Il professionista delegato alla vendita può fissare ai creditori un termine di decadenza per il deposito dei titoli

Francesco Bartolini
22 Febbraio 2017

Nell'espropriazione immobiliare, legittimamente il progetto di distribuzione, prescinde dalle ragioni di credito per le quali il creditore non abbia prodotto i necessari documenti giustificativi entro il termine a tale scopo fissato dal giudice dell'esecuzione o dal professionista delegato, riferendosi l'eccezionale facoltà prevista dall'art. 566 c.p.c. al solo atto originale di intervento nella procedura e non a tutte le successive attività incombenti ai creditori.
Massima

Nell'espropriazione immobiliare, legittimamente il progetto di distribuzione, prescinde dalle ragioni di credito per le quali il creditore non abbia prodotto i necessari documenti giustificativi entro il termine a tale scopo fissato – in estrinsecazione della potestà prevista dagli artt. 484, 175 e 152 c.p.c. - dal giudice dell'esecuzione o – in mancanza di contrarie espresse disposizioni nel provvedimento di delega – dal professionista delegato, riferendosi l'eccezionale facoltà prevista dall'art. 566 c.p.c. al solo atto originale di intervento nella procedura e non a tutte le successive attività incombenti ai creditori, che abbiano assunto la qualità di interventori o in quella originaria succedano per cessione della ragione di credito.

Il caso

In una procedura di esecuzione immobiliare, il notaio delegato alle operazioni di vendita invitò il Banco di Sicilia, creditore privilegiato che succedeva nella posizione di altri creditori intervenuti, a depositare entro una certa data (15 gennaio 2010) il titolo esecutivo vantato e la nota di precisazione dei crediti. Il deposito non venne eseguito e al Banco di Sicilia succedette ex art. 111 c.p.c. un altro istituto bancario (Unicredit Credit Management) con intervento effettuato l'1 febbraio 2011, dopo che da alcuni giorni era stato depositato il progetto di distribuzione del ricavato dalla vendita. Con ordinanza 7 novembre 2011 il giudice delegato approvò il progetto di riparto e contestualmente escluse il credito dell'intervenuto sull'assunto che il suo dante causa non aveva ottemperato all'invito di depositare la documentazione con esso richiesta e non aveva, pertanto, provato il suo titolo.

In esito all'opposizione agli atti esecutivi proposta dall'istituto, il tribunale dichiarò che con l'invito del notaio era stato correttamente stabilito un termine, per l'utile deposito degli atti, e osservò che di questo termine, di natura ordinatoria, non era stata chiesta la proroga prima della scadenza. La conseguente decadenza impediva di tener conto del credito preteso dall'opponente: tale credito doveva esser dichiarato privo della occorrente prova documentale.

La questione

Con il ricorso per cassazione sono formulati tre motivi di doglianza, tutti ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4):

  • si denuncia come illegittima, in quanto contraria alle disposizioni di cui agli artt. 499, comma 2, 564, 564 e 566 c.p.c., la prassi, giustificata dal tribunale, di fissare un termine per il deposito dei titoli avente scadenza anteriore al termine previsto per l'intervento tardivo dei creditori titolati, con conseguente loro trattamento deteriore (il termine per l'intervento tardivo, infatti, scade solo con l'udienza di approvazione del progetto);
  • si addita come violazione di legge la ritenuta sussistenza di un potere di fissare termini, in capo al professionista delegato, e, a maggior ragione, il potere di stabilire termini vincolanti, ai fini della predisposizione del progetto di distribuzione;
  • si deduce come violazione di legge l'aver comunque ritenuto il termine fissato dal notaio delegato quale termine consentito dalla legge e di natura non prorogabile, dopo la scadenza.

La Corte di cassazione ha esaminato i motivi congiuntamente.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha precisato, preliminarmente, che la materia controversa riguardava non la tardività dell'intervento spiegato dal ricorrente ma la mancata produzione dei titoli dimostrativi del credito ad opera del suo dante causa, il quale era intervenuto nella procedura esecutiva riservandosi di produrre i titoli del suo credito “al più presto”. Più precisamente, nella posizione di creditore privilegiato si erano succeduti, nel tempo, plurimi istituti bancari, sì che il ricorrente poteva avvalersi degli effetti prodotti dai loro atti di intervento, sino al primo in ordine di tempo, risalente ad epoca anteriore alle riforme apportate al codice di rito nel 2006. La disciplina previgente a queste riforme consentiva che i documenti concernenti il titolo del credito potessero essere prodotti nel momento in cui dovevano essere posti a fondamento di un atto di impulso o, al più tardi, nel momento della distribuzione del ricavato dalla vendita. L'onere della dimostrazione della propria legittimazione, in sostanza, veniva a sorgere con l'occasione del compimento dell'atto di impulso o per la partecipazione alla distribuzione del ricavato della vendita. Della facoltà di differire al sorgere di tale occasione la produzione dei documenti di legittimazione avrebbe potuto giovarsi l'attuale ricorrente, nella sua qualità di successore a titolo particolare nel processo esecutivo.

