Novazione e ricognizione di debito in caso di consolidamento dei debiti pregressi e di nuovo finanziamento

Francesco Bartolini
07 Febbraio 2017

Quando in giudizio è dedotta, come titolo per vantare un credito, l'avvenuta novazione di un precedente rapporto, il giudice deve verificare che gli indicati mutamenti del rapporto rivestano i requisiti dell'aliquid novi, dell'animus novandi e della causa novandi: requisiti che differenziano la novazione dalle semplici modificazioni dei modi di adempimento delle prestazioni o di obblighi accessori che non comportano novazione.
Massima

Quando in giudizio è dedotta, come titolo per vantare un credito, l'avvenuta novazione di un precedente rapporto, il giudice deve verificare che gli indicati mutamenti del rapporto rivestano i requisiti dell'aliquid novi, dell'animus novandi e della causa novandi: requisiti che differenziano la novazione dalle semplici modificazioni dei modi di adempimento delle prestazioni o di obblighi accessori che non comportano novazione. La ricognizione di debito (come la promessa di pagamento) produce l'effetto di esonerare il destinatario dall'onere di fornire la prova del rapporto sottostante, se di esso è fatta contestazione. Di questo effetto favorevole non può giovarsi il soggetto che subentra a titolo particolare, in corso di causa, al destinatario della ricognizione, quale cessionario del credito oggetto di ricognizione. Un diverso effetto è determinato dalla ricognizione di debito quando essa è titolata.

Il caso

Nella procedura di fallimento di una società in accomandita semplice e del suo socio accomandatario, un istituto bancario chiese l'ammissione al passivo di un credito a dimostrazione della cui sussistenza produsse: per quanto riguardava la società fallita, un atto di dilazione di pagamento del saldo passivo di conto corrente e di contestuale operazione di finanziamento a medio termine; e, con riferimento al detto accomandatario, il contratto di fideiussione da lui stipulato. Il giudice delegato ammise al passivo il credito nella misura (notevolmente inferiore a quella pretesa) corrispondente all'escussione della garanzia personale, sull' assunto per cui del maggior diritto non era stata fornita la necessaria prova; né nella citata dilazione di pagamento poteva essere ravvisato un autonomo titolo, di per sé efficace quale novazione dei rapporti precedenti tra la società e la banca.

Avverso la pronuncia del giudice delegato fu proposta opposizione. Nel corso del relativo procedimento il credito vantato dall'istituto bancario opponente fu ceduto ad un terzo, che proseguì il giudizio nei gradi successivi. L'opposizione fu respinta dal tribunale e con ordinanza della Corte di appello il successivo gravame fu dichiarato inammissibile, ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter, per la ritenuta mancanza della ragionevole probabilità di un suo accoglimento nel merito.

L'ente cessionario del credito, risultato soccombente, ha proposto ricorso per cassazione (avverso la pronuncia di primo grado) con la formulazione di tre motivi, l'ultimo dei quali (nell'ordine di proposizione) dichiarato assorbito dalla decisione avente ad oggetto le altre doglianze. La prima di queste concerne la prova del credito del quale era stata chiesta l'insinuazione al passivo della società fallita, prova che, a detta del giudice delegato e del tribunale, in atti era mancata (tale doglianza è stata dichiarata inammissibile e non presenta interesse in questa sede). Un successivo motivo riguarda il contenuto di vera e propria novazione che avrebbe dovuto essere ravvisato dai giudici di merito nell'atto di dilazione di pagamento e di nuovo finanziamento, a suo tempo stipulato con la fallita. Questo atto, si afferma, aveva sostituito alle obbligazioni derivanti dai rapporti pregressi tra le parti un impegno diverso, con oggetto costituito dalla dilazione di pagamento del dovuto, da corrispondere ad un diverso tasso di interesse. I debiti quantificati nel saldo di conto corrente erano stati per tal modo consolidati ed erano stati estinti mediante la sostituzione ad essi dell'obbligo di restituzione assunto con il finanziamento.

La questione

Il ricorso, nelle parti che qui interessano, ha posto all'esame della Corte di cassazione la questione concernente il discrimine tra l'atto negoziale che produce gli effetti della novazione di un rapporto e gli atti che determinano in tale rapporto mere modificazioni, prive di idoneità a mutarne la causa contrattuale e l'oggetto. I termini occorrenti a individuare la differenza sono desumibili dal disposto degli artt. 1230 c.c., che definisce la figura giuridica della novazione oggettiva, e 1231, che nega sostanza ed efficacia di novazione al rilascio di un documento probatorio o alla sua rinnovazione, all'eliminazione di un termine e, più in generale, ad ogni altra modificazione accessoria dell'obbligazione. Questi atti, precisa il detto art. 1231, «non producono novazione». È evidente la rilevanza della questione relativa agli elementi costitutivi della novazione ai fini della decisione della controversia in esame. Dal riconoscimento di un contenuto di vera e propria novazione di precedenti obbligazioni, se attribuito all'atto di dilazione e di apertura di finanziamento intercorso tra la banca e la società fallita, sarebbe direttamente risultato sussistente e provato tutto il credito vantato al momento della richiesta di insinuazione al passivo: quell'atto di dilazione e di finanziamento ne avrebbe costituito il titolo, ne avrebbe indicato l'oggetto e ne avrebbe fornito la prova documentale.

