Lo “sciopero” dell'avvocato non equivale a mancata comparizione e non rende improcedibile l'appello

15 Giugno 2017

La dichiarazione dell'avvocato di astenersi dalla trattazione della causa per l'astensione collettiva deliberata dagli organismi associativi forensi non equivale a mancata comparizione delle parti.
Massima

La dichiarazione dell'avvocato di astenersi dalla trattazione della causa per l'astensione collettiva deliberata dagli organismi associativi forensi (c.d. sciopero degli avvocati) non equivale a mancata comparizione delle parti e non consente l'applicazione del motivo di improcedibilità dell'appello previsto dall'art. 348 c.p.c..

Il caso

La decisione del S.C. si innesta in una complessa controversia inerente la necessità di procedere o meno alla demolizione delle opere relative alla sopraelevazione di un immobile abusivo costruito su di un terreno di proprietà comune delle parti, nonché in ordine alla conseguente richiesta di rimessione in pristino mediante nuova piantumazione di alberi e risarcimento del danno.

Tali domande erano state tutte respinte in primo grado dal Tribunale di Palermo. Tuttavia, una volta impugnata la sentenza di rigetto avanti la Corte d'Appello questa - invece di provvedere nel merito - prendendo atto che le parti non erano comparse per due udienze consecutive (quella del 2 dicembre 2011 e quella successiva del 20 aprile 2012), aveva dichiarato l'improcedibilità dell'appello, ex art. 348 c.p.c..

Avverso tale provvedimento collegiale ha avanzato ricorso per Cassazione la parte soccombente in primo grado ed appellante, ritenendosi ingiustamente pregiudicata dalla decisione di secondo grado.

La questione

I tre motivi di impugnazione proposti possono essere così riassunti:

  1. violazione dell'art. 132, comma 3, c.p.c. determinata dal fatto che il collegio, una volta ritenuta sussistente la causa di improcedibilità dell'appello, avrebbe dovuto rinviare le parti per la precisazione delle conclusioni ed emettere una sentenza, mentre l'ordinanza-sentenza emessa immediatamente era stata sottoscritta dal solo presidente e non anche dal giudice relatore;
  2. violazione degli artt. 181 (testo previgente), 348 e 351 c.p.c., non avendo la corte considerato che una volta verificata l'assenza delle parti alle udienze del 2 dicembre 2011 e del 20 aprile 2012, trattandosi di un giudizio iniziato prima del 25 giugno 2008 (data di entrata in vigore del d.l. n. 112/2008, successivamente convertito in L. n. 133/2008), non era possibile dichiarare l'immediata improcedibilità dell'appello, ma si doveva applicare l'art. 181 c.p.c. previgente, con la conseguenza che il provvedimento avrebbe dovuto riguardare la sola cancellazione della causa dal ruolo;
  3. violazione degli artt. 348 c.p.c., art. 2, L. n. 146/1990 e plurime disposizioni costituzionali (artt. 2, 24, 40, 101) per non avere la corte rilevato che fra le due citate udienze ve ne era stata un'altra, quella del 16 marzo 2012, nel quale i difensori erano regolarmente comparsi dichiarando la propria adesione all'astensione collettiva dalla trattazione delle cause deliberata dai propri organismi associativi (c.d. sciopero degli avvocati), cosicchè nella realtà non vi erano state due udienze consecutive nelle quali le parti non erano comparse in udienza e, ulteriormente, non era possibile dichiarare l'improcedibilità del gravame.

Le soluzioni giuridiche

Risultando pregiudiziale il terzo motivo di ricorso, la Cassazione è partita dall'esame preliminare dello stesso e, ritenutolo fondato, ha cassato la sentenza con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d'appello, anche ai fini del governo delle spese di lite, ritenendo invece assorbiti gli altri due motivi di doglianza.

Secondo valutazione ineccepibile dei giudici di legittimità, infatti, la fattispecie di improcedibilità prevista dall'art. 348 c.p.c. non andava proprio applicata, poiché nella realtà non vi erano state due udienze consecutive nelle quali le parti non erano comparse: tale consecutio era stata infatti interrotta da un'udienza, quella del 16 marzo 2012, nella quale i difensori avevano verbalizzato la propria adesione allo sciopero di categoria professionale, sì che la stessa non poteva considerarsi inesistente. In altri termini la presenza degli avvocati all'udienza di marzo, sia pure al limitato fine di esternare la propria astensione collettiva dalle udienze, doveva essere intesa in modo inequivoco come attività comunque intesa ad interrompere l'applicabilità degli artt. 181, 309 e 348 c.p.c., volta a volta richiamati. Ciò aveva pertanto interrotto la consecutività fra due udienze “deserte” che costituisce l'imprescindibile presupposto per la dichiarazione di improcedibilità dell'appello.

Osservazioni

La decisione in commento affronta in termini pienamente convincenti una situazione processuale che negli ultimi anni è divenuta piuttosto ricorrente: quella degli effetti processuali prodotti dalla dichiarazione del difensore di adesione all'astensione collettiva dalla trattazione delle cause, deliberata dai propri organi associativi (c.d. “sciopero” dell'avvocato).

Va sul punto ricordato, preliminarmente, che tale forma di astensione collettiva ricade nell'ambito applicativo della L. n. 146/1990, relativa a «norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati» e che, con riferimento a tale categoria professionale, la Corte Cost., sent., 27 maggio 1996, n. 171 (pubblicata nella G.U. del 5 giugno 1996, n. 23) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 1 e 5 dell'articolo 2 della legge cit., nella parte in cui non prevedono, nel caso dell'astensione collettiva dall'attività giudiziaria degli avvocati e dei procuratori legali, l'obbligo d'un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell'astensione e non prevede altresì gli strumenti idonei a individuare ed assicurare le prestazioni essenziali, nonchè le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza.