E tuttavia, ha osservato la Corte, occorre considerare che la predisposizione del progetto di distribuzione non è una attività semplice e che si risolva in un atto unitario. Essa costituisce un vero e proprio subprocedimento per la cui definizione è indispensabile l'acquisizione di tutti i documenti necessari a determinare l'importo dei crediti e le classi dei creditori. La complessità della procedura esige che si provveda in modo ordinato e coerente: e tanto implica due importanti serie di conseguenze.

Da un lato, è pienamente legittimo l'esercizio di poteri organizzatori in capo a chi pone in essere l'attività finalizzata alla realizzazione del progetto di distribuzione, tra essi compreso quello di indicare i tempi massimi entro i quali fornire, a chi procede, tutti i documenti indispensabili a raggiungere il risultato. Un siffatto potere è attribuito al giudice dal generale disposto dell'art. 152 c.p.c., per i termini perentori, e dall'art. 175, secondo comma, richiamato per l'esecuzione forzata dall'art. 484 c.p.c., per quanto riguarda i termini ordinatori da indicare alle parti per il compimento degli atti processuali. A questo potere del giudice si accompagna, d'altro lato, il dovere di collaborazione imposto alle parti, tenute, in una procedura che si svolge d'ufficio, a fornire la documentazione necessaria a rendere possibile il compimento delle attività del giudice senza dispersione di energie e senza inutile protrazione dei tempi processuali. Questo dovere di collaborazione va riferito, in particolare, al momento in cui l'attività di predisposizione del progetto di distribuzione viene avviato e necessita di supporto al fine di ricostruire, come è suo scopo, i diritti di coloro che aspirano a concorrere sulle somme ricavate.

Un analogo potere di organizzare, con la fissazione di un termine, la raccolta documentale dei dati necessari al progetto deve, a detta della Corte, essere riconosciuto in capo al professionista delegato alle operazioni di vendita ed a quelle successive, a meno che esso sia negato dal provvedimento che gli conferisce la delega. Un siffatto potere è normalmente inerente all'oggetto della delega, quando essa si riferisce anche alla predisposizione del progetto: l'acquisizione completa e corretta della documentazione è aspetto indispensabile per l'esercizio delle attività demandate.

Il termine per la produzione della prova del credito e del relativo privilegio non è, quindi, per la Corte, una arbitraria invenzione del giudice o del professionista da lui delegato e neppure una vessazione per il creditore intervenuto. La sua legittimità si ricava dal sistema stesso di predisposizione del progetto di distribuzione come esplicazione di una doverosa attività rivolta a redigere il progetto. Ne deriva che non solo legittimamente ma doverosamente il giudice o il suo delegato redigono il progetto di distribuzione senza tener conto del credito non suffragato per tempo dalla documentazione necessaria.

Nel concludere la motivazione della sentenza, la Corte di cassazione ha osservato che la natura ordinatoria del termine in questione consente la sua proroga, ove ne sia fatta richiesta prima della scadenza (cosa che nella vicenda in esame non era avvenuta). E che il regime di improrogabilità dopo la scadenza trova temperamento sia nell'istituto della rimessione nei termini per impossibilità incolpevole, di cui all'art. 153 c.p.c., e sia nella facoltà di revoca ad opera del giudice, il quale, però, in questo caso deve tener conto dell'eventuale mancata collaborazione delle parti. Nè, si è aggiunto, rileva l'eccezionale facoltà, per il creditore privilegiato, di intervenire sino all'udienza di discussione del progetto di distribuzione, riconosciutagli dall'art. 566 c.p.c. nell'espropriazione immobiliare: una volta che il creditore ha scelto di non avvalersi di questa facoltà, egli sottostà al regime proprio di tutti gli altri creditori che hanno assunto la veste di interventori tempestivi.