Una seconda questione proposta con il medesimo motivo di ricorso ha riguardato l'efficacia della ricognizione di debito nei confronti del successore a titolo particolare della parte originariamente destinataria di un tale atto. La difesa di parte ricorrente aveva chiesto di valutare la ricordata dilazione di pagamento e di contestuale finanziamento alla stregua di una ricognizione di debito, posto che con essa era stata effettuata una puntualizzazione dell'ammontare dei debiti scaduti. In proposito si sono confrontate due tesi contrastanti. Il tribunale, nel decidere sull'opposizione avverso il decreto del giudice delegato, aveva affermato che il successore a titolo particolare non poteva giovarsi dell'effetto ricognitivo dell'atto di dilazione e di finanziamento, in quanto la rilevanza della ricognizione opera unicamente nei confronti del diretto destinatario. Il ricorrente ha osservato che la scrittura ricognitiva era stata stipulata prima del fallimento della società cliente della banca e che, comunque, il soggetto succeduto a questa era subentrato di diritto nel rapporto giuridico esistente con la società fallita. Anche in relazione a questo contenuto del ricorso risulta palese la decisività della questione sollevata dal ricorrente. Ove fosse stato riconosciuto che, in linea di principio, il cessionario di un credito in corso di causa può avvalersi, in forza della sua posizione di soggetto subentrato per successione a titolo particolare nella posizione del cedente, dell'ammissione debitoria compiuta a favore del cedente, ne sarebbe derivata una decisione di accoglimento del ricorso: non potendo dubitarsi che il più volte menzionato atto di dilazione e di finanziamento conteneva una ricapitolazione del debito pregresso e di esso prometteva il pagamento rateizzato.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha rigettato il motivo di ricorso del quale si è riferito per la sua infondatezza, ravvisata sostanzialmente nella mancata indicazione delle prove occorrenti a ricondurre il rapporto intercorso tra le parti ad una novazione vera e propria e nella mancata indicazione di elementi idonei a ravvisare nella dilazione di pagamento concessa alla fallita una ricognizione di debito titolata. Sul primo punto la Corte ha osservato che, a configurare una novazione, non vale una qualunque modificazione di un rapporto esistente, dovendosi, nel giudizio, ad opera del giudice del merito, verificare nel caso specifico se la modificazione innova radicalmente il rapporto oppure riguarda semplici differimenti nell'esecuzione della prestazione o le sole obbligazioni accessorie. Quanto alla ricognizione di debito, si è ricordato che soltanto quella che menzioni anche la causa debendi può costituire un titolo efficace a favore dei successori a titolo particolare del creditore.

La Corte di cassazione ha ricordato, nella motivazione della decisione, l'esser principio assolutamente pacifico che la novazione debba connotarsi non solo per l'aliquid novi, come è ovvio, ma anche per l'animus novandi, inteso come manifestazione inequivoca dell'intento novativo, nonché per la causa novandi, a sua volta intesa come interesse, comune alle parti, all'effetto novativo. Con altrettanta uniformità di decisioni, aggiunge la Corte, si è affermato doversi escludere la sussistenza di una novazione negli atti di semplice modifica del quantum di una prestazione o nel differimento di una scadenza per l'adempimento di una obbligazione. Al riguardo, la sussistenza degli specifici elementi che differenziano le due situazioni e, in particolare, di quelli occorrenti a configurare la novazione, deve essere verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità se conforme alle norme del codice civile e se congruamente motivato. Nella vicenda in oggetto il tribunale aveva ritenuto di non poter riscontrare nell'accordo intervenuto tra l'istituto bancario originario creditore e la società poi fallita una novazione, in quanto con quell'accordo era stata stabilita sostanzialmente soltanto una rateizzazione nel pagamento, con un nuovo tasso di interessi. Nella valutazione di fatto del tribunale, i profili di novità introdotti con l'accordo risultavano esser stati limitati al differimento della scadenza dei termini di pagamento e alla connessa rideterminazione del tasso di interesse. Questa valutazione è stata considerata corretta e logicamente conseguente nella decisione della Corte di cassazione.

