Controeccezioni

03 Luglio 2017

L'eccezione consiste nell'allegare fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fatta valere in giudizio dalla controparte, se riferita al merito; o nel contestare la validità degli atti processuali, se riferita al processo. La controeccezione, più specificamente, si risolve nell'allegazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi dell'eccezione, in merito o in rito, formulata ex adverso.
Inquadramento

L'eccezione consiste nell'allegare fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fatta valere in giudizio dalla controparte, se riferita al merito; o nel contestare la validità degli atti processuali, se riferita al processo. La controeccezione, più specificamente, si risolve nell'allegazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi dell'eccezione, in merito o in rito, formulata ex adverso. Essa segue lo stesso schema logico dell'eccezione: ad una tesi, secondo la quale la domanda altrui non può essere accolta per un fatto che lo impedisce e che si oppone, si replica deducendo un fatto che elimina l'efficacia dell'asserito fatto impeditivo. La controeccezione è tipico atto difensivo dell'attore: all'eccezione proposta dal convenuto egli risponde allegando una circostanza che priva di effetto l'eccezione. L'esempio di scuola è quello dell'interruzione della prescrizione. Il convenuto oppone che il diritto alla prestazione è ormai prescritto; l'attore replica che il corso della prescrizione è stato interrotto, in conseguenza di un certo evento del quale fornisce la prova.

La prassi suole denominare controeccezione la difesa che si contrappone all'eccezione altrui e che non consiste in una contestazione soltanto generica. Come l'eccezione, anch'essa amplia l'oggetto del giudizio, per effetto dell'allegazione di un fatto nuovo.

Controeccezioni e argomentazioni difensive

Al pari dell'eccezione, anche la controeccezione è costituita dall'allegazione di un fatto. Questa caratteristica la distingue dalle argomentazioni difensive, che consistono nello sviluppo di ragioni che giungono ad una conclusione determinata da un premessa. All'eccezione altrui, colui al quale è opposta può replicare deducendo ragioni che ne smentiscono il fondamento; la controeccezione allega, invece, una precisa circostanza di fatto. La differenza non è soltanto concettuale. Le argomentazioni sono sempre ammesse, nel giudizio, quali aspetto ineliminabile del contraddittorio e del diritto di agire e difendersi nel processo. Le eccezioni sono invece soggette a preclusioni, quanto ai tempi ed ai modi della loro proposizione. In quanto incidono sulla materia del decidere, determinandone un ampliamento o una modificazione, esse subiscono limitazioni finalizzate ad assicurare al processo uno svolgimento ordinato.

La principale questione cui danno luogo le controeccezioni riguarda proprio il loro inserimento nella serie delle attività processuali permesse alle parti, nel contesto delle preclusioni e delle decadenze destinate a regolare lo svolgersi razionale del procedimento.

La risposta al quesito che per tal modo viene a porsi richiede che siano effettuate alcune precisazioni.

Differenza con altre eccezioni

La denominazione di controeccezione indica semplicemente il connotato di una eccezione che viene contrapposta ad una eccezione precedente. La caratterizzano due elementi: quello della successione temporale e quello della successione logica; la controeccezione è finalizzata a privare di contenuto e di efficacia il fatto che è stato opposto quale ragione per disattendere la domanda in atti.

La successione, sia temporale che logica, pone la controeccezione sullo stesso piano dell'eccezione consequenziale. Anche questa segue una proposizione precedente e di questa costituisce una conseguenza, come la stessa sua denominazione lascia evidentemente intendere. Le due nozioni, però, non coincidono perfettamente. L'eccezione consequenziale può essere riferita ad una domanda di controparte, come ad una sua eccezione; e può essere relativa anche ad una argomentazione, che richiede una replica, quando questa replica si risolve nella allegazione di un fatto. I suoi presupposti sono dunque più ampi, perché la controeccezione consiste soltanto nella contestazione di una eccezione mediante un'altra eccezione di segno contrario. Inoltre, l'eccezione consequenziale è presa in considerazione come atto difensivo che matura nella fase introduttiva del processo, quando le parti precisano e modificano le rispettive domande, essendo autorizzati ad allegare fatti nuovi, secondari, sino alla seconda memoria di cui all'art. 183 c.p.c. La controeccezione può risolversi in una eccezione consequenziale, se è proposta in questa stessa fase, ed essere assorbita nella più ampia nozione di eccezione consequenziale. Ma non può escludersi che la controeccezione abbia uno spazio di proposizione al di fuori della fase suddetta, quando si tratti, ad esempio, di contestazioni consentite in appello o di eccezioni in senso lato, rilevabili anche d'ufficio.