Osservazioni

L'istituto bancario intervenuto da ultimo nell'espropriazione immobiliare cui si riferisce la sentenza in esame ha esercitato il diritto riconosciutogli dall'art. 566 c.p.c: è intervenuto nel processo tardivamente, rispetto al termine fissato in generale per tale tipo di attività nelle procedure di esecuzione forzata, e ciò validamente, in forza della sua qualità di creditore privilegiato. Poco tempo dopo l'effettuazione dell'intervento ha depositato il suo titolo di legittimazione, per tal modo completando l'intervento stesso La successiva ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione (depositato da circa un anno al momento dell'intervento) lo ha escluso dal novero degli aventi diritto per una circostanza di fatto a lui non direttamente imputabile: il creditore nella cui posizione era subentrato per successione a titolo particolare aveva, a suo tempo, omesso di depositare i documenti attestanti il suo diritto entro il termine appositamente assegnatogli dal notaio delegato alle operazioni di vendita. E questa omissione ha prodotto i suoi effetti di decadenza a danno del successore, ormai non più in grado di compiere l'atto richiesto al suo dante causa.

La sfortunata vicenda, per questo creditore subentrato, ha trovato nella pronuncia della Corte la sua spiegazione nella qualità assunta con la successione ex art. 111 c.p.c. in corso di causa. Il successore subentra nella posizione in cui versava il suo dante causa, in positivo e in negativo. Una volta decaduto il dante causa dal compimento di una determinata attività, questa decadenza riverbera i suoi effetti anche a danno del successore.

Da questa presa di posizione deriva una palese differenza di situazioni. L'istituto bancario ricorrente avrebbe potuto efficacemente effettuare l'intervento tardivo, e produrre utilmente la documentazione conseguente, se non fosse stato il successore di un creditore intervenuto in precedenza e inadempiente all'onere di prova. Ove avesse vantato un titolo autonomo, egli avrebbe potuto concorrere alla distribuzione della somma ricavata anche se avesse esibito i titoli di legittimazione nel corso dell'udienza di approvazione del progetto. Per contro, la successione a titolo particolare gli ha trasmesso gli effetti negativi che erano riferiti ad inadempimenti del suo predecessore. Per giunta, nella motivazione della sentenza in esame si coglie una sorta di rimprovero che è riferito per forza di cose al ricorrente ma che questi subisce sol perché successore di colui che realmente l'avrebbe meritato. Avverte, infatti, il collegio che, se il creditore titolato sceglie di avvalersi dell'intervento ordinario, non può poi distinguersi dagli altri creditori, per quanto concerne gli adempimenti processuali da eseguire, e pretendere di avvalersi delle disposizioni d'eccezione stabilite per l'intervento tardivo. Avvertimento certamente calzante, con riguardo all'operato del creditore dante causa, ma avente nella vicenda di specie un amaro sapore di sanzione da subire per fatto altrui, per colui che gli è succeduto.

Detto questo, come notazione di un fatto che può cogliere di sorpresa un mai troppo cauto successore nella altrui veste di parte, resta da evidenziare l'importante affermazione di un principio che è suscettibile di rilevanti ripercussioni. Tale principio riguarda il potere del professionista delegato alle operazioni di vendita, e successive, di indicare ai creditori intervenuti una data entro la quale far pervenire la documentazione dei rispettivi titoli e di attribuire al momento temporale così indicato la natura di un termine stabilito a pena di decadenza.

La Corte di cassazione non ha potuto verificare se nel provvedimento di delega al professionista fosse previsto, oppure no, il potere, per costui, di assegnare ai creditori termini acceleratori per il deposito dei loro titoli. Nell'assenza di contestazioni e di risultanze contrarie, il Supremo collegio ha considerato un siffatto potere inscindibilmente compreso nelle attribuzioni conferite al delegato, in quanto funzionale e necessario per l'adempimento dell'incarico ricevuto, che era stato esteso alla redazione del progetto di distribuzione. Con una significativa differenza, in proposito.

Mentre, per quanto concerne un uguale potere esercitabile ad opera del giudice dell'esecuzione la Corte ha individuato le norme che di tale potere costituiscono la fonte (artt. 484, 175 e 152 c.p.c.), con riguardo al professionista delegato un siffatto potere è stato ritenuto immanente nell'incarico che gli viene affidato. E' la stessa complessità dell'opera affidatagli dal giudice, si afferma in sostanza, a conferirgli l'autorità di stabilire termini alle parti, allo scopo, di palese interesse generale, di fornire il risultato commessogli. L'affermazione in tal senso viene a specificare, se non ad ampliare, il contenuto dei poteri attribuibili al professionista delegato ai sensi dell'art. 591-bis c.p.c. e, in particolare, ai sensi del n. 12) del suo terzo comma. Ne risulta ancora una volta confermata la posizione del professionista delegato di vero e proprio organo di impulso e di organizzazione che è venuto ad assumere in progressione di tempo e in esito alle più recenti riforme. Questa posizione, anzi, ne appare potenziata, se si pensa che l'indicazione della data ai creditori assume l'efficacia di un termine di decadenza, verificatasi la quale il creditore inadempiente è escluso definitivamente dalla ripartizione degli utili ricavati dalla procedura.