In ordine alle argomentazioni della ricorrente riguardanti la ravvisabilità, nell'accordo di dilazione e di finanziamento, di una ricognizione di debito, ad opera della società finanziata e successivamente fallita, la Corte ha osservato che non risultava in alcun modo se una siffatta ricognizione (valutabile anche come promessa di pagamento) fosse stata titolata, in relazione al rapporto oggetto di cessione. Tale mancata risultanza costituiva un elemento determinante per la decisione della causa e comportava necessariamente il rigetto del ricorso. In proposito la sentenza ha ricordato che la ricognizione di debito (come la promessa di pagamento) comporta una presunzione di sussistenza del rapporto sottostante con conseguente inversione dell'onere della prova. Non è colui che asserisce di vantare un credito a dover dimostrare di averne il titolo; ove sorga contestazione sul rapporto sottostante è chi ha rilasciato la dichiarazione ad essere onerato della prova di inesistenza di tale rapporto. Questo principio, tuttavia, secondo una interpretazione giurisprudenziale meritevole di conferma, vale soltanto a favore del soggetto che è destinatario diretto dell'atto di ricognizione e non si applica nei confronti di soggetti diversi. La dichiarazione non attiene al diritto di un qualunque soggetto ma produce effetto a favore del solo soggetto nei cui confronti essa è effettuata: soltanto a vantaggio di costui si presume esistente il rapporto fondamentale. Con riferimento alla specifica vicenda, doveva dunque affermarsi che dell'effetto favorevole derivante dalla asserita ricognizione di debito intercorsa tra la banca e la società fallita non poteva giovarsi il terzo, cessionario del credito, subentrato in corso di causa nella posizione del creditore. Risultava pertanto corretta la decisione del tribunale che aveva pronunciato in tal senso, disattendendo la richiesta di parte opponente.

In atti potevano essere svolte considerazioni ulteriori, aventi valore dirimente di ogni altra doglianza.

Doveva essere evidenziato, a detta della Corte, che in atti non era stato dedotto, né risultava altrimenti, se il citato atto di dilazione e di finanziamento faceva, oppur no, riferimento al rapporto sottostante alla ricognizione del debito. Ove l'atto avesse contenuto questo riferimento, la ricognizione di debito sarebbe stata titolata e di essa avrebbe potuto avvantaggiarsi il possessore, cessionario del credito in corso di causa. Spettava, nella vicenda processuale esaminata, alla parte interessata ad avvalersi della asserita ricognizione di debito fornire la prova della natura titolata di questo atto di ricognizione. In assenza di questa prova, doveva trovare applicazione il generale principio dell'inefficacia dell'atto a far presumere il rapporto sottostante se azionato dal successore a titolo particolare nel corso del giudizio. Sul punto il Collegio ha confermato la pronuncia di merito: «… poiché l'atto palesava, per quanto è dato evincere dalla sentenza, una ricognizione pura del debito – id est, una mera dichiarazione unilaterale recettizia tesa a produrre, in virtù di astrazione meramente processuale, l'effetto dell'inversione dell'onere della prova in ordine all'esistenza del sottostante rapporto debitorio – la presunzione juris tantum (sull'esistenza di questo rapporto) non poteva essere invocata dalla cessionaria».

La Corte ha aggiunto considerazioni ulteriori, a riprova dell'esattezza della decisione di merito, pur se sindacata sotto il profilo della prova contraria. In proposito si è ricordato che la curatela del fallimento aveva fornito la prova del rapporto sottostante, prova a suo carico ai sensi dell'art. 1988 c.c.. Essa aveva dimostrato l'esistenza di clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi correlate al dedotto sottostante rapporto di conto corrente. Ma queste clausole, a detta del tribunale, dovevano esser dichiarate nulle, con la conseguenza di dover procedere al ricalcolo del dare e avere, a far data dall'inizio del rapporto. La banca creditrice non aveva, però, prodotto i contratti bancari necessari per il ricalcolo né aveva censurato, nel processo, il profilo della ritenuta nullità delle menzionate clausole.

Osservazioni

La sentenza della Suprema Corte si risolve in una pronuncia di rigetto del ricorso, per la sua infondatezza e, in specie, per la carenza delle prove occorrenti a dare sostegno alle ragioni enunciate con i motivi di impugnazione. Ciononostante la decisione richiama alcuni principi in diritto sui quali vale la pena di soffermare l'attenzione.