L'art. 2-bis (inserito nel corpo della L. n. 146/1990 dall'art. 2, L. 11 aprile 2000, n. 83) ha così previsto che l'astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalità dei servizi pubblici essenziali, è esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili; a tale fine la Commissione di garanzia di cui all'art. 12 promuove l'adozione, da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati dall'art. 1.

L'art. 3 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni degli avvocati dalle udienze (approvato dall'OUA, ANF, AIGA ed Unioni Camere civili e penali) prevede, a sua volta, che nel processo civile, penale, amministrativo e tributario la mancata comparizione dell'avvocato all'udienza o all'atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorchè non obbligatoria, affinchè sia considerata in adesione all'astensione regolarmente proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina, e dunque considerata legittimo impedimento del difensore, deve essere alternativamente:

  • dichiarata ‐ personalmente o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato ‐ all'inizio dell'udienza o dell'atto di indagine preliminare;
  • comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltre che agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data stabilita.

L'art. 5 dello stesso Codice prevede le prestazioni indispensabili in materia civile, con specifico riferimento ai procedimenti cautelari, attinenti lo status personale, comparizione personale dei coniugi in sede di separazione o divorzio, provvedimenti di affidamento e mantenimento di minori, repressione di condotte antisindacali e licenziamenti collettivi, procedimenti di cui sia dichiarata l'urgenza, procedimenti prefallimentari o relativi alla revoca del fallimento, convalida di sfratto e fasi di eventuale sospensione dell'esecuzione di provvedimenti giudiziali, materia elettorale. Fuori da tale ambito, come precisa il precedente ultimo comma dell'art. 3, il diritto di astensione può essere esercitato in ogni stato e grado del procedimento, sia dal difensore di fiducia che da quello di ufficio.

Quindi il diritto di c.d. “sciopero” dell'avvocato risulta pienamente legittimo anche nel giudizio di appello e, nel caso di specie, non vi era alcuna esigenza di urgenza o questione di materia trattata che potesse limitarne l'applicazione concreta.

L'adesione a tale sciopero, dichiarata come nel caso di specie all'inizio dell'udienza (e deve ritenersi così verbalizzata) non rende l'udienza stessa inesistente e non equivale ad un completo abbandono delle attività processuali, come invece presuppongono gli artt. 181, 309 e 348 c.p.c..

Come noto, a fronte di una diserzione delle parti da un'udienza nel corso del processo, il Giudice deve fissare una nuova udienza mandando la cancelleria di comunicare il rinvio alle parti costituite e, se anche a tale successiva udienza le parti non compaiono, dovrà pronunciare la cancellazione della causa dal ruolo e, per le sole cause iniziate dopo il 25/06/2008, dichiarare contestualmente l'estinzione del processo (o l'improcedibilità dell'appello ex art. 348 c.p.c. nel testo oggi vigente).

Tale regime si applica anche a procedimenti diversi da quello ordinario: sicura è ad esempio l'operatività dell'art. 309 o 348 c.p.c. per il rito del lavoro, a seguito della nota Cass. Sez.Un. 25 maggio 1993, n. 5839(da ultimo cfr. Cass. civ., sez. lav., 04/08/2015, n. 16358); da ricordare l'applicazione data in ordine all'operatività degli artt. 181 e 309 c.p.c. alle opposizioni a sanzioni amministrative ex L. n. 689/1981 (oggi d.Lgs. 150/2011), come affermato ad es. da Cass. civ. 10 marzo 2005, n. 5290; più discussa l'applicabilità al rito sommario di cognizione, pur se Cass. Sez. Un. n. 5700/2014, che ha ritenuto estensibile l'art. 181 c.p.c. al procedimento di cui alla L. n. 89/2001 - nell'ipotesi di mancata comparizione delle parti – dovrebbe condurre ad una risposta affermativa.

L'applicazione degli artt. 181 e 309 c.p.c. è invece generalmente esclusa per la trattazione di ricorsi cautelari (cfr. Trib. Messina, 12 luglio 2005), per la prima fase di verifica dei crediti avanti al G.D. in sede di formazione dello stato passivo (Trib. Civitavecchia, 18 novembre 2005) ed è tendenzialmente esclusa nei procedimenti che, pur a seguito di una domanda giudiziale iniziale, procedono per impulso d'ufficio (es. Trib. Reggio Emilia, 21 marzo 2006 in tema di interdizione).

Il presupposto per poter applicare tali disposizioni consiste, comunque, in una completa diserzione dell'udienza ad opera delle parti e non il compimento di una qualche attività, seppur ridotta.

Non può pertanto non sottolinearsi l'interesse della presente decisione, posto che per la prima volta il Supremo Collegio affronta espressamente la questione, escludendo che l'udienza nella quale il difensore dichiara di aderire ad un'astensione collettiva indetta dai propri ordini professionali possa ritenersi “inesistente” e quindi valorizzata ai fini delle citate disposizioni (art. 181, 309 o 348 c.p.c.). Di più, tale udienza impedisce persino di riconnettere la consecutività fra due udienze (una precedente e l'altra successiva a quella in cui i difensori dichiarano di scioperare) nelle quali effettivamente le parti non siano comparse. Pertanto, occorrerà un ulteriore rinvio comunicato alle parti ed una successiva ulteriore inerzia delle stesse prima di poter pronunciare l'improcedibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348 c.p.c..

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