Gli “elementi attivi” negli atti del PCT

04 Maggio 2016

La presenza di collegamenti ipertestuali nella documentazione allegata all'atto depositato telematicamente integra una ipotesi di violazione delle forme.
Massima

La presenza di collegamenti ipertestuali nella documentazione allegata all'atto depositato telematicamente integra una ipotesi di violazione delle forme previste dalla legge da cui deriva un giudizio di nullità per inidoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo.

Il caso

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Roma affronta un tema di particolare interesse per il PCT e di immediata incidenza sulla definizione delle nuove tecniche di redazione degli atti processuali.

Quello della utilizzabilità di «elementi attivi» nei documenti informatici depositati nel giudizio è infatti profilo di centrale importanza, non solo per le conseguenze ricollegabili alla violazione della normativa di settore specificamente dettata ma anche, e più in generale, per accedere ad una nuova visione del processo, che nell'uso dell'ipertesto può trovare momenti di rivoluzione alle tradizionali forme di espressione per mezzo di scrittura (v. E. Zucconi Galli Fonseca, 1185. Amplius, sulla possibile incidenza delle nuove forme telematiche sull'architettura dell'atto processuale, cfr. P. Comoglio, 953 ss.).

Ad offrire l'occasione ai giudici capitolini è un procedimento azionato ai sensi degli artt. 633 ss. c.p.c. nell'ambito del quale il Tribunale ha esaminato gli effetti processuali conseguenti all'inserimento di (presunti) elementi attivi (nella specie, collegamenti ipertestuali segnalati dalla c.d. «consolle del magistrato») nella documentazione allegata all'atto introduttivo.

La questione

In particolare, quindi, la questione giuridica esaminata e risolta dalla sentenza in esame è quella della validità dell'atto processuale al quale siano stati allegati documenti contenenti collegamenti ipertestuali, ricostruiti nel caso quali «elementi attivi» ai sensi dell'art. 13 del provvedimento DGSIA del 16 aprile 2014.

Le soluzioni giuridiche

Il dato di partenza per la risoluzione della problematica è offerto, anche nella ricostruzione del Tribunale, dal quadro normativo che, in modo espresso, vieta l'impiego di «elementi attivi».

In particolare, con riferimento all'atto principale, l'art. 11, comma 1, d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (sostanzialmente richiamato anche dall'art. 16-bis, comma 1, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, come convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, ai sensi del quale «[…] il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti […] ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici […]») prescrive che «L'atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi […]».

In relazione agli allegati, invece, il medesimo principio è fissato dal successivo art. 12, comma 1, del suddetto decreto.

In linea di continuità, anche il più recente provvedimento DGSIA del 16 aprile 2014 (recante il regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in attuazione dei principi enunciati dal codice dell'amministrazione digitale) agli artt. 12 e 13 rinnova l'enunciazione della regola dell'inutilizzabilità degli elementi attivi, arricchendo con l'ultima delle indicate disposizioni (dedicata specificamente agli allegati dell'atto telematico, e tuttavia non centralizzata nella motivazione dal giudice romano) anche le prescrizioni del d.m. n. 44/2011 con l'esemplificativa riconduzione a tale categoria di «macro» e «campi variabili»

Da tali dovute premesse normative, il Tribunale ricava quindi la violazione di forme legali e conclude per la inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo derivata dalla nullità degli allegati contenenti collegamenti ipertestuali, considerata non sanabile a causa della ritenuta inidoneità dell'atto a raggiungere lo scopo, individuato nel «dar corso a valido processo telematico».

Osservazioni

Ogni ulteriore esame della questione sottesa alla pronuncia capitolina, impone preliminarmente l'osservazione della incongrua esorbitanza della declaratoria di inammissibilità al ricorso.

Anche a volere infatti ritenere l'inserimento di collegamenti ipertestuali fatto utile ad integrare una violazione della normativa di settore (come sopra ricostruita) rilevante ai fini della validità dell'atto contenente i medesimi, infatti, l'accertamento circa la insussistenza di elementi indispensabili alla scopo avrebbe dovuto interessare solo i documenti allegati e non estendersi in termini di inammissibilità al ricorso (che tali collegamenti ipertestuali non presentava).