Nella sentenza si ricorda che quando un diritto è vantato in giudizio in forza di un titolo costituito dalla novazione di un precedente rapporto, occorre verificare che l'asserita novazione rivesta i requisiti necessari a configurarla per tale, secondo il disposto degli artt. 1230 e 1231 c.c.. La novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio, in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche (Cass. 17328/2012; Cass. 4670/2009; Cass. 12962/2005; Cass. 16038/2004). Gli atti di semplice modificazione, inidonei a dar luogo alla novazione vera e propria, sono quelli che non apportano un mutamento sostanziale dell'obbligazione, per quanto ne concerne l'oggetto della prestazione o la natura giuridica stessa dell'obbligazione (Cass. 12039/2000; Cass. 9867/2000). In particolare, integra una novazione la modifica del contratto che dà luogo ad una nuova obbligazione incompatibile con il persistere dell'obbligazione originaria (Cass. 5117/1998); mentre non dà luogo ad una novazione l'accordo con cui le parti regolano puramente e semplicemente le modalità relative all'esecuzione dell'obbligazione preesistente, senza alterarne l'oggetto o il titolo, avendo il nuovo negozio per oggetto soltanto modificazioni accessorie (Cass. 5279/1983; Cass. 855/1982). La differenza tra la novazione oggettiva e le semplici modifiche pone una questione di prova: per la Corte di cassazione è compito del giudice del merito indagare in proposito e verificare la sussistenza degli elementi costitutivi della novazione. E' certo, tuttavia, che la prova onera colui che deduce la novazione a titolo del suo diritto. Questa prova può non essere facile, dato che essa comporta l'accertamento di elementi strettamente soggettivi, quali l'animus novandi e la causa novandi. Come sempre, questi elementi non possono essere ricavati che dal contenuto dell'atto asseritamente novativo e dal comportamento che ad esso ha dato esecuzione. Nella vicenda processuale risolta con la decisione della Corte che si annota, è stato affermato che la prova non era stata fornita. L'affermazione proviene dal giudice del merito e il giudice di legittimità ha ritenuto di non poterla sindacare, in quanto frutto di un giudizio di fatto evidenziatosi come osservante delle disposizioni di legge e idoneamente motivato. Non siamo in grado di avere dettagli maggiori in ordine al contenuto dell'accordo che l'istituto bancario opponente al decreto del giudice delegato al fallimento asseriva aver costituito una novazione. Ci dobbiamo necessariamente rimettere alle valutazioni che sono state effettuate nel corso del giudizio, senza avere ragioni per dubitare della loro rispondenza alla situazione di fatto esaminata. Rimane una certa curiosità di conoscere quali fossero gli aspetti di quell'accordo che lo hanno fatto considerare di semplice modifica e non già di vera e propria novazione. Nella mancata conoscenza dei particolari e trattandone in astratto, ci parrebbe di poter ritenere che presenti un contenuto novativo un contratto con il quale la banca, in credito, determina d'intesa con il cliente: il saldo passivo del rapporto di conto corrente tra loro esistito; assume questo saldo negativo a importo di un finanziamento a medio termine, per tal modo mutando il titolo dell'obbligo a restituire le somme finanziate; e contestualmente stabilisce le condizioni del finanziamento, nei tempi e nel tasso degli interessi.

Più incentrata su aspetti di diritto risulta la questione concernente la ricognizione di debito che è stata ravvisata nell'atto di dilazione di pagamento e di nuovo finanziamento.

La Corte ha evidenziato, in una motivazione certamente ad abundantiam, che dalla ricognizione di debito pura, o semplice, si differenzia la ricognizione titolata, che si caratterizza per l'indicazione, nello stesso atto, del rapporto sottostante e pertanto della causa debendi. Mentre la ricognizione di debito pura si caratterizza per la sua astrattezza processuale e per il fatto di non costituire un contratto autonomo, la ricognizione titolata evidenzia la natura e il contenuto del rapporto sottostante e di questo rapporto costituisce il titolo. Per questa ragione, il cessionario del credito può avvalersi di una scrittura titolata siffatta, non più per il suo effetto di far presumere la sussistenza di un rapporto principale ma perché di questo rapporto essa fornisce la prova documentale. In modo specifico, nell'impostazione seguita dalla Corte, il cessionario subentrato all'originario creditore può utilizzare, in ragione della posizione da lui assunta di successore a titolo particolare in corso di causa, la scrittura titolata come prova del suo diritto: ad esempio, con il farne produzione agli organi fallimentari onde ottenere l'ammissione del credito da essa risultante nel passivo del fallimento. La scrittura titolata vale, in questo caso, come prova del credito vantato e il possesso di questa scrittura è la conseguenza dell'adempimento dell'obbligo del cedente di consegnare i documenti probatori del credito (art. 1262, primo comma, c.c.).

Anche a questo proposito il Supremo collegio ha addebitato alla parte ricorrente di non avere fornito alcuna indicazione in ordine ad una qualità dell'atto di dilazione e di finanziamento che, se esistita, avrebbe rovesciato le sorti del processo. Vale la pena di osservare che la questione della natura titolata o meno della ricognizione di debito non era stata posta, nel processo, dalle parti. Nel suo scrupolo motivazionale, la Corte ha trattato anche il “dover essere”, se così possiamo esprimerci, con riguardo ad una difesa tecnica che avrebbe dovuto essere più attenta.

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