La normativa processuale detta disposizioni esplicite per le eccezioni consequenziali e non anche per le controeccezioni. Può dirsi che, sino a quando si resta nella fase introduttiva del processo, i due tipi di eccezioni costituiscono una unica modalità di difesa. Delle eccezioni consequenziali le controeccezioni non sono che un aspetto, individuato per il solo fatto che ad una eccezione viene opposta un'altra eccezione (e non una domanda o una argomentazione). In questi casi la disciplina dettata espressamente per le eccezioni consequenziali si applica anche alle controeccezioni. Sotto questo profilo, la diversità tra le due categorie di eccezioni è soltanto concettuale.

Una differenza che, invece, ha anche risvolti pratici riguarda quella che separa le controeccezioni dalle eccezioni riconvenzionali. Queste sono riferite ad una domanda, rispetto alla quale propongono una richiesta al giudice finalizzata a impedirne l'accoglimento; le altre rappresentano una difesa opposta ad una difesa e si limitano ad opporre l'esistenza di un fatto ostativo all'accoglimento della domanda.

Proposizione in giudizio e preclusioni

In quanto consistano in eccezioni consequenziali, le controeccezioni seguono la disciplina dettata dall'art. 183, commi quinto e sesto, c.p.c.. A fronte dell'eccezione del convenuto, l'attore deve proporre la sua controeccezione alla prima udienza. Se chiede termine, la controeccezione deve essere formulata, al più tardi, nella seconda memoria. Se è l'attore a proporre l'eccezione (alla prima udienza), per rispondere alle difese del convenuto, questi deve formulare la sua controeccezione alla stessa prima udienza o, al più tardi, nella seconda memoria di cui al citato art. 183. Inoltre, in entrambi i casi, in quanto fondate sull'allegazione di un fatto nuovo, le controeccezioni richiedono non soltanto che tale fatto nuovo sia allegato ma che sia anche provato da colui che le propone.

Questa è la regola generale, che si desume dal diritto positivo; mancano indicazioni relative alle controeccezioni che non consistono in eccezioni consequenziali. In proposito occorre tener conto della distinzione tra eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto, che si applica anche alle controeccezioni.

Ambito di proponibilità delle controeccezioni

Le controeccezioni, poiché si risolvono nella allegazione di un fatto nuovo, sono ammesse dalla giurisprudenza, in primo luogo, quando sono consequenziali all'altrui difesa. Si afferma che l'art. 183 c.p.c. non consente all'attore di introdurre nel giudizio domande od eccezioni nuove, dato che non gli è permesso di ampliare la materia del decidere se non in quanto ciò sia reso necessario quale strumento di difesa rispetto alla posizione assunta dalla controparte (Cass. 12 novembre 2013, n. 25409; Cass. 11 marzo 2006, 5390). La nuova eccezione dell'attore deve presentarsi come consequenziale, vale a dire, quale contro-iniziativa necessaria per replicare all'eccezione di controparte (Cass. 8 luglio 2004, n. 12545). In questo senso, si è anche affermato che l'eccezione consequenziale deve esser proposta alla prima udienza e che non può essere contenuta nelle memorie di cui al comma sesto dell'art. 183: memorie asseritamente finalizzate a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte e di replicare alle domande ed eccezioni formulate tempestivamente ma non a proporre ulteriori domande od eccezioni, non essendo ammissibile estendere il thema decidendum (Cass. Sez. Un., 14 febbraio 2011, n. 3567; Cass. 19 luglio 2013, n. 17708).

