Provvedimenti in generaleFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 131
14 Aprile 2016
Inquadramento
In linea di principio, un provvedimento è una manifestazione di potere: così ad esempio, il provvedimento amministrativo che costituisce il risultato dell'esercizio del potere amministrativo attribuito alla pubblica amministrazione. Ogni provvedimento è, inoltre, una espressione di volontà idonea a produrre effetti nell'ordinamento ed eventualmente incidere su situazioni giuridiche soggettive. Sovente si predica la tipicità del provvedimento, intesa come necessaria previsione legale fondante la manifestazione di potere: in tal senso, la manifestazione provvedimentale di potere è tipica.
I provvedimenti si distinguono, dunque, dai procedimenti e le due nozioni non coincidono: d'altro canto, in genere, il procedimento è destinato a concludersi proprio con un provvedimento (che, in questo caso, assume tendenzialmente carattere decisorio). Gli interpreti configurano il procedimento come modulo nel cui interno far confluire l'esercizio di più poteri provvedimentali, sempre connessi tra loro. Procedimento e provvedimento possono essere distinti in base all'autorità che li governa: si è detto, ad esempio, che ove il potere sia riferibile alla Pubblica Amministrazione, il procedimento («forma della funzione») assume l'aggettivazione «amministrativo» e così il provvedimento (si ricade, dunque, nell'ambito d'applicazione della l. 7 agosto 1990 n. 241 ).Al contrario, nel caso in cui l'attività provvedimentale sia attribuibile ad una autorità giurisdizionale, il provvedimento (e così il procedimento) è, per l'appunto, giurisdizionale (e non meramente amministrativo). I provvedimenti giurisdizionali
I provvedimenti giurisdizionali sono pronunciati dalla magistratura: in genere, essi traggono linfa da una particolare sequenza procedimentale ossia il «processo», regolato dalla legge. È la Costituzione a sancire, in modo imperativo, che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati ( 6 , Cost. ). La motivazione del provvedimento si sostanzia nell'enucleazione del ragionamento logico e giuridico che ha guidato il giudice verso la decisione adottata: l'obbligo della motivazione assolve alla funzione di assicurare in concreto il perseguimento di diversi principi costituzionali in tema di giurisdizione, quali il diritto di difesa, l'indipendenza del giudice e la sua soggezione alla legge, nonché il principio di legalità.È vero che la formulazione dell' comma 6, Cost. non sembrerebbe ammettere casi di provvedimenti non motivati ma, in realtà, l'ambito di applicazione dell'enunciato costituzionale va ristretto ai casi in cui il provvedimento incida su situazioni giuridiche soggettive e, quindi, abbia natura decisoria. In ossequio a questa prescrizione, il codice di procedura civile, se da un lato si esige che la sentenza contenga la concisa esposizione «dei motivi in fatto e in diritto della decisione» e che l'ordinanza sia «succintamente motivata» (art. 132, 134 c.p.c. ), dall'altro si non prevede alcuna motivazione per il decreto (art.135 , comma 4, c.p.c. ) allorché questi non si traduca nell'esercizio di un potere decisorio (es. decreto di fissazione dell'udienza). Invece nei casi di decreto «decisorio», la motivazione è espressamente prevista dalle speciali norme di legge applicabili (v. ad es., decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno,ex art. 404 c.c. ). L'obbligo di motivazione del provvedimento deve conciliarsi con un altro principio costituzionale: quello della ragionevole durata del processo. Ecco perché, i motivi della decisione devono essere espressi in modo sintetico, affinché i tempi del decidere non si dilatino eccessivamente (v., per la sentenza, l'art. 118 disp. att. c.p.c. ). L'obbligo della «motivazione sintetica» è oggi univocamente espresso dall'art. 16 -bis , comma 9- octies , d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 , convertito, con modificazioni, dallal . 17 dicembre 2012, n. 221 : «Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica» (comma aggiunto dall'art. 19, comma 1, lett. a, n. 2 -ter , d.l. 27 giugno 2015, n. 83 , convertito, con modificazioni, dallal . 6 agosto 2015, n. 132 ).Sin qui si è già fatto riferimento alle diverse tipologie di «provvedimento» previste dal codice di rito civile: la sentenza, l'ordinanza, il decreto. È la legge a indicare, caso per caso, la forma provvedimentale che il giudice deve assegnare alla sua decisione; ove manchi una indicazione, vige il principio di libertà di forma, purché sia raggiunto lo scopo (v. t. 131, comma 1, c.p.c. ).La sentenza è il provvedimento giurisdizionale «principe», poiché con esso il giudice definisce il «procedimento» (anche solo in modo parziale o limitatamente ad alcune questioni) esercitando la potestas decidendi che la legge gli riconosce. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e reca come intestazione «Repubblica Italiana» Essa deve contenere:
L'ordinanza è il provvedimento giurisdizionale regolato dall' art. 134 c.p.c. : si tratta di un atto del processo succintamente motivato che, in genere, ha carattere «endo-processuale» e tende, dunque, a regolare vicende interne al processo (ad es., regolare l'istruzione probatoria: v.art. 183 , comma 7, c.p.c. ). In alcuni casi, tuttavia, l'ordinanza ha la stessa funzione della sentenza, ossia definire il procedimento (v. ad es., l'ordinanzaex art. 702- ter c.p.c. , pronunciata nel procedimento sommario di cognizione).Il decreto non ha, in linea di principio, carattere decisorio e nemmeno incide su situazioni giuridiche soggettive sostanziali o su facoltà processuali delle parti. Per questi motivi, il decreto non è motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge ( art. 135 c.p.c. ).La forma provvedimentale adottata dal giudice ha una precipua importanza: infatti, in genere, in base alla forma della decisione, il destinatario del provvedimento può beneficiarie dell'uno o dell'altro regime impugnatorio e far riferimento all'una o all'altra disciplina applicabile. È possibile, tuttavia, che il magistrato esprima un potere decisorio a mezzo di una forma non corretta. A tal riguardo lo stato della giurisprudenza di legittimità può considerarsi ormai solidamente attestato sul principio della c.d. apparenza, che si pone quale temperamento di quello, anche consolidato, della prevalenza della sostanza sulla forma, espresso dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 16 aprile 2007 n. 8949 ): è ben vero che, al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre avere riguardo non già alla forma adottata, ma al suo contenuto (principio di prevalenza della sostanza sulla forma), cosicché il provvedimento - impropriamente qualificato ordinanza - con cui il giudice affermi o neghi (decidendo la relativa questione senza definire il giudizio) la propria giurisdizione, ha natura di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4. Tuttavia, il rilievo attribuito alla sostanza trova temperamento nel principio secondo il quale l'individuazione del mezzo d'impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice con il provvedimento impugnato all'azione proposta, alla controversia e alla decisione, a prescindere dalla sua esattezza, evitando così l'irragionevolezza di imporre di fatto all'interessato di tutelarsi proponendo impugnazioni a mero titolo cautelativo, nel dubbio circa l'esattezza della qualificazione operata dal giudice a quo (Cass. civ., Sez. Un., 23 marzo 1999 n. 182). Questi principi sono stati confermati dalle Sezioni Unite anche in tempi più recenti allorché si è affermato che, ai fini dell'individuazione del regime impugnatorio del provvedimento, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2011 n. 390). La giurisprudenza qui riportata è da intendersi, oggi, in termini di diritto vivente consolidato (da ultimo: Cass. civ., sez. VI-1, ord., 9 ottobre 2015 n. 20385).
Natura dei provvedimenti
I provvedimenti, oltre che per la forma, possono essere classificati in base alla funzione. Una prima distinzione, in tal senso, consente di classificare i provvedimenti in decisori e interlocutori.
Il provvedimento cautelare non assume carattere decisorio e non incide in via definitiva sulle posizioni soggettive dedotte in giudizio, essendo destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza definitiva di merito, sicché esso, pur quando coinvolge posizioni di diritto soggettivo, non statuisce su di esse con la forza dell'atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato, neppure sul punto della giurisdizione ( ez. Un ., 23 settembre 2013 n. 21677 ). Ne consegue che è suscettibile di ricorso straordinario per Cassazione,ex art. 111 della Costituzione , solo il provvedimento giurisdizionale che abbia contenuto decisorio e non anche quello cautelare (Cass. civ., Sez. Un ., 27 novembre 2015 n. 24247 ).
Non è da escludere che ci si trovi in presenza di un provvedimento avente natura decisoria e tuttavia non previsto dalla legge, ciò nonostante destinato ad incidere su una posizione di diritto soggettivo: in questi casi, il provvedimento è affetto da abnormità e non essendo previsto alcun mezzo d'impugnazione, avverso il medesimo può essere esperito il ricorso per cassazione ai sensi dell' art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2015 n. 19498 ).Riferimenti
E. Casetta , Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2015;
S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966, 299;
P. Cendon (a cura di), Commentario al codice di procedura civile, Giuffrè, Milano, 2012;F. P. Luiso, Diritto processuale civile, Giuffrè, Milano, 2011. |