Rito sommario di cognizione e possibilità di sospensione del processo per pregiudizialità con altra causa

Giusi Ianni
08 Giugno 2016

Questione di pregiudizialità rispetto ad altra controversia, che impone un provvedimento di sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., nel corso di un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione.
Massima

Qualora nel corso di un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione, di cui all'art. 702-bis c.p.c., insorga una questione di pregiudizialità rispetto ad altra controversia, che imponga un provvedimento di sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., o venga invocata l'autorità di una sentenza resa in altro giudizio e tuttora impugnata, ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c., si determina la necessità di un'istruzione non sommaria e, quindi, il giudice deve, a norma dell'art. 702-ter, comma 3, c.p.c., disporre il passaggio al rito della cognizione piena. Ne consegue che, nell'ambito del rito sommario, è illegittima l'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. o dell'art. 337, comma 2, c.p.c..

Il caso

Tizia introduceva un giudizio nei confronti Caio, Sempronio e Mevio per l'esecuzione di lavori necessari alla sistemazione delle condotte fognarie a servizio dei due appartamenti di proprietà dei convenuti. Nell'atto introduttivo, la stessa Tizia deduceva che già nel 2004 aveva convenuto i precedenti proprietari degli appartamenti - divenuti, poi, di proprietà dei convenuti - ottenendo sentenza (poi appellata) di condanna al risarcimento dei danni, per le infiltrazioni prodottesi fino a quel momento (e poi proseguite fino a provocare l'instaurazione del nuovo giudizio). I convenuti si costituivano nel processo introdotto con rito sommario facendo rilevare, tra l'altro, che si chiedeva in esso lo stesso accertamento oggetto dell'altra causa pendente in appello e si difendevano, nel merito, deducendo che la responsabilità era da addebitare ai proprietari di altro immobile, che venivano chiamati in causa. Il Tribunale istruiva la causa con una c.t.u., all'esito della quale, rilevato che le conclusioni della consulenza erano le stesse a cui era pervenuta la c.t.u. svoltasi nella causa del 2004 e, quindi, sull'assunto della coincidenza del petitum e della causa petendi fra i due giudizi, sospendeva ex art. 295 c.p.c. il processo, in attesa della definizione di quello pendente in grado di appello (non potendosi dichiarare la litispendenza per la pendenza dei due giudizi in grado tra loro diverso).

L'ordinanza dispositiva della sospensione era impugnata, con regolamento di competenza, dall'attrice e la Cassazione ne riscontrava diversi profili di illegittimità, osservando, in motivazione, che il Tribunale, in ragione della natura del procedimento che era chiamato a decidere, non disponeva del potere di sospensione cui all'art. 295 c.p.c., in forza del principio di diritto, secondo cui «Qualora, nel corso di un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione, di cui all'art. 702-bis c.p.c., insorga una questione di pregiudizialità rispetto ad altra controversia, che imponga un provvedimento di sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., o venga invocata l'autorità di una sentenza resa in altro giudizio e tuttora impugnata, ai sensi dell'art. 337 c.p.c., comma 2, si determina la necessità di un'istruzione non sommaria e, quindi, il giudice deve, a norma dell'art. 702-ter c.p.c., comma 3, disporre il passaggio al rito della cognizione piena». Ne consegue che «nell'ambito del rito sommario, è illegittima l'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. o dell'art. 337 c.p.c., comma 2».

Si rilevava, inoltre, che, al di là del carattere dirimente dell'applicazione del menzionato principio di diritto, già enunciato in altre occasioni, il potere di cui all'art. 295 c.p.c. - se il giudizio fosse stato soggetto al rito ordinario - non avrebbe potuto comunque configurarsi, «pendendo l'altro giudizio in appello e sussistendo, quindi, astrattamente, solo quello dell'art. 337 c.p.c., comma 2, alla stregua del quale si sarebbe dovuta valutare l'autorità della sentenza resa in primo grado nell'altro giudizio (Cass. civ., sez. U., ord., 19 giugno 2012 n. 10027.

