L'abuso del processo esecutivo

Giuseppe Fiengo
07 Ottobre 2016

L'impulso dato dal creditore all'espropriazione forzata successivamente all'integrale pagamento delle somme precettate costituisce esercizio abusivo del processo esecutivo.
Massima

L'impulso dato dal creditore all'espropriazione forzata successivamente all'integrale pagamento delle somme precettate costituisce esercizio abusivo del processo esecutivo poiché non v'è corrispondenza tra lo strumento processuale utilizzato ed il suo fine.

All'accertamento dell'abuso del processo esecutivo consegue, “quanto meno”, l'eliminazione degli effetti dell'uso distorto del processo e la sostituzione degli stessi con la situazione processuale e sostanziale che si sarebbe verificata in assenza dell'abuso.

Il caso

Tizio, notificato atto di pignoramento immobiliare per il recupero del proprio credito, pari ad euro 7.258,48, derivante da sentenza del Tribunale di Monza, iscrive a ruolo la procedura. Dopo aver pagato integralmente il debito ed aver ottenuto dal creditore quietanza con specifica imputazione del pagamento al debito derivante dalla sentenza del Tribunale di Monza azionata in sede esecutiva, l'esecutata, ricevuta la notifica del decreto di fissazione dell'udienza ex art. 569 c.p.c., propone opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c. deducendo l'estinzione del credito, censurando la condotta del procedente che, nonostante il pagamento integrale, in contrasto con i principi di buona fede e correttezza ha dato impulso all'esecuzione e chiedendo la condanna del procedente ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c. Depositato il ricorso in opposizione, intervengono nella procedura esecutiva gli eredi di Tizio vantando un credito di euro 5.077,98 fondato su titoli diversi da quello originariamente azionato dal de cuius.

La questione

Quando l'esercizio di poteri processuali da parte del creditore (procedente o intervenuto) munito di titolo può considerarsi abusivo? Quali sono le conseguenze dell'abuso del processo esecutivo?

Le soluzioni giuridiche

Nel decidere sull'istanza di sospensione, il Tribunale di Monza prende le mosse dall'indirizzo giurisprudenziale (Cass. civ., sez. un., 7 gennaio 2014, n. 61) che, pur affermando la regola per la quale, in caso di partecipazione nel processo esecutivo di più creditori muniti di titolo, le vicende relative al titolo del procedente non ostacolano la prosecuzione dell'esecuzione su impulso del creditore intervenuto ancora munito di titolo esecutivo, avverte la necessità di precisare la portata di tale regola alla luce tanto del momento in cui è cessata l'efficacia esecutiva del titolo del procedente, quanto della natura (originaria o sopravvenuta) del difetto del titolo del procedente. Con riferimento al primo profilo, infatti, ove l'azione esecutiva si sia arrestata prima dell'intervento, l'esecuzione non può che ritenersi improcedibile, non esistendo un valido pignoramento al quale il successivo intervento possa ricollegarsi. Quanto al secondo profilo, invece, l'intervento dovrà ritenersi precluso ove il difetto del titolo del procedente sia originario, mentre, in caso di difetto sopravvenuto, gli intervenuti titolati potranno far propri gli atti compiuti dal procedente sino al momento in cui il titolo dello stesso ha conservato validità.

Pur consapevole del fatto che, con riferimento al caso concreto, il difetto del titolo del procedente, in quanto sopravvenuto, non preclude, alla luce del sopra citato orientamento giurisprudenziale, la possibilità per i creditori intervenuti di avvalersi degli atti compiuti dal procedente, il provvedimento che qui si commenta accoglie l'istanza di sospensione avanzata dall'opponente. Rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha ormai affermato l'applicabilità anche al processo di esecuzione della figura dell'abuso del processo ed osservato come il generale canone di buona fede e correttezza (riconducibile all'art. 2 Cost.) non ha una portata solo negoziale, ma ha una proiezione anche processuale, il tribunale ritiene che l'impulso dato all'esecuzione (in particolare, mediante la richiesta di fissazione dell'udienza ex art. 569 c.p.c.) dopo l'integrale pagamento delle somme precettate sia espressione di un esercizio abusivo del processo esecutivo, non essendo ravvisabile una corrispondenza tra lo strumento processuale (l'impulso dell'azione esecutiva) ed il fine dello stesso (la realizzazione del credito risultante dal titolo esecutivo). Del resto, prosegue il giudice, ove pure, pagate le somme portate dal precetto, fosse residuato un credito per spese legali ed interessi (ferma la non tutelabilità di un credito per somme irrisorie -Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2015, n. 2015), il creditore avrebbe dovuto prima sollecitare il debitore all'ulteriore pagamento e, solo in caso di mancato, spontaneo adempimento, avrebbe potuto procedere o proseguire in sede esecutiva.

All'accertato abuso del processo da parte del procedente consegue, secondo il giudice dell'esecuzione, “quanto meno” l'eliminazione delle conseguenze dell'uso distorto del processo e la sostituzione delle stesse con la situazione processuale e sostanziale che si sarebbe verificata in assenza dell'abuso. Con riferimento al caso concreto il tribunale ritiene pertanto debbano considerarsi inefficaci gli atti di impulso della procedura posti in essere dal procedente successivamente all'estinzione del proprio credito; valutata quindi come inefficace l'istanza di vendita, il giudice ritiene inefficace anche il pignoramento ai sensi dell'art. 497 c.p.c. e, essendo divenuta l'esecuzione improseguibile, esclude quindi la possibilità di interventi successivi.