A questo punto sorge, però, un quesito. Quale può essere il rapporto tra la fissazione di un termine entro il quale i creditori devono depositare i loro titoli, a pena di esclusione dalla ripartizione del ricavato, e il diritto di intervenire tardivamente, per i creditori titolati, e, per effetto di questo intervento tardivo, di concorrere alla distribuzione delle somme ricavate dall'espropriazione ? Se l'intervento è effettuato dopo che agli altri creditori è stato fissato un termine di produzione dei titoli e questo termine è scaduto, l'intervento tardivo ne resta pregiudicato?

E' giocoforza fornire una risposta negativa. Ne risulterebbe, altrimenti, impedito l'esercizio di un potere che il codice di procedura consente sino all'udienza di discussione del progetto di distribuzione. Il professionista delegato potrebbe, con la sua indicazione di un termine decadenziale, inibire di fatto gli interventi successivi alla scadenza, pur conformi alle disposizioni procedurali che li consentono. Il termine, avente finalità esclusivamente organizzatorie, assumerebbe il valore di un ostacolo a valersi di un diritto processuale al quale sono collegati risvolti rilevanti anche sul piano dei rapporti sostanziali. Dunque, si ritenga pure validamente stabilito un limite temporale ai creditori entro il quale dover fornire al professionista il materiale che gli è necessario alla preparazione del progetto di distribuzione. Con il limite, però, costituito dal potere dei creditori titolati di entrare nel processo anche dopo la scadenza di questo termine, come loro consentito da una norma esplicita di diritto positivo.

Spetta al creditore la scelta dei mezzi di esecuzione e in questa facoltà di scelta rientra la libera determinazione dei tempi e dei modi ritenuti di interesse per intraprendere le procedure esecutive o, più semplicemente, per farvi intervento. I limiti all'esercizio di questa facoltà sono costituiti dall'abuso dell'utilizzo dello strumento processuale e dalla moderazione ad opera del giudice nei casi di cumulo dei mezzi di espropriazione. Non può porsi come limite ulteriore alla libertà del creditore l'operato dell'organo delegato dal giudice a compiere attività procedurali che, sia pure a fini rispondenti a utilità generali, organizzi la sua attività con l'imposizione di termini di decadenza.

La sentenza annotata ha risolto una questione nuova e non constano precedenti editi.
Per quanto concerne ilconnesso tema del deposito dei titoli di credito e degli altri documenti probatori del diritto all'intervento, può ricordarsi che prima delle modifiche dovute al D.L. 35/2005, conv. nella L. 80/2005, la giurisprudenza si era orientata nel senso che l'interveniente avessesoltanto due oneri di allegazione, quello di indicare il suo diritto di credito e quello di indicare il documento rappresentativo di tale diritto: ma non anche l'onere di farne produzione. La prova documentale doveva essere esibita unicamente nel momento in cui di essa fosse sorta la necessità, vale a dire, in caso di contestazione o, al più tardi, in sede di distribuzione (così Cass. 2506/2010; Cass. 9511/1993). In senso contrario si era espressa la prevalente dottrina. Dopo le cennate modifiche, l'art. 499, secondo comma, c.p.c. continua a richiedere soltanto l'indicazione, nel ricorso di intervento, del credito e del titolo dal quale esso deriva. L'effettivo deposito di documenti probatori è previsto espressamente soltanto nel caso di intervento per somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 codice civile. La questione pertanto può essere riproposta nello stesso modo in cui si presentava anteriormente. La pronuncia annotata, nel ritenere legittimo al professionista delegato di imporre un termine per la produzione dei documenti probatori del credito, necessariamente e implicitamente assume sia lecito ai creditori intervenienti di limitarsi, nel loro atto di intervento, a fare indicazione del loro titolo, senza contestualmente depositarlo in cancelleria. Il deposito potrà essere eseguito, come è avvenuto nella specie, su istanza degli organi fallimentari.

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