La questione

La questione affrontata dalla sentenza in esame è la seguente: è possibile sospendere il processo introdotto con rito sommario di cognizione in presenza di un rapporto di pregiudizialità con altra causa, pendente in primo grado o in appello?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 295 c.p.c. stabilisce che «il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o un altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa». La sospensione del processo è considerata, dalla giurisprudenza di legittimità, strumento di carattere eccezionale – in quanto destinato ad incidere sulla durata del processo civile - postulante l'esistenza di un vincolo di stretta ed effettiva conseguenzialità logico-giuridica fra due emanande statuizioni, tale per cui la soluzione dell'una condizioni, in tutto o in parte, l'esito dell'altra, coerentemente con l'obiettivo che la norma si prefigge, di evitare un conflitto di giudicati; non è, quindi, sufficiente, ai fini della sospensione, un mero collegamento fra due cause per l'esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti di diritto da risolvere per la loro adozione (Cass. civ.,sez. VI, ord.,29 luglio 2014 n. 17235). Quando, invece, tra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, ma quello pregiudicante penda in grado di appello in quanto già definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposto soltanto ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c., quando cioè in esso sia invocata l'autorità della sentenza emessa a definizione del processo pregiudicante (Cass. civ.,sez. U., sent., 19 giugno 2012 n. 10027).

Lo strumento della sospensione del processo è stato ritenuto sin da subito dalla giurisprudenza di legittimità incompatibile con il rito sommario di cognizione – introdotto nel codice di rito con la l. 18 giugno 2009, n. 69 – sia perché esso, determinando la stasi del processo, contrasta con la forma acceleratoria e semplificata del procedimento tipica del rito di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. sia perché e soprattutto tanto la sospensione necessaria di cui all'art. 295 c.p.c. quanto quella facoltativa di cui all'art. 337, comma 2, c.p.c. postulano delle valutazioni che richiedono un'istruzione non sommaria, in modo che sia garantito il contradditorio sull'esistenza o meno dei relativi presupposti secondo le forme della cognizione piena. Si è affermato, quindi, che nel procedimento introdotto con il rito di cui all'art. 702-bis c.p.c., l'insorgenza di una questione di pregiudizialità rispetto ad esso di altro giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c., o di valutazione della sua possibile sospensione ai sensi dell'art. 337 c.p.c., comma 2, in relazione a sentenza resa in altro giudizio asseritamente pregiudicante di cui si invochi l'autorità, determina la situazione supposta dal terzo comma dell'art. 702-ter c.p.c., con la conseguenza che il giudice deve disporre, ai sensi di tale norma, il passaggio al rito della cognizione piena (Cass. civ., sez. VI, ord., 2 gennaio 2012 n. 3).

L'ordinanza in commento ribadisce tale principio, affermando l'illegittimità dell'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. o dell'art. 337, comma 2, c.p.c. nell'ambito del processo introdotto con rito sommario di cognizione.

Osservazioni

La soluzione offerta dai giudici di legittimità nel provvedimento in commento, benché conforme a precedenti arresti e quindi inserita in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, non appare del tutto condivisibile, almeno nella misura in cui ritiene già in astratto l'istituto della sospensione incompatibile con il rito sommario di cognizione, perché implicante per sua natura un'istruzione non sommaria e determinante una stasi del processo incompatibile con i caratteri di celerità e speditezza sottesi a tale modulo processuale.

Il rito sommario di cognizione, infatti, è giudizio a cognizione piena, rispetto al quale la maggiore celerità e speditezza è data dalla semplificazione delle forme e dell'istruzione, non dall'oggetto della lite che può essere, per contro, anche estremamente complesso; ove, quindi, l'accertamento del rapporto di pregiudizialità necessaria non richieda particolari approfondimenti istruttori non sembra palesarsi un'incompatibilità strutturale tra il predetto rito e l'istituto della sospensione, dipendendo la stasi del processo non dalla necessità di un'istruzione non sommaria (unico presupposto richiesto dall'art. 702-ter c.p.c. per il mutamento del rito) bensì da una vicenda accidentale, legata all'esistenza di un processo pregiudiziale rispetto a quello introdotto con rito sommario. A ciò si aggiunga che in alcune ipotesi il legislatore prevede il rito sommario di cognizione come forma necessaria di introduzione del processo (artt. 14-30 d.lgs. 150/2011), sicché in tali casi, non essendovi possibilità di mutamento del rito, in presenza di pregiudizialità necessaria il giudice non potrà fare altro che sospendere il processo, a riprova dell'inesistenza di un'incompatibilità strutturale tra i due istituti.

Guida all'approfondimento

G. BUFFONE, E. CURTÒ, G. IANNI, Semplificazione dei riti civili. Disposizioni generali e rito del lavoro, Giuffrè, 2013, 72

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