La misura del compenso dell'avvocato per l'attività svolta in giudizi in cui sono proposte domande di valore determinato ed indeterminabile

16 Marzo 2017

Nel caso in cui siano proposte una pluralità di domande, alcune di valore determinato ed altre di valore indeterminabile, si applica lo scaglione tariffario previsto per queste ultime quando ciò comporti il riconoscimento di un compenso maggiore.
Massima

Nel caso in cui siano proposte una pluralità di domande, alcune di valore determinato ed altre di valore indeterminabile, si applica lo scaglione tariffario previsto per queste ultime solo qualora ciò comporti il riconoscimento di un compenso maggiore rispetto a quello che deriverebbe dall'applicazione dello scaglione derivante dal cumulo delle domande di valore determinato.

Il caso

Con ordinanza resa dalla Corte d'Appello di Roma ai sensi dell'art. 29, l. n. 794/1942 - applicabile nel caso di specie perché il giudizio era introdotto prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011 - era accolta la domanda proposta da un avvocato per ottenere il pagamento di compensi per l'attività professionale prestata in favore di due clienti in un giudizio di impugnazione di lodo arbitrale.

Avverso l'ordinanza era proposto ricorso per cassazione, con il quale si contestava:

  • la violazione e falsa applicazione dell'art. 29, l. n. 794/1942 per aver disatteso l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo sollevata in via preliminare in considerazione del fatto che, nel costituirsi in giudizio, i ricorrenti avevano contestato anche l'an e non solo il quantum del credito;
  • la violazione della tariffa professionale approvata con D.M. 127/2004 in quanto la corte territoriale aveva, ai fini dell'individuazione dello scaglione di riferimento, stabilito il valore in base alla sommatoria delle domande di contenuto determinato, senza considerare che, nel caso di specie, erano state proposte anche domande di valore indeterminabile, con la conseguenza che avrebbe dovuto trovare applicazione lo scaglione previsto per queste ultime.
  • Infine, si contestava il fatto che nel provvedimento impugnato si fosse dato rilievo preminente alla prospettazione dell'attività svolta come risultante dalla parcella e che fosse stata liquidata anche la voce relativa all'attività di ricerca documenti nonostante questi fossero stati consegnati direttamente dal cliente, senza implicare, quindi, lo svolgimento di una specifica attività da parte del professionista.

La Corte di Cassazione, con la decisione in esame, rigetta tutti i motivi di ricorso. Quanto al profilo relativo alla eccepita inammissibilità della procedura, evidenzia che in realtà, nel caso di specie non era in contestazione l'esistenza del rapporto professionale, ma solo l'effettuazione di alcune attività per le quali si chiedeva il compenso, il che, secondo l'orientamento costante in materia (tra le altre, Cass. n. 21261/2010), non escluderebbe l'applicazione del rito previsto dalla legge n. 794/1942, non potendosi ritenere che in questo caso ad essere contestata sia l'esistenza del rapporto professionale. Quanto al profilo relativo alla individuazione dello scaglione tariffario, la Corte di Cassazione chiarisce la portata del principio affermato dalla sentenza n. 16318/2011, - secondo cui in caso di cumulo di domande di valore determinato ed indeterminabile, troverebbe applicazione lo scaglione previsto per queste ultime -, richiamando la recente decisione n. 9975/2016, con la quale si precisava che il principio stabilito con la sentenza del 2011 va riferito alle sole ipotesi in cui, applicando lo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile, si determina il riconoscimento di un compenso professionale maggiore rispetto a quello derivante dal cumulo delle domande di valore determinato.

La questione

La sentenza in commento affronta, principalmente, la questione relativa all'individuazione dello scaglione che deve essere applicato, ai fini della liquidazione del compenso professionale richiesto da un avvocato, nel caso in cui l'attività difensiva svolta riguardi giudizi nel quale sono proposte più domande, alcune di contenuto determinato ed altre di contenuto indeterminabile.

L'interpretazione sostenuta dai ricorrenti per Cassazione, infatti, era quella, seguita dalla sentenza n. 16318/2011 della Suprema Corte, secondo cui in questo caso dovrebbe sempre trovare applicazione lo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile.

In particolare, nel 2011, con la sent. n. 16318 del 26 luglio, la Corte di Cassazione stabiliva il seguente principio di diritto: «Ai fini della determinazione dello scaglione per la liquidazione degli onorari di avvocato, ove siano state proposte più domande, alcune di valore indeterminabile, ed una di risarcimento dei danni, di valore determinato, esse si cumulano tra di loro e la causa va complessivamente ritenuta di valore indeterminabile».

Prima nel 2016, con la sent. n. 9975 del 16 maggio, poi nel 2017, con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ridimensiona il principio affermato anni prima, chiarendone l'effettiva portata: il principio stabilito nella decisione n. 16318/2011, infatti, viene riferito alle sole ipotesi in cui l'applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile determini il riconoscimento di compensi in misura maggiore di quelli che deriverebbero se si cumulassero le domande di valore determinato. Diversamente, quindi, quando ciò non avviene, lo scaglione tariffario va individuato in base alla sommatoria delle domande di valore determinato. Una diversa interpretazione, chiarisce la Suprema Corte, determina un risultato irragionevole perché comporta che il professionista che abbia svolto un'attività professionale caratterizzata da maggiore complessità, perché implicante la proposizione di domande di valore determinato oltre che di valore indeterminabile, debba vedere la propria attività compensata con importi inferiori rispetto a quelli che avrebbe ottenuto se avesse prestato la propria attività soltanto in relazione a domande di valore determinato.

