva un pericolo o se il fatto era dovuto ad una manovra errata dell'automobilista (Cass. 260/2017). In altro settore, ma pur sempre nell'ambito della responsabilità da cose in custodia, è stata ritenuta non raggiunta la prova liberatoria, e non confrontabile con tale responsabilità la condotta della vittima, nel caso di uno scivolamento sul pavimento di un esercizio commerciale bagnato dallo sgocciolamento degli ombrelli della clientela in una giornata di pioggia e di notevole affluenza (Cass. 13222/2016). Di grande importanza è l'orientamento interpretativo che si riferisce alla posizione di “protezione” del datore di lavoro, per i casi di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica e psichica dei lavoratori: il datore è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa dell'infortunato, posto che ha il dovere di proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza.

Il concorso di colpa, con conseguente riduzione del risarcimento, è stato riconosciuto, ad esempio, nel caso del passeggero salito a bordo di un ciclomotore, in violazione dell'art. 170 c.d.s., e che aveva accettato i rischi derivanti da tale inosservanza (Cass. 6481/2017); e del motociclista che aveva omesso di indossare il casco protettivo, in un caso in cui tale omissione aveva influito sul nesso causale (Cass. 9241/2016).

Esclusione del risarcimento per i danni evitabili con l'ordinaria diligenza

Il secondo comma dell'art. 1227 c.c. è interpretato nel senso che esso impone al danneggiato un obbligo giuridico di non aggravare il danno che ha subito: con il conseguente dovere di attivarsi per scegliere la condotta maggiormente idonea a contemperare il proprio interesse con quello del debitore alla limitazione del danno, ove egli possa adottare un comportamento in tal senso senza fare un sacrificio (Cass. 7771/2011). Non rientrano nell'ambito di questo dovere le attività che siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (Cass. 2855/2005). In proposito il giudice deve considerare i comportamenti posti in essere successivamente al fatto dannoso, ovvero all'inadempimento altrui (Cass. 5883/2000). La sussistenza di un comportamento che ha cagionato un aggravamento del danno deve costituire oggetto di una eccezione di parte. La giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che la deduzione di parte ha natura di eccezione in senso stretto, della quale il giudice non è tenuto a conoscere senza apposita istanza (Cass. 12714/2010; Cass, 24080/2008; Cass. 1213/2006; Cass. 564/2005). Mentre la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 1227 è rilevabile d'ufficio, l'aggravamento del danno per fatto contrario a diligenza del danneggiato va eccepito dalla parte interessata, in quanto la condotta relativa è inosservante di un autonomo dovere giuridico, posto a carico del danneggiato stesso quale espressione dell'obbligo generale di comportarsi secondo buona fede (Cass. 25607/2013; Cass. 3240/2012; Cass. 23734/2009).

Va osservato che la norma fa riferimento alle nozioni di “fatto colposo” e di “ordinaria diligenza”. Molto spesso la giurisprudenza si esprime in termini di “correttezza” del creditore, in tal modo ampliando la nozione dell'elemento soggettivo che deve contrassegnare la condotta del danneggiato. In termini di comportamento corretto del creditore si sono espresse, tra le altre, Cass. 11364/2002; Cass. 10763/1999; Cass. 4672/1993. In termini di buona fede si è espressa anche Cass. 18239/2003.

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