Risulta da queste prese di posizione che sono ammesse, quale elemento di novità nel materiale processuale, le sole eccezioni consequenziali, che possono essere riferite non necessariamente a contrastare l'altrui eccezione ma anche ad opporsi ad argomentazioni e domande. Se le controeccezioni non hanno questo carattere, di essere rese necessarie dallo sviluppo difensivo della posizione avversa, esse si risolvono nella allegazione di fatti nuovi che nel giudizio non è consentita.

La giurisprudenza prende in considerazione le controeccezioni soprattutto nel loro aspetto di stretta consequenzialità logica, rispetto alle difese di controparte, piuttosto che per la loro collocazione temporale nel corso dello svolgersi del processo. Sul punto si è affermato che la consequenzialità è aspetto necessario che può subire deroga sotto il profilo temporale: la controeccezione, cioè, può essere proposta in via preventiva, prima che sia formulata l'eccezione che essa è rivolta a contrastare. In proposito Cass. 10 maggio 2000, n. 5945 ha affermato che la disciplina codicistica non prevede un termine iniziale per la proposizione; e la necessità che essa intervenga dopo la formulazione della relativa eccezione non discende dal rispetto di uno schematismo cronologico, non previsto dalla legge, bensì dal fatto che chi effettua la controeccezione ha un interesse attuale ad essa solo quando gli sia stata sollevata l'eccezione; ne consegue che, ove l'interesse sorga successivamente nel corso del giudizio, l'eventuale carenza di interesse iniziale diviene irrilevante e la parte che ha sollevato la controeccezione in prevenzione non ha l'onere di riproporla dopo che gli è stata sollevata la relativa eccezione.

Eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto

L'equiparazione tra le eccezioni consequenziali e le controeccezioni (nella fase introduttiva del processo) dovrebbe far ritenere risolto il problema del collegamento di queste ultime con le decadenze processuali. Se le controeccezioni non sono altro che eccezioni consequenziali, la loro ammissione nel giudizio presuppone il rispetto delle preclusioni legate ai tempi, ai modi e agli oneri probatori da osservare per non incorrere in decadenze. In altre parole, la controeccezione deve essere proposta nell'osservanza dell'art. 183 c.p.c. e i fatti sui quali essa è fondata devono essere allegati e provati dall'eccipiente. Su questa affermazione, che appare dovuta, interferisce (come sopra si è accennato) la distinzione tra eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto.

Le sezioni unite della Corte di cassazione (7 maggio 2013, n. 10531) hanno affermato che il rilievo delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte e che esso è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati dagli atti. Vige il principio per il quale tutte le eccezioni sono rilevabili d'ufficio, tranne quelle che la legge riserva espressamente al potere dispositivo della parte e quelle che richiedono l'esercizio di un potere dispositivo rimesso alla parte (Cass. Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226; Cass. 15712/2015; Cass. 12677/2014: Cass. 18602/2013; Cass. 14581/2007). Ne risulta che le controeccezioni possono essere formulate anche oltre la fase di introduzione del processo, sempre che non occorra dedurre fatti nuovi e che il fondamento dell'eccezione possa essere ricavato dall'esame dei dati ritualmente acquisiti in giudizio.

Casistica di controeccezioni

L'eccezione di prescrizione del diritto azionato in giudizio costituisce occasione per la formulazione di diverse controeccezioni. L'esame della relativa casistica offre materia di verifica delle regole che sin qui sono state riferite.

