Intervento in causaFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 267
22 Febbraio 2016
Inquadramento
Nel processo civile può realizzarsi un cumulo soggettivo, ossia la presenza di una pluralità di parti diverse dall'attore e dal convento, anche al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario o facoltativo, per effetto dell'intervento volontario in causa di un soggetto terzo. L'intervento è una domanda di carattere incidentale finalizzata alla partecipazione di un terzo in un processo che già pende tra altri soggetti, partecipazione a seguito della quale il terzo assume per ciò solo la qualità di parte (COSTA 461 ss.).
Il terzo può far valere, ai sensi del comma 1 della norma in esame, nei confronti delle parti in causa un proprio diritto incompatibile e quindi spiegare un'azione di carattere autonomo, la quale è volta ad evitare che, terminato il giudizio, lo stesso possa proporre opposizione di terzo per far valere il pregiudizio subito (LIEBMAN 2002, 103).Il diritto che in virtù del comma 1 dell' .c. il terzo può fare valere in un processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse (intervento principale) o con alcune soltanto di esse (intervento litisconsortile o adesivo autonomo) deve essere relativo all'oggetto, ovvero dipendente dal titolo e, quindi, individuabile rispettivamente con riferimento al petitum o alla causa petendi, non essendo al di fuori di tali limiti ammesso l'inserimento nel processo di nuove parti (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13063 ).
L'intervento può invece essere definito «adesivo dipendente» qualora il terzo non faccia valere attraverso lo stesso un proprio diritto, ma un semplice interesse, sebbene giuridicamente rilevante, a sostenere le ragioni di una delle parti in causa: in questo caso, l'intervento è funzionale soprattutto ad integrare la difesa della parte adiuvata.
L'interveniente adesivo dipendente non può dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto né proporre un'impugnazione autonoma ( Cass. civ., Sez. Un., 9 novembre 2011, n. 23299 ). In tema di equa riparazione , sono legittimati a far valere il diritto alla ragionevole durata del processo a norma della l. 29 marzo 2001, n. 89 , tutti i soggetti che siano stati parti nel giudizio in cui si assume essere avvenuta la violazione e, quindi, anche le parti intervenute, in quanto anche l'interesse giuridico posto alla base dell'intervento, ancorché adesivo e sebbene riflesso, assume spesso sotto vari profili (patrimoniale, personale) una valenza pari o addirittura superiore a quello sotteso alla controversia pendente fra le parti principali del processo presupposto ( Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 2012, n. 23173 ). Intervento autonomo ad opponendum
Il terzo può, mediante tale forma di intervento, far valere un proprio diritto autonomo, incompatibile con quello di entrambe le parti in causa.
Tale situazione si verifica di frequente nelle c.d. liti tra pretendenti, ovvero quando tra due soggetti pende una controversia avente ad oggetto la sussistenza di un diritto di proprietà su un bene ed il terzo intervenga in causa deducendo di essere egli stesso proprietario di quel bene.
Il terzo può spiegare tale intervento anche in appello (o in sede di rinvio: cfr., Cass. civ. , sez. III, 16 aprile 2015, n. 7710 ), secondo quanto espressamente previsto ai sensi dell' art. 344 c.p.c. .
Nell'ipotesi, invece, in cui – magari per mancata conoscenza della pendenza della controversia – non intervenga, può proporre opposizione di terzo ordinaria exart. 404, comma 1, c.p.c. contro la sentenza esecutiva o passata in giudicato pronunciata tra le altre parti in suo danno.
Intervento adesivo autonomo
Si realizza invece intervento litisconsortile o adesivo autonomo quando il terzo interviene per far valere un proprio diritto nei confronti di una sola delle parti in causa, «aderendo», di conseguenza, alla posizione dell'altra parte.
Una tale situazione si verifica, ad esempio, nell'ipotesi di impugnazione di delibere assembleari o condominiali quando, rispettivamente, un condomino o un socio intervenga per aderire alla posizione di colui il quale ne abbia dedotto l'invalidità o, per converso, ne sostenga la legittimità.