Osservazioni

Il provvedimento che si commenta costituisce un interessante arresto in materia di abuso del processo; istituto del diritto vivente che, pur non espressamente disciplinato da parte del legislatore, può ormai considerarsi immanente al sistema, in quanto direttamente riconducibile a disposizioni tanto costituzionali (si pensi, innanzi tutto, al “giusto processo” di cui all'art. 111 Cost.), quanto sovranazionali (si veda, ad esempio, l'art. 35, paragrafo 3, lett. a della CEDU).

Premessa la derivazione dell'istituto in esame dal corrispondente abuso del diritto sostanziale (quale esercizio del diritto in violazione del dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.), il giudice, seguendo un percorso già tracciato anche dalla Suprema Corte (tra le tante, Cass. civ., sez. un., 22 luglio 2014, n. 16627, Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726), delinea l'abuso del processo come esercizio, da parte del legittimo titolare, di un potere processuale per scopi diversi da quelli in funzione dei quali lo stesso potere è riconosciuto per legge o, in altri termini, come caso di mancata corrispondenza tra il mezzo processuale ed il suo fine.

L'interesse della decisione che si commenta risiede soprattutto nella conseguenza ricondotta all'accertato abuso del processo. Ad esso deve seguire, secondo il tribunale di Monza, “quanto meno” la sostituzione della situazione processuale e sostanziale prodottasi per effetto dell'abuso con quella che si sarebbe verificata in assenza dell'illecito. Il risultato è l'eliminazione degli effetti dell'atto processuale abusivo (e, avuto riguardo al caso concreto, la conseguente improcedibilità dell'esecuzione ai sensi dell'art. 497 c.p.c.). Ne deriva l'adozione di una soluzione rimediale diversa rispetto allo strumento oggi prevalentemente adoperato a fronte dell'abuso del processo (quella condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. che viene sempre più spesso accostata alla categoria dei “danni punitivi”); soluzione destinata ad operare direttamente sugli effetti dell'atto processuale “abusivo”.

Sotto tale profilo deve osservarsi come anche la giurisprudenza di legittimità abbia avuto modo di accogliere soluzioni differenti rispetto a quelle improntate ad una logica di mera deterrenza. Con riferimento al caso di domande di riparazione per irragionevole durata del processo proposte, con il patrocinio del medesimo legale, separatamente da parte di coloro che nel processo presupposto avevano agito in modo congiunto, la Suprema Corte ha, ad esempio, ritenuto ricorrente un abuso del processo (essendo l'iniziativa dei ricorrenti in contrasto con il dovere di solidarietà che impedisce di gravare lo Stato del danno derivante dall'aumento degli oneri processuali e con il principio di ragionevole durata del processo –considerato l'allungamento dei tempi processuali derivante dalla non necessaria proliferazione dei giudizi) ed ha affermato la necessità di contrastare tale abuso con l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano e, quindi, previa riunione dei giudizi, mediante liquidazione delle spese processuali come se il giudizio fosse stato unico ab origine (tra le tante, Cass. civ., sez. VI, 8 ottobre 2014, n. 21284).

Beninteso, la decisione del giudice dell'esecuzione che qui si commenta non pone il rimedio adottato come alternativo rispetto allo strumento deterrente.

L'inciso “quanto meno” lascia anzi intendere la possibilità, in astratto, di cumulare l'eliminazione degli effetti dell'atto processuale abusivo con lo strumento sanzionatorio dell'art. 96, comma 3, c.p.c.; possibilità che, con riferimento al caso concreto, viene rimessa alla valutazione del giudice dell'eventuale fase di merito dell'opposizione all'esecuzione (in proposito deve comunque segnalarsi come, secondo un indirizzo giurisprudenziale –tra gli altri, Trib. Milano, ord., 20 gennaio 2016-, l'art. 96, comma 3, c.p.c. è applicabile già nella fase camerale del giudizio di opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c.). Un simile cumulo, del resto, ben si giustifica considerando come il rimedio adottato dal giudice dell'esecuzione è destinato ad operare in una logica di ripristino dello status quo ante (e, pertanto, a salvaguardare in modo diretto la parte lesa dall'illecito esercizio della facoltà processuale), mentre l'art. 96, comma 3, c.p.c. opera in una dimensione prevalentemente sanzionatoria (da ultimo, C.cost., sent., 23 giugno 2016, n. 152) e pubblicistica, mirando a scoraggiare iniziative palesemente infondate ed abusive le quali pregiudicano la tempestiva definizione dei procedimenti meritevoli di essere instaurati.

Guida all'approfondimento

CONSOLO, Note necessariamente divaganti quanto all'«abuso sanzionabile del processo» e all'«abuso del diritto come argomento», in RDP 2012, 1284 ss.;

GHIRGA, Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012;

TARUFFO, Elementi per una definizione di abuso del processo, in AA.VV., L'abuso del diritto, Padova, 1998, 435 ss.;

VERDE, Il processo sotto l'incubo della ragionevole durata, in RDP 2011, 505 ss.

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