Deve premettersi che l'eccezione di prescrizione è ritenuta rilevabile soltanto ad istanza di parte, in forza dell'esplicito divieto di rilievo d'ufficio imposto dall'art. 2938 c.c. Una volta che l'eccezione è stata formulata, il giudice ha libertà di rilevare officiosamente la durata, la tipologia, la decorrenza, l'interruzione, la sospensione e la rinuncia alla prescrizione. Secondo questo orientamento, la deduzione relativa all'applicabilità di uno specifico termine di prescrizione (nella specie, art. 2947, comma 3, c.c.) integra, per Cass. 16 maggio 2016, n. 9993, una contro eccezione che ha natura di eccezione in senso lato, la cui rilevazione può avvenire d'ufficio, sempre che, se si tratta di allegazione di fatti nuovi, siano state rispettate le disposizioni relative alle preclusioni previste dall'art. 183; mentre se l'eccezione è basata su fatti storici già allegati entro i termini di decadenza, la sua proposizione è ammissibile nell'ulteriore corso del giudizio di primo grado, in appello e, con il solo limite della non necessità di accertamenti di fatto, in cassazione, ove non integra una questione nuova inammissibile (nello stesso senso, con riferimento all'art. 2947 comma 2 c.c., Cass. ord. 21 febbraio 2011, n. 4238).

L'eccezione di interruzione della prescrizione (tipica controeccezione) integra un'eccezione in senso lato e può essere rilevata dal giudice sulla base degli elementi ritualmente acquisiti agli atti (Cass. sez. unite, 27 luglio 2005, n. 15661; Cass. 29 novembre 2016, n. 24214; Cass. 21 novembre 2016, 23587; Cass. 5 agosto 2016, n. 16574; Cass. 21 novembre 2014, 24866; Cass. 5 agosto 2013, n. 18602). Per Cass. 30 novembre 2009, n. 25213, l'interruzione della prescrizione può essere dedotta per la prima volta in sede di appello, anche se non dedotta dall'attore come contro eccezione, purchè la relativa prova sia stata ritualmente introdotta in giudizio: dovendosi ritenere che rientri nei poteri del giudice di merito l'esaminare ogni profilo in ordine alla validità dell'atto interruttivo anche se non preso espressamente in considerazione nella precedente fase processuale, trattandosi di circostanze ormai validamente acquisite all'accertamento devoluto al giudice.

L'eccezione di sospensione della prescrizione non integra una eccezione in senso stretto e la causa della sospensione è rilevabile d'ufficio e anche in sede di legittimità, a condizione che le relative circostanze siano risultanti dagli atti già ritualmente acquisiti nel precedente grado del processo (Cass. 15 ottobre 2009, n. 21929). La sussistenza dell'avvenuta rinuncia alla prescrizione costituisce una contro eccezione in tutto assimilabile ad una eccezione in senso stretto ed è soggetta alle preclusioni e alle decadenze previste per le attività di parte (Cass. 11 febbraio 2004, n. 2625).

Costituisce una controeccezione la replica del creditore procedente all'eccezione di impignorabilità dei beni, per costituzione di un fondo patrimoniale successivo alla perpetrazione di un fatto illecito (Cass. 31 ottobre 2014, n. 23158). Costituisce altresì una controeccezione l'affermazione di invalidità o di inefficacia della convenzione arbitrale opposta alla parte che eccepisce la sussistenza di tale clausola e invoca la competenza arbitrale (Cass. 4 agosto 2011, n. 17019). Dà luogo ad una controeccezione la deduzione di non avere avuto conoscenza dell'evento interruttivo del processo, ai fini del decorso del termine di sei mesi, a fronte dell'eccezione di avvenuta interruzione del processo (Cass. 5 giugno 2003, n. 8988).

Riferimenti
  • BARTOLINI, Eccezioni e preclusioni nel processo civile, Milano, 2015, 212 ss.; 291
  • MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, II, 151 ss.
  • A. LASSO, Le eccezioni in senso sostanziale, Napoli, 2007
  • ORIANI, Eccezione, in Enciclopedia giuridica, IX, Roma, 2001
  • FABBRINI, L'eccezione di merito nello svolgimento del processo di cognizione, in Studi in memoria di Furno, Milano, 1993, 247 ss.
  • CAPPELLETTI, L'eccezione come contro diritto del convenuto, in Riv. dir. proc., 1961

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