Poiché l'intervento volontario concerne non la causa, ma il processo ed è tale che il terzo, una volta intervenuto nel processo ed una volta spiegata domanda nei confronti delle altre parti o anche di una sola di esse, diventa parte egli stesso nel processo medesimo, al pari di tutte le altre parti e nei confronti delle stesse, ne consegue che qualora il terzo spieghi volontariamente intervento litisconsortile, assumendo essere lui (o anche lui) - e non gli altri convenuti (ovvero non solo le altre parti chiamate originariamente in giudizio) - il soggetto nei cui riguardi si rivolge la pretesa dell'attore, la domanda iniziale, anche in difetto di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, nei confronti del quale, perciò, il giudice è legittimato ad assumere le conseguenti statuizioni ( Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2012, n. 743 ). Problema di non trascurabile rilevanza, anche pratica, è quello che attiene al maturare delle preclusioni assertive in capo al terzo che intervenga in corso di causa, in un momento del giudizio nel quale tali preclusioni siano già maturate a carico delle altre parti. Sulla questione la giurisprudenza di legittimità meno recente riteneva che colui il quale interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia ormai spirato il termine di cui all'art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum, senza che tale interpretazione dell'art. 268 c.p.c. violi il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, atteso che l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre - ove sia già intervenuta la relativa preclusione - nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25264). Nell'attuale giurisprudenza della S.C., invece, si sta consolidando il principio per il quale la preclusione ex art. 268 c.p.c. non opera in relazione all'attività assertiva del volontario interveniente, il quale può, quindi, proporre domande nuove in seno al procedimento, fino alla precisazione delle conclusioni (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11681; Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2011, n. 23759).
Sotto altro profilo è stato precisato, inoltre, che l'interventore volontario in via principale che faccia valere un proprio diritto in conflitto con le parti originarie del processo è legittimato, in forza di un principio di economia processuale, a dedurre l'incompetenza del giudice adito anche ove il convenuto non abbia sollevato analoga eccezione e purché il suo intervento avvenga in un momento del processo in cui tale eccezione potrebbe essere ancora proposta dal convenuto medesimo (Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2014, n. 22532, la quale ha ritenuto che, di conseguenza, l'interventore è legittimato a presentare istanza di regolamento di competenza qualora il giudice abbia disatteso la sua eccezione, indipendentemente dalle determinazioni assunte, al riguardo, dal convenuto). L'interveniente volontario, avendo assunto formalmente la qualità di parte primaria nel processo, è legittimato a proporre appello contro la decisione che abbia concluso il primo grado del giudizio non solo quando le sue istanze siano state respinte nel merito, ma anche quando sia stata negata l'ammissibilità dell'intervento ovvero sia stata omessa ogni pronuncia sulla domanda formulata con l'intervento stesso (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1671).
Intervento adesivo dipendente
L'intervento può essere definito «adesivo dipendente» qualora il terzo non faccia valere attraverso lo stesso un proprio diritto, ma un semplice interesse, sebbene giuridicamente rilevante, a sostenere le ragioni di una delle parti in causa: in questo caso, l'intervento è funzionale soprattutto ad integrare la difesa della parte adiuvata, onde evitare il pregiudizio che il terzo potrebbe subire dall'emanazione di una decisione contraria alle conclusioni rassegnate dalla stessa.
L'interesse giuridico che sostiene l'intervento adesivo dipendente è quindi il seguente: il terzo sarebbe pregiudicato dalla pronuncia resa tra le parti originarie nell'ipotesi di soccombenza della parte adiuvata, in quanto la sua situazione giuridica dipende sotto il profilo sostanziale da quella della stessa, di talché se cade il diritto della parte in causa, cade anche la posizione giuridica vantata dall'interveniente. Numerosi sono i casi nei quali si ravvisa una tale dipendenza della situazione soggettiva del terzo sotto il profilo sostanziale: pensiamo al sub-conduttore, a colui che acquista un bene sequestrato nei confronti del creditore sequestrante e, più in generale, agli acquisti a titolo derivativo, fattispecie nella quali l'acquisto dell'avente causa dipende dalla validità del titolo in forza del quale ha acquistato il dante causa (VACCARELLA 168).