Le soluzioni giuridiche

A ben vedere, il contrasto tra la decisione del 2011 e quella del 2017 è più apparente che reale: il principio di diritto secondo cui, in caso di cumulo tra più domande proposte, di valore determinato ed indeterminabile, debba procedersi alla sommatoria aritmetica e debba, quindi, trovare applicazione lo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile, affermato nella decisione del 2011 - che a propria volta richiamata la sentenza Cass. n. 4937/2003 della Sezione Lavoro -, non è, in realtà, in quella sede esplicato dal punto di vista della ratio, né ne viene chiarita l'effettiva portata. Esso, a ben vedere, dalla lettura sia della sentenza del 2003 che del 2011 scaturisce dall'applicazione dell'art. 10, comma 2, c.p.c., secondo cui «...le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro...», interpretato in un'ottica strettamente letterale. Infatti, compiendo una mera operazione matematica, dal cumulo di domande di valore determinato ed altre di valore indeterminabile, deriva come conseguenza naturale l'applicazione di quest'ultimo scaglione. In questa prospettiva, quindi, il principio affermato nelle decisioni del 2003 e del 2011 risulta in linea con le disposizioni in tema di liquidazione degli onorari, ed in particolare con l'art. 6, D.M. n. 585/1994 che, ai fini della determinazione del valore della controversia per la liquidazione degli onorari, prevede che il valore venga determinato secondo le norme del codice di procedura civile.

Questo tipo di soluzione presta, però, il fianco alle osservazioni critiche che, specie sotto il profilo logico, prima ancora che giuridico, sono svolte in primis nella sentenza Cass. n. 9975/2016, poi ripresa nella recentissima sentenza del 2017.

In particolare, nella sentenza Cass. n. 9975/2016 la Corte di Cassazione precisa che, qualora siano proposte più domande, alcune di valore indeterminabile ed altre di valore determinato, esse vanno cumulate nel senso che vada applicato lo scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile solo nel caso in cui ciò dia luogo al riconoscimento di compensi maggiori per l'avvocato rispetto a quelli che deriverebbero se si applicasse lo scaglione di riferimento individuato in base al valore delle cause di natura determinata. Adottare una diversa soluzione, ossia applicare sempre e comunque in queste ipotesi lo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile, secondo la Suprema Corte, porterebbe alla conclusione del tutto irragionevole ed ingiustificata secondo cui un'attività professionale caratterizzata da maggiore complessità, perché implicante la necessità di approntare le difese non solo in relazione a domande di valore determinato ma anche a domande di valore indeterminabile, verrebbe ad essere compensata con corrispettivi inferiori rispetto all'ipotesi in cui l'attività professionale abbia riguardato solo domande di valore indeterminabile, finendo così col pregiudicare la posizione del professionista.

Osservazioni

Il principio secondo cui in caso di cumulo di domande di valore determinato ed indeterminabile debba verificarsi di volta in volta se l'inquadramento in quest'ultimo scaglione di riferimento determini, o meno, il riconoscimento di un compenso maggiore per l'avvocato rispetto a quello che deriverebbe se si individuasse lo scaglione considerando solo le domande di valore determinato, appare maggiormente condivisibile rispetto all'orientamento affermato in precedenza che, invece, prevedeva l'applicazione sempre e comunque dello scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile. La soluzione seguita dalla sentenza n. 4187/2017, che è in linea con la decisione precedente del 2016 che espressamente richiama, pone infatti l'accento sulle incongruenze logiche del diverso orientamento se inteso in termini generali e assoluti, senza cioè verificare che l'applicazione dello scaglione di valore indeterminabile risulti adeguata e congrua rispetto alla complessità dell'attività professionale svolta. Si tratta, quindi, di una soluzione che riconduce il dato normativo dell'art. 10 c.p.c. all'interno di una interpretazione funzionale ad assicurare che la retribuzione della prestazione svolta dall'avvocato sia congrua e tenga conto della natura multiforme e composita dell'incarico svolto e, soprattutto, della complessità del medesimo quando si apprestano difese in relazione sia a domande di valore determinato che indeterminabile.

Oltre al principio relativo al cumulo di domande di valore determinato ed indeterminabile, la sentenza Cass. n. 4187/2017 ribadisce anche altri principi in tema di spese processuali già affermati in precedenza: in primis, la necessità, ai fini della determinazione del valore della controversia per la liquidazione del compenso professionale, di considerare il valore dichiarato, senza quindi dover motivare rispetto alla mancata adozione di un criterio diverso (in questi termini, tra le altre, Cass. n. 19098/2014 e n. 8660/2010). La Corte di Cassazione ribadisce, infatti, sul punto che il diverso criterio che si basa sull'individuazione del valore effettivo della controversia deve trovare applicazione solo allorquando, mancando una esplicita dichiarazione di valore della controversia nella formulazione delle domande proposte, debba procedersi a determinare quest'ultimo in via presuntiva.

Ancora viene ribadito, nella sentenza in esame, il principio secondo cui la voce «ricerca documenti» deve essere riconosciuta indipendentemente dal fatto che i documenti siano stati forniti al professionista dal cliente; in conformità con il principio affermato sin dalla risalente sentenza Cass. n. 7275/1991, si chiarisce, infatti, che la voce «ricerca documenti» è finalizzata a remunerare un'attività di natura intellettuale, non coincidente con l'attività meramente materiale di reperimento dei documenti, consistente nell'individuazione dei documenti che risultano funzionali a dimostrare in giudizio i fatti sui quali si fonda la propria tesi difensiva, con la conseguenza che essa va riconosciuta anche se non vi sia stata un'attività materiale di ricerca dei documenti. Anche in questo caso, quindi, l'ottica nella quale deve muoversi l'interprete è quella di valorizzare l'attività di natura intellettuale svolta dal difensore remunerandola in maniera adeguata ed effettiva.

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