Altrimenti detto, il Tribunale avrebbe eventualmente dovuto limitarsi alla pronuncia di nullità (non sanabile – v. infra) dei soli allegati (in ipotesi anche ai fini di cui all'art. 640 c.p.c.) senza però arrivare a dichiarare la inammissibilità dell'atto introduttivo. E ciò in quanto nessuna difformità alle specifiche tecniche era dato riscontare nel medesimo, né può dirsi sussistente nel quadro della legge processuale e della normativa di settore una regola espressa di inammissibilità “a cascata” per le ragioni ricorrenti nel caso in commento.

L'aspetto che, però, maggiormente interessa in questa sede è proprio quello della configurabilità di un vizio rilevante per l'atto processuale (ovvero per i suoli allegati) contenente collegamenti ipertestuali.

Senza perciò volere qui indugiare sul tema della individuabilità di una norma di legge che, ai sensi dell'art. 156, comma 1, c.p.c. preveda espressamente la nullità per «inosservanza di forme» dell'atto processuale difforme alle regole tecniche dettate per il PCT, atteso che potrebbe in effetti sostenersi il valore di forza di legge delle specifiche elaborate con il provvedimento del 16 aprile 2014, in quanto derivato dal rinvio spiegato alle medesime dall'art. 34 d.m. n. 44/2011, a sua volta richiamato dall'art. 4, commi 1 e 2, d.l. 29 dicembre 2009, 93 (come convertito dalla l. 22 febbraio 2010, n. 24), nonché, almeno in via generale e per le ragioni sopra già evidenziate, dall'art. 16-bis, comma 1, d.l. n. 179/2012 (Amplius, sul tema, V. Di Giacomo, 6-13).

I «macro» e i «campi variabili» vietati dal provvedimento DGSIA sono infatti, come chiarito dallo stesso organo tecnico con nota del 2 aprile 2014 e reperibile sul portale giustizia, solo quelli idonei a pregiudicare la sicurezza del file, attraverso la veicolazione di virus o l'alterazione dei valori al momento della sua apertura.

E' evidente infatti che ogni modifica dell'atto (del tipo di quelle sopra menzionate) successiva al deposito e alla sua sottoscrizione digitale finirebbe per consentire l'aggiramento delle norme dettate in tema di preclusioni processuali e di tutela del contraddittorio oltre che comportare la perdita del valore della firma digitale (che infatti sarebbe sottratta ad ogni attività di verifica), così giustificando in effetti pure un giudizio di inidoneità allo scopo ai sensi e con le conseguenze di cui all'art. 156, comma 2, c.p.c.

Ciò evidentemente non può però dirsi pure per il “collegamento ipertestuale” che si fa momento di mero contatto tra risorse informatiche.

Non sono pertanto «elementi attivi» vietati né le immagini incorporate nel file .pdf testuale, né i link né gli indirizzi mail inseriti come tali nel corpo dell'atto, ferma comunque la possibilità che gli stessi vengano segnalati dal sistema se di reindirizzo a risorse esterne.

Anche in questi casi, peraltro, la loro presenza non genera una anomalia bloccante, spettando quindi solo al giudice l'apprezzamento della questione e non al cancelliere il potere di rifiutare l'atto in sede di controllo manuale della busta.

In questo senso, da segnalare è anche la recente circolare ministeriale del 23 ottobre 2015, il cui art. 7 fissa il principio per cui, ove possibile, alle cancellerie spetta comunque accettare sempre il deposito, avendo tuttavia cura di segnalare al giudice ogni informazione utile in ordine all'anomalia riscontrata.

Nel merito, quindi, pare che il Tribunale di Roma abbia errato non solo (a valle) nel pronunciare la inammissibilità del ricorso, senza pertanto limitare la sanzione ai soli allegati (ove ritenuta integrata una difformità sanzionabile alla luce di quanto già detto in termini di “forza legale” della previsione), ma pure, e soprattutto, (a monte) nel qualificare i collegamenti ipertestuali riscontrati quali «elementi attivi» vietati dal dettato dell'art. 13 del provvedimento DGSIA.

Guida all'approfondimento

P. Comoglio, Processo civile telematico e codice di rito. Problemi di compatibilità e suggestioni evolutive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 953 ss.;

V. Di Giacomo, Il nuovo processo civile telematico, Milano, 2015.

E. Zucconi Galli Fonseca, L'incontro tra informatica e processo, in Riv. trim. dir proc. civ., 2015, 1185 ss.;

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