L'interesse richiesto per la legittimazione all'intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti, deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere - anche solo in via indiretta o riflessa - pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa ( Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2014, n. 25145 ). Il terzo che interviene ai sensi del comma 2 dell'art. 105 c.p.c. non può domandare la pronuncia di provvedimenti autonomi, i.e. diversi da quelli richiesti dalla parte adiuvata (LIEBMAN 2002, 106).
I poteri processuali dell'interveniente adesivo sono all'espletamento di un'attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell'ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte ( Cass. civ., n. 24370/2006 ).
Pertanto, l'interveniente adesivo dipendente non può dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto ( Cass. civ., Sez. Un., n. 23299/2011 ).
Inoltre, l'interventore adesivo non ha un'autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole; inoltre, esso non vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione di affermazioni pregiudizievoli contenute nella sentenza favorevole, qualora svolte in via incidentale e sprovviste della forza vincolante del giudicato ( Cass. civ., Sez. Un., 17 aprile 2012, n. 5992 ).
Peraltro, è stato precisato, sotto quest'ultimo profilo, che i l ricorso per cassazione proposto in via autonoma e principale dall'interveniente adesivo dipendente va esaminato come ricorso incidentale adesivo rispetto a quello della parte adiuvata, da intendersi quale ricorso principale, posto che il predetto interveniente - cui è preclusa l'impugnazione in via autonoma della sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che per la statuizione di condanna alle spese giudiziali pronunziata nei suoi confronti - conserva in tal modo la sua posizione processuale secondaria e subordinata, potendo aderire all'impugnazione della parte adiuvata ( Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2013, n. 23235 ).
In generale, poi, il principio secondo cui l'interventore ad adiuvandum è privo di un'autonoma legittimazione ad impugnare in assenza di impugnazione della parte principale, non trova applicazione quando l'intervento in questione sia stato compiuto dal successore a titolo particolare nel diritto controverso: questi, infatti, è sempre legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa ai sensi dell'art. 111 c.p.c. , senza che occorra che il medesimo successore a titolo particolare proponga autonoma pretesa nei confronti dell'altra parte ( Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2012, n. 9298 ). Riferimenti
COSTA, Intervento (dir. proc. civ.), EdD, XXII, Milano 1972, 461;
FABBRINI, Contributo alla dottrina dell'intervento adesivo, Milano 1964;
GRASSO, Dei poteri del giudice, COM. Allorio, I, Torino 1973, 1260 ss.;
LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Principi, 6a ed., Milano, 2002, spec. 103 ss ; LUISO, Diritto processuale civile, I, Milano 2015;
MONTELEONE, Intervento in causa, NNDI, App. IV, Torino 1983, 345 ss.;
PROTO PISANI, Dell'esercizio dell'azione, COM. Allorio, I, Torino, 1973, 1211 ss.;
SEGNI, Intervento in causa, NNDI, VIII, Torino 1962, 942;
VACCARELLA, Lezioni sul processo civile di cognizione, Bologna, 2006; COMOGLIO, Le prove civili, Torino 2004;
REALI, Incidente stradale ed efficacia della dichiarazione confessoria del danneggiante, in Foro it., 2007, I, 1259;
SCRIMA, L'interrogatorio della parte: interrogatorio libero e interrogatorio formale, in Giur. Merito, 1999, 406;
SILVESTRI, Confessione nel diritto processuale civile, Dig. Civ., III, Torino, 1988;
VACCARELLA, Interrogatorio delle parti, EdD, XXII, Milano 1972, 353. |